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venerdì 22 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI LUBOTSKY O IL FONEMA PROTOINDOEUROPEO *A

Alexander Lubotsky (Università di Leida) è l'autore del lavoro Against a Proto-Indo-European phoneme *a (Contro un fonema protoindoeuropeo *a), consultabile e scaricabile al seguente url di Academia.edu:


Il problema trattato è cruciale negli studi sul protoindoeuropeo e a parer mio di grande interesse. 

La ricostruzione di un fonema protoindoeuropeo *a accanto ai fonemi *e e *o è stata spesso contestata. Questo presunto fonema ha le seguenti mirabili proprietà: 

i) ricorre limitatamente,
ii) non è presente nelle terminazioni e nei suffissi,
iii) non mostrare praticamente apofonia,
iv) è presente solo in poche radici isolate che non appartengono al vocabolario di base.

Per i motivi sopra elencati, alcuni studiosi hanno ipotizzato che *a non sia un genuino fonema protoindoeuropeo, ma che si sia sviluppato in diverse lingue dal contatto con una ipotetica consonante poi scomparsa e trascritta come *H2. Nonostante ciò, più tardi è prevalsa un'opinione comune che considera il fonema *a una presenza inevitabile, dal momento che la sua spiegazione in termini di consonanti laringali è impossibile - tranne che in posizione iniziale, a quanto pare. Ebbene, l'autore dell'articolo è dell'opinione che il fonema *a sia superfluo. Volendo dimostrare l'esistenza del fonema *a in protoindoeuropeo dobbiamo considerare quelle lingue in cui il fonema *o non è diventato *a. Queste sono il greco, l'armeno, il tocario, il celtico, l'italico (falisco-latino e osco-umbro). Ci sono tuttavia problemi notevoli. Non è chiaro il vocalismo del tocario. In armeno non c'è ancora consenso sulle condizioni in cui il protoindoeuropeo *o è diventato a. In italico e in celtico ci sono molti casi di parole che mostrano a anziché o (es. latino cavus "cavo, profondo" accanto a un più logico ma raro covus). In celtico abbiamo almeno un caso di -o- al posto dell'atteso -a-: mori- "mare", ma in latino mare. Così l'autore deduce che l'unica lingua che mostra prove valide per dirimere la questione sia il greco. A parer mio è come andare dalla padella alla brace. Proprio il greco è proposto come soluzione, con tutte le sue infinite controversie etimologiche, col suo imponente sostrato pre-indoeuropeo, con tutti i tentativi di ricondurre all'indoeuropeo forme che appartengono a lingue perdute, con tutte le sue chimere e i molteplici strati di relitti di lingue indoeuropee residuali non altrimenti attestate. 
 
Detto tra noi, non mi piace più di tanto questo studio, le sue argomentazioni mi sembrano troppo contorte, tanto che è persino difficile esporle in forma sintetica. Comunque la si giri, non si riesce a spiegare nulla. Esistono elenchi di parole indoiraniche con -a- a cui corrisponde la stessa vocale -a- / -ā- nelle lingue indoeuropee cosiddette "meridionali". Il punto è che non si arriva ad afferrare il senso di questi dati - senza tener conto della possibilità di etimologie fallaci. L'autore dà diverse spiegazioni a seconda dei casi, così divide il materiale in diverse sezioni. Ecco una breve lista, a titolo di esempio:

Sanscrito pajra- "fermo" :
    Greco pḗgnūmi "io rendo saldo" < *pāg-
Sanscrito svadati "è dolce" :
   Greco hēdús "dolce" < *swādus
Sanscrito bajati "divide" :
   Greco phageĩn "mangiare"
Sanscrito radati "morde"
   Latino rādō "io rado"
Sanscrito śāśaduḥ "eccelsero" :
   Greco kekadménos "eccellente" 
Sanscrito śad- "cadere" :
   Latino cadō "io cado" 
 
Alcuni raffronti li rigetterei subito per motivi semantici. Non collegherei una radice che significa "dividere" con una radice che significa "mangiare", o una radice che significa "mordere" con una che significa "radere". Notiamo poi un falso raffronto: il greco kekadménos "eccellente" è un hapax di Pindaro, che lo ha costruito "anticando" la forma kekasménos, derivante dal verbo kaínūmai "io supero, io eccello" e senza traccia alcuna di un'antica -d-.   
 
Cosa molto importante, tre nomi radicali sono stati ricostruiti in protoindoeuropeo con il vocalismo -a- che alterna col grado -ā- nel nominativo singolare. Sono i seguenti: 
 
1) IE *sal- "sale":
      Armeno:
      Tocario B: salyiye
      Greco: háls "sale" 
      Latino: sāl "sale" 
      Gotico: salt "sale" 
      Lettone: sā̀ls "sale" 
      Lituano: sólymas "acqua salata"
      Slavo ecclesiastico: solĭ "sale" 
      Antico irlandese: salann "sale" 
      Gallese: halen "sale" 
 
2) IE *g'hans- "oca"
      Greco: khḗn "oca" 
      Latino: ānser "oca"
      Gotico: *gansus "oca"
      Norreno: gǫ́ss "oca"
      Antico irlandese: géiss "cigno" (< *ghansi-)
      Lettone: zùoss "oca" 
      Sanscrito: haṁsa- "cigno"
      Avestico: "oca" 

Lo slavo *gǫsĭ "oca" ha tutta l'aria di essere un prestito da una varietà di gotico.
 
