lunedì 4 marzo 2019

TORET E TUR: THOR IN NORMANDIA

Nel Roman de Rou (Romanzo di Rollone), il poeta Roberto Wace  (1100 - 1175), Anglo-normanno di Jersey, ha scritto cose molto interessanti dell'Arcivescovo Maugero di Rouen (Malgerius Rothomagensis), ecclesiastico di mala fama, di cui si dice che tenesse commercio con uno spirito familiare - cosa che dovrebbe essere sorprendente per un uomo della sua condizione. Ecco i versi in questione (righe 9713-9722):

Plusors distrent por vérité
Ke un deable aveit privé,
Ne sai s'esteit lutin u non,
Ne sai nient de sa façon;
Toret se feseit apeler,
E Toret se feseit nomer.
E quant Maugier parler voleit
Toret apelout, si veneit;
Plusors les poeient oïr,
Maiz nus d'els nes poet véir.
 

Questa è la traduzione in italiano, fatta dal sottoscritto:

Molti dissero per vero
Che aveva un diavolo privato,
Non so se era un folletto o no,
Non so niente del suo aspetto;
Toret si faceva chiamare,
E Toret si faceva nominare.
E quando Maugier voleva parlare
Chiamava Toret, e lui lì veniva;
Molti lo poterono udire, 
Ma nessuno di loro lo poté vedere.
 


Orbene, è evidente che Toret è il nome di Thor con un suffisso diminutivo romanzo -et. Sir Francis Palgrave, volendo rimuovere questa reliquia pagana, ha forgiato con l'inganno una falsa etimologia. Prima ha affermato che Toret sarebbe da emendare in *Toreit, quindi ha ricondotto il nome al vocabolo tedesco Torheit, che significa "follia". Per spiegare qualcosa di chiaro ed evidente, introduce un elemento oscuro e incongruo - senza poter spiegare come sarebbe arrivato al povero Maugero. 

Sempre nel Roman de Rou, si riporta che nella battaglia di Val-de-Dunes, uno dei signori Normanni, Rodolfo (Raoul) Tesson, aveva come urlo di guerra Tur aïe, ossia "Thor (mi) aiuti", mentre Guglielmo il Bastardo invocava il Dio dei Cristiani: Dex aïe, ossia "Dio (mi) aiuti". Ecco l'originale nella varietà anglo-normanna della lingua d'oïl (righe 9046-9097): 

Maiz sis homes l'en unt préié,
E pur bien li unt cunseillé
Ke sun dreit Seignor ne bataille
Ke ke il face, aillors ne faille;
Guillame est sun natural Sire.
Et il sis homs ne puet desdire;
Pensa ke il li fist homage,
Véant sun pere et sun barnage;
N'a dreit el fié ne à l'onor
Ki se cumbat à son Seignor.
A ço, dist Raol, nos tenons;
Vos dites bien, si le ferons.
De la gent donc esteit emmie,
Poinst li cheval criant
Tur aïe,
Si homes fist toz arester,
El Duc Wiliame ala parler.
Par li champ vint esperuntant,
Son seignor féri de son gant,
Poiz li a tot en riant dit:
De ço ke jo jurai m'aquit;
Jo jurai ke jo vos ferreie
Si tost com jo vos trovereie; 
Por mon serement aquiter,
Quer jo ne me voil perjurer,
Vos ai féru; ne vos poist mie;
Ne faiz por altre félunie,
E li Dus dist: Vostre merci,
E Raoul atant s'en parti.
Willame va par la campaigne;
Des Normanz meine grant compaigne,
Li dui Viscuntes vait quérant,
E li perjures demandant.
Cil li mostrent, ki les cognurent,
De l'altre part ù lor gent furent.
Mult voïssiez par li campaignes
Mouver conreis è chevetaignes;
N'i a riche home ne Baron,
Ki n'ait lez li son gonfanon,
U gonfanon u altre enseigne
U sa mesnie se restreigne,
Congnossainces u entre-sainz, 
De plusors guises escuz painz.
Mult voïssiez ces champs frémir,
Poindre chevals è porsaillir,
Haintes lever, lances brandir,
Escuz è helmes reluisir.
Si come poignent criant vunt
I tels enseignes com il unt:
Cil de France crient:
Montjoie,
Ceo lor est bel ke l'en les oie;
Williame crie:
Dex aïe;
C'est l'enseigne de Normandie.


Questa è la traduzione in italiano, fatta dal sottoscritto (spero che non sia troppo grossolana):

Ma i suoi uomini lo hanno pregato
E per il bene lo han consigliato
Che il suo legittimo Signore non combatta
Che chi lo faccia, allora non manchi;
Guglielmo è il suo Signore naturale.
E i suoi uomini non può contraddire; 
Pensò che lui gli fece omaggio,
Davanti a suo padre e al suo baronaggio; 
Non ha diritto al feudo né all'onore
Chi combatte contro il suo Signore. 
A ciò, disse Rodolfo, noi teniamo;
Voi dite bene, qui lo faremo.
Della gente quindi era nemico,
Punse il cavallo, gridando:
Thor aiuti!
Qui tutti gli uomini fece fermare
Al Duca Guglielmo andò a parlare.

