Per molto tempo, il miglior vino dell'antica Roma è stato il cècubo (latino caecubum). Fin da quando ho sentito menzionare questa bevanda per la prima volta, mi sono interrogato sull'etimologia del suo nome. Mi sono anche reso conto che non esisteva una letteratura scientifica in grado di diradare le tenebre dell'ignoranza. Da quell'epoca sono cambiate molte cose e la possibilità di trovare informazioni interessanti si è accresciuta notevolmente. Ho quindi utilizzato il Web per cercare lumi. Questo riporta il celeberrimo Vocabolario Treccani:
cècubo s. m. [dal lat. (vinum) Caecŭbum]. – Famoso vino che si produceva in età romana nel Caecubus ager, nel territorio di Fondi; il nome è stato ridato oggi a un vino rosso pallido prodotto nella stessa zona, spec. a Sperlonga.
Ecco. Appurate queste cose, peraltro già note da secoli, mi chiedo come sia possibile che nessuno abbia cercato di indagare più a fondo sull'etimologia del toponimo Caecubus ager, chiaramente connesso con l'oronimo Caecubi montes "Monti Cecubi", da cui derivò il nome della pregiata bevanda.
L'eccellente bevanda raggiunse il culmine della sua fama quando fu usata dal dal popolo di Roma per festeggiare la morte della povera Cleopatra, come documentato da un componimento di Orazio (Libro I, Ode 37). Questa è la parte che ci interessa:
Nunc est bibendum, nunc pede libero
pulsanda tellus, nunc Saliaribus
ornare pulvinar deorum
tempus erat dapibus, sodales.
Antehac nefas depromere Caecubum
cellis avitis, dum Capitolio
regia dementis ruinas
funus et imperio parabat
contaminato cum grege turpium
morbo virorum, quidlibet impotens
sperare fortunaque dulci
ebria. ...
pulsanda tellus, nunc Saliaribus
ornare pulvinar deorum
tempus erat dapibus, sodales.
Antehac nefas depromere Caecubum
cellis avitis, dum Capitolio
regia dementis ruinas
funus et imperio parabat
contaminato cum grege turpium
morbo virorum, quidlibet impotens
sperare fortunaque dulci
ebria. ...
Traduzione:
O amici, ora bisogna brindare, ora bisogna battere la terra con il piede libero, era ora di ornare le immagini degli dei con cibi degli dei Salii.
Prima di ora non era lecito spillare il cecubo dalle cantine degli antenati, mentre una regina preparava folli rovine per il Campidoglio e per l'Impero
con un gregge di uomini turpi contaminato dalla perversione, sfrenata nello sperare qualsiasi cosa ed ubriaca per la dolce fortuna. ...
Prima di ora non era lecito spillare il cecubo dalle cantine degli antenati, mentre una regina preparava folli rovine per il Campidoglio e per l'Impero
con un gregge di uomini turpi contaminato dalla perversione, sfrenata nello sperare qualsiasi cosa ed ubriaca per la dolce fortuna. ...
La storia del nobilissimo liquore di Bacco ebbe una brusca e inattesa fine, che è possibile leggere come un portento. Uno stravagante esperimento di geoingegneria voluto dal Divo Nerone ha portato alla perdita del cècubo. Siccome all'Imperatore dava sommo fastidio la persistente nebbiolina che gravava sull'area, decise di fare scavare un canale con lo scopo di aumentare la ventilazione. Altri affermano invece che egli cercasse di esumare un fantomatico tesoro appartenuto a Didone, sepolto in quei luoghi secondo una leggenda popolare. Fatto sta che l'imponente opera di scavo ebbe come conseguenza concreta una perdita irreparabile per Roma: l'ager Caecubus non diede più uve in grado di produrre ottimo vino. Dopo che la produzione cessò, rimase soltanto il vino che già stava invecchiando nelle cantine, menzionato ancora da Marziale. Sembra che tra le ultime persone ad averne bevuto, un secolo dopo gli scavi di Nerone, ci sia stato il medico Galeno.
