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sabato 16 maggio 2020


EVVIVA RANUCCIO II FARNESE,
IL DUCA DELLA MERDA!

Ranuccio II Farnese (Cortemaggiore, 1630 - Parma, 1694) è stato il sesto duca di Parma e Piacenza dal 1646 fino alla morte, oltre che il settimo e ultimo duca di Castro fino al 1649, anno di estinzione del ducato. Era figlio maggiore di Odoardo I Farnese e di Margherita de' Medici. Successe al padre nel 1646, governando per due anni con la reggenza della madre e dello zio, il cardinale Francesco Maria Farnese. Rifiutò un'offerta matrimoniale molto vantaggiosa: la Francia gli aveva offerto la mano di una nipote del cardinale Giulio Mazzarino, con una dote di 500.000 scudi. Il problema è che la giovane non era di rango principesco. Il ducato di Parma e Piacenza si mantenne neutrale nella lotta tra Francia e Spagna, anche se dall'attraversamento delle truppe di entrambe le nazioni derivò un gran nocumento agli abitanti.

Nel 1649 si innescò una catena di eventi che portò all'estinzione del ducato di Castro, situato nella Maremma laziale. Papa Innocenzo X accusò Ranuccio di aver commissionato l'omicidio del vescovo Cristoforo Giarda, dell'ordine dei Barnabiti. Si scatenò quindi una guerra. Le truppe pontificie espugnarono Castro, portandovi devastazione. L'esercito di Ranuccio, guidato da Jacopo Gaufrido, fu disfatto presso Bologna. Anni dopo, nel 1657, il Duca cercò di riscattare Castro, ma dovette rinunciarvi, non avendo il denaro necessario. Papa Alessandro VII, subentrato a Innocenzo X, decise di incamerare il ducato in via definitiva, ma Ranuccio riuscì comunque a far inserire una clausola che gli garantiva altri 8 anni di tempo per il riscatto. Quando ebbe messo insieme la somma dovuta, nel 1666, il suo pagamento fu rifiutato e Castro rientrò nel Patrimonium Sancti Petri

Ranuccio si sposò tre volte. Il primo matrimonio, celebrato nel 1659, fu con Margherita Violante di Savoia, che morì precocemente. La donna, che univa una devozione intensa all'amore per la caccia alla volpe, morì di parto nel 1663 e non ebbe discendenza. Il secondo matrimonio, celebrato nel 1664 fu con la cugina Isabella d'Este, figlia di Francesco I d'Este, duca di Modena e Reggio. Anche lei morì di parto nel 1666, ma riuscì a procreare un figlio maschio e due figlie femmine. Il terzo matrimonio, celebrato nel 1668, fu con Maria d'Este. Con lei il Duca ebbe molti figli, ma soltanto due maschi e una femmina arrivarono all'età adulta. 

Non essendo riuscito a riscattare il feudo di Castro, nel 1682 Ranuccio riuscì ad acquistare il principato di Bardi e Compiano. Nel 1691 il ducato fu invaso dalle truppe imperiali, che vi imperversarono con violenze, saccheggi e stupri, gravando per giunta sulla popolazione indifesa. Nel 1964 il Duca morì all'improvviso. Il decesso viene attribuito a una complicanza della sua obesità. Il suo regno, pur essendo afflitto da numerose criticità, non ebbe un bilancio del tutto negativo. Ranuccio si è segnalato per il suo mecenatismo e per il suo amore per la cultura in tutte le sue forme: fu collezionista di libri rari e amante della musica. Si diede da fare per apportare migliorie e per accrescere la prosperità delle terre che governava, anche se fu costretto a spese ingenti per mantenere una corte parassitaria. Fece coniare una moneta d'argento del valore di 40 soldi, detta quarantana o quarantano

Ranuccio II e la coprofagia

Abbiamo esposto in estrema sintesi quanto ci dice la storia monumentale, quella fatta di battaglie, trattati, date. Frugando nel vasto Web, mi sono imbattuto in qualcosa che ha destato subito la mia curiosità: un articolo di un blog di WordPress in cui si parla della coprofagia di Ranuccio II Farnese! Il Duca di Parma e Piacenza sarebbe stato un ghiottissimo trangugiatore di escrementi umani e persino animali. Purtroppo a un'attenta analisi sorge il sospetto che il documento sia un semplice pacchetto memetico fatto di informazione degenerata. In parole povere, potrebbe trattarsi di un fake, per quanto originale. Passiamo a discuterlo in dettaglio. 
 
Il blog si intitola Piazenza - Leggende & Misteri Piacentini e ha avuto vita effimera, dal novembre 2007 al gennaio 2008. Può quindi definirsi un portale estinto. Due sono gli autori che hanno pubblicato i testi: Sabanaumann e Raputt.


Anche se questi link dovessero in futuro "rompersi", e Piazenza scomparisse dal Web, spero che questa mia testimonianza rimarrà visibile a tutti. Certo, non depone molto a favore della serietà del blog la presenza di un articolo, pubblicato in due parti, che identifica il cardinale Ersilio Tonini con un agente segreto del KGB, con nome in codice Vakulincuk. Sarebbe però un grave errore sottovalutare la goliardia, nelle cui trovate stravaganti talvolta si nascondono cose di estremo interesse. 

Questi sono i tag surreali apposti all'articolo che sitamo analizzando:  

1500
afta epizootica 
copra
coprofagia 
Gianni Morandi
merda
Mozart
Parma
Ranuccio II Farnese
volley 

Alcuni sono incongruenti: 1500 non ha senso, visto che Ranuccio è vissuto nel '600; si capisce che copra è un'abbreviazione di coprofagia, quindi la sua aggiunta è superflua (in realtà la copra è la polpa di cocco essiccata). L'afta epizootica è una malattia che colpisce i bovini e non è tipica degli umani coprofagi. Non esiste un filo conduttore che unisca coprofagi vissuti in epoche diverse e in luoghi diversi: sarebbe come accomunare persone diverse perché hanno i capelli rossi o i porri. Sarò limitato, ma volley mi sembra incomprensibile in questo contesto. 

Il castello della merda di cavallo 
 
Nel luogo chiamato Bardi, il sovrano di Parma e Piacenza avrebbe fatto costruire una piscina, che a detta del blogger Sabanaumann veniva riempita di feci equine e usata da Ranuccio per prolungate immersioni escrementizie. Proprio da questo malsano costume avrebbe tratto origine un oscuro detto, supposto essere tuttora in uso: "Bardi, Bardi, castel ed merda ad cavai<i>", ossia "Bardi, Bardi, castello di merda di cavalli". Non ho potuto trovare alcuna prova sulla sua esistenza e tutto sembra indicare che è soltanto il parto di una fantasia. L'esistenza di una particolare razza equina locale, il cavallo Bardigiano, non costituisce di per sé una prova, neanche se si dimostrasse che tali animali sono grandi smerdatori. Si fa poi allusione a ricerche archeologiche, forse fantomatiche, volte a individuare la sunnominata piscina fecale. Sarei felice di poter contattare nativi di Bardi per cercare riscontri sul bizzarro detto e più in generale se nella memoria popolare esistono tracce del ricordo della figura del famoso Duca di Parma. Aggiungiamo qualche considerazione sull'etimologia del toponimo Bardi, che sta per Longobardi: quel luogo deve aver ricevuto il suo nome perché l'identità etnica e nazionale dei Longobardi vi perdurò più a lungo che altrove.    

Costituzioni merdose  

Uno degli atti più importanto di Ranuccio sarebbe stata la promulgazione di un editto noto come "Sulle cortesi e nobili genti che affollano il patrio suolo". Anche in questo caso il condizionale è d'obbligo, perché non si riesce a risalire al testo. Il documento è descritto da Sabanaumann come un insieme di regole di convivenza civica, qualcosa di molto simile ai regolamenti comunali dei nostri tempi. Si vuole che nell'ultimo foglio, in corrispondenza della firma del Duca e del suo sigillo, sia presente una chiazza brunastra, che a un'analisi accurata si sarebbe rivelata composta da materia fecale. Si ipotizza dunque, non sena ingegno e mirabile fantasia, che Ranuccio sia stato sorpreso con le mani grondanti di pastone intestinale e costretto a firmare così, all'istante, senza potersi ripulire. È un vero peccato che la Settima Arte perda il suo tempo in stupidissimi remake e non attinga a questo materiale... a piene mani!     

Esperimenti di cucina fecale 
 
Si riportano diverse citazioni piuttosto fantasiose quanto prive di qualsiasi riscontro. Certo, non voglio dire che se una cosa non si trova in Google debba essere inesistente, ma si converrà che la ricerca potrebbero incontrare ostacoli insormontabili. Questo è un estratto dalla fonte blogosferica:  
 
"Numerosi cronisti che vissero a corte, hanno costellato i loro resoconti con riferimenti curiosi riguardo al sovrano, spesso con parole che per il tempo suonavano enigmatiche e di non facile comprensione. Come se volessero far filtrare un messaggio per i posteri."
 
