Visualizzazione post con etichetta gorgia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta gorgia. Mostra tutti i post

sabato 15 marzo 2014

DANTE ALIGHIERI, I VOLGARI ITALIANI E LA GORGIA

Nel corso della sua vita Dante Alighieri ha viaggiato e ha visto molte cose, discutendo in dettaglio un gran numero di argomenti nei suoi trattati. Nel De Vulgari Eloquentia ha scritto diffusamente delle lingue e del problema delle loro origini. Date le fragili conoscenze della sua epoca e l'inesistenza del metodo scientifico, non ci si può certo aspettare che potesse giungere a risultati strabilianti: per quanto geniale era pur sempre figlio del suo tempo. Passando in rassegna i volgari parlati in Italia, ha riportato persino una poesiola pornografica in marchigiano attribuita a un fiorentino di nome Castra: "Una fermana scopai da Cascioli, cita cita se' n gìa 'n grande aina". Il verbo "scopare" è stato tradotto nei più assurdi e comici modi da commentatori moderni ("incontrare", "scorgere" o addirittura "battere con una scopa"), mentre appare evidente il suo senso vero, tuttora così vivo e vitale ai nostri giorni. Dante condannava e metteva in satira i dialetti italiani, giudicando "il più turpe" quello di Roma, "di accento ferino" quello di Aquileia, "aberrante" quello dei Casentinesi e degli abitanti di Fratta; soltanto il siciliano dei poeti si salva da una censura tanto veemente. Anche dei Sardi l'Alighieri aveva un'opinione terribile e credeva addirittura che non avessero una lingua propria, ma che imitassero il latino ereditato dall'epoca dell'Impero. Così è riportato nel De Vulgari Eloquentia (Liber Primus, XI, 7):

"Sardos etiam, qui non Latii sunt sed Latiis associandi videntur, eiciamus, quoniam soli sine proprio vulgari esse videntur, gramaticam tanquam simie homines imitantes: nam domus nova et dominus meus locuntur."

"Quanto ai Sardi, che non sono Italiani ma andranno associati agli Italiani, via anche loro, dato che sono i soli a risultare privi di un volgare proprio, imitando invece la grammatica come fanno le scimmie con gli uomini: e infatti dicono domus nova e dominus meus."

La deduzione di Dante è ovviamente erronea, ma non priva di un certo interesse: il sommo poeta, che difficilmente avrà conosciuto la lingua sarda per diretta esperienza, aveva raccolto da qualche fonte un paio di voci, constatando quindi la somiglianza col latino ed essendo da questo tratto in inganno. In realtà, il sardo non conserva il sigmatismo al nominativo singolare, così come ha perduto la declinazione. Non è chiaro se l'adattamento delle parole sarde alle forme latine vere e proprie dominus meus e domus mea sia stato compiuto dallo stesso Dante.

Tanto per fare qualche altro esempio di filologia del De Vulgari Eloquentia, si nota che l'autore accomunava il germanico allo slavo, errando gravemente. Tuttavia è arrivato a teorizzare un "idioma triforme", che è una più felice intuizione: aveva capito che italiano, provenzale e lingua d'oil non potevano risalire direttamente al latino classico dell'antichità, ma dovevano derivare da una instabile varietà volgare da questo distinta (quello che noi chiamiano latino volgare). Così ha distinto le lingue neolatine in tre ceppi a seconda della particella usata per affermare, ossia "oc", "oil" e "sì".

Veniamo dunque alle abitudini fonetiche dei dialetti toscani del XIII-XIV secolo. Nella sua ricerca del volgare più illustre, si direbbe che Dante non lo potesse trovare nemmeno nella natia Toscana. Il quadro che ne traccia è infatti abbastanza impietoso. Riporta anche qualche esempio: 

Locuntur Florentini et dicunt
Manichiamo introcque, | che noi non facciamo altro.

Pisani:
Bene andonno li fanti | de Fiorensa per Pisa.

Lucenses:
Fo voto a Dio ke in grassarra
eie lo comuno de Lucca.

Senenses:
Onche renegata avess'io Siena.
Ch'ee chesto?

Aretini:
Vuo' tu venire ovelle?