Un'etimologia popolare di Caecubus
Secondo una leggenda di origine non chiara, Caecubus sarebbe stato un ipocoristico del nome del politico e letterato Appio Claudio Cieco (Appius Claudius Caecus), vissuto dal 350 a.C. al 271 a.C., che fu anche un militare e tra le altre cose rivestì le cariche di censore, console, dittatore. Egli aveva ricevuto il suo cognomen, Caecus "Cieco", a causa della sua effettiva cecità, attribuita dalla superstizione del volgo all'ira degli Dei, irritati dalle sue riforme religiose. Su quali siano in concreto queste riforme, il Web è diviso. Alcuni parlano di un'identificazione delle divinità greco-romane con quelle celtiche e germaniche - cosa che mi pare assai dubbia: nella Roma di quell'epoca l'idea di cosa fosse la Germania doveva essere abbastanza nebulosa. Altri parlano dell'assegnazione di alcuni riti del culto di Ercole a una famiglia diversa da quella che tradizionalmente li praticava. Anche questa informazione non l'ho potuta verificare.
Secondo una storiella raccontata nel Web, la plebe avrebbe rumoreggiato nel vedere Appio Claudio Cieco nell'atto di bere avidamente il vino. I popolani avrebbero così commentato dicendo: "Caecus bibendum." A questa frase è stato attribuito il significato di "Cieco che beve". Così si sarebbe formato l'ipocoristico Caecubus. Il problema è che tale frase non è grammaticalmente corretta. In latino il cieco che beve può essere soltanto Caecus bibens. Se ammettessimo come vera questa spiegazione etimologica, la seguente trafila fonetica avrebbe portato a Caecubus partendo dal latino arcaico, quello parlato nel III-IV secolo a.C.:
*Kaikos bibēns =>
*Caicus bibēns =>
*Caecububs =>
Caecubus
Le forme declinate sarebbero state livellate per analogia. Quindi per il genitivo avremmo una trafila fonetica come questa:
*Kaikei bibentis =>
*Caicei bibentis =>
*Caecububuntis =>
*Caecubuntis;
Caecubī, subentrato per analogia a Caecubu(b)s.
Il passaggio da *Caicei bibentis a *Caecububuntis e quindi a *Caecubuntis si spiegherebbe con il tipico indebolimento delle sillabe atone in una fase del latino in cui l'accento cadeva sulla sillaba iniziale delle parole, prima che fosse regolato dalla quantità della penultima sillaba.
Mi rendo conto che tutto ciò sia a dir poco grottesco. Il Caecus bibendum riportato sistematicamente nei siti del Web è a dir poco sospetto e punta all'invenzione. Chi lo ha escogitato non era certo un latinista e non cita alcuna fonte antica.
Ecco una breve confutazione. Il gerundivo di bibere "bere" è bibendus e significa "che deve essere bevuto", "da bere". Non è possibile che la forma neutra bibendum concordi con Caecus, che è maschile, oltre al fatto che non significa "che beve". Così si dice Carthago delenda (est) "Cartagine deve essere distrutta", con un gerundivo femminile. Solo i metallari direbbero Carthago delendum o Caecus bibendum nel loro latino distorto. Se anche considerassimo bibendum come un gerundio, dovrebbe essere preceduto dal nome al dativo: Caeco bidendum, il cui significato sarebbe però "il Cieco deve bere". Nemmeno questa soluzione è soddisfacente per motivi semantici.
bibendum
1) accusativo del gerundio di bibō
2) accusativo maschile singolare del gerundivo (bibendus)
2) accusativo maschile singolare del gerundivo (bibendus)
di bibō
3) nominativo neutro singolare del gerundivo (bibendus)
3) nominativo neutro singolare del gerundivo (bibendus)
di bibō
4) accusativo neutro singolare del gerundivo (bibendus)
4) accusativo neutro singolare del gerundivo (bibendus)
di bibō
5) vocativo neutro singolare del gerundivo (bibendus)
5) vocativo neutro singolare del gerundivo (bibendus)
di bibō
Riporto il link a un compendio sull'uso del gerundivo e del gerundio in latino.