3) IE *nas- / *nās- "naso"  
    Latino: nāris "narice", nāsus "naso"
    Norreno: nǫs "narice"
    Antico alto tedesco: nasa "naso"  
    Sanscrito: nāsā "naso" (du.)
    Antico persiano:
nāham "naso" (acc.)  
    Avestico: nɔ̄ŋhā "naso"
    Lituano: nósis "naso" 
    Lettone: nãss "narice"
    Slavo ecclesiastico: nosŭ "naso" 

Queste sono le forme protoindoeuropee ricostruite da Kortlandt nel 1985 (teoria delle laringali) e riportate dall'autore: 

1) nom. *seH2ls "sale"
    acc. *sH2elm
    gen. *sH2los 

2) nom. *g'heH2ns "oca" 
    acc. *g'hH2ensm
    gen. *g'hH2nsos 

3) nom. *neH2s "naso"
    acc. *neH2sm 
    gen. *nH2sos

A mio avviso sono ricostruzioni un po' opinabili, poi mi sbaglierò. Potrò anche essere il peggiore degli incompetenti, tuttavia mi domando perché l'accusativo singolare di *neH2s "naso" dovrebbe essere *neH2sm e non *nH2esm, come dovrebbe essere dal confronto con gli altri paradigmi. Domanda: quale lingua mostra in concreto un esito di *neH2s tal quale, senza suffisso alcuno? Non è che c'è qualche fallacia nelle forme ricostruite? Il problema è capire se la criticità che ha dato il fonema -a- nelle lingue storiche si trova a monte o a valle della lingua con le laringali. 
 
Nell'edificio presentato le criticità esistono. 
 
1) L'autore cita il sanscrito salila- (n.) "mare" (tra l'altro omesso da Starostin nel suo database). Intanto bisogna dimostrare che la parola abbia come suo significato centrale proprio "salato". Il suo significato originale potrebbe invece essere "acqua". Bisogna anche dimostrare che sia corretta l'etimologia, dal momento che il "suffisso" -ila- mi pare soverchiamente sospetto. E se fosse da dividersi *sa-lila- e fosse una parola para-Munda che ha *sa- come prefisso? Sarebbe proprio una bella beffa! 
 
2) Non ci sono soltanto esiti del protogermanico *gansu- / *gansi- con sibilante: esistono anche strane forme che hanno un'occlusiva dentale. In antico inglese abbiamo ganot "maschio dell'oca" e in antico alto tedesco ganazzo, ganzo, con lo stesso significato. Non solo: in antico inglese c'è anche gandra, sinonimo di ganot, che ha dato l'inglese moderno gander "maschio dell'oca". E queste forme come diamine le spieghiamo? Lubotsky suggerisce sommessamente che queste forme siano indoeuropee genuine e che vadano considerate come una prova della necessità di analizzare IE *g'hans- come *g'han-s-. Mi pare lampante che si tratti di prestiti da una lingua perduta.

3) Non si fa una parola sugli strani esiti latini di IE *nas- / *nās- "naso": non esiste infatti soltanto nāris "narice", con rotacismo, ma anche nāsus "naso" senza rotacismo. Sono convinto che sia un po' ingenuo pensare che l'accusativo nārem sia un esito diretto di una forma come *neH2sm, quando potrebbe benissimo essere il prodotto di vari livellamenti analogici. Insomma, si cerca di capire ogni minimo dettaglio aggiustando queste benedette laringali, trascurando il ruolo della patafisica. Si rischia l'anacronismo.  
 
A questo punto al lettore potrebbe anche venire in mente un'idea provocatoria: esasperato, potrebbe pensare che le ricostruzioni con le laringali siano soltanto un gran mucchio di balle. Non arrivo a tanto, ovviamente. Quello che penso è in buona sostanza questo: il fonema *a doveva essere presente in protoindoeuropeo in parole prese a prestito da lingue perdute (di sostrato, superstrato o adstrato, non sappiamo dirlo) - e per di più in una fase posteriore alla scomparsa delle laringali.

martedì 2 aprile 2019

UN VOCABOLO NORRENO PER INDICARE LA DIVINITÀ PAGANA: FJARG

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga

fjarg (n.), divinità pagana
   pl. fjǫrg, divinità pagane


Derivati:
fjarg-hús (n.), tempio pagano 

La forma protogermanica ricostruibile è *fergwan "divinità, deità" (secondo un'altra metodologia si ottiene *firgwan, ma la sostanza non cambia). La mente va subito al gotico fairguni /'fεrguni/ "montagna", che ha un perfetto corrispondente nel norreno Fjǫrgyn (f.) "Madre Terra" (gen. Fjǫrgynjar). Se si volesse procedere a ritroso fino all'indoeuropeo, si arriverebbe alla radice *perkw- "quercia", che si trova nel teonimo lituano Perkūnas (lettone Pērkons, antico prussiano Perkūns, Perkunos, iatvingio Parkuns), che indicava un dio uranico rossochiomato in tutto e per tutto simile al tonante Thor. Tutto sembra così andare liscio e non presentare alcun problema. Ci sono tuttavia alcune difficoltà che reputo non proprio irrilevanti. La forma norrena fjarg implica un accento anomalo: per spiegarla occorre ricostruire un indoeuropeo *perkwóm. Perché tale accento e - soprattutto - perché il genere neutro? 

