martedì 5 marzo 2019

SPIEGAZIONE DELLA LEGGENDA DI ROBERTO IL DIAVOLO

Questo scrisse il poeta e scrittore Arturo Graf (1848 - 1913) nel suo libro Il Diavolo (1889): 

   Se non che, salvarsi quando Dio ci vuol salvi, non è poi merito così grande, e più assai di Merlino mi par degno d’ammirazione quel Roberto il Diavolo della cui storia si fecero poemi, drammi, fiabe, esempii morali e persino un’opera in musica. Terribile storia in verità, ma piena di nobile insegnamento.
   C’era dunque una duchessa di Normandia, che si struggeva dal desiderio d’aver figliuoli, e non ne poteva avere. Stanca di raccomandarsi a Dio che non l’esaudisce, si raccomanda al diavolo, ed è tosto appagata. Nasce un figliuolo, una saetta. Bambino, morde la balia e le strappa i capezzoli; fanciullo, sventra a coltellate i maestri; giunto a vent’anni si fa capitano di ladri. L’armano cavaliere, credendo così di vincere in lui quella furia d’istinti malvagi; ma dopo ei fa peggio di prima. Nessuno lo passa di forza e di bravura. In un torneo vince ed ammazza trenta avversarii; poi va gironi pel mondo; poi ritorna in patria, e si rimette a fare il bandito e il ladrone, rubando, incendiando, assassinando, stuprando. Un giorno, dopo avere sgozzato tutte le monache di un’abbazia, si ricorda della madre, e va a trovarla. Come prima lo scorgono, i servitori scappano, chi di qua e chi di là; nessuno s’indugia a domandargli d’onde venga, che voglia. Allóra, per la prima volta in sua vita, Roberto stupisce dell’orrore che inspira a’ suoi simili; per la prima volta ha coscienza di quella sua mostruosa malvagità, e sente trafiggersi il cuore dal dente acuto del rimorso. Ma perchè mai è egli più malvagio degli altri? Perchè nacque, chi lo fece tale? Un’ardente brama lo punge di penetrare il mistero. Corre dalla madre, e con in pugno la spada sguainata le impone di svelargli il segreto de’ suoi natali. Saputolo, freme ed inorridisce, sopraffatto dallo spavento, dalla vergogna e dal dolore. Ma la sua forte natura non s’accascia per questo, non cede alla disperazione; anzi, la speranza di un laborioso riscatto, di una mirabil vittoria, stimola e solleva l’anima sua tracotante. Egli saprà vincere l’inferno e sè stesso, saprà render vani i disegni dello spirito maledetto che in proprio servigio lo creava, che aveva voluto far di lui un docile strumento di distruzione e di peccato. E non frappone indugi. Va a Roma, si butta ai piedi del papa, si confessa a un santo eremita, si assoggetta ad asprissima penitenza, e giura di non prender più cibo se non sia strappato alla bocca di un cane. Per ben due volte, essendo Roma assediata dai saraceni, egli combatte sconosciuto per l’imperatore, e procaccia la vittoria ai cristiani. Riconosciuto finalmente, rifiuta i premi! e gli onori, la corona imperiale, la stessa figliuola del monarca, e si ritrae a vivere col suo eremita nella solitudine, e muore come un santo, ribenedetto da Dio e dagli uomini. In altri racconti gli si fa sposare da ultimo la bella principessa innamorata di lui. 

(http://www.classicitaliani.it/Graf/Graf_il diavolo

La leggenda di Roberto il Diavolo (Robertus Diabolus) ha la sua origine in Francia nel XIII secolo ed è sopravvissuta a lungo, fornendo tra l'altro l'ispirazione al compositore Giacomo Meyerbeer (1791 - 1864) per la sua opera in cinque atti Robert le diable, da un libretto scritto da Eugène Scribe e German Delavigne. L'opera di Meyerbeer ha soltanto una vaga connessione con la leggenda medievale. Gli accademici sostengono che non è chiaro se la narrazione di Robertus Diabolus abbia o meno la sua base nella vita di un individuo in carne d'ossa. Va detto che in molte versioni il cavaliere che scopre di essere figlio di Satana è identificato con Roberto I di Normandia, detto il Magnifico o il Diavolo. La figliazione demoniaca è attribuita a inseminazione diretta, perché il questa è la spiegazione più comprensibile al popolino: il padre di Roberto il Diavolo, ossia Riccardo II il Buono, detto anche l'Irascibile, secondo queste voci sarebbe stato Satana incarnato e avrebbe lasciato il suo sperma nella vagina della Duchessa. Così sarebbe nato il Figlio del Demonio. Per inciso, affermare che Riccardo II fu il Maligno ha tutto l'aspetto di una fanfaluca. Un'alternativa che pure si trova attestata è quella del travestimento: Satana avrebbe assunto le sembianze del Duca Riccardo, ingannando così la Duchessa e ingravidandola. Si è anche tentato di collegare Robertus Diabolus a un nobile Anglo-normanno, Roberto di Bellême (Belesme) - tecnicamente Roberto di Montgomery, II di Bellême, terzo Conte di Shrewsbury e Visconte di Hiesmois (circa 1052 - circa 1130). Questo nobiluomo fu un tiranno di una rara crudeltà, che considerava un genere voluttuario infierire sui deboli. Questo ci tramanda Orderico Vitale, che fu uno storico a lui contemporaneo: cujus crudelitatis in diebus nostris super miseras plebes nimium efferbuit (Historia Ecclesiastica, tomo II, libro III). A quanto sembra, Roberto di Bellême si spinse oltre ogni limite concepibile nel suo contesto e fece persino perseguitare la Chiesa, usando una crudeltà che difficilmente ebbe pari nella Cristianità; purtroppo non ho potuto reperire informazioni più approfondite sull'argomento. Quello che sappiamo per certo è che la vita del feroce nobiluomo fu colvulsa e si concluse in prigione. A parte la crudeltà, che non doveva essere rara tra i Normanni, non mi sembra che la complessa biografia del Conte di Shrewsbury sia molto compatibile con la leggenda in questione. C'è stata persino la proposta di identificare Robertus Diabolus con Roberto il Guiscardo (1015 - 1089), per via delle sue selvagge incursioni in Puglia e della sua strenua lotta contro i Turchi, ma di tutte le proposte questa appare la più improbabile. In tal caso la leggenda si sarebbe originata in Italia, dove non se ne trova traccia - oltre al fatto che i dettagli reali della vita di Roberto il Guiscardo non collimano affatto con quelli di Roberto il Diavolo.  

