sabato 20 ottobre 2018

UN RACCONTO GROTTESCO DI EDGAR ALLAN POE E LA GRANDE BEFFA DELLA LUNA


Un racconto grottesco e protofantascientifico di Edgar Allan Poe, poco noto ai lettori italiani, è senza dubbio L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (The Unparalleled Adventure of One Hans Pfaall), pubblicato per la prima volta nel 1835. La città di Rotterdam venne sorvolata da un grande pallone aerostatico, che destò lo stupore generale. Nella Piazza della Borsa si radunò una densa folla per osservare il prodigio. A un certo punto, emerse dall'aeronave un bizzarro omino che lanciò una missiva alla gente sotto di lui. Il manoscritto narrava le gesta di Hans Pfaall, un riparatore di soffietti, oberato dai debiti e scomparso cinque anni prima senza lasciare tracce. La cittadinanza apprese così che l'uomo, ormai dato per morto, aveva preso a prestito somme consistenti, da lui utilizzate per fabbricarsi l'aeronave. Quindi, con un'astuzia degna di Olaf Tryggvason, radunò tutti i suoi creditori e li fece saltare in aria per mezzo di polvere da sparo e di una miccia, uccidendoli sul colpo. L'unica via che gli rimaneva per evitare la punizione del Leviatano legale era la fuga. Abbandonò la terraferma a bordo della navicella attaccata al suo pallone, ascendendo fino a quote inimmaginabili, raggiungendo la Luna in diciannove giorni di viaggio. La sua permanenza sul satellite durò cinque anni. In quell'ambiente inesplorato scoprì i Seleniti, che erano una specie razionale come gli esseri umani. Alla fine del manoscritto, le genti di Rotterdam lessero che l'omino stranissimo da loro avvistato sulla navicella era proprio un abitante della luna. Le condizioni che Hans Pfaall dettava per il proprio ritorno erano semplici: prima di atterrare avrebbe dovuto ottenere la grazia per l'uccisione dei creditori. Tuttavia nel frattempo l'omino lunare era scomparso nella navicella e nessuno era capace di comunicare con lui. Il pallone aerostatico risalì nell'atmosfera, tornando verso il satellite. L'accaduto destò molto clamore, ma cominciava già a circolare tra i presenti l'idea che tutto l'accaduto fosse soltanto il frutto di una colossale burla.


La Grande Beffa della Luna

Sentii parlare della Grande Beffa della Luna (Great Moon Hoax) per la prima volta molti anni fa, quando lessi il saggio di Isaac Asimov Civiltà extraterrestri (Extraterrestrial Civilizations, 1979). Rimasi stupito dalla narrazione dell'accaduto. Il figlio del patriarca ashkenazita Judah sosteneva una tesi che mi parve assai singolare e in contrasto con la mia pur limitata esperienza: il genere umano avrebbe avuto uno straordinario desiderio di credere all'esistenza di intelligenze aliene. Mi domandai come questo fosse possibile, dato che le persone che mi circondavano non credevano all'esistenza degli extraterrestri e tendevano a ritenere pazzo chi prestava fede a ogni fantasia sull'argomento. Non avevo ben compreso le affermazioni asimoviane. Le intelligenze in cui l'umanità ha sempre prestato fede non devono per necessità essere antropoidi generati su altri pianeti: può benissimo trattarsi di angeli e di demoni. Ogni comunità umana giudica pazzia le credenze delle altre comunità, ma afferma come sacrosante le proprie. Proseguendo nella lettura, la descrizione della Grande Beffa della Luna mi ha lasciato il segno. Riporto in breve i fatti. Il 25 agosto dell'Anno del Signore 1935, accadde qualcosa che avrebbe dovuto segnare un punto di rottura col passato. Il quotidiano di New York The Sun riportò una notizia sensazionale: nel suo osservatorio al Capo di Buona Speranza, il celebre astronomo inglese John Herschel aveva puntato il suo telescopio sulla luna, riuscendo a osservarne la superficie con una precisione fino ad allora inconcepibile. In una serie di sei articoli firmati dall'assistente fantomatico di Herschel, Andrew Grant, veniva descritto con sconcertanti dettagli un mondo lussureggiante e abitato da una specie intelligente affine all'Uomo. Valli fertili, sconfinate foreste di abeti in cui correvano enormi bisonti e unicorni azzurri, mari interni di acqua blu, grandi fiumi pieni di pesci, di creature anfibie e di uccelli acquatici. Asimov rimase molto colpito dalla descrizione dei bisonti lunari, da lui definita "un pezzo di bravura" per via dell'ingegnosa trovata di un'aletta carnosa e mobile sulla fronte dei grossi mammiferi, che permetteva loro di ripararsi gli occhi dagli sbalzi di luce. I Seleniti avevano l'aspetto di esseri umani dal pelo rossiccio, dotati di ali simili a quelle dei pipistrelli. Si riunivano e gesticolavano, dimostrando di possedere un linguaggio articolato. Costruivano piramidi di quarzo lilla e si radunavano in un grande tempio d'oro, dove adoravano chissà quali divinità. La specie appena scoperta fu addirittura battezzata con un nome scientifico: Vespertilio homo. Esisteva anche un'altra specie senziente, una tribù primitiva di castori bipedi che vivevano in capanne e conoscevano l'uso del fuoco. La narrazione si concluse con un brillante escamotage: il telescopio di Herschel era andato a fuoco per via di un malfunzionamento che lo aveva trasformato in uno specchio ustorio. Gli articoli di Grant conobbero un successo strepitoso, tanto che furono tradotti in molte lingue. Nel 1836 a Napoli fu pubblicato un opuscolo intitolato Delle scoperte fatte nella luna del dottor Giovanni Herschel, che conteneva estratti di questo materiale. Il mondo fremeva e persino nel mondo scientifico molti davano credito alle fantasie seleniche. Già gli ecclesiastici bramavano di raggiungere la luna per evangelizzare gli uomini-pipistrello! Se il loro tempio d'oro fosse stato dedicato a un Dio invisibile e astratto, lo avrebbero identificato col Dio cristiano, limitandosi a imporre la croce e i sacramenti. Se invece vi fossero stati adorati degli idoli, li avrebbero abbattuti, combattendo per debellare il paganesimo. Gli speculatori bramavano di raggiungere la luna per sfruttarne le immense ricchezze. Questi sogni di gloria furono ben presto interrotti quando accadde l'inevitabile: Sir John Herschel, di ritorno da un viaggio in Sudafrica, venne a sapere delle mirabolanti favole che gli venivano attribuite dai quotidiani! All'inizio trovò la cosa divertente e commentò che le sue vere osservazioni non potevano certo essere così eccitanti come gli articoli dell'inesistente Andrew Grant. Non tardò tuttavia ad accorgersi che la gente credeva davvero alla burla, cosa che lo mise in grande imbarazzo. Rimando al sito Hoaxes.org per approfondimenti: 