Per il campo venne speronando,
Il suo Signore ferito dal suo guanto,

Poi lui a tutti ridendo dice:
Di ciò che giurai ho soddisfazione;
Io giurai che vi avrei colpito col ferro

Giusto qui come vi avessi trovato
Per soddisfare il mio giuramento,
Ché non voglio spergiurare,

Vi ho ferito; voi non potete mica;
Non faccio fellonia contro un altro,
E il Duca disse: Vostra mercé,
Intanto Rodolfo se n'era andato.
Guglielmo va per la campagna;
Dei Normanni guida una grande compagnia,
I due Visconti va cercando, 
E chiedendo degli spergiuri.
Quelli gli mostrano, chi li conobbe 
Dall'altra parte, dove fu la loro gente
Molti voleste per le campagne
Muovere provvigioni e capitani;
Non c'è ricco uomo né Barone
Che non abbia lungo il suo gonfalone,
O gonfalone o altra insegna,
Dove la sua armata si raduna;
Conoscenze o segnali d'identificazione,
Di molti tipi di scudi pagani.
Molti voleste far tremare questi campi,
Pungere cavalli e farli caracollare,
Alzare picche, brandire lance,
Scudi ed elmi far splendere.
Così come combattendo vanno gridando
Tali urli di guerra, come li hanno:
Quelli di Francia gridano:
Montjoie;
Il loro è bello che lo si senta;

Guglielmo grida: Dio aiuti!
È l'urlo di guerra della Normandia.


Ammetto di aver penato un po': se ho reso il significato, spesso ho dovuto rinunciare alla rima. Si converrà che la narrazione è un po' sconnessa, ben lontana dai canoni moderni. Tra l'altro non sono nemmeno sicuro che esista una traduzione in italiano del Roman de Rou. Abbiamo tonnellate di materiali oltremodo interessanti e sprofondati sotto metri di polvere, nella totale incuria degli accademici (non solo italiani).  

Torniamo a ciò che più ci preme, ossia a Thor. Trovo che sia molto significativo il contrasto tra l'urlo di guerra di Rodolfo Tesson e quello di Guglielmo il Bastardo: siamo di fronte a due mondi che collidono - proprio come nelle saghe norvegesi e islandesi che descrivono la cristianizzazione. Anche in questo caso, si segnalano puerili tentativi fatti da accademici politicizzati e in malafede per rimuovere ogni accenno al Paganesimo ancestrale. Così Auguste Le Prévost ha trasformato Tur aïe in Thury, che sarebbe stato il nome della fantomatica signoria di Rodolfo Tesson. Fantomatica, va rimarcato, perché non risulta attestato alcun toponimo Thury pertinente al contesto. Fare violenza ai dati reali per adattarli a tesi preconcette era ed è tuttora un costume molto diffuso.

Sir Francis Palgrave voleva far credere che la lingua norrena in Normandia fosse scomparsa all'istante, come per magia, all'atto stesso della concessione del Ducato a Rollone o comunque poco dopo; per contro egli afferma che la lingua romanza fu molto coltivata, prosperando a tal punto da dare origine alle più antiche varianti dialettali documentate della lingua d'oïl. Eppure proprio il teonimo Tur ci dice che anche la lingua norrena poté vivere abbastanza per creare a sua volta varianti dialettali. Infatti la testimonianza di Roberto Wace, oltre alla toponomastica e agli antroponimi attestati, prova al di là di ogni dubbio che il norreno di Normandia era cambiato rispetto a quello importato dalla Danimarca e dalla Norvegia. 

La forma norrena originale è Þórr, la cui pronuncia è /θo:rr/, con una vocale lunga e chiusa. L'evoluzione è stata la seguente: /θo:rr/ è diventato /to:r/ (scritto Tor-), quindi /tu:r/ (scritto Tour-, Thour-) e addirittura /tü:r/ (scritto Tur, Tur-). Numerosi nomi propri di Vichinghi stanziati in Normandia sono diventati col tempo cognomi, spesso tuttora vivi. Così abbiamo i seguenti esempi: 

Thouroude < Þórvaldr "Potere di Thor"
Tostain, Toutain < Þórsteinn "Pietra di Thor"
Tourquétil, Turquétil, Turquéty <
Þórketill "Calderone di Thor"
Turgard, Tougard < Þórgarðr "Protezione di Thor"

Turgis
< Þórgísl "Ostaggio di Thor"
Turgot < Þórgautr "Gauto di Thor"*


*I Gauti erano un popolo della Svezia meridionale. Stretta era la loro parentela con i Goti.

Si noterà che questa evoluzione della vocale lunga /o:/ in /u:/ e in /ü/, documentata già in Wace, è assai singolare. Non si ritrova in alcuna varietà norrena finora nota. Certamente il passaggio da /o:/ a /ü:/ non può essere avvenuto per semplice adattamento alla fonologia della lingua romanza e presuppone quindi l'esistenza di un dialetto norreno peculiare, su cui richiamo l'attenzione degli studiosi.

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