Hyon B. Shin e Robert A. Kominski sono gli autori del rapporto Language Use in the United States: 2007, ossia "L'uso delle lingue negli Stati Uniti: 2007". Il lavoro è stato rilasciato nell'Aprile 2010 dall'American Community Survey - Census Bureau (ACS) e si trova nel Web al seguente url:
Introduzione
"Questo rapporto fornisce informazioni sul numero e sulle caratteristiche della gente negli Stati Uniti nel 2007 che parlava in casa una lingua diversa dall'inglese. Mentre la vasta maggioranza della popolazione al di sopra dei 5 anni negli Stati Uniti parlava solo inglese in casa (80 per cento), la popolazione che parlava in casa una lingua diversa dall'inglese è cresciuta nettamente negli ultimi tre decenni. Il numero di parlanti è cresciuto per molte lingue diverse dall'inglese, ma non per tutte. In questo rapporto si evidenzia questo paesaggio in mutamento dei parlanti di lingue diverse dall'inglese negli Stati Uniti."
Il questionario e la sua struttura
I dati dell'American Community Survey, relativi al 2007, sono stati usati per descrivere l'uso delle lingue da parte della popolazione statunitense dai 5 anni in su. Le risposte alle domande sulla capacità di parlare inglese e altre lingue che erano raccolte ogni dieci anni in un censimento, adesso sono raccolte ogni anno nell'ACS. La prima domanda riguarda chiunque abbia cinque o più anni, e chiede se la persona in questione parla in casa una lingua diversa dall'inglese. A ogni persona che risponde "sì" a questa domanda è richiesto di riportare la lingua. Il Census Bureau codifica le risposte col dettaglio di ben 381 lingue. La terza domanda serve a capire "quanto bene" la persona parli l'inglese, dando le opzioni "molto bene", "bene", "non bene" e "per niente". I risultati raccolti sono stati elaborati e usati per produrre un gran numero di tabelle e di mappe.
Tendenze 1980-2007
I risultati dell'indagine, riassunti in un'apposita tabella, mostrano la crescita di alcune lingue dal 1980 così come il declino relativo di altre. Nel 1980, 23,1 milioni di persone parlavano in casa una lingua diversa dall'inglese, contro i 55,4 milioni di persone nel 2007: un aumento percentuale del 140% in un lasso di tempo in cui la popolazione degli USA è cresciuta del 34%. Il più grande aumento è stato per i parlanti dello spagnolo (23,4 milioni in più nel 2007 rispetto al 1980). I parlanti del vietnamita hanno avuto il più grande aumento percentuale (511%). Otto lingue sono più che raddoppiate in numero di parlanti nel corso dello stesso periodo, incluse quattro che avevano meno di 200.000 locutori nel 1980: russo, persiano, armeno e vietnamita. Alcune lingue sono declinate dal 1980. L'italiano, la seconda lingua non inglese parlata nel 1980 dopo lo spagnolo, ha avuto un declino netto di circa 800.000 parlanti (50%). Adesso è alla nona posizione nella classifica delle lingue non inglesi parlate in ambito domestico. Anche altre lingue, come il polacco, lo Yiddish e il greco, hanno avuto consistenti decrementi. Anche il tedesco non gode di buona salute, pur non avendo subìto un vero e proprio collasso. Mentre l'accresciuta immigrazione ha portato guadagni per certi gruppi di lingue, altri gruppi hanno sperimentato l'invecchiamento della popolazione e flussi oscillanti di migrazione negli Stati Uniti.
Alcune considerazioni deprimenti
Il rapporto mostra numeri e mappe molto utili, di grandissimo interesse scientifico, tuttavia sono convinto che la realtà sia descritta in termini un po' asettici e in alcuni casi a dir poco eufemistici. Prendiamo per esempio il disastroso crollo della comunità italo-americana. Quando si parla del declino netto di circa 800.000 parlanti della lingua italiana, si parla di 800.000 di cadaveri il cui smaltimento è stato tutt'altro che facile! Immaginate di essere becchini e di trovarvi all'improvviso di fronte a quasi un milione di corpi in decomposizione da inumare, tumulare o cremare: di certo vi mancherebbe il respiro! Certo, la comunità italo-americana finora non ha subìto un genocidio (anche se il futuro è incerto): le morti sono avvenute piuttosto per stillicidio, nell'arco di diversi decenni. Il fenomeno è comunque impressionante e mi ha colpito profondamente. Tanto più che va considerato al netto di flussi migratori recenti dall'Italia, così il collasso può essere stato ancor più marcato. Nel rapporto di Shin-Kominski, quanto mai approssimativo nel classificare le lingue, si accomuna la lingua italiana a parlate italo-americane il cui lessico consiste in gran parte di parole inglesi italianizzate nella fonetica, con qualche traccia di voci dei dialetti meridionali. Questi sono alcuni esempi: bisinissi "affari", tracco, trocco "camion" (< truck), baccauso, baccausa "cesso" (< backhouse), p'o becco "da dietro" (< back), coppesteso "in cima alle scale" (< 'ncopp' "in cima" + stairs), genitore "portinaio" (< janitor), stima "caldaia" (< steamer), guazzamara? "che succede?" (< what's the matter?), orrioppo! "sbrigati!" (< hurry up!), sanguiccio "sandwich, tramezzino" e via discorrendo. Un decennio dopo la situazione fotografata dal presente rapporto, le comunità italo-americane sono state oggetto di violenze e di ostilità montante da parte degli antirazzisti (o meglio autorazzisti), inferociti per via della celebrazione del Columbus Day, da loro definito "suprematista". Se la tendenza andrà avanti, finirà che i superstiti italo-americani dovranno essere chiusi nelle riserve: sarebbe l'unico sistema per tutelarli dalla furia degli autorazzisti.