Poe e l'Imbroglio Lunare 

L'autore del Great Moon Hoax risultò essere proprio un reporter del quotidiano The Sun, Richard Adams Locke (1800-1871), diretto discendente del filosofo John Locke (1632-1704), che era stato il padre del liberalismo classico e dell'empirismo moderno. Il giornale newyorkese, anche noto come New York Sun, era stato fondato da Moses Yale Beach nel 1833 e fu uno dei primi a cercare di incrementare le vendite facendo pagare un penny per copia. Era un azzardo: se non si riusciva ad attirare l'attenzione dei lettori, si rischiava di finire in una spirale il cui unico esito era il fallimento. Altri avevano tentato l'ardito esperimento, fallendo miseramente. Occorreva per forza di cose mettere le mani su una trovata sensazionale, in grado di far crescere in modo esponenziale le vendite. Ecco quindi che entra in scena Edgar Allan Poe, che col suo racconto sul viaggio lunare di Hans Pfaall fornì a Locke l'ispirazione cercata! Lo scrittore di Boston, non appena venne a sapere delle descrizioni della flora e dalla fauna selenica firmate da Andrew Grant, comprese subito l'origine della truffa e reagì accusando Locke si essere un plagiario. Il primo articolo truffaldino comparve in agosto, ma soltanto tre settimane prima il racconto di Poe avente per protagonista Hans Pfaall era stato pubblicato su un nuovo giornale, The Southern Literary Messenger, dove si assicurava ai lettori che quello era il resoconto di una storia realmente accaduta. Poe non poteva sopportate tutto questo. Quello che gli faceva digrignare i denti dallo sdegno era che un fatto molto semplice: in pratica la sua opera era passata inosservata, ma l'idea gli era stata rubata da Locke, che con grande abilità l'aveva portata al successo. A quanto pare gli sfuggiva un particolare non irrilevante: The Southern Literary Messenger era una pubblicazione con pochi lettori, oggi diremmo "di nicchia", mentre The Sun di lettori ne aveva moltissimi, anche complice il suo basso prezzo e l'efficiente rete di strilloni. Così le peripezie di Hans Pfaall non destarono alcuna attenzione, mentre le meraviglie lunari dello pseudo-Herschel raggiunsero in una sola settimana 100.000 persone nella sola New York, che all'epoca aveva 300.000 abitanti.  Nel suo scritto polemico del 1846 I literati di New York City (The Literati of New York City), Poe dà prova di grande acume e lucidità, purtroppo ex post facto. Le considerazioni sull'opera di Locke sono riportate in questa pagina del sito Eapoe.org:   


Questo è un estratto significativo, da me tradotto:

«Capiti correttamente i singolari svarioni cui ho fatto riferimento, avremo il miglior motivo di meravigliarsi del prodigioso successo della beffa. Non una persona su dieci la screditò, e (punto più strano di tutti!) i dubbiosi erano soprattutto quelli che dubitavano senza essere in grado di dire perché - gli ignoranti, quelli non informati in astronomia, persone che non avrebbero creduto perché la cosa era così nuova, così completamente "fuori dal solito modo". Un austero professore di matematica in un college virginiano mi ha detto seriamente che non aveva dubbi sulla verità dell'intera faccenda! Il grande effetto operato sull'opinione pubblica è riconducibile, in primo luogo, alla novità dell'idea; in secondo luogo, al carattere eccitante e razionale delle presunte scoperte; in terzo luogo, al perfetto tatto con cui l'inganno è stato condotto; in quarto luogo, alla raffinata eleganza della narrazione. La mistificazione è stata diffusa in misura immensa, è stata tradotta in varie lingue - è stata persino oggetto di discussioni (quizziche) nelle società astronomiche; ha attirato su di sé la grave denuncia di Dick, ed è stata, nel complesso, decisamente il più grande successo nella sensazione - di una semplice sensazione popolare - mai fatto da una finzione simile né in America né in Europa.» 


Intenti denigratori 

A quanto pare, la motivazione che spinse Locke a sfruttare l'idea di Poe non fu soltanto economica: era anche animato dal desiderio di mettere in satira le dottrine del Reverendo Thomas Dick (1774-1857), conosciuto come "il filosofo cristiano", convinto sostenitore della pluralità dei mondi abitati e della loro estrema abbondanza nel Cosmo. Costui in un suo stravagante contributo si era addirittura spinto a stimare il numero di abitanti del sistema solare, che a sua detta avrebbero superato i 21 trilioni. Poe lo cita ne I literati di New York City, accennando al fatto che la sua reazione alla Grande Beffa della Luna è stata a dir poco scomposta. Forse l'ecclesiastico era ben consapevole del fatto che le proprie elucubrazioni erano indifendibili e buffe, così non ha retto alla loro diffusione. Altro studioso preso di mira da Locke era il medico e astronomo bavarese Franz von Paula Gruithuisen (1774-1852), che aveva creduto di osservare tracce di civiltà sulla superficie lunare, attribuendo le variazioni di colorazione delle rocce alla presenza di vegetazione. Certo, a quei tempi il mondo accademico era ben vario e strano! C'è quasi da provarne nostalgia.   

Confusione on line

Girando per il Web, si ha l'impressione che il passato non sia mai un quadro perfettamente nitido, che molte informazioni siano perdute e che non ci sia totale accordo sulle fonti. C'è chi sostiene che Richard Adams Locke nel 1935 fosse il nuovo direttore del The Sun. Ecco un link a un articolo del blog indipendente L'Angolo di Jane, che contiene l'informazione errata:


A quanto ho infine potuto reperire, Locke era invece un reporter, come dimostrato dal sito Hoaxes.org; ho trovato la stessa informazione sulla pagina in italiano dedicata al Great Moon Hoax. Ho faticato non poco prima per trovare una biografia dettagliata del discendente di John Locke. Mentre scrivo questo articolo, noto che esiste una rudimentale pagina a lui dedicata sulla Wikipedia in italiano ma non su quella in inglese, cosa senz'altro curiosa e non facile a spiegarsi.   


Una singolare ucronia

A quanto pare Poe confondeva in qualche misura l'olandese con il tedesco, complice l'antico significato della parola dutch che indicava entrambe le lingue. Così riteneva che la seconda rotazione consonantica arrivasse fino in Olanda. Va detto che all'inizio egli pubblicò il racconto come Hans Phaall, A Tale: lo ribattezzò soltanto nel 1842 col titolo definitivo. Comparve quindi sette anni dopo la prima edizione il bizzarro cognome Pfaall con la sua consonante affricata iniziale, una cosa decisamente insolita per i Paesi Bassi. Questo è una caratteristica che risulta chiaramente incompatibile con la fonotassi dell'olandese, una varietà di francone le cui occlusive sorde sono rimaste indenni. Potremmo supporre che lo scrittore abbia disegnato una specie di linea temporale ucronica - o più probabilmente onirostorica - in cui la seconda rotazione è avvenuta persino a Rotterdam. Data però la stranezza delle leggi della fisica esposte nel racconto, direi che è più verosimile pensare che Poe abbia descritto scientemente una burla a tutti gli effetti. Inutile proseguire a cavillare. 