Tutte queste cose hanno la loro rilevanza per quanto riguarda la questione della gorgia, che alcuni insistono col ritenere antica. Dal confronto della propria parlata con quelle di altre genti d'Italia, Dante avrebbe di certo detto qualcosa sulla gorgia, se questa fosse effettivamente esistita. La totale assenza di menzioni di questa abitudine è un forte indizio della sua inesistenza all'epoca. A questo punto i casi sono due: 

1) Se la gorgia fosse esistita e Dante l'avesse considerata corretta e di buon uso, avrebbe notato la sua assenza al di fuori della Toscana;

2) Se la gorgia fosse esistita e Dante non l'avesse considerata corretta e di buon uso, ne avrebbe parlato diffusamente per stigmatizzarla.

Ammettiamo ora di scegliere la seconda possibilità e vediamo dove ci porta l'ipotesi. Data la severità dell'Alighieri, siamo propensi a credere che il suo giudizio su ogni forma di aspirazione sarebbe stato implacabile e che avrebbe riportato un gran numero di esempi da sottoporre al ludibrio e allo scherno delle future generazioni.

mercoledì 5 febbraio 2014

ALCUNE NOTE SULLE CONSONANTI ASPIRATE DELLA LINGUA LONGOBARDA

In un forum in cui si parla della gorgia toscana è riportato quanto segue: 

"Logicamente non basta la sola presenza di aspirate nella lingua etrusca per spiegare la cosiddetta spirantizzazione toscana (Nissen-1883 ), ma servono anche, in una lingua e nell'altra, gli stessi usi di dette aspirate (2) e non è facile documentare per iscritto un fenomeno che riguarda soltanto la pronuncia e che non coinvolgendo il valore delle consonanti, non risulta nella scrittura dell'italiano; ciononostante oltre al Polito esistono altre prove di gorgia perfino negli scrittori latini (3), ma non essendo sufficientemente chiare per chi ha preconcetti, devo citare le versioni toscane del 700 del nome longobardo Daghibertus, che in Toscana, con l'ormai nota fonetica(4) etrusca (B,D,G>P,T,C), diventa Tachiperto, Tahiperto (C aspirata) e Taipert (completo dileguo)(5)."

La trasformazione da Daghibert a Tachipert, Tahipert e Taipert è evidentemente tipica di dialetti della lingua longobarda e non dell'etrusco. In altre parole, l'evoluzione del longobardo non solo è indipendente da quella del latino volgare, ma a maggior ragione anche da quella dell'etrusco, che all'epoca non era più parlato da secoli: riguarda invece la Seconda Rotazione Consonantica dell'Alto Tedesco, che in longobardo assume caratteristiche peculiari. Si potrebbe addirittura ipotizzare che la rotazione in questione sia iniziata tra i Longobardi - ove gli esempi più antichi sono attestati - per poi diffondersi tra i Bavari e gli Alemanni. Forme di questo genere non sono tipiche della sola Toscana, ma si trovano in tutto il territorio popolato da Longobardi, anche in Lombardia, a Benevento e in Puglia - a riprova che non siamo di fronte all'influenza di una fantomatica pronuncia etrusca del latino volgare. 

Si deve considerare che nel caso di Daghibert il cambiamento non poi così simile a quanto avviene in toscano, dato che l'aspirazione coinvolge addirittura quella che era in origine una consonante sonora, in un processo che a quanto pare non ha riscontri neanche nell'area dei dialetti alto-tedeschi. Il passaggio è stato da /g/ a /k/ e infine questa /k/ è diventata una fricativa uvulare, indebolendosi poi fino a scomparire. 

Si noti poi che in nessun vernacolo toscano avviene un cambiamento in grado di coinvolgere le occlusive sonore /b/, /d/, /g/ trasformandole nelle sorde /p/, /t/, /k/. La gorgia toscana non è una rotazione consonantica, perché si limita a produrre nuovi allofoni a partire da determinati fonemi.  