Si passa quindi a nominare i cronisti suddetti, con i rispettivi contributi. Essi sono tre: Francesco Antinori, Giovannone Potestì detto Busello (immagino per via del suo ano integro, mai rotto da sodomia) e Cassandro Zilioli. Alcuni commenti, che ritengo doverosi: 
 
1) Il mite Francesco Antinori avrebbe definito Ranuccio con parole moderate ma comunque poco lusinghiere: "Il Duca sturlissimo". Per chi non lo sapesse, nell'italiano antico esisteva l'aggettivo sturlo "ottuso, di intelletto tardo". In toscano si traduce con "grullo". Francesco di Vannozzo (XIV sec.) ha nelle sue Rime: "Chi sa mal darlo sa ben peggi[o] durlo; / tal va con ferle che già seppe farlo / e provò Carlo già tratte de curlo, / unde sei sturlo se non lassi starlo." 
2) A prestar fede a Giovannone Potestì detto Busello, Ranuccio sarebbe stato "Il Sovran che feci di tutti sue fea". La parafrasi non è poi difficile. Il verbo è fea "faceva". Così si deve tradurre in italiano moderno con "Il Sovrano che faceva sue le feci di tutti". Si rimarca l'assoluta promiscuità della coprofagia ranuccesca: ce lo immaginiamo mentre prende la merda a badilate, da chiunque la deponga, portandosela alla bocca e masticandola con frenesia. 
3) A un certo Cassandro Zilioli viene attribuita una frase sconcertante sul Duca: "Se marron la cena non parea, sua non la volea". Non credo sia necessaria la parafrasi. In ogni caso, per facilitare eventuali lettori non abituati all'italiano antico, spiego le forme verbali: parea "pareva", ossia "sembrava"; volea "voleva". Di questi tempi si direbbe così: "Se la cena non sembrava marrone, non voleva mangiarla"
 
Il livello di questo italiano antico è certamente abbastanza elevato, specie se confrontato con i maccheronismi del Brancaleone di Monicelli o di Feudalesimo e Libertà (che effettua addirittura perigliose mescolanze col latino fatto e finito). Purtroppo non ho notizia di cronisti o altri uomini illustri che rispondano ai nominativi di, Giovannone Potestì e Cassandro Zilioli. Peccato. Va però detto che un Niccolò Francesco Antinori (1633 - 1722) fu senatore e segretario di stato proprio a Parma, nel 1698, quando il Duca era morto da qualche anno. Se le frasi coprolaliche sopra riportate fossero autentiche, dovremmo dedurne che il buon Ranuccio faceva usare lo sterco in complesse preparazioni culinarie a lui specificamente destinate. E pensare che già la mia fantasia si era messa a galoppare. Sono persino riuscito, servendomi dei pochissimi elementi disponibili, a ricostruire due di queste ricette: la merda alla parmigiana e i tortellini ripieni di escrementi, conditi con ragù fecale. Sappiamo infatti che i tortellini sono comparsi proprio alla corte di Ranuccio II Farnese, basta fare due più due e si arriva a quattro. Per quanto riguarda la merda alla parmigiana, la mente va subito alla famosa scena in cui l'ispettore Nico Giraldi, interpretato dal mitico Tomas Milian, costringeva Bombolo a cibarsi di feci e infieriva dopo aver steso sugli stronzi una cucchiaiata di formaggio grattugiato. Bombolo abbozzava una timida protesta: "Sempre merda è!" Al che l'ineffabile Ispettore: "Sì, ma è merda alla parmigiana!" Come non collegare tutto ciò al nobile Ranuccio, Duca di Parma? 

L'importanza scientifica della coprofagia

Se anche l'intera faccenda della coprofagia ranuccesca dovesse rivelarsi interamente posticcia e fabbricata ad arte da alcuni blogger, resta un dato di fatto: sono esistite ed esistono tuttora persone dotate di un sistema immunitario molto peculiare, che permette loro di resistere ai patogeni fecali. Andrebbero condotti studi clinici rigorosi su questi individui. Eppure ciò non avviene. Non solo: la tendenza del mondo scientifico è quella di negare alla radice l'esistenza stessa del fenomeno. Per colpa del cieco moralismo di accademici ottusi, la Scienza perde molte opportunità di migliorare la condizione umana. 
 
Conclusioni 
 
Mentre si può documentare bene la coprofagia di Wolfgang Amadeus Mozart, il caso di Ranuccio II Farnese necessita di ulteriori e ardui studi. Allo stato attuale delle cose, la questione rimane indeterminabile. Resta la speranza che il futuro possa portare prove sostanziali e ci permetta di capire meglio anche le pagine più oscure della Storia. La spiegazione potrebbe trovarsi in una tradizione di campanilismo, in cui possono essersi preservate, seppur in forma vaga e distorta, antiche narrazioni. La cosa non dovrebbe soprendere: anni fa mi un amico mi raccontò di essersi imbattuto in alcuni vecchi toscani che litigavano in modo accanito per via della battaglia di Montaperti.
 
Etimologia del nome Ranuccio 

Tra i romanisti è diffusa la convinzione che l'antroponimo Ranuccio (con la variante Ranuzio) sia un ipocoristico di Rinaldo, in pratica una forma abbreviata di Rinalduccio. In realtà esiste un'etnimologia più probabile e diretta, dalle radici protogermaniche *raγina- "consiglio; decisione" e *nutja- "utile" (antico alto tedesco nuzzi "utile", tedesco moderno nütze). Possiamo così ricostruire una forma longobarda *RAHINNUZZI, il cui naturale esito è proprio Ranuzio, ipercorretto poi in Ranuccio. In antico alto tedesco si ha Regin- come primo elemento di nomi propri: la radice non è sopravvissuta in forma indipendente. Si noti la metafonesi palatale, a differenza di quanto accade in longobardo.

venerdì 6 settembre 2019


IL TERRORE DEI BARBARI

Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1959
Durata: 85 min
Rapporto: 2,35 : 1
Genere: Peplum, (pseudo)storico, epico, trash
Regia: Carlo Campogalliani
Sceneggiatura: Gino Mangini, Emimmo Salvi, Nino Stresa,
      Giuseppe Taffarel
Produttore: Emimmo Salvi
Casa di produzione: Alta Vista, Standard Produzione
Fotografia: Bitto Albertini
Montaggio: Franco Fraticelli
Musiche: Carlo Innocenzi
Scenografia: Oscar D'Amico
Costumi: Giorgio Desideri, Giovanna Natili
Interpreti e personaggi*:
    Steve Reeves: Emiliano
    Chelo Alonso: Landa
    Giulia Rubini: Lidia
    Luciano Marin: Marco
    Livio Lorenzon: Igor
    Andrea Checchi: Delfo
    Bruce Cabot: Alboino
    Arturo Dominici: Svevo
    Furio Meniconi: Gensérico
    Carla Calò: madre di Bruno
    Fabrizio Capucci: Bruno
     *Alcuni personaggi sono stati rinominati nella versione in inglese: Emiliano è
      diventato Goliath, Landa è diventata Lynda, mentre Gensérico è diventato
      Hulderich.

Doppiatori originali:
    Emilio Cigoli: Emiliano
    Lydia Simoneschi: Landa
    Fiorella Betti: Lidia
    Giuseppe Rinaldi: Marco
    Renato Turi: Igor
    Gualtiero De Angelis: Delfo
    Bruno Persa: Alboino
    Nando Gazzolo: Svevo
    Nino Bonanni: Gensérico
    Dhia Cristiani: madre di Bruno
    Manlio Busoni: voce narrante 
Traduzioni del titolo: 
    Inglese: Goliath and the Barbarians

Trama:
Una labile cornice storica viene illustrata dalla voce del presentatore, proprio mentre parte una grottesca musichetta. Ecco il testo:


"Nell'anno 568 dopo Cristo, Alboino, Re dei Longobardi, calò in Italia dalla vicina Pannonia. Le orde barbariche, costituite da genti di razze diverse, che la bramosia di conquista teneva unite, dilagarono nella Penisola da Cividale del Frìuli (sic), portando ovunque la distruzione e la morte."  