La documentazione più antica della figura di Robertus Diabolus appare nell'opera di un frate domenicano, Etienne de Bourbon, risalente alla metà del XIII secolo (secondo Laura A. Hibbard sarebbe databile al 1261). Nella collezione di esempi del domenicano non si fa però menzione alcuna della nobile famiglia del cavaliere demoniaco e l'intera vicenda è condensata in sole diciotto righe. Löseth ha pubblicato nel 1902 a Parigi un roman d'aventures intitolato Robert le Diable, che a giudicare dalla lingua è stato datato dallo stesso editore alla fine del XIII secolo. Nel testo si fa rierimento a un'opera precedente, andata perduta. Il romanzo cavalleresco consiste di ben 5000 linee di versi e per la prima volta menziona le origini di Roberto: i suoi genitori sono il Duca e la Duchessa di Normandia. La storia è quella descritta da Arturo Graf: Roberto, dopo una vita di azioni inique e mostruose, si pente e si reca in pellegrinaggio in Italia, rifiutando il Ducato di Normandia. Dopo la morte fu sepolto nella cattedrale di San Giovanni in Laterano, a Roma; in seguito le sue spoglie, trafugate da un ricco francese, furono collocate nella grande abbazia di St. Robert, così chiamata in onore dell'eroe. Nel XIV secolo abbiamo il Dit de Robert le Diable, un poema di più di duecento strofe di quattro versi, oltre al Miracle de Robert le Dyable. A partire dal XV secolo è tutto un pullulare di opere derivate. La leggenda ha un notevole successo e si diffonde anche fuori dalla Francia. Il 7 maggio del 1496 viene stampato a Lione un incunabolo intitolato La vie du terrible Robert le Dyable, che può essere considerato "la matrice di una lunga posterità" (Élisabeth Gaucher, 1998). In Inghilterra abbiamo il Sir Gowther, scritto in Middle English, che risale al XV secolo, non essendo possibile una datazione più precisa: anche se il protagonista ha un altro nome e l'ambientazione è diversa, è evidente l'influenza della storia del cavaliere Normanno figlio di Satana. Nel XVI secolo tornò poi in Albione la leggenda di Roberto il Diavolo propriamente detta, grazie a traduzioni dal francese. In Olanda il romanzo Robrecht den Duyvel fu messo all'indice dal Vescovo di Antwerp nel 1621. Ormai identificato con Roberto I il Magnifico o il Diavolo, Robertus Diabolus è associato con Riccardo Senza Paura, che da suo nonno diventa addirittura suo figlio - complice una virulenta ignoranza - tanto nel 1796 la leggenda viene pubblicata in Francia in un'opera intitolata Histoire de Robert le Diable, duc de Normandie, et de Richard Sans Peur, son fils.

Per maggiori dettagli, rimando direttamente all'opera della Hibbard, consultabile e scaricabile a questo indirizzo url: 


Questo è il link all'opera della Gaucher:


Dopo aver riportato in modo estremamente sintetico lo scibile, formuliamo la spiegazione. La Duchessa è una donna in carne ed ossa, anche al momento se non sappiamo con esattezza chi sia. La cosa però, per quanto strano possa apparire, non è così importante come il movente delle sue gesta. La nobildonna, come comprende l'assoluta inanità delle preghiere rivolte al Dio dei Cristiani, si reca fuori da Rouen, in un boschetto dove gli adoratori di Thor celebrano sacrifici di sangue. Thor è infatti una divinità della fecondità, il cui martello benedice gli sposi nella tradizione degli Antichi e che assicura l'abbondanza dei raccolti. Rimasta finalmente gravida, la Duchessa attribuisce il suo successo procreativo a Thor e fa sì che il figlio cresca nel suo culto. 

Passiamo ora all'identificazione. A parer mio in questo caso l'ipotesi più semplice è anche quella vera. Robertus Diabolus con ogni probabilità è proprio Roberto I il Magnifico, detto anche il Diavolo. Scarto già da subito ogni tentativo di identificazione con Roberto di Belleme e Roberto il Guiscardo. La madre di Roberto, Giuditta di Bretagna, era di stirpe celtica da parte di padre e franca da parte di madre - quindi estranea al culto delle divinità scandinave. Tuttavia aveva una suocera, Gunnora di Danimarca, che l'ha consigliata, spingendola a rivolgersi agli adoratori di Thor per risolvere ogni difficoltà a concepire. Quindi ha preso con sé il figlio, la cui nascita attribuiva al potere del Dio dal Martello, educandolo nella sua devozione. Tanto i dettagli più scabrosi della vita di Roberto furono rimossi dagli storici dei Normanni, tanto ansiosi di nascondere ogni vestigia pagana. Mi sembra quasi da avere le scene davanti agli occhi. Il giovane Roberto cresceva selvaggio e pieno di implacabile odio verso il Cristianesimo. Le gesta a lui attribuite sono vere, e ancor più truculente. Ricevuta l'iniziazione cavalleresca, sfidò un gran numero di rivali ardenti di fede in Cristo e li uccise tutti, spaccando loro il cranio con un grosso martello e urlando il nome del suo Patrono: "Thor!!!" A me sembra di rivedere il mito del duello tra Cristo e Thor, riportato nel contrasto tra la poetessa Steinunn e il missionario Thangbrand.

Il punto è questo: in Normandia il potere del Duca era a quanto pare senza limiti. Evidentemente non poteva essere moderato né dalla Chiesa, che versava in condizioni abbastanza pietose e che era sostenuta più che altro per calcolo politico, né tanto meno dal baronaggio. Così Roberto il Diavolo dovette sfuriare a lungo. Poi accadde qualcosa che lo portò a recarsi in pellegrinaggio in Oltremare, finendo col morirne. Non sappiamo identificare le cause di questo repentino cambiamento di rotta (pentimento? sincera conversione? un trauma? ragioni politiche?), ma notiamo che c'è soltanto un dettaglio che non collima con la narrazione di Robertus Diabolus: la destinazione del pellegrinaggio. In entrambi i casi la morte coglie l'eroe lontano dalla sua terra d'origine. Comunque le cose stiano, gli storici sono riusciti a cancellare molte cose scomode, e nel corso dei secoli è avvenuto un fatto decisamente interessante: Thor, ormai caduto nell'oblio o ridotto a una semplice favola, è stato sostituito con Satana.

lunedì 4 marzo 2019

TORET E TUR: THOR IN NORMANDIA

Nel Roman de Rou (Romanzo di Rollone), il poeta Roberto Wace  (1100 - 1175), Anglo-normanno di Jersey, ha scritto cose molto interessanti dell'Arcivescovo Maugero di Rouen (Malgerius Rothomagensis), ecclesiastico di mala fama, di cui si dice che tenesse commercio con uno spirito familiare - cosa che dovrebbe essere sorprendente per un uomo della sua condizione. Ecco i versi in questione (righe 9713-9722):

Plusors distrent por vérité
Ke un deable aveit privé,
Ne sai s'esteit lutin u non,
Ne sai nient de sa façon;
Toret se feseit apeler,
E Toret se feseit nomer.
E quant Maugier parler voleit
Toret apelout, si veneit;
Plusors les poeient oïr,
Maiz nus d'els nes poet véir.
 

Questa è la traduzione in italiano, fatta dal sottoscritto:

Molti dissero per vero
Che aveva un diavolo privato,
Non so se era un folletto o no,
Non so niente del suo aspetto;
Toret si faceva chiamare,
E Toret si faceva nominare.
E quando Maugier voleva parlare
Chiamava Toret, e lui lì veniva;
Molti lo poterono udire, 
Ma nessuno di loro lo poté vedere.
 


Orbene, è evidente che Toret è il nome di Thor con un suffisso diminutivo romanzo -et. Sir Francis Palgrave, volendo rimuovere questa reliquia pagana, ha forgiato con l'inganno una falsa etimologia. Prima ha affermato che Toret sarebbe da emendare in *Toreit, quindi ha ricondotto il nome al vocabolo tedesco Torheit, che significa "follia". Per spiegare qualcosa di chiaro ed evidente, introduce un elemento oscuro e incongruo - senza poter spiegare come sarebbe arrivato al povero Maugero. 

