venerdì 15 giugno 2018

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ORIGINI DEL SANDWICH

Domanda posta su Quora:
Qual è la storia del sandwich? 

Perla Berger ha risposto: 

Il celebre panino deve il suo nome all'uomo politico britannico del XVIII secolo Lord Sandwich (John Montagu, IV conte di Sandwich) il quale, secondo la tradizione, durante le partite a carte o le gare di golf, si faceva servire al tavolo da gioco o sul campo dei panini per poter mangiare pur continuando a giocare.

Questo è il mio contributo: 

La storia del tramezzino è ben più antica di Lord Sandwich, a cui si deve soltanto il nome. Si trova una testimonianza molto interessante negli atti del processo a Guilhem Belibasta, l’ultimo Perfetto Cataro noto della Linguadoca, bruciato sul rogo nel 1321. Dovendo nascondere ad alcuni contadini il fatto che non mangiava carne, metteva del pesce fritto in mezzo a un panino e mangiava quello. Siccome i contadini in questione mangiavano in modo simile la carne, si può pensare che fosse un costume diffuso. Per maggiori informazioni sul contesto rimando a “Il caso Belibasta”, di Lidia Flöss. 

La genesi di una leggenda antropologica 

Il racconto di Lord Sandwich presenta molte delle caratteristiche di una leggenda antropologica: ha tutta l'aria di essere una narrazione posticcia, fabbricata a bella posta sul finire del XVIII secolo per spiegare qualcosa che già allora era avvolta nell'oscurità. Questo è riportato nel dizionario etimologico Etymonline.com:

sandwich (n.)

«1762, said to be a reference to John Montagu (1718-1792), Fourth Earl Sandwich, who was said to be an inveterate gambler who ate slices of cold meat between bread at the gaming table during marathon sessions rather than get up for a proper meal (this account dates to 1770). It was in his honor that Cook named the Hawaiian islands (1778) when Montagu was first lord of the Admiralty. The family name is from the place in Kent, Old English Sandwicæ, literally "sandy harbor (or trading center)." For pronunciation, see cabbage. Sandwich board, one carried before and one behind, is from 1864.»

Si noti la ricorrenza della locuzione "said to be". Non si opera affatto nel campo delle certezze, come invece molti sono propensi a credere. Probabilmente non sapremo mai i dettagli della formazione di questa mitologia del panino imbottito, che ha coinvolto chissà come un politico inglese. Perché non supporre, come sarebbe più semplice, che il sandwich sia stato chiamato così perché tipico in origine della cittadina di Sandwich, nel Kent, citato da Etymonline.com? Sarebbe una spiegazione più sobria, che coinvolgerebbe un minor numero di passaggi logici e soddisferebbe persino i fanatici del Rasoio di Occam. Purtroppo non siamo più nelle condizioni di poter determinare la cosa. Tutto ciò che riguarda Lord Sandwich è filtrato da una tradizione quasi ieratica: faremmo molta fatica a rintracciare notizie attendibili in qualche fonte dell'epoca. Non riusciremmo neppure a investigare le tradizioni culinarie del borgo di Sandwich per capire se vi esistesse realmente nel XVIII secolo l'usanza di imbottire il panini con carne e formaggio. Quello che è certo, è che questa preparazione culinaria era già presente nella tradizione inglese, ma era chiamata in modo molto più logico bread with meat o bread with cheese, a seconda dei casi. 

Le vere origini 

Il nome artòcreas (dal greco ἄρτος "pane", κρέας "carne") indica una torta in cui la carne o il pesce venivano cotti nella pasta di pane. Era molto usata nel Medioevo ed era un modo molto ingegnoso per conservare cibi deperibili, avendo la crosta di pane un effetto protettivo che ritarda la decomposizione. A giovarsi dell'artocreas furono in particolare i Catari, che cucinavano così il pesce. La carne di mammiferi e di uccelli era vietata ai Buoni Uomini, mentre erano permessi pesci, crostacei e molluschi, alimenti che si guastano con estrema facilità. L'artocreas, in pratica un pasticcio di pesce e di pane, era considerato una leccornia. Va però detto che la sua preparazione era abbastanza laboriosa: bisognava plasmare la pasta e cuocere il tutto, in un'epoca in cui non c'erano forni elettrici. Così fu escogitato un sistema più rapido, che poteva essere utile in caso di viaggi o in condizioni di emergenza. Si nascondeva il pesce, precedentemente cotto, all'interno di un gran pezzo di pane. In questo modo nacque il panino imbottito, per finalità ben più nobili di quelle di un Lord Sandwich schiavo del demone del gioco! I semplici credenti, che non avendo ricevuto il Sacramento potevano cibarsi di carne, di uova e di formaggio, di certo avranno messo nel proprio pane anche cibi che i Buoni Uomini non potevano consumare. L'usanza dovette quindi diffondersi tra i cattolici.

I nomi catalani del sandwich

In Catalogna, dove Guilhem Belibasta visse a lungo assieme a numerosi esuli dalla Linguadoca, per indicare il sandwich esistono ai nostri tempi numerose denominazioni native. È chiamato entrepà, rua, badall, panet, cantó de pa o anche soltanto cantó. Abbondano i nomi locali. A Camp de Morvedre è chiamato cantell, a La Marina è chiamato llesca, nella Vall d'Uixó è chamato berena. Nella Comunità Valenziana si incontrano è conosciuto come mescla, pa i mescla o mescla entre pa. A Minorca troviamo invece il bizzarro cóc, oltre a forme più ovvie come pa amb carn rostida, diffuse anche nelle altre isole dell'arcipelago. Una tale varietà mostra non soltanto l'importanza della tradizione di farcire i panini, ma anche il suo radicamento. Va però precisato che il termine più comune, entrepà, è stato coniato da Pere Quart in epoca recente, nel 1959. È riportato che durante un suo viaggio nelle terre di Valencia, lo scrittore chiese un panino imbottito alla commessa di un bar, che gli avrebbe domandato: "Aixina, què hi voldran entre pans?", ossia "Allora, cosa vorrebbe in mezzo al pane?" (lett. "tra i pani"). Dalla contrazione di "entre pans" derivò facilmente "entrepà"

Una creazione autarchica

La parola tramezzino fu coniata da Gabriele D'Annunzio nel gennaio dell'anno 1926, a Torino, mentre faceva uno spuntino allo storico Caffè Mulassano. Alcuni sono convinti che corresse invece l'anno 1925: questa datazione è riportata in un articolo apparso sul quotidiano La Stampa.  In ogni caso un'epoca di autarchia linguistica e il termine inglese sandwich doveva a tutti i costi essere sostituito da una genuina parola italiana. La gente del capoluogo piemontese, a quanto si legge, chiamava i sandwich "paninetti". Cosa spinse il Sommo Vate a una creazione linguistica che avrebbe lasciato il segno? Non c'è accordo, neanche su un fatto in apparenza così scontato e tutto sommato vicino a noi. Wikipedia (2018) riporta quanto la seguente etimologia

"Il termine tramezzino fu coniato da Gabriele D'Annunzio, che lo creò per sostituire la parola inglese sandwich. Si tratta del diminutivo di tramezzo, inteso come momento a metà strada tra la colazione e il pranzo, nel quale consumare uno spuntino o merenda  quale il tramezzino."

Un'opinione diversa è riportata su Dagospia.com, che a quanto pare ha attinto a un contributo apparso su La Stampa:

"A battezzarlo così fu un poeta, Gabriele D'Annunzio, che osservando la forma di pane a cassetta da cui si ricavava il sandwich imbottito pensò alla «tramezze» della sua casa di campagna."