Che dire poi dello slavo Perun, teonimo che richiama immediatamente il baltico Perkūnas? Eppure c'è una difficoltà a prima vista insormontabile. Come mai nella forma slava manca la consonante velare? Come appare subito ovvio, non è possibile che un gruppo consonantico -rk- si sia semplificato in -r- per azione della magia. Si può immaginare che Perun e Perkūnas abbiano diverse etimologie? Direi di no. I casi sono due: 1) l'alternanza problematica -rk- / -r- era tipica di una lingua ignota e non indoeuropea; 2) la forma base ha -r-, mentre l'altra con -r-k- mostra l'aggiunta di un suffisso in velare -k-, e in ogni caso si tratterebbe di materiale non indoeuropeo. Secondo il mio modesto avviso, sarebbe meglio considerare fjarg un vocabolo di origine preindoeuropea. Sergei Nikolayev fa molta confusione, separando Perkūnas da Perun e accostando il secondo all'ittita piruna-, peruna- "pietra". Non è poi che un confronto con le lingue anatoliche risolva la questione, come se ogni radice documentata in esse fosse in automatico una prova inconfutabile di indoeuropeità. Dubbi e incertezze non mancano di certo!

Veniamo ora a un bizzarro caso di decostruzionismo che ho reperito nel Web. Si tratta di un caso notevole, perché mi sono accorto che predata di gran lunga l'opera di Jacques Derrida. In un dizionario online ho potuto assistere al tentativo di eliminare l'esistenza stessa del vocabolo fjarg "divinità pagana". Ho poi constatato che gli autori dell'opera sono proprio Cleasby e Vigfusson: la data di pubblicazione del loro dizionario Islandese - Inglese è il 1874. Gli autori partono dalla constatazione che la parola fjarg-vefjar "seta" (una kenning per silki), alla lettera "tele divine", sarebbe corrotta per *fjarg-vefjaz, *fjarg-vefjask, che dunque sarebbe un verbo riflessivo col significato di "gemere per un peso eccessivo". Una parola formata mala, dato che vefjask significa "essere avvolto; essere impigliato", da vefja "avvolgere". La parola da cui è partita la fabbricazione di Cleasby-Vigfusson deve essere stata fjarg-viðrask "gemere per un peso eccessivo" (elencata poco sotto nel dizionario). A questo punto, dato che il composto fjarg-hús esiste senz'ombra di dubbio, esso è stato spiegato come "case immense, case grandi" (in inglese "huge, big houses") anziché come "templi pagani", attribuendo al prefisso fjarg- il valore di "immenso, grande". Che questa sia un'assurdità si può facilmente dimostrarlo. Nell'islandese moderno - che è una forma attuale di norreno - esiste il composto fjargveður "tempesta" (glossa inglese "storm"). Nel norreno dell'epoca delle saghe si sarebbe detto *fjarg-veðr "tempesta", forma che non sono riuscito a reperire ma che deve essere per forza esistita. Deriva da veðr "tempo" (atmosferico), parola che ha la stessa origine dell'inglese weather, a tutti ben noto. Il significato originale della parola per dire "tempesta" deve essere stato "tempo divino", ossia "tempo di Thor", quindi "tempo diabolico", "tempo funesto", a seguito del mutamento del sentire fattosi strada con l'introduzione del Cristianesimo. Non "grande tempo" o "tempo immenso". Come Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda nel suo fondamentale volume I miti nordici (1991), nei tempi tardi Thor era considerato un demone. Era degenerato da divinità uranica a diavolo. Per i Cristiani, Thor esisteva fisicamente e continuò a esistere per diversi secoli dopo che il Paganesimo era cessato come religione organizzata. Gli veniva attruibuito un essere personale e fisico, persino dai missionari. Rispetto ai tempi dell'idolatria, cambiava qualcosa di rilevante: il Dio Fulvo non era più oggetto di adorazione, bensì di esecrazione. È chiaro quindi quale sia il significato originale di fjarg-. Significava "divino", donde si è avuto lo slittamento in "funesto", "diabolico". Il significato di "immenso", "soverchiante" deve essere stato il frutto di uno sviluppo secondario: fjarg-viðrask è giunto a significare "gemere per un peso eccessivo" da un più antico "gemere per un peso sovrumano". Il "peso sovrumano" in questione è un "peso divino" o piuttosto un "peso diabolico", è ovvio.