Sempre nel Roman de Rou, si riporta che nella battaglia di Val-de-Dunes, uno dei signori Normanni, Rodolfo (Raoul) Tesson, aveva come urlo di guerra Tur aïe, ossia "Thor (mi) aiuti", mentre Guglielmo il Bastardo invocava il Dio dei Cristiani: Dex aïe, ossia "Dio (mi) aiuti". Ecco l'originale nella varietà anglo-normanna della lingua d'oïl (righe 9046-9097): 

Maiz sis homes l'en unt préié,
E pur bien li unt cunseillé
Ke sun dreit Seignor ne bataille
Ke ke il face, aillors ne faille;
Guillame est sun natural Sire.
Et il sis homs ne puet desdire;
Pensa ke il li fist homage,
Véant sun pere et sun barnage;
N'a dreit el fié ne à l'onor
Ki se cumbat à son Seignor.
A ço, dist Raol, nos tenons;
Vos dites bien, si le ferons.
De la gent donc esteit emmie,
Poinst li cheval criant
Tur aïe,
Si homes fist toz arester,
El Duc Wiliame ala parler.
Par li champ vint esperuntant,
Son seignor féri de son gant,
Poiz li a tot en riant dit:
De ço ke jo jurai m'aquit;
Jo jurai ke jo vos ferreie
Si tost com jo vos trovereie; 
Por mon serement aquiter,
Quer jo ne me voil perjurer,
Vos ai féru; ne vos poist mie;
Ne faiz por altre félunie,
E li Dus dist: Vostre merci,
E Raoul atant s'en parti.
Willame va par la campaigne;
Des Normanz meine grant compaigne,
Li dui Viscuntes vait quérant,
E li perjures demandant.
Cil li mostrent, ki les cognurent,
De l'altre part ù lor gent furent.
Mult voïssiez par li campaignes
Mouver conreis è chevetaignes;
N'i a riche home ne Baron,
Ki n'ait lez li son gonfanon,
U gonfanon u altre enseigne
U sa mesnie se restreigne,
Congnossainces u entre-sainz, 
De plusors guises escuz painz.
Mult voïssiez ces champs frémir,
Poindre chevals è porsaillir,
Haintes lever, lances brandir,
Escuz è helmes reluisir.
Si come poignent criant vunt
I tels enseignes com il unt:
Cil de France crient:
Montjoie,
Ceo lor est bel ke l'en les oie;
Williame crie:
Dex aïe;
C'est l'enseigne de Normandie.


Questa è la traduzione in italiano, fatta dal sottoscritto (spero che non sia troppo grossolana):

Ma i suoi uomini lo hanno pregato
E per il bene lo han consigliato
Che il suo legittimo Signore non combatta
Che chi lo faccia, allora non manchi;
Guglielmo è il suo Signore naturale.
E i suoi uomini non può contraddire; 
Pensò che lui gli fece omaggio,
Davanti a suo padre e al suo baronaggio; 
Non ha diritto al feudo né all'onore
Chi combatte contro il suo Signore. 
A ciò, disse Rodolfo, noi teniamo;
Voi dite bene, qui lo faremo.
Della gente quindi era nemico,
Punse il cavallo, gridando:
Thor aiuti!
Qui tutti gli uomini fece fermare
Al Duca Guglielmo andò a parlare.

Per il campo venne speronando,
Il suo Signore ferito dal suo guanto,

Poi lui a tutti ridendo dice:
Di ciò che giurai ho soddisfazione;
Io giurai che vi avrei colpito col ferro

Giusto qui come vi avessi trovato
Per soddisfare il mio giuramento,
Ché non voglio spergiurare,

Vi ho ferito; voi non potete mica;
Non faccio fellonia contro un altro,
E il Duca disse: Vostra mercé,
Intanto Rodolfo se n'era andato.
Guglielmo va per la campagna;
Dei Normanni guida una grande compagnia,
I due Visconti va cercando, 
E chiedendo degli spergiuri.
Quelli gli mostrano, chi li conobbe 
Dall'altra parte, dove fu la loro gente
Molti voleste per le campagne
Muovere provvigioni e capitani;
Non c'è ricco uomo né Barone
Che non abbia lungo il suo gonfalone,
O gonfalone o altra insegna,
Dove la sua armata si raduna;
Conoscenze o segnali d'identificazione,
Di molti tipi di scudi pagani.
Molti voleste far tremare questi campi,
Pungere cavalli e farli caracollare,
Alzare picche, brandire lance,
Scudi ed elmi far splendere.
Così come combattendo vanno gridando
Tali urli di guerra, come li hanno:
Quelli di Francia gridano:
Montjoie;
Il loro è bello che lo si senta;

Guglielmo grida: Dio aiuti!
È l'urlo di guerra della Normandia.


Ammetto di aver penato un po': se ho reso il significato, spesso ho dovuto rinunciare alla rima. Si converrà che la narrazione è un po' sconnessa, ben lontana dai canoni moderni. Tra l'altro non sono nemmeno sicuro che esista una traduzione in italiano del Roman de Rou. Abbiamo tonnellate di materiali oltremodo interessanti e sprofondati sotto metri di polvere, nella totale incuria degli accademici (non solo italiani).  

Torniamo a ciò che più ci preme, ossia a Thor. Trovo che sia molto significativo il contrasto tra l'urlo di guerra di Rodolfo Tesson e quello di Guglielmo il Bastardo: siamo di fronte a due mondi che collidono - proprio come nelle saghe norvegesi e islandesi che descrivono la cristianizzazione. Anche in questo caso, si segnalano puerili tentativi fatti da accademici politicizzati e in malafede per rimuovere ogni accenno al Paganesimo ancestrale. Così Auguste Le Prévost ha trasformato Tur aïe in Thury, che sarebbe stato il nome della fantomatica signoria di Rodolfo Tesson. Fantomatica, va rimarcato, perché non risulta attestato alcun toponimo Thury pertinente al contesto. Fare violenza ai dati reali per adattarli a tesi preconcette era ed è tuttora un costume molto diffuso.

Sir Francis Palgrave voleva far credere che la lingua norrena in Normandia fosse scomparsa all'istante, come per magia, all'atto stesso della concessione del Ducato a Rollone o comunque poco dopo; per contro egli afferma che la lingua romanza fu molto coltivata, prosperando a tal punto da dare origine alle più antiche varianti dialettali documentate della lingua d'oïl. Eppure proprio il teonimo Tur ci dice che anche la lingua norrena poté vivere abbastanza per creare a sua volta varianti dialettali. Infatti la testimonianza di Roberto Wace, oltre alla toponomastica e agli antroponimi attestati, prova al di là di ogni dubbio che il norreno di Normandia era cambiato rispetto a quello importato dalla Danimarca e dalla Norvegia. 

La forma norrena originale è Þórr, la cui pronuncia è /θo:rr/, con una vocale lunga e chiusa. L'evoluzione è stata la seguente: /θo:rr/ è diventato /to:r/ (scritto Tor-), quindi /tu:r/ (scritto Tour-, Thour-) e addirittura /tü:r/ (scritto Tur, Tur-). Numerosi nomi propri di Vichinghi stanziati in Normandia sono diventati col tempo cognomi, spesso tuttora vivi. Così abbiamo i seguenti esempi: 

Thouroude < Þórvaldr "Potere di Thor"
Tostain, Toutain < Þórsteinn "Pietra di Thor"
Tourquétil, Turquétil, Turquéty <
Þórketill "Calderone di Thor"
Turgard, Tougard < Þórgarðr "Protezione di Thor"

Turgis
< Þórgísl "Ostaggio di Thor"
Turgot < Þórgautr "Gauto di Thor"*


*I Gauti erano un popolo della Svezia meridionale. Stretta era la loro parentela con i Goti.