Considerazioni finali

Se devo essere franco, ho trovato molto pesante la lettura de L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall. Tra le opere di Poe che ho letto, questa è tra quelle che mi sono piaciute meno. Senz'altro mi ha dato più piacere analizzarla e scrivere questo contributo.  

mercoledì 17 ottobre 2018

I RACCONTI SATIRICI DI EDGAR ALLAN POE

Se si facesse un'intervista fermando gente per strada e si chiedesse a ciascuno di nominare le opere di Edgar Allan Poe (1809-1849) di cui ricorda almeno il titolo, è assai pobabile che quasi tutti menzionerebbero alcuni famosissimi racconti dell'incubo e del terrore, come ad esempio Una discesa nel Maelström, La maschera della morte rossa, Il pozzo e il pendolo, La sepoltura prematura e Il gatto nero. La cosa non deve stupire: questi scritti hanno accompagnato molti di noi dall'adolescenza e hanno formato il nostro immaginario, trasmettendoci una straordinaria sensibilità all'orrore, insinuando nel più profondo del nostro essere un'inquietudine capace di togliere il sonno. Altri racconti invece sono meno noti, al punto che ben poche persone ne sanno anche soltanto menzionare il titolo. Se mi recassi in un'università e chiedessi agli studenti se conoscono racconti come Una storia delle Ragged Mountains, Mellonta Tauta oppure Rivelazione mesmerica, secondo voi che accadrebbe? A parer mio pochissimi saprebbero di cosa si sta parlando. Magari sanno tutto sui pompini e sulle spagnole, ma se dicessi che i capolavori menzionati sono stati composti da un esule klingoniano, potrebbero anche credermi! Purtroppo miete le sue vittime il pregiudizio comune che classifica Poe come autore esclusivo di horror, senza sapere che compose anche un certo numero di opere di vari generi: alcune potrebbero essere definite proto-fantascientifiche, altre sono invece grottesche e satiriche. Tutte sono pervase da una vena di umorismo geniale. Passiamo qui in rassegna alcune trovate alquanto divertenti contenute nei racconti satirici, che hanno un notevole valore anche se spesso non sono più pienamente godibili per i moderni, essendo il mondo molto cambiato dall'epoca in cui l'autore li ha composti.

Il genio della truffa

Il racconto La truffa considerata come scienza esatta (Diggling) ci mostra un Poe davvero inedito e originale, che descrive alcuni trucchi per ingannare il prossimo e ottenerne gratis piccoli vantaggi. All'epoca era possibile praticare piccoli baratti in molti luoghi pubblici, anche nei bar. Un uomo poteva ad esempio cedere una stecca di tabacco e averne in cambio un bicchiere di liquore. Siccome non esistevano scontrini e imperversava una gran confusione ai banconi dei saloon, era abbastanza facile farsi dare una stecca da un inserviente e rifilarla al mescitore di liquori all'altro capo del banco per averne un cicchetto. Oggi non funzionerebbe più: si acquista alla cassa pagando in moneta sonante e ricevendo lo scontrino, che poi si mostra al banco. Nessuno accetta baratti e sono in vigore regole molto severe sulla merce che può essere venduta: non è che un avventore può portare una bottiglia di whisky al barman e pensare che questi ne serva il contenuto. Anche se le cose sono cambiate, esistono ancora eredi della tradizione truffaldina descritta dall'ingegnoso scrittore di Boston. Ho visto coi miei occhi un muratore bergamasco entrare in mensa con una bottiglietta vuota di plastica verde, di quelle da mezzo litro tipiche dell'acqua minerale. Tra un porcus e l'altro la riempiva alla spina di vino bianco, quindi si riempiva anche un boccale da mezzo litro. Giunto alla cassa, pagava il boccale di vino. Il mezzo litro di vino bianco nella bottiglietta lo pagava come acqua!

Una fucina satirica 

Poe ironizza in modo feroce sul mondo del giornalismo e dell'editoria, in cui giocava un importante ruolo l'arte di scopiazzare da articoli già pubblicati in altre testate. Il racconto Vita letteraria di Thingum Bob (The Literary Life of Thingum Bob, Esq.) narra di una guerra senza esclusione di colpi tra diverse testate giornalistiche. Il testo, fittissimo, pullula di quotidiani dai nomi stravaganti e di suggestivi pseudonimi di personaggi implausibili. Eccone alcuni: 

Crab "Granchio"
Slyass
"Asino Scaltro"

Toad
"Rospo" 

Mole "Talpa"
Mumblethumb "Biascicapollice"
Fatquack "Grassocialtrone"
Daddy-Long-Legs "Papà Gambalunga"
Mademoiselle Cribalittle "Signorina Copiaunpoco"
Mrs. Fibalittle "Signora Menteunpoco"
Mrs. Squibalittle "Signora Beffaunpoco"
Snapping Turtle "Tartaruga che morde" 


Il racconto X-atura di un paragrafo aka Come icsare un paragrabo (sic) (X-ing a Paragrab) è ambientato nell'immaginaria città di Alessandromagnopoli (Alexander-The-Great-o-nopolis)
Indispettito dalle accuse di usare troppo la parola oh, il direttore del Tè bollente compone un testo in cui tutte le parole hanno soltanto la vocale o. Il garzone della tipografia sostituisce tutte le lettere o, che sono state trafugate dalla cassetta dei caratteri, con altrettante x, quindi il bizzarro testo viene pubblicato. La popolazione inferocita crede di avere a che fare con demoniache formule di magia nera, così insorge e cerca il direttore per linciarlo - constatandone la fuga.

Le prodezze linguistiche della Succhiatrice Snob

Riporto il link a un'interessante pagina in cui si parla diffusamente delle rime comiche utilizzate da Edgar Allan Poe:


I racconti Come scrivere un articolo alla Blackwood (How to Write a Blackwood Article) e Una situazione imbarazzante (A Predicament) sono una vera miniera da cui emergono pure gemme di genio. L'ineffabile Suky Snobbs, la Succhiatrice Snob, non è capace di ricordarsi le citazioni apprese dal Signor Blackwood e le deforma in un modo esilarante. Già abbiamo trattato il caso della frase di Demostene 'Ανὴρ ὁ φεὺγων καὶ πὰλιν μαχήσεται, per via delle implicazioni della sua imitazione sulla pronuncia della lingua greca in auge in America. La giornalista rigurgita quanto ha mal digerito, creano il personaggio enigmatico di Andrew O'Phlegethon, che in italiano suonerebbe Andrea de' Flegetontis:  

«Io gli lanciai dietro le veementi parole di Demostene: Andrew O'Phlegethon, you really make haste to fly,
e mi rivolsi dalla parte della mia prediletta, la mia irsuta e monocola Diana.»


Qualcuno dirà che la lingua greca antica è alquanto difficile e che non si può pretendere una sua pronta assimilazione. Il punto è che la fervida mente della Snobbs distorce qualsiasi lingua.  

Ecco una canción riportata Miguel de Cervantes Saavedra (1547-1616) nel Don Chisciotte (II, XXXVIII): 

Ven muerte tan escondida,
  Que no te sienta venir; 
  Porque el plazer del morir
No me torne à dar la vida.

Ecco come riduce questi sublimi versi la nostra cara Snobby Sucker:

Vanny Buren tan escondida
Query no te senty venny
Pork and pleasure delly morry
Nommy torny, darry widdy! 

