lunedì 12 dicembre 2016

IL VAMPIRO DI KISILOVA


Un uomo, di nome Peter Plogojowitz(1), era morto [ed era stato sepolto nella terra secondo il costume della Rezia](1). Egli viveva nel villaggio di Kisilova(2), nel distretto di Rahm(3) in Serbia. Trascorse dieci settimane, si era diffusa la voce che in quello stesso luogo, nel giro di una sola settimana ben nove persone, vecchi e giovani, erano morte a seguito di una fulmine malattia protrattasi non più di ventiquattro ore. Tutti, sul letto di morte, vevano dichiarato apertamente e pubblicamente che il suddetto Peter Plogojowitz, morto dieci settimane prima, era venuto a visitarli ai piedi del letto, li aveva vampirizzati dicendo loro che da lì a breve sarebbero diventati dei fantasmi. La convinzione che Peter fosse un vampiro era poi stata ulteriormente e fortemente confermata dalla testimonianza della moglie, la quale aveva rivelato che il marito defunto si era presentato pure a lei chiedendole le sue opanki, le scarpe, perché aveva intenzione di recarsi presso un altro villaggio. Poiché questi esseri (che vengono chiamati vampiri) possono essere riconosciuti da molti segni - come, per esempio, il corpo incorrotto, la pelle, i capelli, la barba e le unghie in continua crescita - i paesani avevano dunque deciso di scoperchiare la sua bara e vedere se questi segni fossero presenti. Con questa intenzione, essi erano venuti da me per raccontarmi i fatti, pregandomi di assistere all'operazione, unitamente al pope, il prete del villaggio. Quando, dapprincipio, mi ero rifiutato, dicendo che sarei stato costretto, per le mie funzioni, a segnalare ogni cosa all'amministrazione così che la loro stravagante convinzione sarebbe stata nota a tutti, essi non se n'erano dati per intesi, rispondendomi che a loro poco importava che cosa avessi fatto, perché l'unica cosa importante era che accettassi di assistere agli eventi con un riconoscimento ufficiale e legale, altrimenti tutti loro avrebbero fatto sapere a Belgrado di essere costretti, per causa mia, ad abbandonare le case e a lasciare il villaggio - cosa che, stando a loro, era già avvenuta almeno una volta al tempo della dominazione turca - perché uno spirito malvagio come quello avrebbe potuto ucciderli tutti e questo, ovviamente, nessuno di loro desiderava avvenisse.
Non essendo dunque in grado di oppormi a questa loro definitiva risoluzione, invitato con le buone e con le cattive, mi ero recato al villaggio di Kisilova, unendomi per strada al pope di Gradisk. Qui avevo avuto modo di vedere il corpo appena estratto dalla bara di Peter Plogojowitz, accorgendomi subito, prima ancora di dare inizio a qualsivoglia osservazione, che non esalava alcun fetore, come, al contrario, avrebbe dovuto succedere a un cadavere, visto che l'intero corpo, fatta eccezione per il naso che era corroso, era perfettamente intatto e fresco. Capelli e barba - ma anche unghie nuove che avevano scalzato le precedenti - avevano ocntinuato a crescere, mentre la vecchia pelle, dal colore lievemente biancastro, era scivolata via, lasciando ben intravedere la ricrescita di un nuovo strato di epidermide. Il volto, le mani, i piedi, in definitiva l'intero corpo si erano conservati intatti, e forse non erano stati così floridi neppure quando l'uomo era in vita. Devo confessare che non senza una grande sorpresa ebbi modo di notare del sangue fresco sulla sua bocca, quello stesso che, stando alle dicerie della gente, egli aveva succhiato alle sue vittime. In breve, tutti i segni distintivi erano presenti in lui, proprio come la gente si era aspettata di trovare. Dopo che sia io che il pope avevamo constatato tutto questo, mentre nel popolo più che il timore stava montando una rabbia feroce, qualcuno, con gande rapidità aveva appuntito un paletto di legno destinato a essere conficcato nel cuore del morto. Quando ciò era accaduto, sangue fresco era sgorgato in abbondanza, fuoriuscendo anche da tutti gli altri orifizi del volto, come le orecchie e la bocca. Ma questi non sono stati gli unici segni; ne abbiamo apprezzati altri che non sto qui a elencare [l'ufficiale sottintende il fatto che l'uomo, fra le altre cose, aveva avuto un'erezione](4). Alla fine di tutto, nel pieno rispetto delle loro usanze, avevano bruciato il corpo, in hoc casu, riducendolo in cenere. Su questi fatti ho ritenuto di dover informare la illustrissima amministrazione, chiedendo, in piena e totale umiltà e obbedienza, che se un qualche errore è stato compiuto, non venga a me attribuito ma alla folla, nella circostanza guidata da un formidabile terrore.
    Firmato: il funzionario imperiale del distretto di Gradisk(5).