Mostrare l'antroponimo longobardo non equivale affatto a dimostrare l'origine etrusca della gorgia: non si sta parlando di nulla che abbia a che fare con i vernacoli toscani, ma di cambiamenti complessi occorsi in una lingua del tutto diversa. Quando l'autore dell'intervento nel forum afferma che "servono anche, in una lingua e nell'altra, gli stessi usi di dette aspirate", contraddice le proprie premesse, perché quanto riporta è un uso delle aspirate in ogni caso diverso da quello che si riscontra in toscano. Di fronte a tutto questo possiamo pensare che i problemi siano dovuti all'insufficiente approfondimento del materiale noto, alla scarsa dimestichezza con il metodo scientifico, quando non addirittura al distorcere i dati di fatto pur di sostenere la propria visione delle cose. 

Sarebbe anche ora di fare approfondite indagini sui resti lessicali delle lingue preromane anziché cercare improbabili assonanze nei sistemi fonetici: inutile inseguire chimere e tentare a viva forza di assimilare il moderno all'antico anche dove risulta di diversa natura

venerdì 24 gennaio 2014

LA GORGIA NEL DIALETTO LOMBARDO DI SEREGNO E DINTORNI

Khawàl. Quando ho sentito questa parola da un uomo di un borgo tra Seregno e Albiate, mi sono chiesto a chi stesse dando del transessuale. Stavo per dirgli che l'accento corretto è sulla prima sillaba (khàwal), quando mi sono reso conto che non aveva proferito tale parola in arabo. Intendeva dire "cavallo", in milanese standard cavàl. Questo è un caso di gorgia lombarda. Un mio amico era giunto a costruirsi una strana storia per spiegare questi fatti: essendo state distrutte dalla peste tutte le maestranze degli artigiani della Brianza, ne sarebbero state importate dalla Toscana, e questi immigrati avrebbero introdotto a Seregno la gorgia. All'epoca la spiegazione mi era parsa plausibile, ma a distanza di tempo credo che tale storia sia stata fabbricata e che non abbia alcun fondamento. Come altre peculiarità dei dialetti galloitalici di svariate località, questo fenomeno fonetico è in rapido declino, tanto che ormai si riscontra quasi soltanto tra pochi vecchi. Il suono sviluppato dall'antica occlusiva sorda /k/ è simile a quello dell'arabo khinzir "maiale" e ben diverso dalla /h/ del toscano /la hasa/. Un fenomeno di diverso genere che si nota in questa parlata è il passaggio sistematico da /v/ a /w/. Va precisato che la fricativa si trova in ogni posizione, non soltanto intervocalica: ad esempio ul khawàl "il cavallo", etc. Ho potuto constatare che il suono si è sviluppato anche in parole in cui in origine esisteva una consonante doppia: ad esempio wakha "vacca". Questo è un indizio di origine recente. Non mi risulta che le altre consonanti occlusive siano state intaccate: il fenomeno riguarda unicamente la velare sorda. Tra i parlanti dotati questa peculiare pronuncia, il più giovane di cui ho avuto notizia è Ignazio C., che ha la mia stessa età (classe 1966). Un insulto che proferiva spesso era "merda de khan de khascia", ossia "merda di cane da caccia". Non ho mai potuto udire questo suono da un solo parlante di sesso femminile, anzi, ho avuto esperienza di famiglie in cui questa peculiarità è tipica solo degli uomini e non delle donne. A un certo punto ho addirittura pensato che il passaggio dal suono occlusivo a quello fricativo si fosse sviluppato nel contesto delle bestemmie da osteria e che non abbia mai riguardato le donne. Mancano dati in letteratura, e sarò grato se qualche utente con esperienze dirette potrà darmi ulteriori informazioni. Nel frattempo mi piacerebbe sapere come i fautori dell'origine etrusca della gorgia toscana spiegherebbero questo fatto con le loro teorie di sostrato fonetico. 

mercoledì 15 gennaio 2014

IL CARME 84 DI CATULLO NON MOSTRA EVIDENZA DELLA GORGIA TOSCANA

Questo è il Carme 84 di Catullo, in cui il poeta menziona la pronuncia aspirata di un etrusco:

LXXXIV
 

Chommoda dicebat, si quando commoda vellet
dicere, et insidias Arrius hinsidias,
et tum mirifice sperabat se esse locutum,
cum quantum poterat dixerat hinsidias.
credo, sic mater, sic liber avunculus eius.
sic maternus avus dixerat atque avia.
hoc misso in Syriam requierant omnibus aures
audibant eadem haec leniter et leviter, omoteleuto
nec sibi postilla metuebant talia verba,
cum subito affertur nuntius horribilis,
Ionios fluctus, postquam illuc Arrius isset,
iam non Ionios esse sed Hionios. 