A quanto pare i critici non hanno dato la dovuta importanza a quel pork and pleasure "carne di porco e piacere". Secondo alcuni, i demenziali versi della Snobbs scimmiotterebbero quelli della poesia To Sir John Lade, On His Coming of Age, di Samuel Johnson (1709-1784): Pride and pleasure, pomp and plenty "orgoglio e piacere, sfarzo e abbondanza". Nel sito Eapoe.org si cita il componimento con il titolo erroneo A Lady Coming of Age. A questo punto si potrebbe trovare un riferimento criptico alla giornalista fellatrice, interpretando in modo furbesco il vocabolo pomp "sfarzo, magnificenza" come derivato dall'italiano pompa, pompino "fellatio". La sezione etimologica di Google riporta che pompino è attestato per la prima volta nel 1917, ma è ben possibile che la voce fosse molto più antica nel gergo postribolare. Callari glossa pumpinara come "prostituta che pratica il coito orale" nel suo lavoro Prostituzione e prostitute in Sicilia (1903). Non ho la prova diretta che il vocabolo fosse già usato un secolo prima e che fosse conosciuto negli ambienti frequentati da Poe. Non posso citare documenti in sostegno della mia ipotesi: per ora la si prenda come una mera congettura. Se fosse valida, si avrebbe un'ottima spiegazione di come dal verso del Dr. Johnson e dal pompino sia stato fabbricato Pork and pleasure. Questo sarebbe dunque il processo: 

Pride and pleasure + pompa, pompino =>
Pork and pleasure

Questo in un tempo in cui la fellatio era illegale in tutti gli Stati americani e considerata "innaturale" persino se praticata all'interno del matrimonio.

Blackwood attribuisce ad Ariosto i seguenti versi:

Il pover'huomo che non se'n era accorto,
Andava combattendo, e era morto.

In realtà sono tratti, alterati, dall'Orlando Innamorato di Francesco Berni (1497-1535). Questi sono i versi corretti (LIII, 60): 

Così colui, del colpo non accorto,
Andava combattendo, ed era morto.

Suky Snobbs compie una metamorfosi: 

Il pover hommy the non sera corty
And have a combat tenty erry morty.

Anche l'alterazione del tedesco è esilarante:

«Duk she! Duk she! Essa apre bocca, parla, e parla, cielo! nel tedesco di Schiller:
Unt stubby duk, so stubby dun
Duk she! Duk she!» 


Questo è l'originale, attribuito da Blackwood a Friedrich Schiller (1759-1805):

Und sterb'ich doch, so sterb'ich denn
Durch sie - durch sie!


In realtà le parole sono di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), e per giunta riportate male. Questi sono i versi della poesia Das Veilchen (La Violetta): 

Es sank und starb, und freut' sich noch:
und sterb' ich denn, so sterb' ich doch
durch sie, durch sie,
zu ihren Füßen doch! 

"Lui cadde e morì, ma si rallegrò:
e se io muoio, tuttavia muoio,
per lei, per lei,
ai suoi piedi, almeno!"

Si noti che in varie edizioni delle opere di Poe si riscontrano distorsioni nei versi già alterati: dock per doch e no per so. Per lenire la misoginia evitando di offendere troppo le carampane e le Erinni, Poe ha usato l'ortografia duk she anziché il più immediato e logico duck she, o sarebbe subito apparsa come un'allusione alle tante anatre starnazzanti che affollavano i salotti! L'ortografia eufemistica è la stessa incontrata in Suky Snobbs, che doveva mascherare un meno anodino Sucky Snobs, ossia Snobby Sucker, il cui nome formato da to suck "succhiare" non poteva essere evocato in modo esplicito.

Pompeo! 

Secondo una certa letteratura non proprio favorevole alla cultura degli Stati del Sud, Pompeo (Pompey) incarna lo stereotipo dello schiavo nero dotato di immenso Priapo e utilizzato come sollazzo dalle signore dell'aristocrazia. Queste dame, annoiate dai mariti e schifate dal loro "cockcheese" troppo rancido, non avrebbero esitato a manipolare i membri giganteschi dei mandingo di loro proprietà. Chiaro è a mio avviso il riferimento che sta dietro al nome usato da Poe per descrivere il servo della Signora Psyche Zenobia. Anche se non ne viene fatta parola, non è poi così difficile immaginare che la giornalista si servisse del colossale Pompeo come di uno strumento di piacere: gli praticava il sesso orale. Così si rivolge a lui la fellatrice: "Pompey, my negro! - sweet Pompey!" È ben possibile che Poe conoscesse ben più di qualche rudimento di italiano: così come Suky Snobbs = Sucky Snobs = Snobby Sucker, allo stesso modo vediamo l'associazione Pompeo = Pompini. Si noti come il termine colloquiale per indicare la fellatio, di origine siciliana (vedi Callari, 1903), è incline a cambiamenti e traslati: pompino => pompelmo => chinotto (nome di agrume e di bevanda; per questa voce esistono anche altre proposte etimologiche). Potremmo essere di fronte alle prime attestazioni, seppur indirette, di queste forme gergali. Notevole il fatto che il termine snob nel senso di "person who vulgarly apes his social superiors" è documentato per la prima volta nel 1843, e il racconto è stato pubblicato per la prima volta soltanto un anno prima, nel 1842. Poe è perfettamente consapevole del significato attribuito alla parola, che appare già diffuso. Come spiega la stessa Signora Psyche Zenobia: "In quanto a Snobbs - basta guardarmi per rendersi subito conto che non mi chiamo Snobbs. La signorina Tabitha Turnip ha sparso la voce per pura e semplice invidia." Non sono un sostenitore della fallacia logica post hoc ergo propter hoc, ed è ben probabile che la coincidenza nelle attestazioni del vocabolo snob sia casuale. Tuttavia potrebbe anche non esserlo e si pone la possibilità che il primo ad usare snob in questa accezione sia stato proprio Edgar Allan Poe. Questo è il link alla voce snob del dizionario etimologico Etymonline.com:


Si noterà che uno pseudonimo Snob si trova anche nel racconto Vita letteraria di Thingum Bob, in cui il significato attuale della parola sembra già essere dato per scontato e conosciuto su larga scala:

«L'attuale composizione poetica su "La Lozione di Bob" ha suscitato l'interesse e la curiosità generale circa l'identità di colui che si cela dietro l'ovvio pseudonimo di "Snob" - curiosità che, fortunatamente, siamo in grado di soddisfare. Snob è il nom de plume del signor Thingum Bob, nostro concittadino - congiunto del grande signor Bob (da cui prende il nome) e imparentato con le più illustri famiglie dello Stato. Suo padre, Thomas Bob, Esq., è un prospero mercante di Smug.»  

E ancora: 

«Al numero che abbiamo sotto gli occhi hanno collaborato il signor CRAB (l'esimio direttore), SNOB, Mumblethumb, Fatquack, e altri; ma, dopo le inimitabili composizioni dello stesso direttore, quella che maggiormente ci piace è lo sfavillante parto letterario di un poeta nascente, il quale scrive con la firma "Snob", un nom de guerre che ci spinge a predire che egli offuscherà, in futuro, il fulgore di "Boz".»

Questo smentisce la tesi degli autori di Etymonline.com, che fanno risalire la vasta diffusione del vocabolo al 1848, anno in cui fu pubblicato il Book of Snobs di William Makepeace Thackeray (1811-1863). 