Alcune osservazioni 

I fatti descritti in questo documento si sono svolti nel 1725, quindi qualche anno prima dei portentosi avvenimenti di Medvegia. Era per la regione balcanica un periodo di grande instabilità. La Serbia, acquisita agli Asburgo col trattato di Passarowitz nel 1718, sarebbe tornata agli Ottomani col trattato di Belgrado del 1938. In questo contesto, l'Impero inviava nei villaggi serbi i suoi funzionari per fare chiarezza sulle inquietanti voci di attività vampirica, che si moltiplicavano a dismisura generando panico tra il volgo. Proprio la pubblicazione dei resoconti sui succhiatori di sangue della Serbia, diffusa in Germania, in Inghilterra e in Francia, ha dato origine a epidemie di isterismo. Aleksej Kostantinovič Tolstoj, secondo cugino del più noto Lev, doveva conoscere bene sia il documento di Frombald su Kisilova che quello di Fluchinger su Medvegia. Utilizzò infatti tale materiale come fonte di ispirazione per scrivere il suo splendido racconto sull'argomento, La famiglia del Vurdalak (scritto nel 1839). L'opera dello scrittore russo può essere letta online alla seguente pagina (che come molti altri siti data il racconto al 1847): 


Il testo sul caso Plogojowitz è riportato, come già quello sui Vampiri di Medvegia, nel volume Il grande libro dei misteri irrisolti, di Colin & Damon Wilson. Nel Web il documento si ritrova in Google Books, per fortuna non interrotto dall'assenza casuale di pagine a causa della tirannia del copyright, che sa essere più fastidiosa dei succhiatori di sangue, soprattutto se anziché tutelare da gravi abusi è messa lì dal Principe del Malgoverno al solo scopo di impedire la diffusione della Conoscenza e di ostacolare il progresso scientifico. 

Note

(1) In serbo il nominativo del contadino è Petar Blagojević. Spesso i parlanti tedeschi hanno difficoltà a distinguere le occlusive sonore da quelle sorde in parole straniere, in particolare /b/ suona alle loro orecchie come /p/. Famoso è il caso dell'ex Pontefice Ratzinger, che anziché bambini diceva pampìni. Non è improbabile che la seconda rotazione consonantica abbia avuto origine da simili abitudini fonetiche. 
(2) L'inciso da me aggiunto è stato tradotto dal testo originale, che ha "und nach Raitzischer Manier zur Erden bestattet worden". Per non si sa quale ragione, nel testo italiano solitamente pubblicato questa spiegazione viene omessa. Ovviamente la Rezia non è in questo caso la provincia alpina dell'Impero Romano, ma l'adattamento di un toponimo serbo Rajca (Raitza). Questa risulta ancora in uso, ma non è facile trovarne traccia in Google se non si utilizza l'esatta ortografia.
(3) A quanto pare si tratta del villaggio che oggi è chiamato Kisilijevo. La cosa non è tuttavia sicura al 100%. Il testo tedesco originale ha Kisolova anziché Kisilova, cosa che non deve stupire, data la grande instabilità delle ortografie usate nel mondo germanofono per trascrivere i toponimi e gli antroponimi slavi.

(4) Corrisponde alla città serbo chiamata Ram, che si è sviluppata attorno all'omonimo castello. Chiaramente la scrittura Rahm è dovuta alle abitudini grafiche dei funzionari austriaci e non ha alcun fondamento etimologico, essendo la lettera -h- un mero segno diacritico utilizzato per esprimere la lunghezza della vocale precedente. Anche in questo caso, se non si azzecca la forma esatta, Google non mostra segni di grande malleabilità.   
(5) L'esplicito riferimento all'erezione è stato aggiunto, in quanto non figura nel documento originale, che ha soltanto
"welche wegen hohen Respect umgehe". Con ogni probabilità gli autori di questa spiegazione sono proprio gli Wilson, che hanno ritenuto necessario far capire al pubblico una frase un po' troppo ermetica.
(6) Il nominativo del funzionario imperiale non sembra essere menzionato da Colin e da Damon Wilson nel loro volume. Si tratta del Vicario Frombald. A quanto consta non è un personaggio ben tracciabile, tanto che alcuni pensano addirittura che il suo vero cognome fosse Fromann.

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