Si noterà che questa evoluzione della vocale lunga /o:/ in /u:/ e in /ü/, documentata già in Wace, è assai singolare. Non si ritrova in alcuna varietà norrena finora nota. Certamente il passaggio da /o:/ a /ü:/ non può essere avvenuto per semplice adattamento alla fonologia della lingua romanza e presuppone quindi l'esistenza di un dialetto norreno peculiare, su cui richiamo l'attenzione degli studiosi.

venerdì 1 marzo 2019

LA RIBELLIONE DI THORMOD E LA PERSISTENZA DELLA RELIGIONE PAGANA IN NORMANDIA

Nella storia del Ducato di Normandia esistono fatti degni del massimo rilievo, che tuttavia sono stati occultati dagli storici mainstream e ritenuti privi di qualsiasi interesse, immagino per motivi ideologici, politici e religiosi. Tra questi fatti negletti dagli studiosi possiamo sicuramente annoverare la ribellione di Thormod, un capo normanno pagano ucciso nell'Anno del Signore 943. Il suo nome, che significa "Coraggio di Thor", ci è riportato con le varianti ortografiche Turmod e Tormod. La forma originale norrena è Þórmóðr

Mi sono imbattuto per puro caso in un'eccezione significativa, che però risale alla fine del XIX secolo. Si parla diffusamente della ribellione pagana nell'opera di Sir Francis Palgrave, The History of Normandy and of England (1857), e più precisamente nel secondo tomo, il cui sottotitolo è il seguente: The First Three Dukes of Normandy: Rollo, Guillaume Longue-Épée, and Richard-Sans-Peur - The Carlovingian Line supplanted by the Capets. Questa è una vera e propria miniera di informazioni, da cui mi propongo di attingere a fondo e a più riprese. Data la vetustà del testo, i diritti d'autore sono estinti. Si può scaricare liberamente il lavoro di Palgrave dal sito Archive.org





Questo è quanto riportato dalla pagina 340 a pagina 355 del secondo volume della Storia della Normandia e dell'Inghilterra, nella mia traduzione in italiano - sperando che possa essere considerata degna: 

Il Partito Danese e il Partito Cristiano provocati
l'uno contro l'altro da Guglielmo Lungaspada

   È forse una delle più grandi maledizioni che attendono l'intolleranza, che la rimozione del torto genera inevitabilmente ulteriore male. Anche il riluttante sollievo che la dura necessità ogni tanto estorce a un oppressore a favore di un partito o di una setta fino a quel momento vietata, è un atto che sicuramente sarà travisato da entrambe le parti. Quelli che in precedenza hanno goduto nella piena tirannia del predominio, si risentono per la diminuzione dell'ingiustizia come per un affronto, mentre gli oppressi interpretano la concessione come una chiamata a vendicarsi a loro volta; e questa fu la crisi che Guglielmo Lungaspada provocò.
    Le oscillazioni di Guglielmo Lungaspada - i segni e i risultati della sua insincerità - le alternanze di incoraggiamento e sfavore che egli aveva manifestato verso ciascuno dei partiti antagonisti della Normandia, furono calcolati per dare a entrambi la massima provocazione. Una volta chiamato al pieno esercizio della sua autorità, Guglielmo si era inorgoglito della sua consanguineità francese, aveva corteggiato la società Francese, aveva adottato le maniere francesi, e si identificava assolutamente con il Partito Romanizzato. E sebbene egli possa non aver inflitto alcuna ingiustizia attiva al popolo Danese, egli fu certamente duro e sfavorevole nei suoi confronti. Ma, dopo vari cambiamenti, e nel fosco crepuscolo del suo regno, quando aveva sperimentato il disprezzo dei Francesi ed era convinto del loro implacabile odio, rovesciò completamente la sua precedente politica. Dando la più favorevole interpretazione alle sue misure educative riguardo a Riccardo, esse testimoniano che vedeva il Cristianesimo come una cosa indifferente. Guglielmo stava ritornando all'antica razza dei suoi progenitori: si unì cordialmente ai Danesi pagani, e stava proclamando la restaurazione della sua fratellanza con la Scandinavia. Ancora, facendo così, egli non aveva ritirato la sua fiducia al Partito Romanizzato; no, egli si aggrappava a loro come ai suoi amici più intimi; a loro egli affidò la persona di suo figlio. - Perciò, quando i giorni di Guglielmo erano contati, egli aveva armato le fazioni rivali l'una contro l'altra. Egli aveva accordato ai Danesi il pieno beneficio e vantaggio del suo favore, del suo affetto e del suo patrocinio, mentre al contempo, garantendo la custodia del suo infante erede al Partito Romanizzato o Cristiano, gli oppositori del popolo Danese erano, grazie a questo atto concorrente, investiti del potere del governo. Coloro che avevano sentimenti danesi e i Pagani dichiarati si aggregarono.
    Bernardo e il suo partito essendo in possesso - loro, come tutti gli uomini intelligenti in circostanze simili, - decisero di mantenere il possesso. Essi avevano la gestione dell'inaugurazione a Notre Dame di Rouen. La somministrazione dei giuramenti, more Christiano, manifestò la loro decisa intenzione. Nessuna ulteriore promulgazione delle opinioni sostenute dalla Reggenza avrebbe potuto essere necessaria. Stavano cercando di confermare il Cristianesimo come religione di Stato, e quindi il popolo Danese, sebbene profondamente fedele a Riccardo, si tenne lontano. Le cerimonie della Cattedrale erano programmate in modo tale da recare loro affronto e da sfidarli. Che interesse avevano gli antiquati Danesi davanti all'altare? Che cosa importava loro del Vangelo, della preghiera, della questua e della benedizione, o delle ossa di Santi o di Martiri?
    Invero, l'intero popolo Danese può aver obiettato che una simile installazone del giovane Principe era chiaramente contraria alle intenzioni di suo padre. Guglielmo, in ogni caso, cercò di mantenere un equilibrio tra le due nazionalità; mentre l'ordinazione cristiana del sovrano era un'innovazione gratuita, non richiesta e assolutamente sovversiva del patto. Finora nessun simile rito aveva segnalato l'accesso di un Duca, di un Signore o di un Patrizio. - Rollone non aveva cercato la benedizione del Clero quando aveva ottenuto il suo dominio; - no, e neppure Guglielo Lungaspada. Se, con l'intento di conciliare i Normanni Romanizzati, Guglielmo aveva stabilito che il riconoscimento dell'erede a Bayeux avrebbe avuto luogo in giorno solenne coincidente con una grande festività cristiana, ancora, in questa concessione era stato molto caritatevole. L'atto era nel complesso l'atto di un Magistrato Civile. L'Erede non entrò nella Cattedrale, la Basilica di Sant'Esuperio era deserta, nessun prete o prelato fu convocato per santificare la cerimonia secolare, che non richiese alcuna benedizione. Le istruzioni date da Guglielmo Lungaspada per l'educazione di suo figlio furono sagacemente calcolate per sottrarre il giovane Principe all'influenza clericale, mentre, per contro, la consacrazione a Rouen effettuata dalla Reggenza fu evidentemente adottata allo scopo di introdurre il giovane Sovrano sotto la protezione della gerarchia Cristiana.
Infine, il popolo Danese avrebbe potuto insistere su quando Guglielmo aveva ordinato che il bambino dovesse vivere tra i Danesi, crescere in mezzo ai Danesi, abitare nella Bayeux Danese ed essere educato al dovere dei governo nella capitale Danese: Bernardo aveva solennemente promesso a Guglielmo Lungaspada che avrebbe osservato tutte le sue ingiunzioni. Ancora, cosa aveva fatto Bernardo? Egli aveva deviato dalle indicazioni testamentarie date da Guglielmo, nell'articolo più importante e capitale, - egli aveva spostato Riccardo dalla città di lingua Danese alla romanizzata Rouen. 