Un babbuino alcolizzato

All'epoca di Poe l'oppio si vendeva nelle farmacie ed era consentito a chiunque di abusarne, anche ai bambini e alle vergini. Se era ritenuto sconveniente per una vergine intossicarsi usando bevande alcoliche, le era permesso abusare del laudano, che teneva a freno la sua isteria. Il Signor Blackwood cerca di fare impressione sulla Snobby Suker, sperando di ricavarne qualche leccata intima. Così le spiega: 

«Poi abbiamo avuto le "confessioni di un mangiatore d'oppio" - bello, bellissimo! - magnifica immaginazione - profonda filosofia - acuta speculazione - pieno d'ira e di furia, riccamente condito con quanto c'è di decisamente incomprensibile. Un bel cumulo di fandonie che la gente ha mandato giù con entusiasmo. C'è chi sosteneva che fosse opera di Coleridge - ma non era così. Fu scritto dal mio babbuino addomesticato, Juniper, davanti a un bicchierone di gin tonic, "caldo, senza zucchero".» 

La Succhiatrice Snob sembra non bersela, e di certo il suo interlocutore non ottiene da lei ciò che desidera. Questo è l'inciso della maliarda a commento della grottesca sparata del babbuino scrittore: "[Questo non lo avrei mai creduto se a dirmelo non fosse stato il signor Blackwood, che me lo garantì.]"

Vediamo subito quanto fosse arguto Poe. Troviamo a colpo d'occhio un riferimento al Macbeth: "pieno d'ira e di furia" riecheggia la famosissima definizione della vita come una favola raccontata da un idiota, piena di suono e di furia (full of sound and fury), che non significa nulla. Gli interessi filologici dell'autore emergono nel nome del babbuino addomesticato Juniper, che è da iuniperus, la parola latina per indicare il ginepro - ritroviamo ancora la stessa radice nel gin tonic di cui l'estrosa scimmia volentieri abusa. Infine, il beverone del primate ingegnoso è descritto come l'oppio ingerito da Thomas Penson De Quincey (1785-1859) nella sua autobiografia Confessions of an English Opium-Eater (1821): "caldo e senza zucchero". Gli scritti del De Quincey - che può essere definito un precursore di William Seward Burroughs e l'antesignano della letteratura tossica - avevano senza dubbio destato un certo scalpore in America. Poe era un sensibile termometro sociale e un membro attivissimo della cultura della sua epoca: raccoglieva ogni suggestione e la usava per creare autentici gioielli letterari, splendidi ma poco adatti a chi non ama la fatica del pensiero. Il quoziente intellettivo medio e il grado di attenzione a quei tempi e in quel contesto dovevano essere nettamente superiori rispetto alla media dei nostri giorni. 

venerdì 12 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: ANDREW O'PHLEGETHON E LA PRONUNCIA ERASMIANA DI UNA FRASE DI DEMOSTENE

Nel suo racconto satirico e bizzarro Come scrivere un articolo alla Blackwood (How to write a Blackwood article), Edgar Allan Poe riporta la frase di Demostene 'Ανὴρ ὁ φεὺγων καὶ πὰλιν μαχήσεται "L'uomo che fugge combatterà un'altra volta" traslitterata come Aner o pheugon kai palin makesetai (sic). Si noti che la traslitterazione dell'ultima parola è errata, presentando una consonante occlusiva semplice -k- anziché la corretta aspirata -kh- (rappresentata dalla lettera chi). Va detto che sulle consonanti aspirate della lingua ellenica cadono in molti, ma in difesa dell'autore posso avanzare l'ipotesi che all'origine ci sia stato un semplice refuso tipografico, poi propagato da un'edizione all'altra. Notiamo che l'articolo è traslitterato male senza aspirazione: dovrebbe essere ho anziché o. Forse l'omissione dell'aspirazione negli articoli era una costumanza diffusa, ma va detto che in un'edizione online ho trovato addirittura un improbabile Anerh o pheugoen (sic) anziché il corretto Aner ho pheugon. Anche in questo caso dobbiamo sospettare un refuso. 

Il contesto della citazione è di per sé surreale. Il Signor Blackwood riceve la Signora Psyche Zenobia, detta anche Suky Snobbs - l'ineffabile Succhiatrice Snob - che ha scarsa o nulla dimestichezza con la lingua di Atene, e non solo con quella. Il motivo della visita è presto spiegato: la stravagante giornalista ha l'impellente necessità di apprendere qualche trucco scenico che possa servirle per scrivere articoli in grado di far aumentare la tiratura del giornale per cui lavora. Tra gli espedienti escogitati dal Signor Blackwood per far colpo sui lettori c'è proprio la frase di Demostene in lingua originale.

La struttura di Come scrivere un articolo alla Blackwood è molto singolare, dato che il testo contiene un secondo racconto intitolato La falce del tempo, aka Una situazione imbarazzante (The Scythe of Time, noto anche come A Predicament), dove Suky Snobbs trova l'occasione di riportare la frase apprenditiccia alterandola in modo sommamente grottesco. Ecco che dalla metamorfosi delle parole greche scaturisce un esilarante Andrew O'Phlegethon, you make haste to fly, ossia "Andrea De' Flegetontis, tu ti affretti a volare". Si noterà l'assonanza tra makhesetai e make haste to fly /meɪk heɪst tʊ flaɪ/. Ciò dimostra in modo incontrovertibile che il dittongo finale ai del verbo greco era realizzato da Poe come tale, /aɪ/, dal momento che rimava con il verbo inglese to fly. La consonante g in Andrew O'Phlegethon deve essere senz'altro un'occlusiva velare /g/, visto che Phlegethon è stato creato fraintendendo pheugon "fuggitivo": non può avere per nessuna ragione un suono palatale. Il segmento kai palin non è stato semplicemente omesso, deve aver contribuito ad alterare pheugon fino a trasformarlo in Phlegethon, causando l'inserimento di una liquida dopo l'aspirata ph. Si noterà che accanto alla pronuncia comune di Phlegethon con consonante g velare (dura), esiste anche una più rara variante con consonante postalveolare (molle) /dʒ/. La prima proviene dalla pronuncia restituta o erasmiana del greco, la seconda dalla pronuncia accademica inglese del latino, applicata anche a parole greche.

Cos'altro salta fuori da make haste to fly? Semplice: la consonante aspirata -kh- che a causa di un refuso era stata omessa nella trascrizione erronea makesetai, salta fuori in un modo del tutto inatteso nella sequenza make haste. Questo dimostra che nella pronuncia usata da Poe il suono soggiaciente a -kh- era realizzato come un'occlusiva aspirata e non come una fricativa. Così era ben rappresentato dallo scontro tra la /k/ finale di make e la /h/ iniziale di haste, non come la consonante finale di loch. Questo uso si opporrebbe in modo singolare alla pronuncia di ph, che era invece puramente fricativa. Come si vede, emerge una grande incoerenza. Purtroppo a questo punto non è più possibile ricostruire la genesi del probabile refuso che avrebbe portato a makesetai, dovuto senza dubbio al primo editore di Poe: è passato troppo tempo e riuscire a reperire uno scritto originale con una corretta trascrizione della consonante aspirata greca ci appare come un'impresa disperata, proprio come la classica ricerca dell'ago in un pagliaio.

mercoledì 10 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: LA PRONUNCIA DI LIGEIA

Quando un sistema ortografico mostra gravi discrepanze rispetto alla fonetica, è naturale che non sia affatto chiaro quale pronuncia attribuire a nomi di persone e di luoghi che non si conoscono. Questo è precisamente il caso della lingua inglese, la cui ortografia si è formata durante la fase del Middle English, in pieno Medioevo, non aggiornandosi alle drastiche evoluzioni subite dal parlato nel corso dei secoli. Quando si leggono libri scritti da autori anglosassoni questo problema si presenta spessissimo, anche quando si tratta di pronunciare nomi che appartengono a lingue ben note, come quella dell'Ellade. 