Traduzione:

Volendo dire comodi Arrio diceva 'homodi' (1)
e in luogo di insidie 'hinsidie',
convinto di parlare a perfezione
quando con tutto il fiato urlava 'hinsidie'.
Credo proprio che sua madre, lo zio materno

ed anche i suoi nonni parlassero così.
Mandato in Siria riposavano le orecchie
e riudivan le parole col giusto suono
senza più temere di ascoltarle storpiate.
D'un tratto ecco la notizia orribile,
Arrio ha solcato i flutti dello Ionio,
e Ionio questo non è più, ma Hionio (2).  
 

(1) non homodi, a dire il vero, ma chomodi
(2)
 Ionios, "violaceo"; Hionios, interpretato come "gelido"

Questo testo è considerato come prova positiva dai fautori dell'origine etrusca della gorgia toscana, anche se quanto descrive è simile soltanto all'apparenza. Forse che nel toscano aspirato si aggiunge una h- a parole che in italiano standard iniziano per vocale? No di certo. Nessun toscano direbbe *hinsidia per insidia, o *haltro per altro. Inoltre, il fatto che hinsidias e Hionios abbiano una h- mentre chommoda ha ch-, fa pensare che Catullo trascrivesse con h una consonante fricativa e con ch- un'occlusiva aspirata /kh/. Un motivo di più per rimarcare la sostanziale differenza tra il tentativo di trascrivere la pronuncia di Arrio e i suoni usati dei moderni toscani.  

Questo si legge in un forum sull'argomento: 

"Ma Catullo è veronese, odia sentire storpiare il latino e non capisce il funzionamento della gorgia, quindi non sa imitarla. Proprio esattamente come Camilleri ne 'il birraio di Preston', che fa iniziare il discorso di un toscano con una bella aspirazione. Questo non può succedere in toscano, perché non si aspira mai ad inizio di discorso, ma solo tra due vocali o davanti a cr (la hasa, la hroce- casa, croce)". 

Non è che Catullo non sapesse imitare la gorgia toscana, che non esisteva. Egli non comprendeva la logica del sistema fonetico della lingua etrusca e dei tentativi di Arrio di pronunciare il latino.  

Quando si sente parlare Ratzinger, si ha l'impressione che pronunci "pampini" anziché "bambini" e "callo" anziché "gallo". In realtà in tedesco l'occlusiva labiale sonora /b/ esiste, ma in alcune varietà è meno sonora che in italiano. Essendo l'occlusiva labiale sorda /p/ pronunciata in realtà /ph/, ecco che per un tedesco l'opposizione tra /ph/ (scritto p-) e /p/ (scritto b-) è già sufficiente a marcare il contrasto tra i due suoni. In certi dialetti, come parte di quelli alemannici, il mutamento da /b/ a /p/ si è completato. Un discorso simile vale per le altre occlusive. Ora, nessuno si sognerebbe di dire che i tedeschi hanno la gorgia, forse perché la spirantizzazione non è così pronunciata. 

A un fenomeno di questo tipo, ma avvenuto in epoca più antica, si deve il passaggio da /p/ iniziale all'affricata /pf/ del tedesco, anche in parole prese a prestito da latino. In modo simile la /t/ iniziale di parola diventa un'affricata /ts/, scritta z-, e via discorrendo. Nel corpo delle parole, le occlusive semplici intervocaliche sono diventate fricative. Si è partiti da /p/ /t/ /k/, e si è avuta una spirantizzazione tanto forte da produrre un complesso mutamento che è conosciuto come Seconda Rotazione Consonantica. Riportiamo alcuni esempi per la serie labiale:     

/p/ > /pf/:

Lat. /pi:lum/ pilum 'giavellotto' > Ted. Pfeil 'freccia'
Lat. /piper/ piper 'pepe' > Ted. Pfeffer 'pepe'
Lat. /kampus/ campus 'campo' > Ted. Kampf 'battaglia' 

/b/ > /p/

Lat. /bo:le:tus/ boletus 'fungo porcino' > Ted. Pilz 'fungo'
Ingl. rib 'costola' : Ted. Rippe 'costola' 

Questi cambiamenti sono partiti da qualcosa di simile alla spirantizzazione riscontrata nel fiorentino (a casa /akkhasa/), anche se non identico (non dipende dal contesto sintattico, comporta ulteriori mutamenti nelle consonanti sonore). Per chi volesse approfondire l'argomento, rimando alle fonti facilmente reperibili nel Web. Ad esempio si può partire da Wikipedia per poi intraprendere ulteriori ricerche. 



Ora, è possibile che Arrio sentisse le consonanti /p/ /t/ /k/ del latino come rilassate e le riproducesse come /ph/ /th/ /kh/, mentre le consonanti etrusche /p/ /t/ /k/ potevano essere realizzate come sonore /b/ /d/ /g/ in certi contesti o come tese /pp/ /tt/ /kk/ in altri, in contrasto con le aspirate. Non dimentichiamoci che gli autori delle glosse etrusche a noi giunte trascrivevano talvolta come /b/ /d/ /g/ le consonanti /p/ /t/ /k/ dell'etrusco: es. Etr. *tamna "cavallo", scritto damnos (prestito dalla radice indoeuropea *dom- "domare", etc.), Etr. *cape- "carro", scritto gapos (in un'iscrizione si ha capesar "carraio"). 

Per quanto riguarda hinsidias, posto che l'imitazione di Catullo abbia un senso, potrebbe darsi che nell'etrusco di Arrio le parole inizianti per vocale avessero una lieve occlusiva glottidale, come in tedesco, e che l'assenza di questa consonante non scritta (che si trova anche nelle lingue semitiche) gli abbia fatto percepire le vocali del latino come "rilassate", facendogliele adattare come parole con h- iniziale.  

Come si può vedere, assolutamente nulla di simile al toscano odierno. Il quadro che emerge da queste analisi non è confortante per chi crede che la gorgia sia qualcosa che dall'etrusco è passato direttamente alla Toscana dei nostri giorni per eredità ininterrotta. In etrusco le consonanti aspirate sono fonemi separati dalle occlusive sorde, mentre in toscano ne sono allofoni

domenica 12 gennaio 2014

LA GORGIA TOSCANA NON HA ORIGINI ETRUSCHE

Alcuni studiosi, tra i quali Merlo, Agostiniani ed altri, hanno ipotizzato che la gorgia toscana possa avere origini etrusche. Si tratta invece di un fenomeno completamente privo di connessioni con l'antica lingua dei Rasna, come intendo dimostrare con argomenti solidissimi. Non soltanto la gorgia è qualcosa di completamente diverso dall'aspirazione delle consonanti etrusche, ma si vede che non può risalire a un tempo troppo remoto. 

Riassumiamo alcuni dati di fatto. 

La lingua etrusca ha un'opposizione contrastiva tra consonanti occlusive aspirate (trascritte φ, θ, χ) e non aspirate (trascritte p, t, c) quando il suono è iniziale di sillaba. Il potere contrastivo sembra invece essere neutralizzato alla fine di una sillaba, soprattutto in fine parola. Persino il limitato lessico etrusco di cui disponiamo ci permette di illustrare tutto ciò con alcuni esempi significativi:  

caru, "fatto" - Χaru, "Caronte" 
ci
"tre" - χi "tutto" 
Tina
"Giove" - θina "vaso da acqua"  

Sappiamo che tec non è la stessa cosa di θec; e allo stesso modo ten-, "detenere una carica", non è la stessa cosa di θen-, prob. "area sacra", etc...  

Abbiamo invece le seguenti variazioni: 

mlaχ - mlac - malak "buono" 
huθ
- hut "sei" 
maχ
- mac "cinque"  

La lingua etrusca permette inoltre un'occlusiva aspirata prima o dopo un'altra consonante: parole come alχu "dato", urχe- "dopo, dietro", hamφe "destra", urθanice "fabbricò", sono piuttosto comuni.  