Movimento del popolo Danese 

Ma se i cristiani stavano tenendo duro, i Pagani erano attivi e operativi. Il movimento che Guglielmo Lungaspada aveva impartito al popolo Danese stava procedendo con rapidità accelerata. Harald Blaatand e i suoi Danesi si erano stanziati nel Cotentin, e questa immigrazione impartiva un nuovo vigore agli interessi dei Pagani nell'intera Terra Normannorum.  

Thormod rinuncia al Cristianesimo

Thormod, un potente capitano e probabilmente un Normanno di nascita, rinunciò al suo Cristianesimo simulato e riprese l'adorazione del lunatico Possessore di Martello, il Demone Tutelare di cui portava il nome, - e possiamo immaginarlo godere il suo robusto pasto a base di carne di cavallo, la prova della sua sincerità penitente. Furono aperte le comunicazioni con altri capitani Danesi in mare o oltre il mare - un certo Sithric è menzionato tra loro. Una guerra di religione era incombente. L'Odinismo, considerato come un sistema di credenze positive, può essere stato in declino, ma un'aspra antipatia verso la fede altrui è perfettamente compatibile con il lassismo della propria. 

I Danesi si associano per riunire la Normandia
alla comunità Danese

Tuttavia, i Danesi conservavano ancora un forte attaccamento abitudinario alle loro credenze ancestrali. Le leggi, le costumanze, persino il cibo e il vestiario, contribuivano a mantenere i pagani Danesi nelle antiche vie e, obbedendo all'impulso dato da Guglielmo, essi si sforzavano ardentemente che la Terra Normannorum fosse riunita alla grande Confederazione Danese. Non che questi punti di vista li abbiano distolti in alcun modo dalla loro lealtà verso Riccardo. Essi erano ardentemente attaccati al loro giovane Duca proprio come i loro oppositori. Persino Harald Blaatand, che avrebbe potuto essere scusato per la tentazione di avvantaggiare se stesso dell'età immatura del rampollo, nutriva un affetto onestissimo nei suoi confronti. Dal momento che i Danesi Cristiani non avrebbero potuto accontentarsi di una parità dei diritti, i Danesi (pagani) dovevano proteggere se stessi. La Normandia doveva essere preservata come una Monarchia unita, ma il Duca doveva allevare un genuino uomo Danese, e lo Stato doveva mantenera la dignità di una vera comunità Danese. 

I nobili Normanni portano Riccardo
davanti a Luigi al suo palazzo 

   Nella nostra epoca, un debito pubblico è l'evidenza più soddisfacente di "Progresso sociale". Diventando passibile di bancarotta, l'Impero Ottomano è stato portato al palo della civilizzazione. Se la Francia nel X secolo fosse stata qualificata a possedere questi sensibilissimi termometri politici, le rendite di Luigi d'Oltremare sarebbero state improvvisamente quotate a una crescita assai notevole. Cedendo al panico eccitato dal risveglio Danese a tutti gli eventi a cui nessun'altra ragione può essere onorevolmente assegnata, il Partito Romanizzato ha deciso non solo di ottenere la garanzia della corona Carolingia, ma anche di mettere la Normandia in assoluta sottomissione alla Monarchia Francese.
    Quando, all'accesso di Riccardo, le notizie dell'atteggiamento determinato dalla Normandia giunsero a Luigi e a Gerberga, le loro speranze erano abbattute, scarsamente sostenute da una distante e indistinta prospettiva di risveglio. Chissà quanto Luigi sarà stato rallegrato dalla richiesta di ricevere i nobili Normanni giunti da Rouen come scorta del giovane Riccardo. La processione apparve alla porta del palazzo, entrò nella camera di presenza che aveva assistito alla mortificazione di Guglielmo Lungaspada e, conducendo il giovane Riccardo davanti al trono, pregarono Luigi affinché concedesse l'investitura all'infante, l'erede di secondo grado di Rollone, proprio come lui e suo padre avevano fatto a Guglielmo e a Rollone. Quale richiesta avrebbe potuto essere più gradita a Luigi di un tale riconoscimento non cercato della sua supremazia? Ha ricevuto il bambino gentilmente: quanto gli è costata la gentilezza? No, cedendo all'inizio alla vincente influenza della bellezza di Riccardo, era persino incline a considerare la giovinezza con favore. Ben altrimenti Gerberga, così irritata e mortificata quando ha confrontato il piacevole aspetto del giovane Normanno e i suoi arti ben formati con l'aspetto del suo povero, giallastro, piccolo Lotario dalle gambe storte. 


L'investitura della Normandia concessa a Riccardo
in quanto bastardo di suo padre 

   Ma Gerberga ebbe la sua vendetta in un altro modo; sebbene avrebbe potuto difficilmente definire Riccardo un riccio odioso. era in suo pieno potere attribuirgli un più turpe epiteto. Quando il Cronista di corte porta testimoninanza della concessione del Ducato, descrive lo stato del giovane Duca con precisione sprezzante - Rex Ludovicus filio Willielmi nato de concubina Britanna, terram Normannorum dedit - e mentre i Normanni gioivano della confermazione dell'autorità di Riccardo, i Francesi si sono vantati con gioia, perché era stata presa buona cura di marchiare il giovane come un bastardo di mezza casta. 

I Normanni prestano omaggio al Re 

  Finora, tuttavia, il procedimento era regolare, anche se il trattamento ricevuto da Riccardo era rigido e inutilmente umiliante; ma un'ulteriore transazione ne conseguì, né garantita da un precedente né dettata da principio. Senza alcun ordine del loro Signore intermediario, i Normanni prestarono omaggio a Luigi e divennero suoi uomini, giurando il giuramento di fedeltà, riconoscendolo così come il loro immediato Soovrano e, essendo stati colpiti dalla copiosa generosità del Re, tornarono con gioia a Rouen. In tal modo i Normanni, finché i loro atti avessero avuto qualsiasi validità, consegnarono il loro Duca, il loro Paese e se stessi, al potere di Luigi. Fecero un'incondizionata cessione dei loro diritti. La Normandia, e tutto ciò che apparteneva alla Normandia, era suo per legge costituzionale, e Luigi potea ora meditare con fiducia sui suoi schemi di conquista.
    Luigi non avrebbe mai potuto negare a se stesso di aver cercato la totale distruzione della detestata razza di pirati. Luigi avrebbe potuto ritrarsi dal crimine di spargere il sangue del giovane bambino, tuttavia, se fosse stato provocato dall'apprensione, o tentato dall'opportunità, c'erano molti modi e strumenti convenienti, suggeriti dalle tradizioni del passato, che avrebbero reso effettivamente inabile il rappresentante spurio di Guglielmo, o l'avrebbero tolto di mezzo. Il bastardo incatenato avrebbe potuto essere lasciato a marcire in una prigione, o essere accecato, o menomato nelle sue membra. Riccardo era ora legalmente il Sorvegliato di Luigi. La fiducia di Bernardo, Botho e Oslac è stata annullata. Cosa sarebbe stato del Minore lo avrebbe deciso il Re facendo valere i diritti che un Guardiano irresponsabile potrebbe reclamare.