È questo il caso dell'antroponimo femminile Ligeia, reso celebre da Edgar Allan Poe, che lo ha utilizzato in due sue opere:

1) Il ben noto il racconto Ligeia, pubblicato per la prima volta nel 1838, in cui il nome in questione è portato dalla moglie del protagonista, una donna bellissima dalla pelle pallida e dai capelli corvini, dotata di intelligenza estremamente acuta e di immensa erudizione. A un certo punto Ligeia viene colpita da una malattia che la consuma, compone la poesia The Conqueror Worm (Il verme conquistatore), quindi spira in preda al delirio. Riesce tuttavia a sconfiggere la morte in un modo molto originale. Anni dopo l'uomo sposa la bionda Lady Rowena Trevanion, ma il ricordo della prima moglie lo perseguita e la sua unica via di scampo è l'oppiomania. Accade però qualcosa di impensabile: Lady Rowena viene colpita da una malattia che noi moderni potremmo interpretare come un massiccio processo di riscrittura del genoma. Viene così riplasmata nei suoi stessi lineamenti, divendo altro da sé. Al termine di questa metamorfosi, la donna agonizzante emerge come Ligeia, dai capelli neri come la tenebra della notte illune, acquistando una nuova vita.
2) La poesia intitolata Al Aaraaf, pubblicata per la prima volta nel 1825, che fa riferimento a una nozione di teologia islamica quasi sconosciuta in Occidente. La fonte dell'ispirazione di Poe è un fatto astronomico molto interessante, anche se svanito dal sapere comune: la comparsa di una supernova nel 1572, che fu visibile per circa sedici mesi, superando per alcuni giorni lo splendore di Giove e incrinando il miti aristotelico dell'immutabilità della volta celeste. Questo astro prodigioso, scoperto e descritto dallo scienziato danese Tycho Brahe, viene identificato da Poe con Al Aaraaf (
الأعراف al-A'rāf), un luogo ultraterreno di cui è scritto nel Corano (Sura 7), come la destinazione delle anime non meritevoli di essere dannate all'Inferno, ma nemmeno di essere accolte in Paradiso, dal momento che le loro cattive azioni erano compensate da buone azioni: è un'evidente reminiscenza della dottrina egiziana della pesatura dell'anima. Ligeia nella poesia Al Aaraaf, la più lunga composta da Poe, è un angelo identificato con l'armonia universale e con la musica più alta. Questi sono i versi a lei dedicati:

Ligeia! Ligeia!
  My beautiful one!
Whose harshest idea
   Will to melody run 
O! is it thy will
 On the breezes to toss?
Or, capriciously still,
 Like the lone Albatros,
Incumbent on night
 (As she on the air)
To keep watch with delight
 On the harmony there?

Ligeia! wherever
  Thy image may be
No magic shall sever
  Thy music from thee:
Thou hast bound many eyes
  In a dreamy sleep —
But the strains still arise
  Which thy vigilance keep —
The sound of the rain
  Which leaps down to the flower,
And dances again
  In the rhythm of the shower —
The murmur that springs
  From the growing of grass
Are the music of things —
  But are modell’d, alas! —
Away, then my dearest,
 O! hie thee away
To springs that lie clearest
  Beneath the moon ray —
To lone lake that smiles,
  In its dream of deep rest,
At the many star-isles
  That enjewel its breast —
Where wild flowers, creeping,
  Have mingled their shade,
On its margin is sleeping
  Full many a maid —
Some have left the cool glade, and
  Have slept with the bee —
Arouse them my maiden,
  On moorland and lea —
Go! breathe on their slumber,
  All softly in ear,
The musical number
  They slumber’d to hear —
For what can awaken
  An angel so soon
Whose sleep hath been taken
  Beneath the cold moon
As the spell which no slumber
  Of witchery may test,
The rythmical number
  Which lull’d him to rest?” 

Fornisco il link a uno studio molto interessante di William B. Cairns sulla poesia in questione (Some Notes on Poe's "Al Aaraaf"):


La questione della pronuncia di Ligeia è ben viva sia in Italia che nei paesi anglosassoni e se ne trova traccia in diversi siti nel vasto Web, segno che è problematica anche per persone la cui lingua nativa è la stessa usata da Poe. Questo è un post sul sito di Daniele Imperi: 


La considerazione fondamentale è che nella poesia Al-Aaraaf, il nome Ligeia viene invece fatto rimare con la parola idea. Ecco i versi, con la rima evidenziata:

Ligeia! Ligeia!
  My beautiful one!
Whose harshest
idea
   Will to melody run

Come giustamente deduce Daniele Imperi, "In inglese la parola idea si pronuncia /aɪˈdɪə/, quindi la parte finale della parola è quasi sicuramente /ɪə/." Mi sento di poter trasformare il "quasi sicuramente" in "sicuramente", invocando la perforazione del mio cranio ad opera di un micrometeorite se quanto affermo si dovesse rivelare falso. Vediamo infatti che Poe non fallisce una sola rima:

one - run;
will - still;
toss - Albatros;
night - delight;
air - there;
wherever - sever;
be - thee;
eyes - arise;
sleep - keep;
rain - again;
flower - shower;
springs - things;
grass - alas;
dearest - clearest;
away - ray;
smiles - isles;
rest - breast;
creeping - sleeping;
shade - maid;
glade, and - maiden;
bee - lea;
slumber - number;
ear - hear;
awaken - taken;
soon - moon;
slumber - number;
test - rest.

Da queste rime si deducono cose molto interessanti. Ad esempio, da "glade, and - maiden" sappiamo per certo che la congiunzione and si pronunciava era pronunciata dall'autore -d finale e che la sua vocale era un semplice schwa. Se i metodi di insegnamento dell'inglese nella scuola italiana valessero più di un mucchietto di escrementi di cane sulla via, si insegnerebbero agli alunni le rime come strumento per combattere le pronunce ortografiche! Tornando a noi, da quanto esposto ne deriva quindi una pronuncia /laɪ'dʒɪə/. Ne deduciamo un'altra cosa molto interessante: all'epoca di Poe - almeno nel suo contesto - il suono /d/ era già retroflesso come nell'inglese attuale, cosa che lo doveva rendere almeno un po' simile a una postalveolare (come nell'italiano getto). La pronuncia seguita dallo scrittore di Boston doveva quindi essere quella accademica inglese del latino, applicata anche alle parole greche, inclusi toponimi, teonimi e antroponimi. La stessa  usata in vocaboli come geography, geometry e via discorrendo. Certamente stride il contrasto con il nome dell'Ade adattato in Aidenn, che sembra invece il frutto di una genuina ricerca filologia, i cui risultati appaiono distantissimi dal sentire comune. 