Li si vede cavalcare, questi Longobardi - diciamo così -, tutti coperti di pelli quasi ridotte a brandelli. Cavalcano a spron battuto, gli zoccoli dei cavalli che fanno il rumore del tuono. I gonfalonieri reggono vessilli alquanto primitivi che lo spettatore fa molta fatica ad interpretare, sembrano graticole di ferro nero levate verso il cielo. Sono più simili a Mongoli che a Germani, in molti casi hanno il cranio rasato e un codino di capelli corvini intrecciati: è proprio il famoso bunchuk di Taras Bulba. Le orde si abbattono su Verona come uno sciame di locuste, distruggendo tutto al loro passaggio. Saccheggiano la villa del più importante notabile della città e lo uccidono a sangue freddo, trapassandolo con una lancia. Suo figlio, l'erculeo Emiliano, giura vendetta. Tratti in salvo i suoi famigliari conducendoli sui monti, guida una guerriglia contro gli invasori. Robusto rappresentante della stirpe di Maciste, sembra appartenere più all'antichità classica che a un Alto Medioevo non ancora compiutamente cristiano. Emiliano ha un grande ingegno: si traveste con pelli e si maschera in modo tale da apparire ai suoi sconvolti nemici come un licantropo. Riesce ad organizzare un'efficace resistenza e a diventare un vero e proprio flagello per Alboino, che ancora cerca invano di espugnare Pavia allo scopo di farne la propria capitale. Allo scopo di ricondurre all'ordine il regno appena conquistato, il Re dei Longobardi invia alla frontiera settentrionale un feudatario idiota, il brutale Igor, che è un vero e proprio gorilla. Questo scimmione demente è innamorato follemente di Landa, la bella e mora figlia dello slavo Delfo. Quello che l'energumeno desidera è subito chiaro. Intende innanzitutto sopprimere Delfo per prendersi Landa e farla sua. Lei però sa che il suo pretendente, a dispetto delle sembianze da gorilla, ha un esiguo falletto, un budellino moscio, mentre Emiliano ha un immenso Schwanzstücker, in grado di schiacciare le noci col glande! Queste femminee valutazioni sono per così dire la spina dorsale dell'opera di Campogalliani.  

Recensione:
Dire che questo è un film spazzatura è in buona sostanza un insulto al concetto stesso di immondizia di celluloide. Forse la parola più giusta per descriverlo è imbarazzante. Certo, il mondo in cui viviamo ci ha dato orrori indescrivibili e infamie infinite, ma simili porcherie pseudostoriche non le dobbiamo sopportare più. Forse è meglio doversi sorbire filmati sui glory holes e sul sesso oro-anale praticato da Madonna ad autentici gorilla, che essere costretti a vedere i propri Antenati ridotti a macchiette inverosimili esposte al pubblico ludibrio dei bruti. 

Anacronismi e incoerenze à gogo! 

Sul sito Bloopers.it si fa notare giustamente che è anacronistico il comando di Alboino: "No Igor, andrai a Milano per sottomettere i valvassori". Nel VI secolo non esisteva la carica feudale dei valvassori e neppure la stessa parola per indicarla (valvassore deriva dall'antico francese vavassor, che a sua volta è dal latino vassus vassorum "servo dei servi").

Va detto che lo stesso nome Igor è anacronistico: è un adattamento slavo del nome norreno Yngvarr, importato in Russia dai Variaghi. Nel VI secolo non poteva esistere nessuno tra i Longobardi o tra i popoli loro associati a portare un simile antroponimo. Semmai avrebbe dovuto essere *INGUARI, che tuttavia non sembra documentato da nessuna parte. Allo stato attuale delle mie conoscenze non mi risultano attestazioni di composti longobardi formati a partire dal nome di divinità che in protogermanico doveva suonare *Ingwaz, molto produttivo in Scandinavia. La forma gotica sarebbe scritta in ortografia wulfiliana *Iggwaharjis.

Gensérico nun ze po' sentì, come si direbbe nell'Urbe. La pronuncia in italiano corretto è Genserìco (chi diamine pronuncerebbe mai Teodòrico??). Si tratta di un nome tipico dei Vandali, portato da un loro condottiero nel V secolo, che devastò Roma un anno dopo che l'aveva visitata Alarico. Genserico (Gensericus, Geisericus, etc.) è un adattamento della forma originale vandalica, scritta più correttamente Geiseric e attestata ad esempio in Iordane. L'accento della forma nativa è sulla prima sillaba, che ha un dittongo o una vocale lunga. In gotico wulfiliano sarebbe scritto *Gaizareiks e significa "Principe del Giavellotto". In longobardo l'elemento *gaiza- "giavellotto, lancia" si era evoluto in gaire-, gari-, con tipico rotacismo della sibilante sonora -z- protogermanica, conservata invece nel germanico orientale (gotico, vandalico, burgundico, etc.). 

Quando Alboino chiama a gran voce alcuni suoi scagnozzi, c'è da ridere fragorosamente. Uno è Ario, un altro è Arìchi, un altro ancora porta un nome a malapena distinguibile che suona quasi Jabba! Non è difficile scorgere in Ario il nome del famoso eresiarca le cui dottrine ebbero grande diffusione tra molti popoli germanici. Non mi pare che fosse attestato il suo uso come antroponimo tra i popoli germanici che pure aderivano alla confessione Ariana del Crisitanesimo. Arichi è un nome longobardo (Arichis, Arechis), ma l'accento è collocato in modo erroneo sulla penultima sillaba.

Ralfo, Delfo, Svevo e Landa. Campogalliani doveva avere una forte predilezione per i nomi brevi. Svevo è chiaramente un nome etnico tratto dalla confederazione degli Svevi, quelli che già Cesare e Tacito chiamavano Suebi. Potrebbe avere un senso, anche se non mi pare che sia documentato. Gli altri nomi citati non hanno fondamento alcuno. A un certo punto Igor replica al Re Alboino a proposito di Delfo, dicendo: "È vecchio ed è slavo". Landa stessa afferma di avere sangue slavo. All'epoca in Italia si aveva un'idea abbastanza nebulosa dei popoli slavi e delle loro caratteristiche. Li si confondeva spesso e volentieri con gli Zingari (endoetnici Roma, Sinti, etc.). Così Landa incarna lo stereotipo della femme fatale zigana, una maliarda abbronzata e sensuale, con occhi e capelli scuri come la notte, esperta di arti magiche. 

Le orge della corte di Alboino sono forse un po' troppo sensuali, troppo moderne. Non so se con le pratiche igieniche dell'epoca avrebbe fatto molto piacere ai nobiluomini di un popolo germanico avere tante donne discinte a mettere i propri piedi nudi all'aria, spingendoli sotto il naso degli ospiti. Sarebbe oltremodo interessante poter disporre di seri trattati antropologici sul modo di concepire il corpo femmile e il potere attrattivo di ogni sua parte in un tempo in cui ci potevano essere seri ostacoli allo stesso concetto di Eros. Sporcizia, smegma, sudore. Certo, in qualche modo ci si lavava anche allora, ma non c'erano le saponette antibatteriche, credo che oltre all'acqua semplice ci fossero ben poche risorse, al massimo qualche erba come la pianta chiamata aro o qualche impasto di cenere e sego suino. Non dimentichiamoci che il tracollo igienico nella tarda Antichità ha causato la scomparsa della fellatio dall'Occidente - con l'eccezione di pochi casi più che altro collegabili a perverse disposizioni d'animo (volontà di infliggere umiliazione, etc.).

I Longobardi saccheggiano un mulino, inviati da Igor. Si mettono a caricare sacchi di cereali sulle spalle, ammucchiandoli in un carro rudimentale. Ecco che dalla grande dimora di pietra ove è collocato il mulino esce una donna urlante. Chiama suo figlio e gli urla che la loro famiglia è rovinata. Il nome del bambino è Bruno. Ebbene, Bruno è un nome germanico. L'errore commesso dallo sceneggiatore è lampante: egli parte dal patrimonio onomastico italiano contemporaneo e lo proietta all'infinito nel passato, senza alcun senso critico, pensando che possa valere l'idea di italianità eterna e immutabile contrapposta all'ignoranza e all'estraneità assoluta dei "Barbari" - concepiti come alieni piovuti sulla Terra da un altro pianeta, del tutto privi di qualsiasi contatto con alcunché di noto. 

Si deve dire Friùli, non Frìuli. Come ben risaputo, il toponimo è derivato da Forum Iulii. Un accento sulla prima vocale -i- è di per sé una vera e propria assurdità. La tradizione vuole che la pronuncia Frìuli, del tutto erronea, sia stata diffusa da un cronista di poca conoscenza all'epoca del grande terremoto del Friuli del 1976. Ecco, basta guardare il peplum trash di Campogalliani per rendersi conto che l'errore di pronuncia risale a un'epoca anteriore a quella del sisma. 

La leggenda dei Cinocefali 

Non si capisce come Emiliano avrebbe potuto ingannare i gloriosi Longobardi con un travestimento pacchiano da uomo-lupo (o piuttosto da uomo-cane). Infatti sono stati proprio i Longobardi ad escogitare, come ci narra Paolo Diacono, l'inganno dei Cinocefali. Per atterrire i loro nemici, in un'occasione avevano diffuso una diceria sinistra: nei loro accampamenti sarebbero stati ospitati mostri con corpo umano e testa di cane, assai bellicosi e avidissimi di sangue. Quindi un simile imbroglio, essendo noto a tutti fin dall'infanzia, non avrebbe provocato alcuno scompiglio tra il popolo di Alboino! Non dobbiamo mai immaginare, come ha fatto Campogalliani, che i nostri Progenitori fossero più primitivi di noi nell'immaginazione: lo erano soltanto nei mezzi tecnologici! 

lunedì 12 agosto 2019

ETIMOLOGIA DI PATARINO

In origine si indicava con il termine patarino un seguace della Pataria milanese, movimento pauperista del XI secolo che predicava la lotta contro gli ecclesiastici corrotti e simoniaci. Eroi che guidarono questa rivoluzione furono Arialdo di Carimate e Landolfo Cotta, nobiluomini discendenti dei Longobardi. 