Con ogni probabilità il mito del cieco che beve è soltanto una fabbricazione moderna. Il pacchetto memetico è stato diffuso nella Noosfera da una manciata di siti pubblicitari che hanno a che fare con il turismo enologico. La stessa narrazione ha tutte le caratteristiche dell'etimologia popolare.
Abbiamo provato che la leggenda del Caecus bibens è nel migliore dei casi molto dubbia. Tuttavia, l'etimologia di ager Caecubus e di Caecubi montes è in ogni caso connessa con la stessa radice della parola latina caecus.
caecus
femminile: caeca
neutro: caecum
1) senza luce
2) cieco, che non vede
3) mentalmente o moralmente cieco; accecato
4) cieco, casuale, vago, indiscriminato, senza scopo
5) senza germogli (termine botanico)
6) invisibile, che non può essere visto
7) che non può essere conosciuto, nascosto, segreto, oscuro
8) che ostacola la vista, non trasparente, opaco
9) che ostacola la percezione, oscuro, fosco; incerto, dubbio
Proto-indoeuropeo: *kaikos "monocolo"
(*kéh2ikos nella ricostruzione laringale)
(*kéh2ikos nella ricostruzione laringale)
Proto-italico: *kaikos "cieco", "senza occhi"
Proto-germanico: *χaiχaz "monocolo"
Gotico: haihs "monocolo"
Norreno: Hárr (epiteto di Odino)
Proto-celtico: *kaikos "cieco"; "monocolo"
Antico irlandese: cáech "monocolo"
Medio gallese: coeg "monocolo", "cieco"
Greco: καικίας (kaikías) "vento di Nord-Est"
(lett. "che oscura il cielo")
Proto-Indoario: *kaikaras "strabico"
Sanscrito: kekaraḥ "strabico"
Cosa notevolissima, questa radice è documentata anche nell'onomastica etrusca. La mia idea è che fosse un prestito dal proto-italico.
Etrusco:
1) Kaikna, Caicna, Keikna, Ceicna, Cecna (gentilizio)
=> Latino Caecina, Cēcina, Cēcinna (gentilizio); Caecinius (gentilizio).
Caecina è anche un idronimo ben attestato (attuale Cècina, in Toscana centro-meridionale).
2) Ceice (cognomen): corrisponde al cognomen latino Caecus e al gentilizio Caecius;
Ceicesa "quello di Ceice" (patronimico).
Dai dati mostrati si deduce l'esistenza di questa radice:
kaik-, keik-, ceic- "scuro", "torbido".
Il fiume Cècina ha ricevuto questo nome per via delle sue acque torbide.
Abbiamo anche alcune parole contenute nei glossari latini, che attribuirei all'etrusco per via dei peculiari suffissi: caecua, caecuba e caecuma "civetta". Ad esempio, nel Totius latinitatis lexicon di Egidio Forcellini (terminato nel 1761, prima edizione postuma nel 1771), leggiamo quanto segue:
Caecua et Caecuma, noctua quae lucem fugit, Lex. Philol.
Si capisce subito che caecua, caecuba e caecuma (anche senza dittongo, cecua, cecuba, cecuma) sono varianti di una stessa parola antica; interessante è constatare che sono glossate con noctua "civetta", un evidente derivato di nox "notte" (noctua a tempore noctis dicta, ci spiega Sesto Pompeo Festo). Si vede quindi che la radice che ha formato caecua e varianti, deve essere caec- "oscurità".
Si menziona un'ulteriore variante: cicuma. Esichio riporta il vocabolo κικυμίς (kikumís), con lo stesso significato di "civetta". La scansione metrica sembra che fosse /ki:ky:'mis/ (vedi Henry George Liddell, Robert Scott, A Greek-English Lexicon, 1843), cosa del tutto inusuale per una parola greca; del resto Esichio non glossava soltanto parole greche e spesso non riportava la loro origine. Anche questa alternanza tra il dittongo -ae- e una vocale lunga -ī- sembra a dir poco strana. Esichio potrebbe aver reso on -i- una vocale chiusa dell'etrusco, derivata dal dittongo -ei-.