Ricordo ancora uno squallidissimo film peplum visto in gioventù. C'erano alcuni gladiatori pronti ad andare nell'arena a combattere alla presenza dell'Imperatore. Uno di loro era un superbo trace fulvo con una bella barba. Un vecchio cristiano serviva il pasto ai combattenti, mettendo sulla tavola alcune pagnotte e una brocca di vino. Nel farlo, sperando di farsi riconoscere, tracciava il simbolo del pesce sulla polvere che ricopriva la mensa. Poi iniziava a predicare e invitava i gladiatori a rinunciare al culto di Marte per innalzare preghiere a Cristo. Questi temevano molto la bestemmia del vecchio: il trace, sudando freddo, dichiarava il proprio disagio, aveva paura che Marte si sarebbe adirato e avrebbe ritirato il suo sostegno all'imminente scontro armato. Allora il cristiano diceva: "E come potrebbe adirarsi, visto che non esiste?" Ecco, questo è un grave anacronismo. La domanda, assurda, un antico cristiano non avrebbe potuto farla. Sarebbe infatti tipica di un democristiano o di un adepto di Comunione e Liberazione, non di un cristiano dell'epoca imperiale. Per gli antichi Cristiani, gli Dei di Roma esistevano ma erano diavoli, erano malvagi. Lo stesso atteggiamento era tipico dei Cristiani dei secoli successivi, che ritenevano un demonio ogni divinità dei popoli scandinavi a cui portavano la nuova religione.

martedì 1 novembre 2016

PRESTITI DAL GOTICO NELLE LINGUE BALTICHE

Una lingua scomparsa non è da considerarsi dissolta nel Nulla, pur essendosi estinta da lungo tempo. Spesso e volentieri lascia tracce ben riconoscibili che perdurano nei secoli e che può essere molto interessante studiare. È il caso della lingua dei Goti, che nei primi secoli di Cristo lasciò alcuni importanti lessemi nelle lingue indoeuropee del Baltico. Quando i Goti abbandonarono le loro sedi d'origine nella Svezia meridionale, all'incirca quando sulle Terre del Nord regnava il Re Frotho, la loro lingua doveva essere molto affine al germanico comune, così chiameremo pre-gotico la sorgente ricostruita dei prestiti in questione. Nelle lingue baltiche documentate si trovano sia forme molto vicine all'originale che forme con evoluzioni fonetiche singolari, prese a prestito in un'epoca più tarda. Ecco un elenco di lemmi significativi:

1) Pre-gotico *alχiz "idolo; tempio" (gotico alhs "tempio"): Ha dato, con diversa declinazione, lituano alka, alkas "idolo". Esiste anche lettone elks "idolo", che mostra un Umlaut in -i- o un'oscura variazione apofonica: in ogni caso non può provenire dalla lingua dei Goti. L'origine ultima della parola è preindoeuropea. Si ricordi che Tacito attestò il nome Alcis dato dai Nahanarvali a una coppia di gemelli divini identificati con Castore e Polluce (tradizionalmente interpretato come dativo plurale, potrebbe essere stato considerato indeclinabile). 

2) Pre-gotico *aluθ "birra" (gotico ricostruito ALUÞ): Ha dato lituano alus "birra",  lettone alus "birra" e prussiano alu "idromele". Si noti lo slittamento semantico in prussiano: con ogni probabilità indicava all'inizio un idromele aromatizzato e reso amarognolo con erbe. La pratica di aromatizzare questa bevanda era molto diffusa in epoca antica e nasceva dalla necessità di mascherare i retrogusti dovuti a una fermentazione difettosa.

3) Pre-gotico *asiluz "asino" (gotico asilus, dal latino asellus, diminutivo di asinus): Ha dato prussiano asilis "asino" e lituano "asilas". Si noti il cambio di declinazione. La forma prussiana dimostra l'antichità di questo prestito dal latino al proto-germanico. Il lettone ēzelis è invece dal medio alto tedesco esel (tedesco moderno Esel) : mostra Umlaut in -i-, vocale tonica lunga e consonante sonora -z-.

4) Pre-gotico *brunjo:n "armatura, corazza", pl. *brunjo:nz (gotico brunjo): Ha dato prussiano brunyos "armatura". La forma prussiana deriva chiaramente dal plurale della forma gotica.

5) Pre-gotico *gatwo: "strada" (gotico gatwo): Ha dato lituano gatvė "strada" e lettone (dial.) gatva "strada".

6) Pre-gotico *Guto:z "Goti" (gotico ricostruito GUTANS, con declinazione debole; gen. pl. attestato Gutani): Ha dato lituano Gudai "Bielorussi" (i.e. "Stranieri, Barbari"). Alcuni studiosi hanno pensato che il termine sia stato importato prima dell'azione della Legge di Grimm, ma questo sembra improbabile. Si sarà piuttosto trattato di una lenizione di -t- in -d-.

7) Pre-gotico *katilaz "pentola" (gotico katils "pentola" < lat. catillus, diminutivo di cati:nus): Ha dato prussiano catils "caldaia", lituano katilas "caldaia", lettone katls "caldaia". Un importane termine culturale, presente anche nelle lingue slave.

8) Pre-gotico *kuningaz "nobile; re" (gotico ricostruito KUNIGGS /'kuniŋgs/) : Ha dato lituano kunigas "prete" e lettone kungs "signore". Il prestito esiste anche nelle lingue finniche, es. estone e finnico kuningas "re", giungendo fino ali Urali. Il termine non è attestato nel gotico di Wulfila ma deve essere comunque esistito. Il prussiano konagis "re" sembra essere derivato da una lingua germanica occidentale, come l'antico alto tedesco (tedesco moderno König).