Esiste poi una consonante fricativa h, che non ha nulla a che fare con χ e non alterna con essa:  

hia "qui" - χia "ogni"  

Questa aspirazione non è un vezzo aggiunto a piacimento alle parole, ma è un fonema: la sua presenza o assenza può cioè distinguere parole diverse: 

ar- "andare"; "portare" - har- "dentro" 

In qualche parola, nei testi più recenti tende a sparire: 

hia "qui" > ia 
heitva
"grande, magnifico" > etva 

Raramente ricorre nel corpo di una parola, le eccezioni sono arcaismi. Talvolta essa alterna con f- in inizio parola: 

farθan "vergine"; "genio", scritto anche harθan 

A questo proposito va riportato un singolare aneddoto. Catullo, rappresentante dei Poeti Nuovi, esaltava la cultura neoterica importata dall'Ellade e disprezzava l'eredità etrusca: derideva coloro che a sua detta perdevano il loro tempo a studiare i rotoli scritti al contrario degli Etruschi (segno che per contro la conoscenza della lingua dei Rasna destava ancora grande interesse in ambienti colti di Roma). Così non perdeva occasione di presentare gli Etruschi come macchiette, ad esempio descrivendo un personaggio che aveva il vezzo di pronunciare le parole latine riempiendole di aspirazioni, trasformando il Mar Ionio - con un brivido - in Hionio (dal greco χιων = neve). Questo ci dimostra che ai tempi di Catullo la χ- greca era una fricativa h-, e il suo equivalente in lingua etrusca era paragonato al suono greco, non all'aspirazione di parole latine come homo, hiems, che con ogni probabilità non si pronunciava più da tempo. Catullo potrebbe non aver descritto una situazione reale: in tal caso la sua trovata guittesca sarebbe piuttosto da ritenersi una caricatura di qualcosa a lui incomprensibile. Casi simili si danno anche ai nostri giorni. In un gioco a premi, un conduttore italiano che è pietoso non menzionare per nominativo, anni fa si è lanciato in una grottesca imitazione della parlata toscana, trasformando arbitrariamente consonanti nell'aspirazione -h-, del tutto a caso. Vi era in Splinder un blogger, Sifossifoco, che riportava nell'intestazione del suo portale un detto apocrifo "pareha mota unn'era", facendolo risalire a un fantomatico anonimo toscano del secolo XVII. Ha poi corretto in "parea mota unn'era", evidentemente quando qualcuno gli ha fatto notare che -h- in toscano corrisponde al suono duro di -c- nell'italiano standard. O forse la colpa era invece dell'etrusco, che non avendo appreso bene il latino ne imitava in modo penoso i suoni, cercando il più possibile di adattare le parole a una struttura fonetica tipica della sua lingua nativa.  

La gorgia toscana si trova quando una consonante occlusiva sorda originaria ricorre tra due vocali (anche in posizione sintattica, ossia se le due vocali appartengono a parole diverse) o in alcuni altri contesti (ad esempio il nesso cr- subisce aspirazione e diventa hr-, la labiovelare qu- diviene hu- e in certi dialetti addirittura v-). L'esito di questo mutamento regolare, che può essere considerato una lenizione, è la produzione di consonanti fricative, trascritte φ, θ, h 

/p/ > /φ/ 
/t/ > /θ/ 

/k/ > /h/  

Così, trascrivendo il vernacolo in caratteri fonetici, abbiamo: 

/toφo/ "topo" /il toφo/ "il topo" (o /ittoφo//i θoφi/ "i topi" /un toφo/ "un topo" /kane/ "cane" /il kane/ "il cane" (o /ikkane//i hani/ "i cani" /un kane/ "un cane" /kaφiθano/ "capitano" /i haφiθani/ "i capitani"  

In certe parole e nei suffissi dei participi passati in "-ato" la /θ/ si indebolisce ulteriormente dando /h/ 

/praho/ "Prato"
/andaho/ "andato" 

Questo non avviene quando la consonante occlusiva è preceduta da un'altra consonante o è forte (ossia "doppia"), anche in contesti sintattici. Allo stesso modo, il raddoppiamento sintattico neutralizza la lenizione:  

/akkasa/ "a casa"  

In tali casi, in alcuni dialetti come quello di Firenze, si produce invece un'occlusiva aspirata, che si realizza in modo simile ai fonemi aspirati etruschi scritti φ, θ, χ. Tuttavia la sua produzione a differenza di quanto avviene in etrusco non ha potere distintivo: è un mutamento condizionato dal contesto fonetico e quindi automatico. 