Alcuni autori sostengono che la Pataria traesse il suo nome dal milanese pattée 'cenciaiolo', 'rigattiere' (cfr. italiano patta, in origine 'cencio', dal longobardo paita 'veste'). Altri ancora scrivono che la stessa parola milanese pattée indicasse invece le discariche di rifiuti (cfr. italiano pattume, pattumiera): nei pressi di quei luoghi si sarebbero adunati i Patarini rivoltosi. Difficile non vedere in queste associazioni ai cenci o ai rifiuti un intento di scherno e di denigrazione da parte del clero ben pasciuto e abusivo.

Tuttavia nei secoli XII-XIII si diffuse ampiamente una nuova accezione del termine, tanto che patarino (variante paterino) divenne semplicemente sinonimo di cataro. In un primo tempo la parola avrebbe indicato anche altri eretici, come ad esempio i Valdesi e gli Umiliati, per poi passare a designare soltanto i dissidenti dualisti. Le ipotesi sono ancora una volta molteplici. Qualcuno pensa che i Catari fossero detti Patarini per semplice assonanza con la più antica Pataria. Una variante Patari è ben documentata, ma non è certo se si pronunciasse Pàtari o piuttosto Patàri - in opposizione a Càtari, Gàzari che ha sempre l'accento sulla prima sillaba. Per altri questa denominazione deriverebbe da personaggi storici connessi con il Catarismo. Mi sono imbattuto in due ipotesi: o un fantomatico Filippo Pateron, o il nobile Roberto Patta di Giussano (vissuto in pieno XIII secolo). A mio avviso si tratta di favole. Se il Pateron non è un parto di fantasia, dovette guadagnarsi il soprannome per via dell'abitudine di recitare di continuo il Pater (vedi sotto). Per quanto riguarda il nobile giussanese Patta, sembra che portasse un epiteto di scherno, come se girasse coperto di cenci o fosse incline a estrarre con troppa facilità i genitali dai calzoni.

L'etimologia più probabile della parola patarino è invece un'altra. I Patarini sarebbero stati chiamati così perché l'unica preghiera che ammettevano era il Pater: rifiutavano ogni altra invocazione usata dai fedeli della Chiesa Romana. È nota una variante slava Patereni si trova anche in Bosnia per indicare i Catari balcanici, i Bogomili. A riprova di questo, faccio notare qualcosa che a dispetto dell'apparenza banale potrebbe avere una certa importanza: non mi risulta che il Catarismo sia mai stato chiamato Pataria. Questo nonostante l'opinione sostenuta dal Feedback di Google, che reputa Pataria un recente derivato astratto in -ia (cfr. magia, porcheria, etc.) costruito a partire da patarino

Nel Morgante Maggiore di Luigi Pulci (1432 - 1484) troviamo un saraceno apostrofato come marran rinnegato paterino (Cantare ventesimosettimo, 8), segno che la parola aveva subìto uno slittamento semantico passando a significare 'empio, irreligioso'. Nel XVIII secolo in Toscana si usava ancora paterino come sinonimo di 'furfante, briccone, birbaccione'.

martedì 28 maggio 2019


IL COMUNISTA

Autore: Guido Morselli
Anno di scrittura: 1964-65
Lingua: Italiano  
Prima edizione: 1976
Altre edizioni: 1981, 2014 
Editore: Adelphi
Collana: Narrativa contemporanea; Fabula 
Pagine: 359 pagg.

Genere: Romanzo
Sottogeneri: Narrativa psicologica, politica, fantapolitica
Codice EAN: 9788845908378


Trama: 
Walter Ferranini è un comunista di Reggio Emilia, deputato del PCI. Duro e puro, è talmente idealista da vivere in condizioni di grande austerità anche a Roma, città eterna di crapule, bagordi e depravazioni, capitale di ogni corruzione e decadenza, madre dei vizi. Egli ha un carattere spigoloso, tanto da sembrare "tagliato con l'accetta in un legno ruvido". Il dogma marxista gli impone di credere che la natura dell'essere umano sia buona, sebbene la sua personale esperienza gli suggerisca piuttosto il contrario. Inizia così, in modo silente e inavvertito, un dissidio ideologico. Dapprima strisciante, il dubbio si insinua nel suo intelletto, per diventare poi sempre più manifesto. Se da una parte il PCI è per Ferranini una Chiesa, una specie di conventicola religiosa in cui egli stesso ricopre la carica di Vescovo, dall'altra gli eventi lo portano a simpatizzare per il torinese Roberto Mazzola, un dissidente che con le sue idee eterodosse si è attirato la censura degli inquisitori comunisti. Eppure l'eretico Mazzola è un comunista vero in tutto e per tutto, uno stalinista genuino che ha resistito alla destalinizzazione divenuta all'improvviso il nuovo Pensiero Unico del Partito, dopo anni di stalinismo professato come unica possibilità ideologica. L'uomo di Reggio, pur portando avanti la propria esistenza in condizioni apparentemente coerenti, ha tuttavia un punto debole di non poco conto: la sua relazione adulterina con Anna "Nuccia" Corsi, moglie del cornuto Cesare Lonati. Questa sensuale vulnerabilità gli attira presto le attenzioni degli organi inquisitoriali del PCI, con conseguenze tutt'altro che piacevoli. A complicare la situazione è l'amore struggente che Ferranini continua a provare per la sua ex moglie americana, Nancy Demarr, da cui il Destino l'ha separato anni prima. Farà di tutto per ricongiungersi a lei, anche a costo di camminare nella neve, in mezzo alla tormenta, venendo quindi ricoverato in ospedale. Non avrà fortuna, come in nessuna sua impresa dalla sua infanzia in poi: non riuscirà a rimettersi insieme all'adorata Nancy, perderà Nuccia, sarà trattato con gelo dalla dirigenza del Partito e da quelli che considerava amici. In buona sostanza, la sua vita sarà come un albero ridotto a segatura di rodilegno. 

Recensione:
Un libro eccellente che ho amato fin da subito. Ho sempre considerato i vincenti come nemici da odiare e sono invece incline a solidarizzare coi perdenti, genere a cui io stesso appartengo. Non ho vergogna ad ammetterlo. In fondo, come diceva Michael Ende, le storie dei vincenti sono tutte uguali e quindi oltremodo noiose, mentre ogni perdente è un caso a sé. Non c'è una sola storia di uno sconfitto che sia assimilabile a un'altra, per questo vale la pena di immergersi nella loro lettura.


N.B. 
I grassetti nei brani morselliani citati nel seguito sono miei, allo scopo di evidenziare parole degne della massima attenzione. 

Il formaggio invernengo 

Una parola che non conoscevo: invernengo (variante vernengo). Dicesi del parmigiano reggiano ottenuto dal latte raccolto da ottobre ad aprile; in Lombardia si chiamava invernengo il grana padano con simili caratteristiche. Più in generale, secondo i vocabolari della lingua italiana, l'aggettivo indica prodotti agricoli a maturazione tardiva, inclusi i cereali. La radice della parola è chiaramente inverno, stagione in cui questo genere di alimenti pregiati veniva prodotto, con l'aggiunta del ben noto suffisso germanico -ing che forma i patronimici e numerosi aggettivi, importato dalla lingua longobarda. Si può considerare lo stravagante vocabolo come un interessante ibrido romanzo-germanico. Un aggettivo ormai desueto, formato in modo simile, è maggengo "del mese di maggio". Riporto il brano in cui si menziona il formaggio invernengo, perché è una preziosa testimonianza di un tempo ormai scomparso e una miniera per noi antropologi. 

- Abbiamo preso il caffè, - fece Amos con la buona volontà di distrarlo - e ci siamo scordati il formaggio. Che reggiani siamo?
Avanzava il cameriere per sparecchiare, gli ordinarono di portarne. Ripresero a mangiare in silenzio, e solo Bignami Vittorio trovò modo di ammirare le 'ciccette' di due forestiere floreali e fuori stagione (tedesche, inglesi? bisogna venire a Roma per vederne), che si mettevano a desco in quel momento a due passi da loro. Amos commentava il formaggio reggiano, a bocca piena: - Questo è nostro autentico,
invernengo. Latte di due mungiture. Una volta ce n'era tanto poco in mercato che non arrivava, non dico a Roma, nemmeno a Bologna. Dopo la guerra, sono state le bacine di ferro al posto dei secchioni di legno, sono state le stufe elettriche nelle casere a fare crescere il rendimento, e tu sai, Ferranini, che per questo ci sono voluti i consorzi dei lavoratori come la CAP, e le cooperative, ci sono voluti i Collina, i Maccaferri e (diciamolo!) i Bignami. Del lavoro ne abbiamo fatto, tu che ci sgridi. Sono miliardi che non vanno più in tasca ai padroni, se li spartiscono i lavoratori.