Una discussione wikipediana

Riporto un thread occurso nella sezione dedicata alle discussioni sulla pagina relativa alla voce Ligeia nella Wikipedia in inglese.  

I think that a pronunciation of the name "Ligeia" would be valuable to fellow wikipedians. But therein lies a problem: a teacher of mine pronounces it Lie-gee-uh (with the second syllable accented), but in the film Vincent Price prounounces it Li-jee-uh, and I've heard it said Li-gay-uh. I need imput!
   Twitterpated. (talk) 16:38, 10 August 2008 (UTC)  

   I recently had a very long discussion about this very same question. I personally pronounce it "Lie-jee-uh", but someone I chatted with insisted it was "Luh-jee-uh" or even "Lee-juh". I'll keep my eyes open for a more definitive answer, whatever it may be.
   --Midnightdreary (talk) 00:57, 11 August 2008 (UTC) 

  Here is what I've compiled: 

  I read that in most classical names, "ei" makes an "ee" sound (like in the lyrics to "Beautiful Dreamer": "Beautiful dreamer, out on the sea / Mermaids are chanting the wild LORELEI"). The double vowel "ei" indicates that the second syllable is accented. 

   In The Tomb of Ligeia it was pronounced Lye-JEE-uh. 

   AND, furthermore, in that Annihilator song, it is pronounced with the J sound. 

  HOWEVER, It's just come to my attention that there was a siren in Greek mythology by the name of Ligeia. According to modern Greek pronunciation, it is pronounced Lye-GEE-uh... That's probably as reliable as we're going to get.
   Twitterpated. (talk) 18:47, 12 August 2008 (UTC) 

 Done The pronunciation you describe is /laɪˈʤi:ə/. Now added to the article.
   Equinox ◑ 05:44, 23 June 2016 (UTC)

Che dire? A quanto pare i dubbi ai navigatori e ai Wikipediani non mancano di certo.

Pronuncia di Ligeia nel cinema 

Ho trovato altre informazioni di estremo interesse in un thread su Englishforums.com: 


A quanto pare, Christopher Lee nella serie TV I racconti del mistero e del terrore (Tales of Mystery and Imagination, 1995-) pronunciava Ligeia come Le Guya, facendo rimare il nome con buyer. Un altro mostro sacro, Vincent Price, nel film La tomba di Ligeia (The Tomb of Ligeia, 1964), pronunciava invece Lie-GEE-er, facendo rimare il nome con beer. In entrambi casi la consonante usata è una velare (dura), come era in greco e nel latino classico. Possibile che diecimila persone abbiano diecimila pronunce tanto diverse tra loro e che manchi un'autorità centrale in grado di imporre una forma standard? Marasma assoluto!

Etimologia di Ligeia

Il nome Ligeia deriva dall'aggettivo greco antico λίγυς (ligys) "risonante, dalla voce chiara, melodioso", femmile λίγεια (ligeia), neutro λίγυ (ligu): è il nome di una delle Sirene e non è stato inventato da Poe. L'origine ultima della parola ellenica non è conosciuta e risale con ogni probabilità al sostrato pregreco. Alcuni, come Chantraine, suppongono che sia un termine onomatopeico, ma per me l'onomatopea è l'ultima risorsa. Ci sono altre forme corradicali, come λιγυρός (liguros) "chiaro, acuto" (detto di vento o di voce) e λιγαίνω (ligaino) "io grido con voce chiara", che non chiariscono il mistero. Il nome mitologico Λίγεια è trascritto in latino e in italiano come Ligea, con l'accento corretto sulla prima sillaba. In italiano troviamo anche la forma rara Lighea, utilizzata da Tomasi di Lampedusa. La sirena in questione, bellissima quanto pericolosa, è raffigurata con testa e volto di donna, corpo di uccello e grandi ali; si raccontava che col suo canto soave attraesse gli uomini, facendoli perire in mare. Virgilio menziona la splendida Ligea nelle Georgiche (libro IV): 

At mater sonitum thalamo sub fluminis alti
sensit. Eam circum Milesia vellera Nymphae
carpebant hyali saturo fucata colore,
drymoque Xanthoque Ligeaque Phyllodoceque,
caesariem effusae nitidam per candida colla,
Nesaee Spioque Thaliaque Cymodoceque,
Cydippeque et flava Lycorias, altera virgo,
altera tum primos Lucinae experta labores,
Clioque et Beroe soror, Oceanitides ambae,
ambae auro, pictis incinctae pellibus ambae,
atque Ephyre atque Opis et Asia Deiopea
et tandem positis velox Arethusa sagittis.

Mi stupisce sempre la capacità mostrata dalla lingua latina classica di assimilare immense quantità di elementi ellenici delle più disparate origini, creando qualcosa di estemamente armonioso. Tutto l'opposto di quanto accade in italiano ai nostri giorni, dove l'assimilazione di masse di termini inglesi e pseudoinglesi dà luogo a risultati che ispirano obbrobrio. Anche da queste cose si vede quanto i tempi siano degenerati.  

Dedico questo articolo alla carissima amica Giusy, che ha scelto Ligeia come nick.

sabato 6 ottobre 2018

EDGAR ALLAN POE GRECISTA: AIDENN 'ADE'

Il toponimo mitico Aidenn compare in due opere di Edgar Allan Poe: la prima attestazione si ha in un racconto breve e poco studiato, La conversazione di Eiros e Charmion (The Conversation of Eiros and Charmion), la seconda nel più famoso componimento Il Corvo (The Raven). Si tratta chiaramente dell'Ade. È una forma derivata dall'accusativo del greco ᾍδης (Hades), che è ᾍδην (Haden)

Questa trascrizione del nome dell'Ade implica che Poe conoscesse la pronuncia erasmiana del greco, essendo Aidenn incompatibile con l'itacismo. Questo ovviamente non significa necessariamente che conoscesse e usasse anche la pronuncia restituta del latino. È davvero strana la consonanza della forma usata da Poe con l'etrusco Aita, Aiθa, Eita, un prestito dal greco, ma anteriore al passaggio del dittongo lungo /a:i/ in /a:/. Sembra quasi che il profetico scrittore avesse chiara nella mente una forma più antica del teonimo greco, con l'antico dittongo integro. L'origine di queste peculiarità fonetiche è presto spiegata: in ultima analisi la protoforma è ricostruibile come *ṇ-wida:s, ossia "Colui che rende invisibili", ed è di chiara origine indoeuropea. Presso gli Etruschi si usava anche una forma nativa per indicare Plutone e gli Inferi, Calu, di cui tratteremo diffusamente in altra occasione.

Con mia grande sorpresa, ho visto che Aidenn è considerato dai critici una mera trascrizione della parola araba عدن‎ (ʕadn) che indica il Giardino dell'Eden e che deriva a sua volta dall'ebraico עדן‎ (éden). Questa è la spiegazione della voce Aidenn data da Wiktionary:


Proper noun

Aidenn

    1. (poetic) Paradise.