Sarò anche ingenuo, ma ritengo più probabile che la creazione lessicale derivasse semplicemente dal fatto che in mezzo a due fette di pan carré viene messo il ripieno. A parer mio, D'Annunzio non alludeva né a un intervallo di tempo né a un elemento edilizio: ebbe invece un'ispirazione simile a quella del catalano Pere Quart. Il nostro tramezzino non è poi così diverso semanticamente dall'entrepà

Esiti di sandwich nella Romània

Che sia derivato da un Lord inglese o dalla località di origine della sua famiglia, il nome del sandwich è stato nativizzato in diverse aree della penisola iberica e dell'Italia settentrionale. Se in Catalogna sono stati preferiti termini locali, in Castiglia è emersa la forma popolare sángüis. Nell'area galloitalica si trova la stessa identica forma, senza dubbio per convergenza e non per prestito dallo spagnolo. A Milano il sandwich è chiamato sanguis, come a Torino. In piemontese esiste anche la variante ortografica sanguiss

lunedì 11 giugno 2018

ETIMOLOGIA DI CARAMPANA: UN PROBLEMA RISOLTO

Checché se ne dica, l'etimologia della parola carampana è problematica, nonostante la storica associazione con la Ca' Rampani (Casa Rampani) di Venezia, riportata da tutti i dizionari. Definito dal Vocabolario Treccani come "donna volgare, sguaiata, oppure brutta o vecchia", questo termine è in pratica un sinonimo popolare di "vecchia puttana". Il servizio di Google "Traduzioni, origine delle parole e altre definizioni" non fa riferimento diretto al meretricio, ma specifica che, per estensione, che la carampana è una "donna attempata dall'aspetto inopportunamente vistoso". Più diretto il Wikizionario, che riporta la seguente definizione:

1. (regionale) anziana meretrice, per derivazione donna dal brutto aspetto, volgare e trasandata.

Spesso si sente accompagnare la parola all'aggettivo "vecchia" nella locuzione "vecchia carampana", in frasi del tipo: "Mi sono imbattuto in una vecchia carampana, era una fanatica della New Age", "Nonostante la sua età, A. va sempre in giro truccatissima e avvolta in una nuvola di profumo, è proprio una vecchia carampana", "G. è una vecchia carampana alla perenne ricerca di giovani nerboruti da scappellare", "Quella vecchia carampana di P. manda via email le foto della sua fica sfatta ai suoi contatti", etc.

La leggenda vuole che nel palazzo nobiliare veneziano noto come Ca' Rampani dimorassero anziane meretrici particolarmente brutte, i cui servigi a quanto sembra erano molto richiesti. Secondo altri, la stessa Ca' Rampani sarebbe stata invece il luogo dove vivevano le prostitute ritiratesi dall'attività. Forse chi propone questa interpretazione pensa che nessuno concupirebbe una donna anziana e cadente, ma sappiamo bene che le cose non stanno così. Il sesso senile, che al giorno d'oggi divampa, ha sempre avuto i suoi sostenitori. Tutti concordano nell'affermare che i Rampani erano una famiglia gentilizia che a un certo punto si estinse, lasciando le sue proprietà in stato d'incuria. Nonostante questi fatti, la storiella sulla Ca' Rampani ha tutta l'aria di essere una fabbricazione popolare, creata allo scopo di dare un'etimologia credibile alla parola carampana. Null'altro che un'ingombrante leggenda. La prima attestazione del termine sembra risalire al 1908 (vedi Dizionario Zanichelli alla voce carampana), non all'epoca della Serenissima. Questo tuttavia non significa affatto che la parola non fosse usata già secoli prima.

Soluzione del problema

La parola è derivata dal veneziano carampia, che è ben attestato. Nel XVIII secolo, ben prima che fosse registrato l'uso di carampana, vediamo carampia in un testo comico in veneto non esente da italianismi (forse soltanto grafici, es. occhi per oci; vecchia per vecia, l'uso delle consonanti doppie, etc.). Si tratta delle Fiabe teatrali, di Carlo Gozzi (1720-1806), di cui riportiamo un estratto

"La Regina Ninetta xe stada seppellia viva, za disdott'anni, sotto el buso della scaffa, per le persecuzion de sta vecchia carampia de Regina, e l'ho vista mi con sti occhi. Figurarse, se no la xe marcia, e in polvere? No xe persa la descendenza delle Naranze? L'è bella, ma no la se pol sorbir. Se me par, che sia ancora quel momento fatal, che la quondam povera Regina Ninetta, prima de esser sepolta viva sotto el buso della scaffa, ha partorio quei do Zemelli, puttello, e puttella, che gera un naroncolo, e una riosa de bellezza. A me i me xe stai consegnai da sta vecchia carampia de so nona, coll'ordene de scannarli, pena la mia vita, e, pena la mia vita, de taser; e me par de veder ancora l'azion negra de metter in tela cuna, in cambio dei do Zemelli, do cagnetti mufferle, che aveva partorido la Mascherina de corte; scrivendo po al Re quelle relazion, quelle accuse e quelle iniquità, che ha causà tanti ordeni tragici, i quali sarà contai sotto el camin, come fiabe." 

Basta fare qualche indagine per appurare che la parola carampia non è esclusivamente veneta e che è ben più antica delle opere del Gozzi. Cercando nel Web, sono riuscito a reperire un glossario molto interessante. Grazie a una citazione, ho scoperto che carampia compare già nel XIII secolo nell'opera di un poeta toscano, Francesco "Cecco" Angiolieri (1260-1313). Proprio lui, quello stesso che scrisse: "S'i' fosse foco, arderei 'l mondo". Riporto senz'altro il testo, tratto dalle Rime: è il sonetto XIV (Chi vol vantaggio aver).


XIV
   Chi vol vantaggio aver a l’altre genti
don’el su’ cor lialmente ad Amore,
e lassi dire amici né parenti,
s’e’ n’ha nessun di ciò reprenditore:
   che tanto faccia Dio tristi e dolenti
chi agli amanti fa altro ch’onore,
quant’elli ha fatto caràmpia, de denti,
che vintiquattro di bocca n’ha fuore.
    Chi serve questa è peggio, a mia parvenza;
e ben mi par di ciò dicer sì certo,
che volentier ne starei a sentenza:
    e chi perdesse, fosse sì deserto,
enmantinente, senza nulla entenza,
come fo ’l fiorentino a Monte Aperto.

A questo punto, la baggianata della Ca' Rampani deve necessariamente tramontare.

Domanda cogente: perché i romanisti e gli altri accademici continuano, con al massimo un lieve "forse", a spacciare per verosimile quella che si dimostra essere una favola? 

Come Wotan scaglia una lancia contro l'esercito nemico, così accuso di disonestà intellettuale l'intero corpo degli etimologi accademici e dei romanisti!  