Per maggiori informazioni e approfondimenti rimando a una fonte autorevole: 


Non smetterò mai di lamentarmi dell'Oblio che inghiotte ogni cosa, facendo scomparire anche dettagli di cose quotidiane a cui tutti siamo abituati, particolari a cui nessuno sembra più interessarsi.

Un sorprendente neologismo 

Morselli ci lascia intravedere qualcosa della vita intima del deputato Ferranini e della sua amante. Ovviamente, data l'epoca, non possiamo aspettarci i pompini: anche in contesti adulterini la sessualità era gravata da fin troppi tabù. Possiamo però gustarci un vocabolo morboso, il verbo "nucciare"

- La vita privata piace anche a te, chi è che dice: nucciare? Ho voglia di nucciare? Su sgelati, da bravo, chi l'ha inventata quella parola?
Ferranini non era forse un ossessivo ma era sfornito di senso umoristico, questo di sicuro. E abituato a prendere le cose sempre sul serio ne faceva merito alla sua origine: noi emiliani siamo tutti così.
- Non c'entra. La colpa è tua che me l'hai fatta trovare.
 


La formazione è unica nel suo genere. Almeno questa è la conclusione a cui mi porta la mia limitata e infelice esperienza col gentil sesso. Questo è un verbo derivato da un nome proprio: nucciare viene da Nuccia, che è un ipocoristico di Anna (deriva da una semplice abbreviazione di Annuccia). Resto sempre stupefatto davanti a queste bizzarre formazioni che oscurano il nome d'origine. Il record lo batte forse il piemontese Notto per Giuseppe (da Pinotto, a sua volta diminutivo di Pino, che è da Giuseppino). Sarebbe interessante cercare di capire cosa abbia spinto Morselli a inventare il verbo nucciare, se la cosa abbia una radice nel suo oscurissimo passato.     

La Rivoluzione nelle ferrovie 

Nessuno al giorno d'oggi ha la benché minima nozione del Piano Keller. Deve essere una di quelle note a piè di pagina in libri storici altamente specialistici. Morselli ci illustra per sommi capi questa realtà obliata. Keller fu un collaboratore di Lenin che riorganizzò le ferrovie russe. Le ferrovie italiane, in mano a militanti comunisti, erano state predisposte per la Rivoluzione. Il compagno Panciroli ce ne parla: 

"... secondo il nostro piano le linee Piacenza - Arezzo e Ferrara - Ancona sono divise in tanti trochi, ognuno affidato a un gruppo, suddiviso in varie squadre per i diversi compiti. Perché sono previsti due tipi d'intervento: l'operazione E (esercizio), e l'operazione 5 (sabotaggio e interruzione del traffico). Ho una squadra al deposito di locomotive, una che si occupa della linea, un'altra della rete aerea, una quarta degli scambi e segnali eccetera." 

All'organizzazione rivoluzionaria descritta da Morselli è subentrata un'entropia diffusa: assenza di manutenzione, malfunzionamenti, disservizi continui, neghittosità cronica, occasionali incidenti e via discorrendo.

Le opinioni di Ferranini sul dialetto 

Ferranini ritiene un bene la decadenza del dialetto emiliano. Il dogma comunista afferma "Proletari di tutto il mondo unitevi". Il punto è che per unirsi bisogna intendersi, fa notare il ruvido deputato. La necessità impellente è a suo avviso "raggiungere almeno il livello nazionale e lasciar perdere il reggiano, il modenese o il piemontese". L'uso della lingua locale è visto come "retorica borghese, magari mascherata da sinistrismo", il cui scopo è mettere in satira il mondo dei lavoratori. L'ideologia comunista fu ostile ai dialetti almeno quanto quella fascista. Eppure lo stesso Ferranini si lascia scappare una parola emiliana italianizzata: sgurare, da sgurèr "pulire, dirozzare". L'etimologia è dal latino secūris "scure": *secūrāre "passare la scure".    

Cooperative che impiantano camorra 

Sono rimasto particolarmente colpito da un brano in cui si parla di una gestione un po' disinvolta dei lavoratori, un malcostume che in Italia non è certo una novità. I responsabili, mirabile dictu, non erano capitalisti borghesi, bensì marxisti che almeno a parole condannavano ogni sfruttamento:   

Erano arrivati verso mezzogiorno nella Bassa, e visitarono il Mobilificio Operaio di Fratta Po, che l'Ancillotti presentava come una roccaforte del partito e un esemplare di organizzazione aziendale. Ferranini, critico, si provò a fare qualche domanda e venne in chiaro questo: il mobilificio non era per niente in regola coi contributi, e non ne teneva nessuna contabilità; e su trentaquattro uomini ben quattro, meridionali immigrati, non avevano neppure il libretto di lavoro.
Il ragioniere Bolognesi, il dirigente, messo alle strette tirò fuori che "si era in famiglia" e che la gente stava meglio così, senza tante trattenute e formalità. Ferranini gli fece notare che nel più vecchio dei tre laboratori le seghe circolari mancavano di dispositivi di sicurezza, prescritti da una legge che pure è assai poco esigente in materia di prevenzione degli infortuni. Gli disse, tranquillo: - Io porterò i fatti a conoscenza degli organi competenti. Le tue ragioni le farai valere in quella sede. Se hai in testa di metterti in regola, bene, se no mi impegno personalmente a farti sospendere il lavoro. - Siccome il ragionier Bolognesi brontolava, bella solidarietà, e lasciava capire che in Federazione c'era chi lo avrebbe difeso (vedi Viscardi), Ferranini aggiunse: - Ti posso garantire che la tua tessera 59 è in pericolo. Essere comunisti significa essere pronti a sacrificarsi,
non a impiantare camorra. Mi capisci? Te lo dice il compagno Ferranini, uno che anche oggi sta pagando di persona. - Fubini lo guardò. 

Ogni ideologia, per quanto utopista possa sembrare, è lesta ad accomodarsi con i poteri del mondo. 

Le genti di Kiev e la proprietà privata 

Tale era la fama dell'Ucraina tra i comunisti, che Reggio Emilia era soprannominata "la Kiev d'Italia". Il reggiano era "l'Ucraina d'Italia"

- Cari miei, c'è poco da ridere. Siamo individualisti, cioè antisocialisti, pensiamo alla terra come alle ciccette delle ragazze. Abbiamo la concupiscenza della proprietà, però usiamo il linguaggio collettivistico.

E ancora:  

- In Russia potranno essere meno avanti di noi come tecnica, mettiamo macchine e sementi, fertilizzanti e insetticidi, silos e caseifici, imballaggi e lascia pur dire, ma quella mentalità, la concupiscenza, loro l'hanno superata. La differenza è tutta qui, e mettetevela in testa, altrimenti avrò sempre predicato per niente.

L'esperienza mi ha dimostrato che le genti di Kiev hanno superato il concetto di proprietà privata... degli altri! 

Contro l'ottimismo cornucopiano 

Il lavoro è una maledizione, una condizione afflittiva. Ferranini è molto turbato dalla consapevolezza di questa realtà e si chiede se le cose potranno mai cambiare. Si chiede se la dannazione lavorativa un giorno avrà fine, se la Rivoluzione libererà l'essere umano da ogni incombenza e dalla fatica a cui il presente opprimente lo condanna. Alla fine, dopo un lungo elucubrare, e deducne che la risposta a questa angosciante domanda è negativa. Non è possibile vagheggiare una società in cui il lavoro - con tutte le sofferenze che comporta - potrà essere superato. Proprio questo è il motivo del dissidio ideologico, del conflitto che mette l'ottimo Ferranini contro l'ortodossia della sua Chiesa, il Partito. Le sue conclusioni sono quelle degli antichi Gnostici e dei Manichei: la Natura è intrinsecamente maligna, il mondo materiale si oppone agli esseri viventi e li tortura senza sosta. Il Cosmo non è la casa del genere umano, è piuttosto la sua prigione, il girone di Malebolge in cui avviene la sua degradazione, in cui ogni sua speranza viene distrutta.      

Materiale profetico in Morselli 

Sono consapevole del fatto che saperlo desterà grande stupore, ma è così: Il comunista contiene forse la prima menzione documentabile del concetto di Padania, solo in seguito articolato in una labile costruzione politica da Umberto Bossi e dal partito da lui fondato.

Passare il suo Po, familiare e selvatico, nascosto dai pioppi. Il suo Po malinconico. (C'era il comitato interprovinciale da riunire. Il Po, gente mia, non ha ponti. Il nostro fiume serve solo per le inondazioni. Noi che siamo padani, non emiliani o lombardi e nemmeno italiani...).  