In Thefreedictionary.com sono raccolte le traduzioni riportate da diversi dizionari online.


Questa è la prima glossa, a cui ne seguono numerose altre del tutto simili: 

E·den  (ēd′n)
 n.
  1. Bible The garden of God and the first home of Adam and Eve. Also called Garden of Eden.
  2. A delightful place; a paradise.
  3. A state of innocence, bliss, or ultimate happiness.

Il termine esiste nel linguaggio urbano anglosassone. Questo è quanto è riportato dal sito Urbandictionary.com, per giunta facendo riferimento proprio a Poe: 


Aidenn
A name to a guy with a bad temper but sweet heart. Social and loveable. Oh, and girls drool all over him.
Found in Edgar Allen Poe's "The Raven" originally meaning "paradise" ---which is what you get when you look into this soulful man's eyes.
Eventually will be your soul mate.
I have met my Aidenn

Sono consapevole che Aidenn sia stato e sia tuttora usato come forma poetica di Eden. Eppure, che Aidenn sia l'Eden in Poe non è proprio possibile. Infatti Charmion dice:

"You have now suffered all of pain, however, which you will suffer in Aidenn."

Eiros risponde:

"In Aidenn?"

Charmion conferma:

"In Aidenn."

Proviamo a tradurre:

"Tuttavia ora hai sofferto tutte le pene che patirai nell'Ade."

È ovvio che non ha il benché minimo senso tradurre in questo modo:

"Tuttavia ora hai sofferto tutte le pene che patirai nell'Eden."

Veniamo ora alla poesia The Raven (versi 91-96): 

“Prophet!” said I, “thing of evil!—prophet still, if bird or devil!
By that Heaven that bends above us—by that God we both adore—
  Tell this soul with sorrow laden if, within the distant Aidenn,
  It shall clasp a sainted maiden whom the angels name Lenore—
Clasp a rare and radiant maiden whom the angels name Lenore.”
   Quoth the Raven “Nevermore.”

Il fatto è che nella teologia cristiana, come in quella ebraica, l'Eden a seguito della cacciata di Adamo e di Eva è uno sterile deserto abbandonato, non la sede delle anime salvate. Questa è la traduzione in italiano di Ernesto Ragazzoni (1870-1920), riportata su Wikisource e a mio avviso erronea:


«O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
per il ciel sovra noi teso, per l’Iddio che noi s’adora
di’ a quest’anima se ancora — nel lontano Eden, lassù,
potrà unirsi a un’ombra cara che chiamavasi Lenora!
a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!»
                           Mormorò l’augel: «Mai più!».

Vediamo che addirittura within the distant Aidenn viene tradotto con nel lontano Eden, lassù. Diabole, è stato inventato un lassù che nel testo originale nemmeno esiste! Riporto una traduzione più letterale, anche se mi rendo conto che non sta nel verso e che non suona particolarmente bene:

"O profeta", dissi io "Cosa del Male! Ancor profeta, che tu sia uccello o diavolo!
Per il Cielo che si estende sopra di noi - per il Dio che entrambi adoriamo -
Di' a quest'anima carica di dolore, se, nel distante Ade,
potrà abbracciare una vergine santa che gli angeli chiamano Eleonora-
abbracciare una rara e radiosa vergine che gli angeli chiamano Eleonora."
    Disse il corvo: "Mai più". 

E infatti, subito nei versi successivi, si a riferimento a Plutone, che dagli Elleni era chiamato Ade: 

“Be that word our sign of parting, bird or fiend!” I shrieked, upstarting
“Get thee back into the tempest and the Night’s Plutonian shore!
  Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken!
  Leave my loneliness unbroken!—quit the bust above my door!
Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!”
     Quoth the Raven “Nevermore.

Simili commistioni tra temi cristiani e pagani sono la norma nel mondo della poesia e non devono stupire più di tanto. Plutone-Ade è una costante in questa poesia di Poe: il corvo è considerato un suo emissario e il regno da cui proviene è ritenuto la destinazione ultima dell'ombra di ogni uomo. Per quanto vengano menzionati Dio e gli angeli, si capisce che sono soltanto parole vuote prive di qualsiasi significato. Siamo in presenza di un'adorazione di Dio affermata per pura convenzione sociale, quando si vede che la destinazione ultima dei morti non dipende dal loro comportamento terreno, essendo tutti quanti destinati a perdersi nella Tenebra. Nella traduzione di Ragazzoni, le menzioni del sovrano del Tartaro si moltiplicano: "o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto" (verso 46), "Quale nome a te gli araldi dànno alla corte del Re Pluto?" (verso 47), "ferale augel di Pluto" (verso 70), "feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto" (verso 71), "torna ai baratri di Pluto!" (verso 98). 

Nella traduzione di Antonio Bruno, vediamo che ogni riferimento diretto a Plutone è stato rimosso, mentre Aidenn viene reso con Eden


Anche Francesca Diano traduce Aidenn con Eden, ma traduce "Night's Plutonian shore" con "lido plutoniano", obliterando il riferimento alla notte:


Paolo Rolleri rende "Night's Plutonian shore" con "sponda nella notte Plutoniana" e con "sponda della Plutoniana notte", avendo il buonsenso di lasciare Aidenn non tradotto:


Su Quora.com in lingua inglese un utente chiede: 


"What is the allusion for Aidenn in the raven by Edgar Allan Poe?" 

Questa è la risposta di Suzanne Spittal, che reputo forzata:

"Aidenn is the poetic spelling of Eden, this indicates the speaker is wishing to return to a time of innocence. He has lost the love of his life and cannot rid himself of the dark sorrow that surrounds him."

Il riferimento non è a un fantomatico ritorno all'età dell'innocenza, ma alla sopravvivenza degradata dalla coscienza umana come ombra nelle Tenebre Esteriori.

Siamo di fronte a un singolare abbaglio preso dai critici letterari, che hanno interpretato The Raven servendosi della traduzione di Aidenn come Eden riportata nei dizionari, ignorando bellamente la decisiva testimonianza di The Conversation of Eiros and Charmion. Se Aidenn è una forma poetica di Eden, è altrettanto vero che Poe, persona coltissima, l'ha usata scientemente per trascrivere il nome di Ade.  

Questo è riportato in una raccolta commentata di poesie di Edgar Allan Poe tradotte in tedesco, pubblicata da e-artnow Editions nel 2017 (non sono riuscito a risalire all'autore):


"Nach Einigen soll das in der drittletzten Strophe des Originalgedichtes vorkommende Wort »Aidenn« die Accusativ-Form des griechischen »Αιδης« sein und daher »Hades« bedeuten. Es scheint uns indessen durchaus nicht wahrscheinlich, daß dem Dichter ein Hades im Sinne der hellenischen Mythologie vorschwebte."

Traduzione:

"Secondo alcuni, la parola «Aidenn» nel terzo verso del poema originale dovrebbe essere la forma accusativa del greco «Αιδης» e quindi dovrebbe significare «Ade». Non ci sembra affatto probabile che il poeta avesse in mente un Ade nel senso della mitologia ellenica."

Devo essere sincero? A me sembra piuttosto vero il contrario.