Origine ultima della carampana e della caràmpia 

Qualcuno ha avuto la forza di contrastare l'iniquo potere dei romanisti, confrontando carampana e carampia con il termine austriaco Krampen "persona piena d'acciacchi". Si tratta di Lino Carpinteri, che ha scritto su Il Piccolo


Ovviamente, l'ipotesi che il passaggio sia stato dal tedesco d'Austria alla Serenissima è un'assurdità, dato che non spiega affatto l'attestazione nell'opera di Cecco Angiolieri. Si deve per forza trattare di un longobardismo! La forma originale doveva essere *CHRAMPHIA, il che spiegherebbe bene l'epentesi: /khr-/ > /kar-/. La radice rimanda alla protoforma germanica *krampo: "crampo; fermaglio". Questi sono gli slittamenti semantici: "persona piena di crampi" > "persona acciaccata" > "donna anziana""vecchiaccia", etc.

domenica 10 giugno 2018

ETIMOLOGIA DI ESCORT: UNA PROPOSTA INNOVATIVA

Come tutti ben sanno, il termine escort è stato introdotto in Italia sotto il regime pornocratico berlusconiano, la cui strategia ha reso possibile la puttanizzazione dell'Italia. Nelle fantasie popolari, la escort è una specie di dea dal corpo di una tale bellezza da togliere il respiro. Tale è la perfezione attribuita a simili creature, che si può ben pensare che non defechino volgarissima merda, bensì praline di cioccolato, canditi e petali di violetta profumata. A questo punto sorge una domanda: perché una prostituta d'alto bordo è chiamata escort?

Trovo che sia erroneo applicare a escort "prostituta d'alto bordo" l'etimologia riportata su Etymonline:

escort (n.)

«1570s, in military sense, from Middle French escorte (16c.), from Italian scorta, literally "a guiding," from scorgere "to guide," from Vulgar Latin *excorrigere, from ex- "out" (see ex-) + Latin corrigere "set right" (see correct (v.)). The sense of "person accompanying another to a social occasion" is 1936.» 

Cercando in Google "escort etymology", compare persino uno schemino, assemblato dal servizio "Traduzioni, origine della parola e altre definizioni":


Se uno clicca sulla freccetta sotto lo schemino, compaiono i vari significati: 

escort
noun
noun: escort; plural noun: escorts
/ˈɛskɔːt/

  1. a person, vehicle, or group accompanying another for protection or as a mark of rank.
    "a police escort"
     sinonimi: guard, bodyguard, protector, safeguard, defender, minder, custodian; attendant, guide, chaperone, retainer, aide, assistant, personal assistant, right-hand man, right-hand woman, lady in waiting, duenna, equerry, squire; entourage, retinue, suite, train, cortège, attendant company, caravan; protection, defence, convoy
    "they were given a police escort" 
  •   a man who accompanies a woman to a particular social event.
        "Louise and her escort were given the best table"
        sinonimi: companion, partner, beau, attendant; informal date
            "she didn't like going to clubs by herself and Graham was a great escort"

  •  a person who may be hired to accompany someone to a social event.
     "an escort agency"
        sinonimi: paid companion, hostess; male escort, gigolo; geisha (girl); sing-song girl; archaic courtesan
     "we offer a wide selection of young, good-looking, fun escorts"

  •  euphemistic
          a prostitute.

Come si vede, la vulgata corrente vuole che nel mondo anglosassone il senso di "prostituta" sia stato attribuito alla parola escort per eufemismo. L'evoluzione semantica si sarebbe prodotta a partire dal significato di "persona noleggiata per un evento sociale", donde anche "gigolò", "geisha", "sciantosa"... e "cortigiana". Non mi si dica che la geisha è una donna casta: è ben risaputo che tra le sue mansioni c'è anche quella di leccare avidamente l'ano dell'uomo a cui si accompagna.

Propongo una diversa etimologia, molto più diretta, che evita tutti i complessi slittamenti semantici di cui sopra. Il termine in questione è chiaramente derivato dal latino scortum "prostituta", di cui la variante scorta è ben nota e documentata. Questo è un link al Dizionario Latino Olivetti:  


Questi sono i significati riportati per scortum, scorti (sostantivo neutro II declinazione): 

1. pelle, cuoio
2. prostituta, meretrice
3. uomo che si prostituisce

Evidentemente la forma femminile scorta "prostituta" dovette sopravvivere in italiano in qualche contesto, probabilmente volgare e umile, quindi fu importato dalla soldataglia in Francia e da qui in Inghilterra. Mi schiero contro l'opinione dei romanisti: oso affermare che si tratta soltanto di un omofono del termine scorta in senso militare. In realtà l'attestazione del vocabolo col senso di "prostituta" non è poi così recente come gli accademici sostengono. Il significato arcaico di "cortigiana" (ingl. courtesan), menzionato dal programma di traduzione di Google, è una chiara prova del fatto che la parola era equivoca già secoli fa. Sono convinto che quanto sostengo sia vero e che un giorno sarà provato da ulteriori ricerche. Si potrebbe dire che la reintroduzione in Italia di escort "prostituta d'alto bordo" ad opera di Silvio Berluscconi e dei suoi seguaci sia un tipico esempio di effetto boomerang. La parola deve essere sopravvissuta per secoli come un fiume carsico ben nascosto per poi riemergere all'improvviso. Se alcuni suoi rami non sono più stati nutriti dalla fonte e sono morti, un altro ha avuto vita prospera ed è ricomparso dove uno meno se lo aspettava. Fenomeni simili non sono rari quando si tratta di termini pertinenti alla sfera sessuale, data la grande ipocrisia del genere umano.

mercoledì 6 giugno 2018

GLI ORRORI DELLE PAROLE MACEDONIA: INFLUENCER + USER = INFLUSER

La Guerra Civile non è stata la peggior catastrofe nella storia degli Stati Uniti. Neanche l'11 settembre 2001, se è per questo. Quella nazione infelice, devastata dall'uso massiccio di oppiacei potentissimi come l'ossicodone e il fentanyl, non cessa di sfornare ripugnanti parole macedonia o di ispirarne la formazione. Anche se l'orribile INFLUSER a quanto pare è nato in Italia, non ci sono dubbi sul suo americanismo concettuale. Cosa significerà mai questo balbettamento pseudolinguistico? La sua genesi è molto chiara: è stato fatto un bizzarro collage:

INFLUENCER + USER = INFLUSER 

Sono numerosi gli articoli che trattano l'improponibile neologismo, che è tipico dell'Italia e non pare essersi diffuso in ambienti di lingua anglosassone. Riporto un link a titolo di esempio: 


Quindi l'influser dovrebbe essere un influencer non consapevole di esserlo, che quindi è anche e soprattutto un utente. Se quanto ho capito è corretto, le aziende sarebbero disposte a far di tutto pur di accaparrarsi qualche influser, anche a leccarlo nelle parti intime. Ad ogni leccata, l'influser apporterebbe grande prosperità ai suoi datori di lavoro.

Ormai siamo asfissiati dalle mefitiche opere degli influencer consapevoli. Li percepiamo come parassiti che si arricchiscono scrivendo cazzate invereconde, o più probabilmente facendole scrivere da qualche programma. Sono automi del marketing: con i loro portali pieni zeppi di specchietti per allodole, attirano numerosissime visite di meccanismi robotici che generano entrate interagendo coi banner

Più mite la definizione fornita da Wikipedia (2018): 

"Il marketing di influenza, o influencer marketing, è un tipo di marketing in cui la concentrazione è posta sulle persone influenti (influencer) più che sul mercato di riferimento nel suo complesso. È una forma di marketing basata su persone con influenza sui potenziali clienti. I contenuti degli influenzatori possono essere ricompresi nella pubblicità con testimonial dove gli influenzatori giocano il ruolo di potenziali consumatori oppure agiscono come fossero soggetti terzi rispetto agli altri soggetti in campo, ossia consumatori e produttori. L'industria del marketing di influenza è cresciuta molto velocemente negli ultimi anni e adesso il suo valore stimato a livello mondiale è 1.07 miliardi di dollari." 