Ferranini intravede con nitidezza la falla che porterà il Partito Comunista Italiano alla rovina.  Si tratta di un'antinomia che è sfuggita a tutti, sia alla base degli iscritti che alla classe dirigente. Se si favorisce il culto della personalità e si incoraggiano gli elementi più dotati, questi si inorgogliscono e perseguono soltanto i propri fini egoistici. Così si va contro il collettivismo. Se non si favorisce il culto della personalità, se si ostacolano gli elementi più dotati, il Partito finirà con l'essere guidato dai mediocri, che non saranno in grado di gestire nulla. Anche così si va contro il collettivismo. Un bel paradosso, vero?  
E infatti oggi c'è il Partito Democratico. Il Piddì. 

P.S.  
Se la memoria non mi fallisce, l'ultimo ad aver fatto cenno al concetto stesso di collettivismo fu un certo Fausto Bertinotti, che in un'occasione disse di sognare ancora l'abolizione della proprietà privata. Indossava una giacca di cachemire.

La Casta

Morselli preconizzò la crisi ontologica della Sinistra. Non si limitò ad anticipare il gergo della Lega Lombarda di Bossi: nel suo romanzo troviamo anche un'anticipazione di un altro linguaggio, quello del Grillismo. Non soltanto: vengono denunciati anche i radical chic. Dietro le parole evocate dallo scrittore nichilista scrutando il futuro come un aruspice etrusco, si cela una verità tragica. Ecco due passi che dovrebbero far meditare chiunque: 

Ci sono dunque i Pisani e i Magrò, i comunisti in cui il comunismo è raffinatezza di cultura escludente. Una casta. 

E ancora: 

E si voltò a guardare l'orologio. Era un professore che ha fretta di mettere fine all'esame. Come il compagno Pisani a Torino: professori infastiditi dagli esaminandi sciocchi, preti impazienti di richiudere il tabernacolo. La casta degli illuminati di fronte a profani presuntuosi come lui, come Mazzola. 

Il linguaggio simbolico, che distingue Homo sapiens dagli altri animali, diventa una peste, troppo spesso si trasforma nelle sbarre di un carcere da cui non si può evadere!  

Una pugnalata da Italo Calvino! 

Sì, ne sono convinto e professo un'opinione che ai lettori apparirà come minimo controversa. In poche parole, Italo Calvino fu responsabile del suicidio di Guido Morselli. Lo spinse alla morte. Ciò che gli inflisse si può chiamare in un solo modo: un colpo di pugnale nella schiena. Ein Dolchstoß in den Rücken - per usare l'augusta lingua di Hegel e di Nietzsche. Sono della stessa idea dell'Ispettore Derrick: assassino non è soltanto chi preme il grilletto. La mia idea non è poi così peregrina. C'è chi parla esplicitamente di "delitto editoriale" - e ben a ragione. Riporto in questa sede, a pubblica edificazione, le invereconde parole scritte da Italo Calvino al Morselli: 

    Torino, 5 ottobre 1965 

    Caro Morselli,
    finalmente ho letto il Suo romanzo. So d’aver tardato oltremisura e che non c’è nulla che spazientisca un autore quanto queste lunghe attese: ma la lettura dei manoscritti è un lavoro supplettivo per cui devo rubare del tempo al lavoro e alle altre letture che riempiono – ahimè senza margine – le mie giornate feriali e festive, inverno ed estate. Ed è anche un lavoro – devo dirglielo subito – che, quando si tratta di romanzi politici, faccio senza nessuna speranza. La politica continua a interessarmi, e così la letteratura (con tutto ciò che questo nome implica) ma dal romanzo politico non mi aspetto nulla, né in un campo d’interessi né nell’altro. Credo cioè che si può fare opera di letteratura creativa con tutto, politica compresa, ma bisogna trovare forme di discorso più duttili, più vere, meno organicamente false di quello che è il romanzo oggi. Trattando i problemi che stanno a cuore si possono scrivere saggi che siano opere letterarie di gran valore, valore poetico dico, con non solo idee e notizie, ma figure e paesi e sentimenti. Delle cose serie bisogna imparare a scrivere così, e in nessun altro modo.


E ancora: 

…] direi che ci vorrebbe più consapevolezza dell’operazione linguistica che sta facendo; dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista; lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”. Qui è la grande delusione a cui necessariamente va incontro il “genere” che Lei ha scelto, il romanzo di rappresentazione quasi fotografica d’ambienti diversi, il romanzo storico-privato.

Questa è la chiusura della lettera desolante: 

    […] Come vede il libro ho cercato di leggerlo in tutte le sue dimensioni, e mi sono accanito a smontarlo e rimontarlo: insomma ci ho preso gusto e mi ci sono arrabbiato, non rimpiango il tempo (un viaggio a Milano in treno, andata e ritorno) che ho impiegato a leggerlo, posso dire che mi ha mosso pensieri e ci ho imparato.
    Spero che Lei non s’arrabbi per il mio giudizio. Si scrive per questo e solo per questo: non per piacere, o stupire, o “aver successo”.
    Un cordiale saluto
    Suo Italo Calvino


Così apprendiamo che l'autore de Il barone rampante avrebbe letto il ponderoso romanzo di Morselli in un viaggio in treno a Milano... da Alfa Centauri! Già questa è una dichiarazione di disonestà intellettuale. A meno che non sia dotato di poteri mentalistici prodigiosi, non penso che un essere umano possa leggere in poche ore un libro di circa 35o pagine. Non rientra nelle possibilità della specie Homo sapiens. Punto. Questo è un dato di fatto. Lo uso spesso e volentieri per smascherare gli impostori che si fregiano del titolo di "lettori bulimici", quelli che affermano di leggere un migliaio di libri in un anno (ossia più di un libro ogni santo giorno!). Chiunque affermi di leggere un libro come Il comunista in un giorno è soltanto un buffone: probabilmente il manoscritto di Morselli è stato cestinato dopo un'occhiata superficiale. Francamente preferisco quell'altro Calvino, il Riformatore di Ginevra, quello che odiava i bambini e li definiva "piccoli fetenti"

Queste sono parole, di tutt'altro tenore, tratte dal risvolto del romanzo, pubblicato da Adelphi: 

Il comunista racconta un caso di dissenso ideologico, ma non è un romanzo ideologico. Anche se è impressionante l’anticipo con cui questo romanzo, scritto nel 1964-65, tocca problemi e prospettive degli anni successivi, bisogna dire che qui a Morselli preme soprattutto ricomporre uno strato di realtà, un agglomerato di psicologie, di modi di vita, di affinità e di conflitti all’ombra di via delle Botteghe Oscure. Come ogni vero romanziere, Morselli non si preoccupa di giudicare, ma di dare vita e forma. Così, il quadro che ci mostra abbraccia insieme gli elementi più grandiosi e affascinanti come quelli più duri e meschini della vita interna del P.C.I., senza che mai quei caratteri siano usati per una dimostrazione. 

E ancora:

Come già nei suoi romanzi precedenti, anche questa volta Morselli sa calarsi con prodigioso mimetismo in una nuova realtà, il P.C.I., presenza imponente nella vita italiana, forse troppo imponente se finora i romanzieri italiani sembrano essersi del tutto bloccati davanti a essa. È perciò quasi un’altra ironia della sorte, fra le molte legate al suo nome, che a cimentarsi in questa difficile impresa, e a riuscire nella prova, sia stato un outsider in ogni senso come Morselli, aiutato soltanto dalla sua rara capacità di aprire le porte di mondi sigillati e da una chiaroveggente attrazione per il concreto. 

Purtroppo capita che ci voglia un suicidio perché sia resa giustizia all'opera di un grande! 

lunedì 20 maggio 2019


DOPO DIO 

Autore: Peter Sloterdijk 
Anno: 2018
Lingua originale: Tedesco 
Titolo originale: Nach Gott: Glaubens- und Unglaubens-
     versuche
Editore: Raffaello Cortina Editore
Tipologia: Monografia
Soggetti: Religione, secolo XXI, filosofia, uomo, rapporti con
      Dio
Traduttore: Silvia Rodeschini
Curatore: Gianluca Bonaiuti
Collana: Scienza e idee
Codice EAN: 9788832850475
Pagine: 324 pagg. (Brossura)

Sinossi (da Raffaellocortina.it): 
Nella trilogia Sfere, Peter Sloterdijk evidenzia l’interesse della teologia speculativa per quella che viene ritenuta la smisurata grandezza di Dio, al quale è assegnato il ruolo di protezione assicurativa per l’anima. Questa funzione, celata in ogni religione monoteistica, costituisce l’orizzonte di significato in cui prendono posto gli esseri umani e il mondo.
Alla fine del XIX secolo, la “morte di Dio” priva la fede di forza, di oggetto e di salvezza. Nel suo nuovo libro, Sloterdijk si chiede quali siano state le ripercussioni di questa svolta sulla contemporaneità: una filosofia senza effetti reali? un cambio di mentalità? una diversa capacità di diagnosticare gli accadimenti? Che cosa ne è dell’essere umano, se l’Uno che dà senso alla sua vita non è più Dio ma il mondo stesso? La ricerca si inquadra in una logica di continuità con il lavoro di Sloterdijk sull’età contemporanea come periodo segnato da una complessità e da una complicazione crescenti. Per questa sua natura, essa coinvolge la teologia e la filosofia, la politica imperialistica dell’Occidente, gli influssi degli sviluppi culturali, l’impatto dei progressi scientifici e tecnologici. 