Il melting pot
Per le autorità statunitensi, l'ideale è sempre e soltanto la completa assimilazione di ogni componente alloglotta, il solo fine è il trionfo dell'inglese d'America - che personalmente trovo orrendo, anche se so bene che non esistono lingue brutte in sé. Il modello proposto è raggelante nella sua banalità - per quanto non mi piaccia parafrasare la Arendt.
1) Prima generazione di immigrati: monolingui nell'idioma di origine;
2) Seconda generazione di immigrati: bilingui nell'idiona di origine e in inglese;
3) Terza generazione di immigrati: lingua madre inglese, qualche conoscenza dell'idioma di origine;
4) Quarta generazione di immigrati: integrazione completata, inglese unica lingua, al massimo conoscenza di qualche parola o frase dell'idioma di origine.
5) Quinta generazione di immigrati: oblio totale della propria origine, testimoniata al massimo dal cognome (nella maggior parte dei casi soggetto a pronuncia ortografica).
2) Seconda generazione di immigrati: bilingui nell'idiona di origine e in inglese;
3) Terza generazione di immigrati: lingua madre inglese, qualche conoscenza dell'idioma di origine;
4) Quarta generazione di immigrati: integrazione completata, inglese unica lingua, al massimo conoscenza di qualche parola o frase dell'idioma di origine.
5) Quinta generazione di immigrati: oblio totale della propria origine, testimoniata al massimo dal cognome (nella maggior parte dei casi soggetto a pronuncia ortografica).
Dove questo sistema non vuol saperne di attecchire, scatta la repressione. Repressione democratica, of course. Questo è il caso, tristissimo, dei tedeschi del Texas. Una popolazione laboriosa e onesta, che da generazioni usava la propria lingua avita, detta Texasdeutsch. Questi germanofoni restavano tra loro, avevano pochi contatti con l'esterno e non si assimilavano. Così è accaduto che all'epoca della seconda guerra mondiale sono stati accusati di aderire al Nazionalsocialismo e di sostenere il Reich Millenario. Con questo pretesto capzioso e fabbricato, del tutto falso, migliaia di persone sono state deportate, rinchiuse in campi di prigionia e riallocate nelle terre d'origine solo in seguito, a conflitto finito. In particolare è stata proibita loro la trasmissione del tedesco ai figli, anche tramite sistemi di lavaggio del cervello e di indottrinamento operato dal moloch del sistema scolastico. Come risultato di queste politiche, oggi il tedesco del Texas è parlato soltanto da pochi anziani ed è destinato all'estinzione.
Senilità di una lingua
Fa riflettere l'orribile fato che ha colpito lo Yiddish. Un tempo fiorente, l'idioma giudeo-tedesco ha finito con l'essere perseguitato e stritolato in Israele all'urlo di "un popolo, una lingua" (in ebraico "Am ehàd, safà ahàt"). Definito "meno kosher della carne di porco", è stato una vittima delle dottrine di Theodor Herzl. Come se non bastasse, muore anche negli States. A tal punto siamo arrivati, che l'ashkenazita Barbra Streisand non sopporta che il suo cognome sia pronunciato /'ʃtraɪzant/, come lo pronunciavano i suoi antenati, così cerca di imporne una pronuncia anglizzata /'straɪsænd/. Siamo al paradosso e all'assurdo! Sorprende che tutto ciò accada nonostante l'assenza di persecuzione dello Yiddish negli Stati Uniti. Eppure non ci sono dubbi, la diagnosi è chiara: è una lingua che va incontro alla dissoluzione finale e viene cancellata come la memoria di una persona affetta dal morbo di Alzheimer.
Ispanici rampanti
Il sistema della sostituzione linguistica prescritto dalle autorità americane ovviamente può valere soltanto in sistemi quasi isolati, in cui i parlanti alloglotti si trovano immersi in una realtà anglofona e sono indotti ad assimilarsi. Non funziona affatto se ci sono incessanti flussi migratori, come nel caso degli ispanofoni, che giungono nel territorio statunitense e vi si radicano per accumuli, tanto da far temere ai WASP un profondo cambiamento etnico e culturale in alcuni stati, come la California, il Nuovo Messico e il Texas. Di fronte a un fenomeno tanto esteso, ecco un Trump uscirsene con l'idea di costruire un muro. A quanto pare nessuno gli ha insegnato che per ridurre l'entropia in un territorio occorre crearne molta di più altrove, per giunta consumando risorse in quantità immani. Dubito molto che sarà evitata l'ispanizzazione delle regioni di frontiera con Messico - dettaglio del tutto irrilevante di fronte a problemi ben più gravi. L'avvenire degli USA può essere soltanto il caos.
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