Per inciso, ogni tanto si vede emergere la forma italianizzata influenzatore. Non si è ancora arrivati ad adattare l'ibrido influser in un altrettanto chimerico influtente. Già il suono di queste parole è ripugnante, in qualunue modo le si possa adattare. Ancor più molesta è la natura sfuggente dei concetti coinvolti. Se avessimo una "draga temporale" e potessimo portare qui Johann Wolfgang von Goethe, una delle massime intelligenze dell'intera storia del genere umano, non credo che potrebbe capirci qualcosa. Forse perché non c'è nulla da capire in questo marasma. In tanto brulicare di neologismi innaturali non c'è nulla di sondabile dalla mente dell'uomo: siamo nel campo dell'Idiozia Artificiale e di tutti i suoi nocivi prodotti. Resta un fatto incontrovertibile. Se ai tempi di Adam Smith l'origine della ricchezza era chiara e poteva essere compresa, in quest'epoca degenerata e calamitosa il funzionamento dell'economia non può certo dirsi limpido come cristallo di rocca.  

In buona sostanza, cos'è un influser? Semplice. È un inculator.

GLI ORRORI DELLE PAROLE MACEDONIA: INCUBATOR + ACCELERATOR = INCULATOR

La cosa ha dell'incredibile, me ne rendo conto. Eppure è accaduta. Negli States si è formata l'ennesima, abominevole parola macedonia: INCULATOR. La sua genesi è molto chiara: è stato fatto un collage a dir poco surreale. Ecco i passaggi:

INCUBATOR + ACCELERATOR
= INCULATOR 

Capisco chi si rifiuta di crederci e pensa a uno scherzo di Lercio.it o a un renzismo. Anch'io all'inizio, quando mi sono imbattuto in questo obbrobrio per la prima volta, ho rifiutato di credere che fosse reale. Poi, di fronte alla mole della documentazione, sono stato costretto ad arrendermi all'evidenza. Prevengo così ogni pressante e fastidiosa richiesta di fonti con un semplice link:


Finalmente abbiamo capito ogni cosa! Per avere successo... serve un inculator! Incredibile a dirsi, l'innovazione compare anche in siti in lingua italiana, come ad esempio Quifinanza.it, e per giunta senza la minima allusione a Sodoma e ai piaceri bizantini di un fallo turgido che scivola in un budello lubrificato, deponendo il seme tra gli escrementi!


Nel calderone magmatico di Facebook, l'incredibile notizia, pur datata, ha causato un'accesa discussione. Riporto il dialogo surreale:

   Marco Moretti:
E' un bizzarro refuso. Più o meno come quando ho trasformato "20 al cubo" in "venti al culo". :)

   Marco Ajello:
no no: è proprio un neologismo tramite "crasi"

   Marco Moretti:
Ho capito: questi dementi hanno incrociato "incubator" e "accelerator" in una grottesca parola macedonia: "inculator". Non si informano nemmeno su possibili equivoci in altre lingue.

   Marco Moretti:
Simili parole macedonia andrebbero punite perforando la lingua di chi le pronuncia con un ferro rovente. Pervertono le lingue, oscurano le etimologie, sono bestemmie contro il Logos.

   Marco Ajello:
non avrei saputo dirlo meglio caro ^_^

   Diana Severati:
non è un refuso ma incubator + accelerator; articolo vecchio comunque

   Marco Garrone:
Marco Moretti già, dovremmo anche eliminare la parola informatica... perché sembra informazione + fatica ;-)

   Marco Garrone:
Il problema non è la parola di per sé, è l'irrilevanza della lingua italiana nel contesto in cui vengono create queste parole e nel fatto che non si possa trovare un omologo in italiano perché la gente si bea degli inglesismi, tanto che oggi usiamo troppo spesso e senza senso parole come shop, building, living (neppure living room) outfit, e tante altre parole inglesi

   Marco Ajello:
Importante perché lo condivide con tutte le lingue romanze che sono il 90% delle parole internazionali. Compreso questo neologismo

   Marco Garrone:
Marco Ajello apparentemente l'irrilevanza coinvolge anche altre lingue ^_^
e cmq basta declinarlo nella propria lingua.
L'esempio di informatique = information automatique = informatica non l'ho preso a caso.
Al contrario radio sembra essere stato digerito tranquillamente da tutte le lingue.
Come al solito noi italiani pensiamo più a protestare che a trovare soluzioni.

   Marco Ajello:
Culo esiste in spagnolo e in francese. Ovvero in tutte le lingue internazionali. Il tuo "esempio" é debole. Tra l'altro fatica é presente anche nelle altre lingue e sfido chiunque a pensare a fatica partendo da informatica, domotica o altro

   Marco Moretti:
Il termine "fatica" è stato evocato dal Garrone come facezia, evidentemente, dato che già l'accento nega qualsiasi somiglianza con informatica. Allora perché non dire che informatica sembra informazione + fica?

   Marco Moretti:
La scarsa dimestichezza della specie umana con l'origine delle parole che usa è un indice della sua condizione terminale.

   Marco Garrone:
Marco Moretti per fortuna la dimestichezza con l'origine delle parole non è rilevante ai fini della sua sopravvivenza visto che ogni tentativo di tutela della lingua dall'antica Roma ad oggi si è dimostrato una sorta di onanismo intellettuale costantemente disatteso dalla realtà.
Ma tornando a qualcosa di più concreto, perché non stiamo ancora cercando una soluzione intelligente al problema e stiamo invece solo continuando a parlare di chi ce l'ha più grosso? ^_^

   Marco Garrone:
Peraltro carissimo Moretti, informatica è l'italianismo di una parola straniera (francese), come può esserlo stoccafisso... e come inculator, che spero possa originare un termine utilizzabile.

   Marco Garrone: 
Marco Ajello lamentarsi è veramente il modo peggiore di risolvere un problema... perché passato il momento ludico per la nuova parola (che attira tante battute) non si trova un corrispondente italiano per ovviare al problema?
Magari piacerà anche a spagnoli e francesi.

   Marco Moretti:  
1) La parola "stoccafisso" è giunta dall'olandese stokvisch "pesce-bastone" - termine formato in modo naturale secondo i mezzi di quella lingua, mentre "informatica" è l'adattamento di una parola macedonia francese, formata in modo innaturale.
2) Il problema purtroppo non è possibile risolverlo: sarebbe come pensare di poter far tornare sano il cervello di una persona affetta da morbo di Alzheimer. Non si può lottare contro l'entropia. Mi limito a descrivere la patologia imperante. Coniare nuove parole non serve a niente, visto che non sarebbero usate da nessuno.