L'autore:   
"Peter Sloterdijk, uno dei più influenti pensatori contemporanei, insegna Filosofia ed Estetica presso la Staatliche Hochschule für Gestaltung Karlsruhe, di cui è attualmente Rettore." 
Così è presentato il filosofo, sempre sul sito di Raffaello Cortina Editore. Aggiungerei che ha il volto di un robusto amante della buona tavola e delle libagioni copiose, con qualche esigua traccia di incipiente sofferenza per l'entropia accumulata nel corso degli incessanti bagordi - cosa che mi accomuna a lui in tutto e per tutto, mi tocca ammetere. :) 


Indice dell'opera  

1. Il crepuscolo degli dei.
"Dopo tutti i mondi degli dei c'è un crepuscolo degli dei"
2. È possibile dire di sì al mondo? A proposito della trasformazione dell'atmosfera fondamentale nella religiosità del Moderno, con particolare riferimento a Martin Lutero.
(Acutizzazione eccentrica – E videro che non era buono – L'origine della Riforma dallo spirito della disperazione temperata - Entropia protestante)
3. La vera dottrina errante: gnosi. Sulla religione mondiale dell'assenza di mondo.
(Dove si trova Nag Hammâdi – Come il mondo reale è infine divenuto un errore – Breve storia del tempo vero e proprio – Gnosi come psicologia negativa – Umanesimo demiurgico. A proposito della gnosi dell'arte moderna)
4. Più vicino di me stesso. Scuola teologica preparatoria alla teoria dell'interno comune.
5. Il bastardo di Dio.
6. Miglioramento umano. Parole chiave filosofiche sul problema della differenza antropologica.
7. Epoche dell'animazione. Proposte per una filosofia della storia della nevrosi.
8. Latenza. A proposito del nascondimento.
(Emersione della cripta - Operare massimamente invasivo - Inscatolamento come creazione della latenza - Impatto e dispiegamento - Calcolo integrale intuitivo)
9. L'imperativo mistico. Note sulla variazione di forma del religioso nella modernità. 
(Le Confessioni estatiche di Martin Buber come sintomo epocale - La religione nell'epoca dell'esperimento - L'arena del mondo e lo spazio privo di marcature)
10. Imperativo assoluto e imperativo categorico.
11. Novità a proposito della volontà di credere. Note sulla desecolarizzazione.
12. Chance nel mostruoso. Note sulla variazione della forma del religioso nel mondo moderno sulla base di alcuni temi ripresi da William James.  

Recensione: 
Decisamente prolisso. Indigeribile. Una pingue e copiosa frittura di carne di coccodrillo al confronto è un pasto leggero. Mentre leggevo il contorto testo sloterdijkiano mi sentivo regredire allo stadio di ominide. Giungendo alle ultime battute dopo giorni di estenuazione, ero ormai diventato un Australopithecus afarensis, incapace persino di rammentare l'inizio di una frase contorta prima ancora di essere giunto al suo termine. Potremmo dire che Dopo Dio è uno strumento dell'Involuzione della Specie, dato che il suo linguaggio è tanto complesso da avere un impatto devastante sul lettore, facendolo regredire fino alle scimmie subumane, mettendolo davanto a tutta la sua inadeguatezza verbale. Ma ha davvero senso tessere frasi lunghe quanto due pagine, con una decina di livelli di subordinazione e centinaia di coordinate? Sarebbe bello capire da che pusher si rifornisce il gioviale tedescone. 

Un errore interpretativo 

Sul sito www.ibs.it si legge la seguente sconcertante descrizione: 

Nel suo nuovo libro, Peter Sloterdijk, per la prima volta, trae tutte le conclusioni dalla frase “Dio è morto”

«Il filosofo considera irrilevante la fede perché guarda al luteranesimo tedesco. La vitalità di altre Chiese evangeliche nei Paesi poveri dimostra tuttavia che il richiamo religioso resta potente.»
– La Lettura 


Caro Letturista, il richiamo delle Chiese Evangeliche nel Terzo, Quarto e Quinto Mondo resta potente non perché siano teologicamente vitali, bensì per un'altra ragione che si impone di prepotenza: i loro ministri istigano uomini che sono spaventosi energumeni e falli deambulanti a lasciare lo sperma in ogni vagina che trovano sulla loro strada, ingravidando ogni ventre fecondo. Così laddove queste Chiese si impongono, non è raro imbattersi in bruti che hanno più di cento nipoti. Di fronte a orrori simili si può solo sentire la mancanza di Zardoz! Sì, Zardoz, la Testa di Pietra che cala dal cielo a predicare il totale genocidio dell'umanità! Me lo ricordo bene quel bellissimo film del lontano 1974. Crederò che in Africa e in America Latina riverberino parole divinamente ispirate solo quando si alzerà un Profeta e urlerà alle genti: "Lo sperma è il Male!" 

La Gnosi, la dottrina errante  

Sloterdijk è ovviamente accusato dai cattolici-belva di essere un elemento neognostico - anche se a quanto pare non ha capito molto dello Gnosticismo, dato che non fa riferimento alcuno alla sua natura eminentemente anticosmica. Menziona però un fatto singolare che merita di essere approfondito: oltre ai sistemi gnostici dualisti (i più comuni), ne esistevano anche di monisti e addirittura di triadici. A parer mio, uno Gnosticismo monista non è Gnosticismo, sic et simpliciter - nonostante l'opinione dei moderni - a meno che non sia malteista. Per quanto riguarda i sistemi triadici, a quanto pare è assai difficile trovare informazioni. Quello che trovo inaccettabile è il continuo piagnisteo di coloro che identificano la modernità con lo Gnosticismo! Veniamo dunque ai cattolici che si danno la zappa sui piedi, accusando il filosofo tedesco di non fare alcuna menzione proprio di quei manoscritti di Qumran che dimostrano la falsità del Cristianesimo Niceno, che provano al di là di ogni dubbio la sua natura derivata e non divina. Intanto lo Gnosticismo resta valido nelle sue basi dottrinali ed è in grado di resistere - perché descrive la malvagità di un mondo oggettivamente malvagio - mentre se si continuerà a grattare la rogna di Qumran emergerà alla fin fine la desolante realtà storica, che il Cristianesimo mainstream è un'invenzione del subdolo Flavio Giuseppe, fabbricata a tavolino basandosi su materiale della setta degli Esseni. Un'invenzione fabbricata per finalità abiette, per giunta. 

Contraddizioni definitorie 

Il mondo contemporaneo, la cui natura intrinseca è materialista, è accusato di essere "gnostico". L'assurdità di una simile accusa è di uno stridore spaventoso. Lo Gnostico afferma che il mondo è il Nulla e che lo Spirito è imprigionato nella materia. Non ci potrebbe essere credo più antimaterialista. Da dove nasce dunque un equivoco tanto marchiano? Nasce dalla "Santa Ignoranza", da una profonda avversione nei confronti della Conoscenza. La piaga della "Santa Ignoranza" rende cieco chi ne è vittima: proprio per questo è di immenso profitto per chi detiene il potere. Vediamo un po' di analizzare un caso di inganno clamoroso, una bestemmia contro lo Spirito fatta passare per "religiosità". Non fu forse don Luigi Giussani ad affermare che nella carne dell'essere umano è presente la Verità? "La verità nasce dalla carne", è infatti il titolo di un suo scritto. L'uomo, secondo questa dottrina perniciosa, sarebbe dunque immagine di Dio proprio negli aspetti più desolanti e mortificanti, come la produzione di escrementi e la putrescenza dei cadaveri! Adesso mi pongo la domanda fatidica. Chi è il materialista?   