W.M. Lindsay, nel suo lavoro Bird-names in Latin glossaries (1918), cita due possibili esiti romanzi: toscano di Lucca cuccumeggia e sardo cuccumeu, entrambi col senso di "civetta". Non fornisce ulteriori dettagli.
Credo che quanto fin qui raccolto possa bastare.
Conclusioni
A questo punto possiamo attribuire significati antichi e concreti:
*Kaikubos = Nebbioso
ager Caecubus = Campo Nebbioso
Caecubi montes = Monti Nebbiosi
In milanese la nebbia è chiamata scighéra: questa parola deriva da *caecāria, dalla radice di caecus. Questo perché la nebbia impedisce od ostacola la vista. Una semantica simile è all'origine del cècubo e la questione si può dire risolta.
L'abbuoto
I Wikipediani traducono il latino caecubum con abbuoto, che è il nome oggi dato a un vitigno coltivanto in Lazio e al vino che se ne ottiene, rosso e molto pregiato. Dobbiamo ricordare che anche usando la stessa uva che coltiviamo ancor oggi, gli Antichi avevano metodi di vinificazione molto diversi. A parer mio la traduzione è quindi da considerarsi impropria.
Abbuoto
"Vitigno a bacca nera di origini remote, dalle cui uve in un passato remoto si produceva con molta probabilità il famoso Cécubo, più volte decantato da Orazio. Secondo quanto riporta il Drao (1934) – unico studioso a essersi occupato, per quanto ne sappiamo, di questo vitigno –, era originariamente coltivato nell’area pedemontana e collinare del comune di Fondi, in provincia di Frosinone. Agli inizi del Novecento fu descritto come vitigno italiano anche dagli ampelografi francesi Viala e Vermorel. Nulla si conosce circa l’etimologia del nome e dei sinonimi, il cui principale è Aboto; l’unica curiosità è che risulta sempre il primo vitigno di qualsiasi classificazione alfabetica, non solo italiana ma anche straniera. È stato iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 1970."
Qual è dunque l'etimologia di abbuoto? Ecco il responso dell'Oracolo di Google alla richiesta di maggiori informazioni sull'origine dello strano vocabolo:
"Sull'etimologia non si hanno notizie certe, presumibilmente il nome deriva dalla vicinanza dell'area di origine, in particolare la zona di San Raffaele – Fondi, al lago di San Puoto. Molto probabilmente il termine “Abbuoto” proviene proprio dalla trasformazione del nome “San Puoto”."
Il lago di San Puoto si trova nella pianura pontina a circa 3,5 chilometri da Sperlonga, in provincia di Latina. San Puoto deriva dal latino Sanctus Potitus. Il sinonimo San Potito è evidentemente una forma dotta. La possibilità più concreta è che il nome dell'abbuoto derivi direttamente da una formula di brindisi: a un certo punto "a Puoto!" è diventato "abbuoto!" per naturale evoluzione fonetica. Del resto, si nota che anche i Romani antichi brindavano con il caecubum abbandonandosi a manifestazioni di allegria e battendo selvaggiamente i piedi sul pavimento.
Ammettendo che l'antroponimo Potitus abbia dato oltre a Puoto anche *Pòto, si spiegherebbe all'istante la variante più rara e senza dittongo, abòto.
Non bisogna confondere la denominazione del vino detto abbuoto con una parola omofona, usata nella stessa regione, che indica invece un tipo di involtino. Riporto giusto un paio di citazioni (i grassetti sono miei).
"L’abbuoto viticusano (abbuot nel dialetto locale, cioè “avvolto”) è un insaccato di ovino cotto, a base di carne e frattaglie ovine, uova, peperoni dolci e peperoni piccanti, spezie, tipico di Viticuso, una piccolissima comunità montana della provincia di Frosinone a 825 metri sopra il livello del mare."
"L’abbuoto detto anche abbticchie sono involtini di interiora d’agnello è un piatto povero della cucina ciociara e del paese di Picinisco, ottenuto utilizzando le parti meno nobili dell’agnello: budella, frattaglie e trippa."
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