   Marco Garrone:
Marco Moretti è chiaro che la seconda affermazione contraddice la prima.
E incluator si è meritato fior fiore di articoli di giornale dopo che qualcuno l'ha evidentemente inventata.
Casomai creare nuove parole - potrebbe - non servire a niente se non venissero usate... ma per essere usate devono prima esistere.
Quindi ribadisco e chiudo, informatica vale tanto quanto inculator, e niente, ma proprio niente, valgono le proteste di qualche purista linguista, perché giusto o sbagliato, la realtà è questa.
Invece di lamentarci dell'ignoranza o della stupidità altrui, sarebbe più opportuno proporre una qualche soluzione, che sia un "pesce-bastone" o qualsiasi altra.
Ai posteri poi l'ardua sentenza

Stremato e sommerso da centinaia di notifiche di altri post, non ho continuato il thread. Ai sostenitori dei neologismi più turpi dirò qualcosa. In Iran esiste una marca di cioccolato che risponde al nome MERDAS. Ovviamente il brand non ha nulla a che fare con le feci. Qualche burlone in Facebook ha evocato lo spirito di Fulcanelli, dicendo che i produttori iraniani di cioccolata compiono un'opera alchemica: servendosi di alambicco, vetriolo e pietra filosofale riuscirebbero a trasformare gli escrementi in cioccolato sopraffino. La vera etimologia di questo MERDAS non ha nulla a che fare con tutto questo. L'antroponimo persiano MERDAS significa "Uomo Celeste". Si tratta del nome di un re, che compare nello Shahnameh, una delle più antiche opere in persiano moderno (circa 1000 d.C.). Molto semplice: merd significa "uomo" (mard in persiano contemporaneo), mentre -as dovrebbe avere la stessa radice di asman "cielo". Tornando a noi, vorrei proprio vedere che successo avrebbero in Italia i dolciumi della marca MERDAS. Nemmeno il più callido marketer riuscirebbe a vendere un cioccolato con questo nome in un paese in cui la venerabile parola merda indica il prodotto finale della digestione dei viventi!

domenica 3 giugno 2018

LA FAMIGLIA LINGUISTICA QUECHUMARAN NON ESISTE!

Joseph H. Greenberg (Stanford University, Columbia University, †2001) e Merritt Ruhlen (Stanford University) sono gli autori dello studio An Amerindian Etymological Dictionary, ossia "Un dizionario etimologico amerindiano", liberamente consultabile e scaricabile seguendo questo link:


La macrofamiglia amerindiana postulata da Greenberg e da Ruhlen è ricostruita a partire da numerose famiglie. Riporto un elenco degli aggettivi usati per descrivere queste ipotetiche famiglie, tradotti in italiano; gli originali usati nel mondo anglosassone sono indicati tra parentesi.

America settentrionale

   Algonchino-Wakash (Almosan) 
   Keres-Sioux (Keresiouan) 
   Penuti o macro-Maya (Penutian)
   Hoka (Hokan)

America centrale 

   Amerindio centrale (Central Amerind) 

America meridionale  

   Chibchá (Chibchan) 
   P
áez (Paezan) 
   Andino (Andean) 
   Equatoriale (Equatorial) 
   Macro-Tucano (Macro-Tucanoan) 
   Macro-Carib (id.) 
   Macro-Pano (Macro-Panoan) 
   Macro-G
ê (id.) 

Greenberg include nella famiglia delle lingue andine il Quechua, l'Aymará, il Mapudungun, il Puelche (Gennaken), il Tehuelche, lo Shelk'nam, lo Yahgan (Yamana), l'Alakaluf (Qaweskar) e un certo numero di altre lingue tra loro molto diverse. Non mi risulta tuttavia che l'autore abbia mai elaborato una protolingua andina capace di rendere conto dell'esistenza e degli sviluppi di tutte queste lingue, parlate in un'area vastissima che va dall'Ecuador alla Terra del Fuoco. L'impressione è che il suo lavoro, eminentemente top-down, sia stato prodotto a partire da qualche pregiudizio e da qualche forma di malsana intuizione, senza neppure tentare di trovare corrispondenze fonetiche regolari. Questi errori procedurali viziano l'intera opera, che già non è esente da gravi difetti. Le lingue isolate sono costrette a viva forza in una famigia o nell'altra, i prestiti non sono eliminati, etc. Non va nascosto che altri linguisti hanno proposto classificazioni molto dissimili da quella di Greenberg-Ruhlen e decisamente più insane. Ci sarebbe da scrivere un volume sull'argomento.

Terrence Kaufman si spinge anche oltre le tesi sopra esposte, arrivando a postulare una protolingua denominata con un'atroce parola macedonia: Quechumaran. Per ottenere questo orrore, è stato fatto un collage di Quechua con Aymará, nonostante si tratti di nomi non analizzabili. Quindi è stato aggiunto il tipico suffisso -an che rende tanto monotoni i nomi delle famiglie amerindiane nei trattati in inglese. Un linguista dovrebbe astenersi da aberrazioni come queste: chi ama le lingue non le deturpa. Questa famiglia Quechumaran ha la pretesa di includere il Quechua e l'Aymará, ritenute lingue strettamente imparentate e derivazioni di una protolingua comune. A spingere Kaufman a formulare una simile assurdità sono considerazioni di natura tipologica. I sistemi fonologici del Quechua e dell'Aymará si somigliano in modo notevole, ci sono moltissime parole in comune, i rispettivi sistemi grammaticali funzionano in modo simile.

Passiamo a un'analisi della questione. Per informazioni sull'ortografia usata per trascrivere le parole Quechua e Aymará, si rimanda al Web:



Questo è un breve elenco di parole comuni alle due lingue in analisi, che in diversi casi hanno importanza culturale e antropologica:

anaku "indumento femminile"
awqa "nemico, ribelle"
challwa "pesce"
chamqa- "macinare"

inti "sole"
kimsa "tre"
macha- "essere ubriaco" 
marka
"città, villaggio"
muna- "desiderare"
nina "fuoco"
pacha "mondo; tempo"
pampa "pianura"
puma "leone di montagna"
punku "porta"
wanu "sterco"
warmi "donna" 
waqra (waxra) "corno"
waranqa "mille"

Alcune protoforme ricostruite presentano differenze minime: 

Proto-Quechua: *champa "zolla"
Proto-Aymar
á: *ch'ampa "zolla"


Proto-Quechua: *charki "carne essiccata"
Proto-Aymar
á: *ch'arki "carne essiccata" 


Proto-Quechua: *pukru "buco, cavità"
Proto-Aymar
á: *p'ukru "buco, cavità" 

Proto-Quechua: *puru "zucca, vaso ottenuto da una
    zucca"  
Proto-Aymar
á: *phuru "brocca"  

Proto-Quechua: *qapi- "spremere"  
Proto-Aymar
á: *q'api- "spremere"  

Proto-Quechua: *tanta "pane" 
Proto-Aymar
á: *t'anta "pane"

In alcuni casi la forma proto-Quechua e la forma proto-Aymará ricostruite sono identiche, ma sussistono differenze negli esiti storici: 

Proto-Quechua: *taruka "cervo"
   Quechua: taruka "cervo"
Proto-Aymar
á: *taruka "cervo"
   Aymar
á: taruja "cervo" 

Non è chiaro come interpretare questi dati. Così proto-Quechua *tanta "pane" è distinto da proto-Aymará *t'anta - nonostante entrambe le lingue storiche abbiano nel loro inventario fonemico sia l'occlusiva semplice /t/ che l'occlusiva glottalizzata /t'/. A volte forme identiche in Quechua e in Aymará risalgono a protoforme diverse: il proto-Quechua ha *pacha "mondo; tempo", che equivale a *patra in proto-Aymará - nonostante entrambe le protolingue abbiano nel loro inventario fonemico sia /tʃ/ che /tr/ (che suona come tr in siciliano). In altri casi ancora si presentano in alcune varietà di Quechua divergenze difficili a spiegarsi. Ad esempio nel Quechua del Qollasuyu accanto a chamqay "macinare" esistono ch'amqay e chhanqay. Un bel problema! 