I diritti di Riccardo messi in pericolo dagli omaggiatori 

    Senza dubbio è stato un colpo di sana politica, che l'accesso di Riccardo dovesse essere costituzionalmente sanzionato dal suo Superiore Carolingio. Il riconoscimento della Normandia come porzione integrale della Monarchia Francese assicurò la sua esistenza come Stato Cristiano, e la incorporò nella comunità Carolingia. - Ma, furono i Nobili che, supponendo di agire per la nazione Normanna, effettuarono il riconoscimento, debitamente consapevoli della loro indipendenza? Non risultò la loro condotta dall'ansia troppo zelante di una paura malcelata? - Perché portare il giovane Duca personalmente davanti a Luigi? Non sarebbe stata sufficiente un'ambasciata? C'era pericolo nello spostare il bambino oltre il confine Normanno. La stessa vista di Riccardo avrebbe potuto tentare Luigi a trarre profitto dall'impotenza dell'infanzia, e suggerirgli che fosse sia una prerogativa che un dovere assumere la custodia corporale dell'Erede. A tali obiezioni si potrebbe tentare qualche replica, non del tutto soddisfacente, sebbene, in una certa misura, plausibile; ma il loro atto complementare di omaggio sembrava non suscettibile di giustificazione. 

Un partito tra i Normanni  si offende per l'omaggio reso a Luigi. Questi diventano uomini di Ugo il Grande 

     Che i nobili della terra dovessero personalmente diventare i vassalli del Re, era quindi causa di sdegnoso risentimento per un grande e influente partito tra i Normanni; ma mentre essi disdegnavano una simile degradante sottomissione, senza ritegno e con ansiosa incoerenza facevano lo stesso o peggio, dando un nuovo giro alla Ruota della Fortuna. L'inaspettato miglioramento delle prospettive di Luigi avrebbe potuto incoraggiarlo a sentirsi quasi indipendente da Ugo il Grande; ma erano messi l'uno contro l'altro in modo così strano, che Ugo il Grande evitò la Normandia quasi quanto Luigi. I Normanni scontenti chiesero l'aiuto del Duca di Francia contro il Re di Francia e, diventando suoi uomini, lo accettarono come loro Sovrano. Nell'omaggio reso da questi secessori al Duca Ugo, non prestarono più attenzione a Riccardo, o ai diritti di Riccardo, di quanto altri fecero quando averano reso omaggio al Re di Francia: essi scavalcarono Riccardo nello stesso modo. Questa defezione sembra essere stata manifesta principalmente nell'Evrecin, e in pratica equivaleva all'incorporazione di quel distretto all'adiacente Ducato di Ugo il Grande. Tramite questo scisma politico il Partito Cristiano si dvise in due: gli uomini dei Re e gli uomini del Duca, entrambi desiderosi di mettere in pericolo il loro comune obiettivo - l'indipendenza della Normandia - grazie alla loro reciproca inimicizia.

L'invasione danese. Re Sithric e Thormod
uniscono le loro forze

Questo fu un capitale incoraggiamento per i Danesi pagani. Essi hanno immediatamente sfruttato questi dissensi interni dei Cristiani. Fresco dal Nord venne il Re Sithric e unì le sue forze a Thormod. Le chiglie danesi brulicavano intorno alle coste, molte probabimente erano passate dall'Irlanda o dall'Inghilterra. La guerra fu perseguita come una volta: le vele nere volteggianti lungo la costa, le truppe che sbarcavano e molestavano l'interno. Lo squadrone di Sithric entrò nella Senna spesso afflitta. Ne seguì un'insurrezione generale. Hey-saa! Hey-saa! Heysaa! Il grido nazionale di incoraggiamento e di raduno risuonò tra le genti Danesi.

Thormod ottiene il possesso della persona del
giovane Riccardo e lo converte al Paganesimo

I Normanni Pagani perseguirono coraggiosamente e con forza i loro disegni di rivendicare la loro supremazia senza detrimento alla loro lealtà. Thormod ottenne il possesso di Riccardo; egli sarebbe stato il Protettore del giovane Sovrano e, come egli avrebbe potuto sostenere, il protettore secondo il desiderio del cuore di Guglielmo. Non era il desiderio del morente Guglielmo che il suo robusto figlio dovesse crescere come un valoroso Danese? Thormod quindi lavorò duramente e con successo per la conversione del giovane Duca, e lo persuase, o lo costrinse, ad adottare i princìpi dei suoi antenati Danesi. 

Nascondimento di questa perversione
da parte degli storici Normanni
 

    Ogni storico è gravemente tentato o di colorare o di cancellare tutto ciò che può dispiacere ai suoi gusti o contraddire le sue opinioni; forse il secondo percorso è il più sicuro e il più onesto. La coscienza più pura o la mente più chiara potrebbero dire tutta la verità riguardo alle nostre guerre civili in tale forma, che la sua narrazione dovrebbe essere piacevole e redditizio equamente per i Realisti e per i Puritani? Il compromesso non può mai dare una risposta in questi casi. Fantasticate un ritratto di Carlo Stuart, ripartito tra Santo e Tiranno, entrambe le cose appropriate, - sarebbe una simile sembianza tale da gratificare sia l'Alta Chiesa che la Non Conformità?
    Questo spiacevole incidente nella vita di Riccardo Senza Paura è completamente ignorato dal Padre della Storia Normanna, che, come tutti gli altri scrittori Normanni, lavora con discrezione per sopprimere tutti gli esempi della vitalità combattiva ancora  mantenuta dai princìpi Pagani. Non una parola sulla perversione del giovane Duca appare nei preziosi memoriali che dobbiamo alla diligenza di Dudo. Il Diacono Dudo e tutti i suoi successori, sia in prosa che in versi, si vergognarono grandemente di questo passaggio negli annali Normanni e decisero che l'adozione infantile dell'errore pagano da parte del Duca Riccardo doveva essere considerato una cosa mai avvenuta. Quanto il Panegirista fosse ansioso di mantenere il carattere cristiano dei suoi patroni, può essere dedotto dalla circostanza che egli si rivolge a Guglielmo Lungaspada come un Santo Martire. La nostra conoscenza della missione riuscita di Thormod deriva esclusivamente dagli storici Francesi, che, deridendo il Capo dei Pirati, provano una cupa gioia nel rendere testimonianza della semplicità di suo figlio. Se non fosse stato per la malvagia sincerità di Frodoardo, il monaco di Reims, e di Richerio, figlio del funzionario riservato di Luigi d'Oltremare, l'intero affare sarebbe stato sepolto nell'oblio.
   L'audacia del popolo Danese ha suscitato gli sforzi corrispondenti da parte del Duca Ugo e del Re. Se i Danesi pagani fossero riusciti a mettere in atto l'occupazione della Normandia, allora il Ducato di Francia e il Regno di Francia sarebbero stati egualmente messi a repentaglio. Il nipote di Roberto il Forte rivaleggiava con la forza di suo nonno: Ugo intraprese una così rapida successione di conflitti con il nemico che i cronisti non sono riusciti a contarli. Schermaglie e incursioni hanno mantenuto la continuità della guerra. I Danesi erano molto rigidi nella zona; Ugo il Grande, durante la sua campagna, subì gravi perdite, tuttavia mantenne costantemente la sua posizione e, favorito dai suoi partigiani cristiani tra i Danesi romanizzati, fu in grado di stabilirsi a Evreux. 