9) Pre-gotico *miðuz "idromele" (gotico ricostruito MIDUS /'miðus/) ha dato lituano midus "idromele". Si può capirlo al di là di ogni ragionevole dubbio, perché il vocabolo lituano midus non è un prodotto regolare dell'indoeuropeo *medhu-, in quanto quella lingua conserva regolarmente IE /e/. Inoltre in lituano esiste anche medus "miele" (non fermentato), che è la forma regolarmente ereditata. La vocale /i/ come prodotto di IE /e/ nella radice *medhu- è invece tipico della lingua gotica, e così l'origine delle parole baltiche per "idromele" è chiaramente dimostrata.
Il lettone medus "idromele, miele" e il prussiano antico meddo "miele" sono output regolari della radice indoeuropea e non necessitano di alcuna mediazione gotica.

10) Pre-gotico *mo:to: "dazio doganale" (gotico mota "dogana"): Ha dato lituano muĩtas "dazio doganale", lettone muita "dogana". Il trattamento della vocale tonica è strano e compatibile con una datazione più tarda del prestito.  

11) Pre-gotico *ri:kiz "re" (gotico reiks "principe, sovrano"): Ha dato prussiano rikis "sovrano" (scritto anche Rickies). In lituano rikis è passato a significare "vescovo". Un importante prestito culturale.  

12) Pre-gotico *sarwiz "armi" (gotico sarwa, n. pl.): Ha dato prussiano sarwis "armi". Nella lingua di Wulfila non si trova attestata la variante col tema in -i- presupposta dal prussiano. Non pare che questo lemma esista in lituano e in lettone. La cosa non deve stupire più di tanto: i Borussi dovettero avere una maggior influenza linguistica da parte dei Goti.

13) Pre-gotico *stiklaz "bicchiere" (gotico stikls): Ha dato lettone stikls "bicchiere" e prussiano stiklo "bicchiere". Lo stesso termine è passato anche nelle lingue slave senza grandi mutamenti.  

14) Pre-gotico *waldawi:χaz (-æ:n) "guerriero potente" (gotico ricostruito WALDWEIHS o WALDWEIHA): Ha dato prussiano waldwiko "cavaliere". Derivato dal verbo waldan "dominare, avere potere su qualcuno" e weihan "combattere" (forma ricostruita; nel gotico di Wulfila esiste anche l'omofono weihs "santo"), sarebbe del tutto inspiegabile se si pretendesse di analizzarlo in termini di lessico baltico nativo.  

15) Pre-gotico *χailaz "sano; salve!" (gotico hails): Ha dato lituano kailas! "salve!" e prussiano kails "sano". Ci è noto un brindisi prussiano: kails poskails ains par antres "sano dopo sano, uno dopo l'altro".  

16) Pre-gotico *χilmaz "elmo" (gotico hilms): Ha dato prussiano ilmis "tipo di tetto di granaio" (detto così per la forma). Per le sue peculiarità fonetiche, questo lemma non può essere giunto per mediazione slava. In prussiano esiste anche la voce kelmte "elmo", che sembra giunto da un'altra fonte germanica, con -e- al posto di -i- e la consonante fricativa iniziale adottata come occlusiva.

17) Pre-gotico *χlaiβaz "pane" (gotico hlaifs, gen. hlaibis): Ha dato lettone klaips "pane". Il prestito è avvenuto in un'epoca anteriore alla monottongazione di /ai/ in /ɛ:/, quindi prima del IV secolo d.C. La forma lituana kliẽpas è invece giunta in tale lingua attraverso la mediazione slava (potrebbe però anche essere un prestito gotico diretto ma seriore). La consonante /p/ non è un problema come taluni credono: nelle lingue baltiche non esiste la fricativa bilabiale /φ/ e neppure la fricativa labiodentale /f/. Allo stesso modo la fricativa uvulare o velare /χ/ viene adottata come occlusiva velare /k/.

18) Pre-gotico *wi:nan "vino" (gotico wein): Ha dato lettone vīns "vino". Il passaggio dal genere neutro al maschile è facilmente spiegabile: il lettone non possiede il neutro. La forma lituana vyno parrebbe invece essere giunta tramite mediazione slava. Si noterà che a differenza dello slavo, il lettone e il lituano non hanno preso a prestito la parola per "vigna", rispondendo al gotico weinagards con formazioni innovative: lettone vīna dārzs e lituano vynuogynas.

domenica 10 luglio 2016

L'ETIMOLOGIA GENUINA DI ULM E ALCUNI FALSI TENTATIVI DI SPIEGAZIONE

Mi sono imbattuto, sempre negli angiporti del Web, in qualcosa di veramente insensato. Si tratta di un tentativo ridicolo di interpretare il nome della città tedesca di Ulm, che diede i natali ad Albert Einstein e che visitai molti anni fa, ritenendolo un acronimo della locuzione latina ultra limites militiae, ossia "oltre i confini della milizia". Ulm si trova nel Baden-Württemberg ai confini con la Baviera, e in effetti in epoca antica doveva essere un villaggio danubiano proprio poco oltre i limiti dell'Impero Romano. Questo però non significa che il suo nome avesse traesse da ciò la sua origine. Nel corso dei secolo sono state proposte altre simili fanfaluche fondate su fantomatiche sigle latine, come ad esempio l'abbreviazione di V Legionis Mansio o di V Legio Manlii. Quest'assurda e puerile moda di interpretare per mezzo di acronimi tutto ciò che non si conosce dovrebbe finire una volta per tutte: è una figlia indecorosa dell'ignoranza più crassa e belluina del volgo.