Questo è un breve elenco di parole divergenti:

Quechua: allqu "cane"
Aymar
áanu "cane" 

Quechua: killa "luna; mese"
Aymar
á: paxsi "luna"

Quechua: maki "mano; avambraccio"
Aymar
á: ampara "mano" 

Quechua: q'uyllur "stella"
Aymar
á: wara wara "stella"

Quechua: raka "vagina"
Aymar
áchinqi "vagina" 

Quechua: rinri "orecchio"
Aymar
á: hinchu "orecchio" 

Quechua: rumi "pietra"
Aymar
á: qala "pietra" 

Quechua: runtu "uovo"
Aymar
á: k'awna "uovo"  

Quechua: sinqa "naso"
Aymar
ánasa "naso"*

*La parola non è di origine europea, a dispetto dell'omofonia.

Quechua: wañu- "morire"
Aymar
á: jiwa- "morire"

Quechua: yawar "sangue"
Aymar
áwila "sangue"

In alcuni casi abbiamo in Aymará due sinonimi per esprimere un concetto, di cui uno è comune al Quechua e l'altro no:

Quechua: tuta "notte"
Aymar
á: aruma "notte", tuta "notte"

Quechua: wanu "sterco"
Aymar
á: jama "sterco", wanu "sterco"

Con buona pace di Kaufman e di Greenberg, Quechua e Aymará sono due lingue geneticamente molto lontane, nonostante condividano circa la metà del lessico e alcuni elementi morfologici. Le somiglianze lessicali sono senza dubbio dovute ad antichi prestiti. Non è al momento facile stabilire quale sia il grado di parentela del materiale nativo e quale sia stata la direzione di ciascun prestito. La possibilità più generale è questa:

1) parte delle radici provengono dal Quechua e sono state prese a prestito dall'Aymará;
2) parte delle radici provengono dall'Aymará e sono state prese a prestito dal Quechua;
3) parte delle radici provengono da una lingua ignota poi scomparsa (o da più di una) e sono state prese a prestito dal Quechua e dall'Aymará.

Questo è un breve campione di falsi parenti in Quechua (Runa Simi) e in Aymará (Aymar Aru, Jaqi Aru): 

Quechua: llama-llama "gregge di lama"
Aymará: llama-llama "risata"

Quechua: para "pioggia"
Aymará: para "fronte"

Quechua: qaqa "roccia"
Aymará: qaqa "capelli bianchi"

Quechua: qarwa "larva di coleottero"
Aymará: qarwa "lama" (camelide)*

*Anche qawra; passato in alcuni dialetti Quechua come prestito

Quechua: uma "testa"
Aymará: uma "acqua"

Questo è un breve campione di parenti lontani in Quechua (Runa Simi) e in Aymará (Aymar Aru, Jaqi Aru):

Quechua: ñuqa "io"
Aymará: naya "io"

Quechua: qam "tu"
Aymará: juma "tu"

Quechua: pay "egli, ella"
Aymar
á: jupa "egli, ella"

Quechua: haya- "essere piccante"
Aymar
á: jaru "piccante"

Quechua: -kuna "suffisso plurale/collettivo"
Aymar
á: -naka "suffisso plurale/collettivo"

Quechua: mayu "fiume"
Aymará: uma "acqua" 

Quechua: musuq "nuovo"
Aymar
á: machaqa "nuovo"

Quechua: ñawi "occhio" 
Aymará: nayra "occhio"

Quechua: puka "rosso"
Aymar
á: chupika, chukipa "rosso"  

Quechua: wira "grasso" (n.) 
Aymarà: wila "sangue"* 

*Lo slittamento da "grasso interno" a "sangue" è documentato in diverse famiglie linguistiche.

Queste forme non permettono tuttavia di stabilire una speciale somiglianza tra le due lingue in questione. Per approfondimenti, consiglio la lettura di un interessantissimo lavoro di Nicholas Q. Emlen (Brown University, Providence, Rhode Island), consultabile e scaricabile seguendo questo link: 

sabato 2 giugno 2018

PERCHÉ IL NOSTRATICO NON FUNZIONA?

Il nostratico è un'ipotetica macrofamiglia (o superfamiglia) linguistica, che include molte famiglie di lingue endemiche dell'Eurasia. Il suo nome è stato costruito a partire dall'aggettivo latino nostras "della nostra terra" (confronta anche nostrates "i nostri compatrioti" e nostratim "secondo i nostri costumi", "a modo nostro"). Per i non addetti ai lavori, spiegherò in modo semplice il concetto, rimandando al Web per approfondimenti. A partire dalle lingue indoeuropee attestate, i linguisti sono stati capaci di ricostruire il loro ipotetico antenato. Il problema a questo punto era stabilire l'origine di questa protolingua indoeuropea e quali sarebbero i suoi rapporti con altre protolingue, ad esempio con quella ricostruita a partire dalle lingue uraliche. Così a qualcuno è venuto in mente di ricostruire un antenato comune per un certo numero di famiglie linguistiche. Ancora oggi, molti si oppongono a questo concetto per motivi politici e ideologici. C'è addirittura chi è andato in marasma e ha esclamato: "Sarebbe terribile se fosse vero!". Se non vado errato, questa perla si deve all'ineffabile Larry Trask. Non va nascosto che per molti antisemiti è inaccettabile pensare che la lingua delle antiche genti indoeuropee possa avere anche solo l'origine di una sillaba in comune con le lingue afroasiatiche, a cui appartiene la lingua ebraica. In questo ambiente si annoverano i più acerrimi nemici della linguistica nostratica: l'origine dell'indoeuropeo dalla Terra Cava e da Vril è ritenuta più accettabile.

L'idea di una parentela a lungo raggio tra l'indoeuropeo e altre famiglie linguistiche si ritrova già agli inizi del XX secolo negli studi del danese Holger Pedersen, che propose una macrofamiglia cui diede il nome di nostratico (danese nostratisk, tradotto in America come Nostratian, forma che non ebbe successo). Questo embrione di nostratico includeva l'indoeuropeo, l'uralico, l'altaico e l'afroasiatico. Così scriveva il Pedersen nel lontano 1903:

«Grønbech considera possibile (p. 69) che la parola turca per "oca" possa essere presa a prestito dall'Indo-Germanico (Osm. kaz, Yak. xās, Chuv. xur). A parer mio ci sono tre possibilità riguardo a questa parola: coincidenza, prestito e parentela. Si deve tenere in conto anche quest'ultima possibilità. Moltissimi ceppi linguistici in Asia sono senza dubbio imparentati con quello Indo-Germanico; questo forse vale per tutte quelle lingue che sono state caratterizzate come Uralo-Altaiche. Sarebbe come unire tutti i ceppi linguistici imparentati con l'Indo-Germanico sotto il nome di "lingue Nostratiche". Le lingue Nostratiche occupano non solo un'area molto vasta in Europa e in Asia, ma si estendono anche fino all'interno dell'Africa; perché le lingue Semito-Camitiche sono secondo me senza dubbio Nostratiche. Riguardo alla prova della parentela delle lingue Nostratiche, non solo si deve tenere lontano tutte le etimologie delle radici e in generale tutte le frivolezze etimologiche, ma in generale non ci si deve preoccupare di accumulare una massa di materiale. Ci si dovrebbe piuttosto limitare alla considerazione razionale di una serie di pronomi, negazioni, in parte anche numerali che possono essere tracciati attraverso molti ceppi linguistici (in Turco sono reminiscenti dell'Indo-Germanico la negazione -ma, -mä e la particella interrogativa iniziale di parola m, il pronome interrogativo kim, il pronome di prima persona män, la terminazione verbale della 1. sing. -m, 1. plur. -myz, -miz e l'uscita -jin della 1. sing. dell'"ottativo," che ricorda molto il congiuntivo dell'Indo-Germanico [con gli affissi ottativi -a-, -ä-], il pronome di 2. sing. sän [cfr. l'uscita verbale IdG. -s], la formazione causativa con -tur- [cfr. IdG. -tōr nomen agentis; il causativo Indo-Germanico sembra anche come se fosse derivato da un nome d'agente del tipo φορός], i nomina actionis come Orkh. käd-im "che veste," diversi numerali numerals: Orkh. jiti "7," jitm-iš "70," [con j = IdG. s come in Proto-Turco *jib- "avvicinare"; Osm. jyldyz "stella": la parola Indo-Germanica per "sole"; jat- "giacere": la parola IdG. per "sedere"]; Proto-Turco bǟš "5" [con š = IdG. -que; cfr. Osm. piš- "essere cotto," IdG. *pequeti "cuoce"] etc., etc.). Resisto alla tentazione di entrare nella questione più in dettaglio.» 