    Luigi, da parte sua, diresse le sue operazioni con lo spirito e il talento di un grande capitano. Vendicatore dell'assassinato Guglielmo e Guardiano, come professava se stesso, del piccolo Erede, avanzò in Normandia per il salvataggio del giovane Riccardo e il ristabilimento del Cristianesimo. Luigi fu magnifico in questo campo. Mentre si muoveva, l'aquila aurea di Carlo Magno fu portata davanti a lui e, quando si accampò, l'Insegna Imperiale incoronò il suo padiglione. I suoi ranghi erano sempre pieni. Povero di mezzi, spogliato dei suoi domini, senza alcuna fonte di entrate, né, per quanto possiamo accertare, in possesso di alcun potere di costringere al servizio militare, la grandezza del suo esercito offre un enigma costantemente ricorrente. I Danesi o non ebbero il tempo di "montare a cavallo" - per usare la frase resa così familiare dalla triste cronaca sassone - o, se l'avessero avuto, preferirono combattere a piedi, secondo la loro usanza nazionale, avanzando contro il loro nemico con la spada e scudo. 

La "Battaglia della Riscossa". I Danesi sconfitti da Luigi.
Thormod e Sithric uccisi 

   L'Orda Pagana, comandata da Thormod e Sithric, contava migliaia di combattennti. - Ottocento cavalieri pienamente armati costituivano il nucleo dell'esercito che Luigi aveva radunato; - una forza formidabile esso stesso, ma non sufficientemente ampio da permettergli di superare il nemico. Quindi concentrò la sua cavalleria e fece l'assalto. Ne seguì una sanguinosa battaglia, più terribile di qualunque battaglia un Monarca Carolingio avesse mai condotto. I Danesi cedettero prima della carica. Il Re Sithric fuggì, cercando di nascondersi tra i cespugli in un boschetto, ma i suoi inseguitori seguirono il sentiero, lo scoprirono e i giavellotti di tre guerrieri Francesi uccisero la vittima accovacciata. Luigi, alla testa dei suoi cavalieri, cavalcò su Thormod e, galoppando in avanti senza riconoscere l'uomo che aveva investito, attaccò un altro battaglione danese. L'elastico Thormod, tuttavia, si era immediatamente rannicchiato dal terreno erboso calpestato, privo di lividi e incolume. La sua vista più acuta gli permise di individuare il Re e, correndo a perdifiato con i suoi compagni, assalirono Luigi alle spalle. Mentre Luigi menava fendenti a destra e a manca, Thormod gli corse dietro e, spingendo sul Re contro il punto debole del suo usbergo, lo ferì pericolosamente sotto la scapola; ma Luigi, girandosi rapidamente, spaccò il cranio dell'avversario. Ugo il Grande si riversò anche con le sue forze, e i Danesi, - novemila miscredenti, - portandosi alle loro navi, abbandonarono la loro impresa. I Francesi si gloriarono del massacro. Il Partito Cristiano avendo riguadagnato la sua preponderanza, il regolare ordine delle cose fu pienamente ristabilito. I Reggenti riassunsero i loro poteri, Oslac, Rodolfo Torta e Bernardo Barba Grigia: quest'ultimo, onorato e rispettato da tutti i partiti, fu considerato il luogotenente del Sovrano.

La "Battaglia della Riscossa" - La sua importanza 

La località in cui si scontrarono gli eserciti non è accertata, ma probabilmente il conflitto finale è avvenuto da qualche parte vicino al confine di Ponthieu. Pertanto designeremo la battaglia come "Battaglia della Riscossa", perché il suo esito ha assolutamente liberato il giovane Riccardo dalla stretta dei Danesi Pagani, e perché una battaglia senza nome non è citabile nella Storia. La storia ci viene raccontata con toni di trionfo - i cronisti mostrano un'animazione inusuale nei loro brevi dettagli - L'inizio agile dell'aggressore rovesciato e il destino del Vichingo in agguato - sono episodi che conferiscono un carattere romantico alla narrazione, rarissimo in questo periodo di opaca ma sanguinaria ostilità. Un Re Cristiano impegnato in un singolo combattimento, inseguendo i manigoldi pagani e impugnando la sua arma in mezzo alla mischia, aveva conseguito risultati che resuscitavano i giorni antichi della gloria imperiale.

CONCLUSIONI 

Lo vedete quanto può essere interessante la Storia? Certo, depreco il sostegno dato da Palgrave alla Chiesa Romana e al Partito Romanizzato. Appoggio senza esitare Odino, Thor e i Pagani, augurandomi che il costume del sacrificio di sangue detto blót sia ripristinato! Possano sorgere numerosi coloro che elevano i blót e tornare ad animare il mondo col loro fervore!

LINGUA NORRENA E PAGANESIMO IN NORMANDIA: IL CASO DI ROBERTO IL DIAVOLO

In tutte le scuole si insegnano le gesta di  Guglielmo il Conquistatore (1028-1087), che vinse la battaglia di Hastings nel 1066 e si impadronì dell'Inghilterra. Meno noto agli studenti è suo padre Roberto, soprannominato il Magnifico. Sesto Signore di Normandia e quarto a ottenere formalmente il titolo di Duca, la sua data di nascita è incerta (tra il 1002 e il 1010), mentre la sua morte avvenne a Nicea nel 1035, sulla via di ritorno da un improbabile pellegrinaggio in Terrasanta. Oltre ad essere acclamato come il Magnifico, il glorioso Duca aveva anche un altro soprannome, certamente meno lusinghiero: fu infatti conosciuto come Roberto il Diavolo. Tuttavia le opere degli storici tacciono ostinatamente sul motivo di tale epiteto, che a quanto pare il mondo accademico francese ha addirittura rimosso. Il problema a dire il vero non è poi tanto recente: gli stessi cronisti Normanni hanno pensato bene di non fare parola di qualcosa che ai loro occhi doveva essere a dir poco scabroso, incompatibile con le posizioni politiche, religiose ed ideologiche che sostenevano a spada tratta. Pur tra le mille difficoltà del caso, siamo infine riusciti a risalire alla vera origine della bizzarra questione. In poche parole, l'impavido nobiluomo Normanno era chiamato così perché persisteva nell'adorazione di Thor, in un contesto in cui il Cristianesimo cercava con tutti i mezzi di imporsi come religione di Stato e come unico culto possibile.

Nel meritorio libro A History of Pagan Europe, di Prudence Jones e Nigel Pennick, a pagina 134 è riportato quanto segue (la traduzione è mia): 

"Anche se i Normanni - gli uomini del nord - erano ufficialmente Cristiani, nel modo consueto prevalsero pratiche di fede duale. Una rinascita del culto di Thor nel decimo secolo fece dei Cristiani una minoranza nel loro stesso paese, e più tardi il padre di Guglielmo il Conquistatore fu conosciuto come Roberto il Diavolo per il suo attaccamento alle antiche vie." 