Fiorentino:  

/la hakkha/ "la cacca"  

In etrusco l'opposizione tra /k/ e /kh/ distingue ad esempio una voce verbale attiva da una passiva.

Etrusco:   

alce "diede" - alχe "fu dato"  

Come si può vedere, la fonotattica dell'etrusco e quella del toscano sono profondamente diverse, fondate su princìpi che non sono comparabili.  

Esiste però un altro argomento, letale per la tesi della gorgia di origine etrusca: in latino non esistevano le consonanti palatali che tanto abbondano in italiano. Così le parole canis, cornu, carrus avevano la stesso suono /k/ velare di Caesar, cerrus, cisterna. La voce verbale facit suonava quasi come l'inglese "fuck it", soltanto con la -a- centrale come in italiano. La palatalizzazione di /k/ seguita da vocali anteriori (-e- e -i-) è iniziata durante l'Impero, ed è stato un processo molto graduale, dato che i Romani non si sono accorti del suo svilupparsi e non hanno perciò sentito la necessità di riformare l'ortografia. In lingua italiana l'esito di questo processo è la produzione di un suono analogo alla ch- dell'inglese chip: Cesare, cerro, cisterna. La lingua sarda è rimasta in gran parte immune alla palatalizzazione e usa ancora oggi kentu "cento", kelu "cielo". 

Se la gorgia risalisse all'epoca della romanizzazione dell'Etruria, avrebbe agito anche sulla /k/ davanti a vocali anteriori. Si sarebbero facilmente avuti i seguenti esiti:  

/wo:ke(m)/  voce(m) > *vohe /pa:ke(m)/  pace(m) > *pahe  

Questo però non è avvenuto. Inoltre va fatto notare che se la gorgia fosse stata così antica, avrebbe portato a mutamenti tanto profondi che il toscano odierno sarebbe molto diverso e l'italiano cui siamo abituati non si sarebbe potuto formare. 

Già nella lingua etrusca si possono arguire prove del fatto che le consonanti occlusive aspirate tendevano a diventare fricative, e questo è provato dal fatto che certe parole, che mostrano un'ortografia singolare ed anomala. Da alcune iscrizioni etrusche in caratteri latini si evince che almeno localmente -θ- era realizzato come -d-; in altri casi invece abbiamo -θ- nel corpo di parola o alla fine scritto come -z-: Araz per Araθ, etc. In un caso troviamo addirittura un ipercorrettismo: qutumuθa per qutumuza "piccolo bicchiere". Il fenomeno è analogo a quanto avvenuto in greco e in altre lingue: le occlusive aspirate tendevano a mutare, divenendo in alcuni contesti fricative. Questo prova una volta di più il fatto che il tardo etrusco e il latino volgare fossero indipendenti nella loro evoluzione fonetica e non comparabili. 

Dante Alighieri avrebbe menzionato la gorgia, se alla sua epoca fosse esistita. Si hanno prove e documentazioni del fatto che per molto tempo in Toscana la gorgia è stata combattuta aspramente, essendo ritenuta un vero e proprio difetto; ancora oggi essa è più sviluppata tra i ceti popolari che tra quelli colti. Vi sono fiorentini che non pronunciano più la -h-. Una volta ho incontrato un amico fiorentino con cui conversavo abitualmente in chat. Quando l'ho incontrato e l'ho sentito parlare, ho potuto constatare che capivo la metà di quello che diceva. Non potevo ovviamente chiedergli di ripetere: egli era convinto di parlare il miglior italiano e si sarebbe certamente offeso. Nella sua pronuncia era ben difficile distinguere "miele" da "Michele".