Per motivi ideologici e politici, questa idea di Pedersen fu attaccata vigorosamente e cadde presto nell'oblio. Riemerse soltanto nei primi anni '60 in Unione Sovietica, quando il semitologo Aharon Dolgopolskij e lo slavista Vladimir Illič-Svityč la ripresero indipendentemente (si conobbero soltanto nel 1964). Il loro lavoro fu senz'altro titanico: raccolsero tutto ciò che era stato pubblicato in Europa occidentale sui tentativi di ricostruire una macrofamiglia che rendesse conto delle origini dell'indoeuropeo, a partire dai lavori di Alfredo Trombetti sulla monogenesi delle lingue umane. Non fu di certo facile dare forma sistematica a tante ricostruzioni di diversi autori. Tra le ipotesi considerate si possono citare la macrofamiglia indo-uralica di Björn Collinder e Holger Pedersen, la macrofamigia uralo-altaica di Martti Räsänen, la macrofamiglia indo-semitica di Holger Pedersen, Piero Meriggi e Luigi Heilmann. Dolgopolsky e Illyč-Svityč, lavorando separatamente, conclusero che esistevano indizi fondati per la ricostruizione di una macrofamiglia, a cui fu dato il nome di nostratico già usato da Pedersen. Le lingue incluse nel nostratico dai due autori sono le seguenti: 

1) Lingue indoeuropee
2) Lingue uraliche
3) Lingue altaiche
4) Lingue kartveliche (caucasiche meridionali)
5) Lingue camito-semitiche (oggi denominate afro-asiatiche)

In seguito Illyč-Svityč fece un'aggiunta:

6) Lingue dravidiche 

A quanto mi pare di intendere, gli studi dei due sovietici si svolsero in condizioni catacombali di completa assenza di comunicazioni col mondo esterno, forse per terrore che qualche commissario politico potesse giudicarli contrari all'ortodossia. Fatto sta che il linguista Vladimir Dybo riuscì comunque a venirne a conoscenza. Osservò il lavoro dei nostratisti e per qualche anno evitò di interferire, sembra per "conservare la purezza dell'esperimento". Poi, nel 1964, fece sì che Dolgopolsky e Illyč-Svityč finalmente si incontrassero. Ebbe così inizio una collaborazione che durò fino al 1967 - anno della morte di Illyč-Svityč. Da allora sono successe molte cose. Dolgopolsky è migrato in Israele e nuovi accademici si sono aggiunti al progetto, che ha preso il nome di Nostratic Workshop. Da allora le conoscenze sono progredite notevolmente.

Riporto il link a una pagina dell'Università di Cambridge che permette di consultare e scaricare il Nostratic Dictionary di Aharon Dolgopolsky (Terza edizione) : 


Mi rendo ben conto che non è affatto curato nella forma. Si presenta come magma vulcanico non fruibile, senza cura alcuna per le necessità del lettore. Un groviglio di sigle, simboli non convenzionali, tutto fuorché agevoli. Migliaia di vocaboli sono buttati assieme in giganteschi crogioli, senza alcuna esposizione sistematica.

The Tower of Babel (An International Etymological Database Project) è un progetto altamente meritorio che si prefigge di ricercare parentele a lungo raggio tra le famiglie linguistiche del mondo intero. Il suo fondatore è stato Sergei Starostin, attivo nel Web fin dalla metà degli anni '90. Tra i suoi collaboratori possiamo citare suo figlio George e quello stesso Vladimir Dybo che tanta parte ha avuto nel progresso degli studi nostratici. Il lavoro di questi studiosi ha dato vita a un database liberamente accessibile che contiene le protoforme ricostruite di numerose famiglie linguistiche, con migliaia di radici e di etimologie (per quanto ve ne siano di discutibili). Lo studioso è defunto nel 2005, ma la Scuola di Mosca continua la sua opera. Questi sono gli atenei che partecipano all'impresa:

The Russian State University of the Humanities (Center of Comparative Linguistics)
The Moscow Jewish University
The Russian Academy of Sciences (Dept. of History and Philology)
The Santa Fe Institute (New Mexico, USA)
The City University of Hong Kong
The Leiden University

Questo è il link dell'homepage del progetto: 


Queste sono le lingue incluse nella macrofamiglia nostratica da Sergei Starostin e dai suoi collaboratori: 

1) Lingue indoeuropee
2) Lingue uraliche
3) Lingue altaiche
4) Lingue kartveliche (caucasiche meridionali)
5) Lingue dravidiche
6) Lingue eschimo-aleutine
7) Lingue paleoartiche (
Čukotko-Kamčatke) 

Questo è il link al database delle lingue nostratiche:


Questo è il link alla pagina che comprende tutti i database (anche relativi a macrofamiglie non nostratiche): 


La macrofamiglia nostratica è chiamata anche eurasiatica da questi autori. Le lingue afroasiatiche sono considerate una macrofamiglia sorella del nostratico, anziché un suo ramo derivato. L'ipotetica protolingua da cui sarebbero derivate le lingue nostratiche (o eurasiatiche) e le lingue afroasiatiche è denominata boreano. La sua ricostruzione è considerata approssimativa.

L'ipotesi nostratica ha sostenitori anche al di fuori della Russia. Il linguista americano Allan R. Bomhard, nato a New York nel 1943, è senza dubbio uno dei massimi nostratisti oggi viventi. Le sue opere sono consultabili e scaricabili liberamente nel suo account su Academia.edu. Tra queste c'è il suo fondamentale e imprescindibile A Comprehensive Introduction to Comparative Nostratic Linguistics, disponibile sia in quattro volumi separati che in un file unico. L'aggiornamento è costante: l'autore carica spesso nuove versioni. La terza edizione è apparsa nel 2018.


Rispetto a Starostin, Allan Bomhard utilizza una diversa nomenclatura. Chiama lingue eurasiatiche quelle che gli autori russi chiamano nostratiche, mentre chiama nostratico l'antenato comune delle lingue eurasiatiche e di quelle afroasiatiche. Inotre include nel novero delle lingue nostratiche anche la lingua sumerica e la lingua etrusca: una scelta a dir poco controversa che avremo modo di discutere diffusamente in un'altra occasione. Sergei Starostin, per contro, non considera il sumerico e l'etrusco, preferendo collegare quest'ultimo con le lingue nord-caucasiche, ipotesi che reputo condivisibile. Va però detto che gli autori della Scuola di Mosca hanno conoscenze abbastanza scarne sulla lingua etrusca.