Le fonti utilizzate da Jones-Pennick sono Brent (1975) e Stenton (1971).

A questo punto ci si deve interrogare su quale possa essere l'origine di questa pervicace devozione a Thor, un fatto a prima vista inaudito che deve aver posto Roberto in cattiva luce nella stessa corte di Rouen - come provato dal soprannome infausto. Cominciamo ad indagare le origini del nobilmuomo in questione.

Roberto era figlio di Riccardo il Buono e di Giuditta di Bretagna. A sua volta Riccardo il Buono era figlio di Riccardo Senza Paura e di Gunnora, una nobildonna danese (nobilissima puella Danico more sibi iuncta, come riportato da André Duchesne nella sua Historiae Normannorum scriptores antiqui; Gunnor ex nobilissima Danorum prosapia ortam, come scrisse Roberto di Torigny). Non si conoscono gli antenati di Gunnora, anche se alcuni sostengono che fosse figlia del Re Harald Blaatand (Aroldo Dente Azzurro) di Danimarca.
Questo è un caso assai complesso e degno di nota sia per le sue implicazioni religiose che per quelle linguistiche. Riccardo Senza Paura aveva infatti sposato Gunnora secondo un rituale pagano. Questo costume del matrimonio more Danico - opposto a quello more Christiano - rimase a lungo comunissimo nella nobiltà della Normandia. Quello che invece è inconsueto è la scelta di una donna danese di nascita da parte di un maggiorente di Rouen: in genere i Normanni prendevano come consorti donne locali. Sposate con rito non cristiano, certamente, ma prive di sangue scandinavo e incapaci quindi di trasmettere ai rampolli la gloriosa eredità dei loro Antenati paterni. Questo fatto, dettato dalla libidine ed estremamente nocivo, fu proprio ciò che causò l'obsolescenza della lingua norrena, come visto in un precedente articolo:  


Va però precisato che tracciare l'estinzione di una lingua non è quasi mai un'impresa semplice, per il semplice fatto che la minima unità portatrice di un idioma è l'individuo e la minima unità efficace di trasmissione il rapporto tra madre e figlio. Nel caso in analisi, le cose sono andate un po' diversamente. Non è probabile che Roberto il Diavolo abbia appreso il Norreno dalla madre, che era bretone. Ipotizzo che Roberto il Diavolo abbia appreso il Norreno dalla nonna Gunnora, che morì nel 1031 e che ebbe quindi tutto il tempo di insegnarglielo. Il nonno, Roberto Senza Paura, senza dubbio conosceva la lingua dei suoi Avi, ma morì nel 996: non poté nemmeno conoscere il nipote. Trovo assai probabile che assieme alla lingua dei Danesi, Gunnora sia stata proprio la fonte della devozione a Thor. Le due cose hanno tutta l'aria di essere andate di pari passo: la pratica cruenta dei blót assieme ad antiche formule di sacrificio, non certo romanze. Sono piuttosto scettico sul fatto che il rampollo in seguito noto come il Magnifico o il Diavolo abbia tratto qualche profitto dalla scuola di Bayeux, di cui ancora fonti medievali abbastanza tarde ci testimoniano l'esistenza. Questo è un mio contributo sul capitale argomento:


Con Roberto il Diavolo si avrebbe quindi l'immissione nel Ducato di una linea di conoscenza della lingua che non proveniva dall'ascendenza materna - né da tentativi di ricostruzione dotta - ma da una reintroduzione viva e diretta dalla Danimarca. Sarebbe estremamente interessante poter confrontare questi modi, di certo tra loro dissimili, di parlare la lingua norrena. Purtroppo i dati necessari per il nostro studio sono andati smarriti e sarà molto difficile poterli recuperare. Ci vorrebbe la bacchetta magica di Harry Potter, che tuttavia non esiste. Un'altra caratteristica degna di nota è la spontaneità dell'apprendimento di una lingua per via diretta dalla famiglia, in netta contrapposizione con la natura artificiale dell'apprendimento scolastico, moderno o antico che sia. Se poi si aggiunge la trasmissione di un culto religioso, si ha la creazione di qualcosa di straordinariamente forte: si ha la creazione di un'identità.

Non è possibile escludere che lo stesso Guglielmo il Bastardo, più noto come il Conquistatore, avesse appreso il Norreno dalla madre Herleva, che fu presa come concubina da Roberto il Diavolo secondo il costume nuziale danese. Donna di umile condizione, nativa di Falaise, Herleva era figlia di un conciatore di pelli conosciuto come Fulbert o Herbert, con ogni probabilità non assimilato alla lingua francese antica a causa della marginalità della sua condizione sociale. Guglielmo fu detto il Bastardo proprio perché nato da un'unione pagana non riconosciuta dalla Chiesa di Roma, cosa che gli oppositori Franchi non mancavano di usare a fini propagandistici. La storiografia francese ha tentato a questo riguardo un colpo davvero basso. Nel tentativo di nascondere la natura eminentemente norrena del nome Herleva (ossia *Herleifa "Eredità dell'Esercito"), lo ha riportato nella forma volgare e assai oscura Arlette, con diverse varianti, tra cui Arlotte (il famoso vocabolo inglese harlot "prostituta" dev'essersi formato da questo materiale). Ecco le gemme di cui la Storia è tutta incastonata, diamanti che la funesta istituzione della scuola vuole a tutti i costi far sprofondare nell'Oblio. 

Sir Francis Palgrave, un grande studioso della Normandia, della sua cultura e della sua Storia, nutriva forti dubbi sul perdurare del Norreno nel Ducato. Egli è sempre stato propenso a ritenere tale lingua obsolescente e destinata all'estinzione già in epoca precoce, pur dovendo in moltissime occasioni ammettere il profondo legame dei Normanni, anche di fede cristiana, con la Scandinavia ancestrale. L'argomento di Palgrave si fonda essenzialmente su questa fallace considerazione: la Chiesa Romana non avrebbe utilizzato la lingua norrena per la propaganda religiosa - non esiste infatti alcuna prova di un simile uso evangelico dell'idioma degli Antenati. Esiste qualche menzione del fatto che si era creata un'associazione tra l'uso del Norreno e l'Odinismo, contrapposto all'uso del Romanzo coltivato dall'aristocrazia che per calcolo politico ha adottato la religione Cristiana. Dobbiamo chiederci perché non si ha traccia alcuna di sermoni norreni? Forse perché per tutto il X secolo (e oltre) se un prete avesse osato metter piede fuori da Rouen, sarebbe stato preso a martellate dai Pagani fino ad essere spappolato. Una spiegazione coerente e sensata, mi pare. La toponomastica di origine norrena in Normandia è incredibilmente fitta, al punto che possiamo trovare nei nomi dei paesi e del paesaggio una gran massa di vocabolario scandinavo. Come possiamo spiegare questo? Semplice. Il norreno rimase a lungo tra i contadini e tra i marinai, anche quando si andava spegnendo tra i nobili arroccati nella loro Rouen. Una cosa di cui nessuno vuole parlare, dato che i libri usati dall'istituzione scolastica considerano soltanto i grandi e le battaglie, cancellando le popolazioni.