Il toponimo Ulm in realtà ha un'origine che non è davvero molto elevata: in protogermanico la radice *ulm- significava "fango, sozzura". Questi sono i dati riportati da Sergei Starostin nel benemerito sito The Tower of Babel (starling.rinet.ru):

Proto-Germanic: *ulm=
    Meaning: mould
    Norwegian: dial. ulma `schimmeln'
    East Frisian: olm, ulm `Fäulnis, bes. im Holz',
       ulmen `verfaulen',
    Middle Low German: ulmich `von Fäulnis
       angefressen'
    Middle High German: ulmic 'faulig, von fäulnis
       angegriffen'

Nelle lingue baltiche esistono paralleli coi significati di "percolato cadaverico", "acqua insanguinata", "siero sanguigno" e "pus"

Lithuanian: al̃mēs, dial. el̃mēs `aus dem Körper
     fliessende Materie, Blutserum, Blutwasser';
     almuõ `Eiter'

Esiste anche la proposta di derivare Ulm dal nome tedesco dell'olmo, che attualmente suona Ulme (f.), ed è riportato che tale pianta è comune nella zona (come in molte altre). Va però fatto notare che le forme più antiche per indicare l'olmo in alto tedesco avevano un diverso vocalismo, il che fa pensare che da un antico elm- (ben attestato) si sia dapprima formata una variante *olm- per arrotondamento della vocale, e che in seguito da questa si sua prodotta la forma Ulme, che si è poi generalizzata soltanto dopo l'epoca del medio tedesco. Una variante protogermanica *ulmo:(n) è ricostruita su basi abbastanza fragili. La radice ha la stessa origine indoeuropea del latino ulmus. Questo è quanto riporta Starostin:

Proto-Germanic: *ilma-z, *alma-z, *ulmō(n)
    Meaning: elm
    Old Norse: alm-r m. `Ulme; Bogen'
       Norwegian: alm
       Swedish: alm
       Danish: elm
    Old English: elm (ellm), -es m. `elm, elm-tree',
       ulm-trēow n. `id.'
    Middle Dutch: olme
       Dutch: olm m.
    Middle Low German: elm
    Old High German: elmo (um 800), elm (Hs.
        12.Jh.), ëlmboum (10.Jh.), ilma (Hs. 12.Jh.);
        ulm-boum (Hs. 12.Jh.)
    Middle High German: ëlm(e) st. f. 'ulme'
       German: Ulme f., frünhd. Ulme, Olme

L'estrema instabilità fonetica del fitonimo, unitamente all'assenza di suffissi (chiamare "Olmo" un luogo in cui gli olmi abbondano mi sembra poco soddisfacente), mi spingono a respingere questa etimologia.

La più antica attestazione della città di Ulm in un documento di Ludovico II il Germanico (854 d.C.) riporta la forma Hulma, con una h- spuria dovuta a ipercorrettismo, sicuramente da espungere. Ulma è la forma corretta, ben documentata, da cui l'attuale nome della città discende direttamente.

Esistono poi due toponimi formati dalla stessa radice *ulm- "putredine": Ulmach (antico Ulmaha) e Ulmau (antico Ulmauua), entrambi riportati nello Schwäbisches Wörterbuch mit etymologischen und historischen Anmerkungen di Johann Christoph Schmid, risalente al 1844. Ulmach significa "Fiume di Putredine", mentre Ulmau significa "Isola di Putredine" (il termine "isola" poteva anche indicare un campo interamente circondato da corsi d'aqua). La stessa fonte riporta le voci olm, olmig, olmerig, glossate faul, ossia "putrido", e il verbo olmen, glossato faulen, ossia "imputridire".

Il secondo membro del composto Ulmaha è l'equivalente alto tedesco del gotico ahva "fiume", che corrisponde al norreno ǫ́ "fiume" (scritto á dopo che la vocale /a:/ si è labializzata e confusa con /ɔ:/). Fuori dal mondo germanico, la parola ha il suo chiaro parallelo nel latino aqua.

Il secondo membro del composto Ulmauua è l'equivalente alto tedesco del norreno ey "isola". La forma gotica è *auja /'ɔ:ja/, gen. *aujos, n. pl. *aujos /'ɔ:jo:s/. Non è attestata nei brani della traduzione scritturale di Wulfila a noi giunti, ma è documentata da Iordanes nella sua opera De origine actibusque Getarum. Due sono i toponimi riportati da quell'autore che contengono questa radice: 

1) Oium (nome gotico del paese degli Sciti), sta per
     *Aujom /'ɔ:jo:m/ "Alle Terre Fluviali" (dat. pl.)
2) Gepidoios (isole alla foce della Vistola), sta per
    *Gaipidaujos
/'gɛpiðɔ:jo:s/ "Le Isole dei Gepidi".