Critiche

Come mai ci sono tante divergenze nella collocazione di diverse famiglie all'interno del nostratico? Molto semplice: è ignota la distanza tra i vari rami della macrofamiglia postulata, proprio come sono ignoti i processi di glottogenesi.

Non sono state ricostruite singole protolingue, ad esempio il proto-indouralico a partire dal proto-indoeuropeo e dal proto-uralico, allo scopo di risalire poi da queste fino a una protolingua comune. Nonostante Dolgopolsky e Illič-Svityč si siano avvalsi di lavori in cui si postulavano protolingue come l'indo-uralico e l'indo-semitico, si hanno forti dubbi sul fatto che queste opere includessero ricostruzioni sistematiche. Si veda l'estratto dell'opera di Pedersen da me riportato in questa sede per comprendere il tenore di questi tentativi, per il vero piuttosto rudimentali. L'ideologia comune a tutti i nostratisti sembra essere questa: ritenere tutti i rami della macrofamiglia nostratica (o eurasiatica) come se fossero equidistanti e prodotti da una semplice scissione di una protolingua, così come le lingue romanze si sono formate a partire dal latino volgare. Inutile dire che le cose sono ben più complesse. 

Si ha l'impressione che la metodologia usata dai nostratisti sia sempre top-down anziché bottom-up. Quando la ricostruzione di una protolingua è top-down, l'artefice postula che varie lingue abbiano un'origine comune, tenta di costruire le protoforme a partire dal proprio intuito prendendo un certo numero di radici assonanti e di affissi delle lingue attestate, quindi cerca delle corrispondenze fonetiche regolari. Quando la ricostruzione di una protolingua è bottom-up, l'artefice parte dalle lingue attestate e da queste risale a singole protoforme. Se riesce a trovarne in gran numero, se le corrispondenze fonetiche sono regolari e se l'eliminazione dei prestiti non presenta gravi difficoltà, è riuscito nel suo intento di trovare l'origine comune delle lingue studiate.

La metodologia bottom-up dovrebbe sempre essere usata in qualsiasi ricostruizione di una protolingua. Ogni tentativo di ricostruzione top-down è viziato dall'ideologia e votato al fallimento. 

Si noterà che anche la distanza tra le lingue nostratiche più vicine è eccessiva. Per questo motivo, tale è l'abisso che separa le singole lingue derivate, che il nostratico ricostruito non ha molto senso: è come se fosse "appiattito".

C'è però qualcosa di ancora più importante. Le ricostruzioni disponibili della protolingua nostratica non possono essere utilizzate per riconoscere la natura di lingue di dubbia affiliazione e per comprendere i dettagli del loro sviluppo. 

Prendiamo il caso dell'etrusco. Se fosse una lingua indoeuropea, come molti ancora si ostinano a pretendere, l'avremmo già pienamente compresa da molto tempo. Avremmo afferrato da un pezzo le corrispondenze fonologiche e potremmo comprendere vocaboli problematici senza far ricorso al metodo combinatorio. Potremmo persino prevedere un certo numero di parole del lessico di base a partire dalle protoforme indoeuropee e dalle leggi fonetiche dedotte: ci azzarderemmo a ricostruire il nome della ruota, del giogo, del maiale, del bue, etc. Questo non avviene affatto. Quando comprendiamo un vocabolo finora oscuro, ad esempio dal contesto combinatorio o da evidenze esterne, ci salta subito all'occhio che non saremmo mai riusciti a indovinarlo, a prevederlo. Quando, con ottimi argomenti, Giulio Facchetti giunge alla conclusione che marza (attestato sulla Tegola di Capua) significa "piccolo maiale" (secondo me semplicemente "maiale"), il risultato spiazza ogni indoeuropeista. C'è ancora un problema di non poco conto. Anche il nostratico di Bomhard ci serve a poco. Il suo potere di illuminare il lessico etrusco è ben scarso! 

Nei lavori dei nostratisti non è analizzato per origine il lessico delle singole protolingue comparate, non sono eliminati i prestiti, non è considerato minimamente il sostrato. Per Dolgopolsky come per Starostin e per Bomhard, è indoeuropeo tutto ciò che è attestato anche come hapax in ogni singola lingua indoeuropea. Tutti prendono queste forme e le proiettano nel passato all'infinito, senza tener conto della loro possibile origine da lingue parlate prima dell'imporsi delle lingue indoeuropee. 

Per fare un esempio, ho visto il proto-uralico *śilmV- "occhio" confrontato con il greco στιλπνός (stilpnós) "splendente", che in realtà è un vocabolo pre-greco. Così l'isoglossa, se anche fosse valida, sarebbe tra proto-uralico e pre-greco (non IE), non tra proto-uralico e proto-indoeuropeo! Questo fatto complica non poco le cose. C'è troppa distanza persino tra il proto-indoeuropeo e il suo supposto parente più prossimo, il proto-uralico. Non è chiaro se le isoglosse siano prestiti o se siano termini ereditati da una protolingua.

Ci sono conflitti anche dove non dovrebbero essercene da tempo. Lo stesso indohittita, antenato delle lingue indoeuropee proprie e delle lingue anatoliche, non è stato ricostruito bene, o in ogni caso materiale non è facilmente reperibile. Non solo. Si rimarcano alcune divergenze significative tra diversi rami dell'indoeuropeo, che rendono difficile la ricostruzione di una protoforma comune. Non si riesce a ricostruire una protoforma compatibile che possa spiegare tutti gli esiti. Prendiamo le seguenti coppie di protoforme, la prima tipica delle lingue IE occidentali, la seconda delle lingue indiane (sanscrito, pracriti e derivati):

*eg'o:(m) / *eg'hom "io" (pron. I pers. sing.) 
*dak'ru- / *ak'ru- "lacrima"
*k'erd- / *g'hṛd- "cuore"

A complicare le cose, le lingue iraniche (antico persiano, avestico e derivati) hanno forme che potrebbero anche risalire a *eg'om "io" e a *g'ṛd- "cuore" (senza aspirazione), dal momento che le consonanti *g' e *g'h sono entrambe diventate *zCome rendere coerenti questi dati? Come si spiegano simili divergenze? Come comprendere quali erano i fonemi d'origine, se gli output storici sono tanto disomogenei?

Esiste una poesia famosa in nostratico ricostruito, composta da Vladimir Illič-Svityč:

K̥elHä wet̥ei ʕaK̥un kähla
k̥aλai palhA-k̥A na wetä
śa da ʔa-k̥A ʔeja ʔälä
ja-k̥o pele t̥uba wet̥e

La lingua è un guado nel fiume del tempo,
ci porta alla dimora dei nostri antenati;
ma non vi potrà mai giungere,
colui che ha paura delle acque profonde.

Vediamo che la parola per dire "acqua" è assai simile al proto-uralico *wete- (cfr. finlandese vesi "acqua", pl. vedet). Si capisce che la protoforma uralica ha avuto un ruolo importante nella ricostruzione, più di quella indoeuropea, che presenta suffissi ed è più complessa. Eppure secondo me ci sono indizi sul fatto che la forma proto-uralica sia un antico prestito. Il proto-uralico potrebbe benissimo essere un complesso creolo! 

Per concludere, non sono scettico sull'ipotesi nostratica. Ritengo tuttavia che le sue attuali formulazioni siano inadeguate e che si rendano necessari studi ben più approfonditi. Le lingue non sono blocchi monolitici da incastrare come mattoncini del Lego.