Alcuni si ostinano a credere che Romolo e Remo tra le altre cose avessero la consonante /v/ nel loro latino arcaico. Costoro sono come quei registi di filmacci da quattro soldi che ritraevano i Romani del V secolo d.C. con un gonnellino da Orazio Coclite: il loro peccato è l'anacronismo.
La -u- tra due vocali, scritta con la consonante distinta -v- dai moderni, in epoca classica doveva avere il suono /w/, che si è poi trasformato in bilabiale /β/ e quindi in /v/. Se per assurdo fosse esistito il suono /v/ ab aeterno, non si potrebbe spiegare come mai oltre all'originale divus esistesse la forma abbreviata deus. La forma arcaica della parola era deiuos /deiwos/ (attestata nella cosiddetta iscrizione di Duenos come accusativo pl. /deiwo:s/), e da questa regolarmente si è sviluppata la forma divus /di:wus/: il dittongo /ei/ antico si è evoluto in /i:/. Tuttavia oltre alla forma /di:wus/, che pure si è conservata grazie al linguaggio dotto, ha avuto origine la forma contratta /deus/. Vediamo poi che il nominativo plurale dei /dei:/ si è ulteriormente evoluto in dii /dii:/ e infine contratto in di /di:/. Altre forme analoghe si trovano nella flessione di questa parola: dativo e ablativo plurale diis /dii:s/, contratto in dis /di:s/. A maggior ragione simili contrazioni non sarebbero mai state possibili se il suono consonantico intermedio non fosse stato molto fievole.
Dalla stessa base deriva l'aggettivo divinus /di:'wi:nus/, attestato anche nella forma contratta dinus /di:nus/. In funzione di aggettivo, oltre a divus si trova anche dius /di:us/, f. dia /di:a/, la cui vocale tonica non ha subito correptio. Appartiene alla stessa radice il teonimo Diana, che sta per il più antico Diviana. La semantica potrebbe essere stata influenzata dalla parola etrusca tiv "luna", usata anche come teonimo. Tutti questi sviluppi sono difficili da immaginarsi se il suono fosse stato quello dell'italiano.
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