Il bastardo di Dio (sic)

Ebbene sì, come titolo di un capitolo è davvero forte! Il bastardo di Dio: la cesura di Gesù. Mi si perdoni se desta scandalo nei possibili lettori del mio portale, ma questa locuzione, che senza dubbio ferirà milioni di persone, è stampata tal quale sul testo in analisi. Non me la sono inventata io. Sloterdijk ha recuperato l'idea, che accomuna gli autori del Talmud ad Adolf Hitler e agli esoteristi della Thule Gesellschaft: Gesù Cristo non fu figlio di Dio, bensì di un legionario che militava nell'Esercito Imperiale. Hitler e gli adepti della Società di Thule aggiungevano un dettaglio non di poco conto alla narrazione talmudica: questo legionario era di origine germanica e si chiamava Panthera. La fonte ultima è un'opera del filosofo neoplatonico Celso (II secolo d.C.), il Discorso veritiero. Secondo queste bizzarre dottrine, che in Italia ricevono per ovvie ragioni ben poca pubblicità, Maria sarebbe stata una sorta di escort e neppure tanto di lusso, in buona sostanza una prostituta autoctona adibita al soddisfacimento del militari di Roma. Per questo motivo, sempre seguendo Sloterdijk, il Rabbinato e l'Uomo di Braunau am Inn, Gesù non sopportava alcun discorso, nemmeno larvato, che potesse alludere alla sua vera e ingloriosa origine. Così batteva i piedi e sfuriava, faceva le bizze, dicendo di essere Figlio di Dio, per allontanare da sé la vergogna di uno sperma alloctono. Sloterdijk si spinge anche oltre: menziona le problematiche genealogie di Gesù contenute nei Vangeli di Luca e di Matteo, con cui gli autori pensavano di ricondurre il Salvatore alla Casa di David. Con molta arguzia, il filosofo tedesco fa notare un paio di cose a dir poco drammatiche. Innanzitutto dette genealogie riportano alla Casa di David non Maria, che fisicamente avrebbe dovuto dare alla luce il Bambin Gesù, bensì Giuseppe, che stando alle Scritture non avrebbe dovuto dare al concepimento divino alcun contributo spermatico! Si noterà che la tradizione popolare italiana reputa Giuseppe degno di irrisione e di scherno, eleggendolo patrono dei cornuti e addirittura dei segaioli: a tanto giunge l'immane bestialità del volgo belluino!

Ecco, secondo le dottrine dei Farisei, odiatissimi da Gesù, contava soltanto la paternità legale. Per questo contava attribuire la paternità legale di Gesù a Giuseppe e ricondurre quest'uomo alla Casa di David. Però tutti i complottisti mi dicono che si appartiene al Popolo Eletto da parte di madre. Una singolare contraddizione, non trovate? Come la risolviamo? 

Questi sono i brani evangelici che riportano l'ascendenza di Gesù:

Genealogia in Matteo, 1,1-17

1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2 Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 4 Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 5 Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6 Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, 7 Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 8 Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9 Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10 Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. 12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, 13 Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, 14 Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15 Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. 17 In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. 

Genealogia in Luca, 3,23-38

23 Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent'anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli, 24 figlio di Mattat, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innai, figlio di Giuseppe, 25 figlio di Mattatia, figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggai, 26 figlio di Maat, figlio di Mattatia, figlio di Semein, figlio di Iosec, figlio di Ioda, 27 figlio di Ioanàn, figlio di Resa, figlio di Zorobabele, figlio di Salatièl, figlio di Neri, 28 figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, 29 figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim, figlio di Mattat, figlio di Levi, 30 figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliachìm, 31 figlio di Melea, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natam, figlio di Davide, 32 figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di Booz, figlio di Sala, figlio di Naassòn, 33 figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda, 34 figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, 35 figlio di Seruc, figlio di Ragàu, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, 36 figlio di Cainam, figlio di Arfacsàd, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamec, 37 figlio di Matusalemme, figlio di Enoc, figlio di Iaret, figlio di Maleleèl, figlio di Cainam, 38 figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio.

Sloterdijk, con ghigno beffardo e mefistofelico, fa notare che Luca apporta un'innovazione davvero mirabile rispetto a Matteo: prolunga retroattivamente la genealogia di Gesù facendola arrivare fino al Primo Uomo, Adamo. Ma a cosa serve, commenta il filosofo, arrivare fino al Padre Adamo con un lunghissimo convoglio di vetture, se poi questo convoglio deraglia proprio nei pressi della stazione d'arrivo?  

Le Scritture devono essere Catare, ossia Pure

La soluzione ai problemi sollevati da Sloterdijk è molto semplice: le genealogie di Gesù sono apocrife. I Vangeli Canonici sono pieni zeppi di contaminazioni e si può definire Cristiano soltanto chi sostiene la necessità dell'epurazione dei testi da tutto ciò che è spurio e diabolico. Chi potrebbe mai pensare che Cristo avesse un corpo di carne in grado di ingurgitare e di defecare, di emettere seme e altre brutture? Nessuno dotato di senno potrebbe farlo. Non esistono gli escrementi divini! Così non è possibile che Cristo avesse una carne ereditata da donne perverse come l'incestuosa Tamar, la prostituta Racab, l'idolatra e infanticida Rut! E da queste meretrici sarebbe nata infine la Vergine? Tutto ciò è assurdo e deve essere rigettato. Un dovere: proseguire nel cammino che intrapresero Marcione e il Pop Bogomil, anche a costo di ridurre i Vangeli a poche pagine! Poche pagine di Verità, immuni da storture e da contaminazioni mondane, incapaci di trarre in inganno le genti!

Alcune note linguistiche 

Mi dispiace dirlo, ma Sloterdijk non ne capisce molto di linguistica. Non è un buon filologo. Sono rimasto a dir poco allibito quando ho letto queste sue parole:  

Il termine chiave dell'Illuminismo era quello stato di maggiorità [Mündigkeit], formulato da Kant, il quale veniva definito come la capacità di servirsi del proprio intelletto senza la direzione di altri - in particolare, in questioni di carattere religioso.
   Ora, lo stato di maggiorità è un concetto che un lettore di testi storici con un training psicoanalitico non può accogliere senza qualche remora. Tradurlo semplicemente in termini di autonomina o autodeterminazione sarebbe un'ingenuità ingiustificata, anche se i filosofi di professione più avversi alla psicologia accetterebbero di buon grado questa traduzione. Lo stato di maggiorità
[Mündigkeit] indica un fantasma dell'oralità [Mündlichkeit]1 che si prolunga nella sfera politica, e questo stato di cose è percepito dal terzo orecchio. Alla base dell'ideale dello stato di maggiorità c'è l'idea che un soggetto abbia preso possesso delle proprie competenze orali, ovvero del linguaggio, in misura tale da poter prendere la parla per sé - e, addirittura, per l'intera umanità nella propria persona. Nell'idea di uno stato di maggiorità si articola una programma educativo che estende una storia della formazione della bocca dal primo giorno fino alla volontà ultima, dall'urlo al discorso parlamentare. Perciò, i destini orali dell'uomo risultano collegati all'andamento del mondo di epoca moderna.  


Il curatore dell'edizione italiana, Bonaiuti, rincara la dose con la sua contorta nota al testo sloterdijkiano: 

1. È impossibile rendere in italiano questa assonanza, la parola tedesca Mündigkeit - che indica una condizione di maturità e autonomia - sembra contenere, infatti, la parola Mund, letteralmente "bocca", che si trova anche in altri termini giuridici, come Vormundschaft, tutela, Vormundschaftsgericht, ufficio tutorio. Esso deriva da Munt, un termine giuridico che nel medio-alto tedesco e nell'alto-tedesco antico indicava la protezione, da parte del responsabile di una casa, nei confronti di coloro che la abitavano (vedi "Mündigkeit" in Herkunftswörterbuch, Duden, Frankfurt am Main 2013).
Nei dizionari etimologici non è chiaro il suo apparentamento all'oralità, ma certamente nel tedesco moderno, a partire da Lutero, sono frequenti le associazioni tra
Mund e M
ündigkeit (vedi la voce "Mündigkeit" in J. Grimm, W. Grimm, Deutsches Wörterbuch, Hirzel, Leipzig 1971, vol. 12, coll. 2688). il termine Mündigkeit verrà qui reso con "maggiorità" e l'aggettivo mündig con l'italiano "maturo". Mündlichkeit viene invece tradotto con "oralità" e verrà distinto da Oralität e dai termini connessi, con l'indicazione del tedesco tra parentesi-
[NdC] 


Ebbene, tutto è molto semplice. In antico alto tedesco esistevano due diverse parole dal suono molto simile: mund "bocca" e munt "mano; protezione". In longobardo suonavano in modo identico: la parola mund "protezione" è stata latinizzata in mundium e ricorre in composti come aamund "libero, senza tutela" e selpmundia "padrona di se stessa". La parola per dire "bocca" e quella per "protezione" non risalgono però alla stessa radice protogermanica, nonostante la sostanziale omofonia. Si nota che mund "protezione" viene dalla stessa radice indoeuropea del latino manus "mano", mentre mund "bocca" viene dalla stessa radice indoeuropea del latino mentus "mento". Quindi tutte le verbose acrobazie di Sloterdijk e di Bonaiuti sono fatica sprecata che allontana dalla Verità. In buona sostanza, avrei gradito di più una tazza di kopi luwak, il buon caffè di Gianni Coprofago!