La forma Oium documenta l'uso di forme al dativo in toponomastica ed è davvero notevole. È un vero peccato che finora i filologi non abbiano dedicato neppure un attimo di riflessione alle possibili consequenze di questo fatto.

sabato 13 febbraio 2016

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: MASCILLA PER MAXILLA

La parola latina maxilla ha numerosi parenti in altre lingue indoeuropee, che possono essere consultati agevolmente nel database The Tower of Babel di Sergei Starostin: 

Proto-IE: *smakr- (IndoIr. -k'-)
Meaning: beard, chin
Hittite: zamangur, zamakur n. 'Bart' (Friedrich 259),
     samankurwant- 'bärtig' (180)
Old Indian: śmáśru n. `beard, moustache'
Armenian: maurukh, mōrukh `Bart'
Baltic: *smakr-a-, -ia- c., -ā̂ f.
       Meaning: chin
       Lithuanian: smakr̀a-s `Kinn', dial. smakrà `id.'
       Lettish: smakrs, smakre, smakris, smakars
           `Kinn, Gaumen'
Germanic: *smáxr-ia- m.
       Meaning: lip
       Old English: smǟre, -es m. `lip'
Latin: māla f. `Kinnbacke, Kinnlade; Wange; Bart', dem.
      maxilla
`Kinnbacke; Kinn'
Celtic: Ir smech `Kinn'
Albanian: mjekrɛ Kinn, Bart 

Come già visto nel caso di axilla, diventato ascilla e quindi italiano ascella, anche in questo caso si è avuta una metatesi. La forma maxilla, che è un diminutivo di ma:la < *maksla, ha prodotto la variante mascilla semplicemente invertendo /k/ e /s/. Solo in epoca tarda ha subito palatalizzazione, sviluppandosi poi nell'esito italiano. Coloro che postulano i suoni palatali (postalveolari) della pronuncia ecclesiastica ab aeterno, sono assolutamente incapaci di spiegare l'accaduto. 

domenica 17 gennaio 2016

Lyle Campbell - American Indian Languages.
The Historical Linguistics of Native America.
Oxford University Press, New York, 1997

Capitolo 7. Relazioni genetiche lontane: I metodi

Eliminazione dei prestiti

La diffusione è una ben nota sorgente di somiglianze non genetiche tra le lingue, e può rendere complicata la determinazione di parentele remote. Molti studiosi, che sono ben consapevoli di questo problema, hanno ciononostante errato non identificando né eliminando i prestiti (vedi Campbell e Kaufman 1980, 1983; Campbell 1988b). Menziono pochi casi di prestiti non identificati (che sfortunatamente prevalgono in molte proposte di parentele genetiche remote). Greenberg (1987:108) ha citato tra le sue "etimologie Chibcha-Paezan" forme da quattro lingue in sostegno della sua proposta etimologia della parola 'ascia', includendo il Cuitlateco navaxo 'coltello' (che è un prestito dallo Spagnolo navajo 'coltello, rasoio') e Tunebo baxi-ta 'machete' (che è anch'esso un prestito, dallo Spagnolo machete).20 Così, metà delle forme citate in sostegno di questa cosiddetta etimologia sono prestiti non riconosciuti. Le connessioni proposte da Swadesh (1966) tra Tarasco e Maya includono diversi prestiti: Tarasco tu-pu / Maya tuch 'ombelico' (la forma Maya è un prestito dal Nahuatl *toš 'ombelico'(i) - presa a prestito allo stesso modo da diverse lingue dell'area); Tarasco šan-tu 'fare mattoni' / Maya šan 'mattone' (entrambi sono prestiti dalla forma Nahuatl -šan 'mattone'(ii)).
Nel raggruppare le lingue Tacanan, Paonan, Mosetén, Chono e Fueghine, Key (1978), non è riuscito ad eliminare numerosi prestiti. Per esempio, Mapudungu čallwa 'pesce' è dal Quechua čalywa; la maggior parte delle forme per 'gallina' (Mapudungu ačawaly; Mosetén ataua, atavua; Chama waipa, waɁipa; Reyesano walípa; Tacana warípa) sono dal Quechua atawalypa, walypa 'pollo'(iii), che fu largamente diffuso dopo l'arrivo degli Spagnoli, attraverso regioni finitime del Sud America (vedi Carpenter 1985); e le forme per 'maiale' (Mapudungu kuchi, Cavineña koči, Chama kweči, Tacana koči) sono tutte dallo Spagnolo coche 'maiale'(iv). Simili esempi potrebbero essere moltiplicati, ma questi sono sufficienti a dimostrare che i prestiti non rilevati sono davvero un serio problema in molte proposte di parentela genetica lontana.
È stato spesso suggerito, come visto nell'afermazione di Swadesh, che "il fattore prestito può essere ridotto a una percentuale molto piccola di parole non culturali" (1954b:313, vedi anche Ruhlen 1994:42) - ossia, se non si può determinare se una particolare parola è o meno un prestito, si deve attribuire un maggior credito al lessico di base, alle forme non culturali, perché esse hanno meno probabilità di essere prestiti.21 Così, per esempio, Jacobsen (1993) raccomanda di separare dal lavoro di Sapir (1915c) novantotto comparazioni lessicali, poiché gli oggetti tangibili sono potenzialmente soggetti a prestito": 'gru', 'freccia[asta]/arpione', 'streghe/erba', 'piuma'; 'piatto/mettere in piatto', 'suocera', 'abete/abete rosso/cedro', e 'oca/anatra selvatica'. Questa è una buona pratica, ma - come menzionato in precedenza - anche le parole del lessico di base e non culturali possono talvolta essere prese a prestito. Il Finnico ha preso a prestito dai suoi vicini Baltici e Germanici vari termini di parentela stretta e di parti del corpo, incluse 'madre',
'figlia', 'sorella', 'dente', 'ombelico', 'collo', 'coscia' e 'pelliccia' (Anttila 1989:155). Simili esempi possono essere citati per le lingue americane native: Aleuto braata-X 'fratello' dal Russo brat (Bergsland 1986:44) e Pipil manu 'pratello' dallo Spagnolo hermano (Campbell 1985b). Pierce ha mostrato che circa il 15% delle 3.000 parole più comuni in Turco e in Persiano sono di origine araba,22 notando che "se Arabo, Persiano e Turco fossero separati adesso e studiati per 3.000 anni da linguisti senza documenti storici, si potrebbero facilmente trovare liste di parenti, si potrebbero stabilire corrispondenze di suoni, e sarebbero postulate erronee parentele genetiche" (1965:31). Egli considera tutto ciò istruttivo sul modo in cui si dovrebbero considerare alcune proposte che mettono in relazione gruppi di lingue native Americane:

   Suggerirei che se l'Athapaskan primitivo, il Tlinglit e l'Haida avessero avuto un periodo di stretto contatto prima dell'espansione del gruppo Athapaskan, e noi conoscessimo poco o nulla delle grammatiche dei tre gruppi, sarebbe altamente probabile che Sapir avrebbe dato il quadro che ha dato come risultato del prestito. 

    Considerando questa evidenza, tutte le classificazioni più ampie di Sapir e persino alcune delle connessioni tra famiglie necessitano di essere riesaminate per essere sicuri che le connessioni non siano state stabilite sulla base di un numero di parenti che potrebbero facilmente essere stati prestiti. Se essi sono stati postulati sulla base di dati insufficienti, allora si dovrebbe fare molto lavoro prima di poter assumere con sicurezza che queste conclusioni siano corrette. (Pierce 1965:31, 33)  

L'Inglese ha preso a prestito dal Francese o dal Latino stomach, face, vein, artery e intestine; ancora nel regno dei concetti di base, ma non necessariamente del vocabolario di base, sono i prestiti inglesi animal, anus, arrive, beautiful, defecate, excrement, female, finish, flower, forest, fruit, grand- [in grandfather, grandmother], large, male, mosquito, mountain, navel(v), pain, penis, person, river, round, saliva, testicle, trunk (tronco di albero), urine, vagina e vein, per menzionarne qualcuno.23

(Traduzione del sottoscritto, 2016) 

Note dell'autore:

20 Si noti che in Tunebo [x] alterna liberamente con [š], che le consonanti nasali non ricorrono prima delle vocali orali, e che le vocali della forma Tunebo sono i sostituti prevedibili dello Spagnolo e
21 Suarez ha ragione nel dire che "il pericolo di somiglianza casuale nei prestiti è altrettanto grande che nelle voci imparentate" (1985:574). È davvero una pratica tipica quella di sollevare ogni possibile ammonimento nel valutare potenziali parenti, trattando per contro i prestiti in modo meno rigoroso, come se fossero in grado di spiegarsi da sé. In ultima istanza, si dovrebbe impiegare la stessa attenzione nel determinare i prestiti e nell'accertare i parenti. Tuttavia, quando la forma in discussione è propagandata come potenziale prova per una relazione genetica lontana non ancora dimostrata, si dovrebbe prendere seriamente in considerazione la reale possibilità del prestito come spiegazione. Nel caso in cui sono analizzate le rivendicazioni su un prestito, potrebbe anche valere l'inverso—ossia la possibilità che forme simili siano antichi parenti dovrebbe essere investigata con cura come potenziale controprova della rivendicazione sul prestito.
22 Espresso con un diverso calcolo: "In Turco almeno 20 su 150 delle radici più frequentemente usate dai contadini analfabeti sono condivise con alcune lingue del tutto prive di parentela [l'Arabo]" (Pierce 1965:27).
23 I diversi casi di prestiti non rilevati che complicano le ipotesi di parentela genetica remota presentati in questa sezione (molti altri potrebbero essere presentati) sono sufficienti a dimostrare l'inaccuratezza dell'affermazione di Ruhlen secondo cui "i prestiti possono in quasi tutti i casi essere scoperti, e quindi non costituiscono un serio impedimento" (1994b:43). Egli crede che "solo certi tipi di parole sono particolarmente suscettibili di essere prese a prestito" e che "il prestito avvenga solo in certe speciali circostanze, quasi sempre quando due le lingue in questione sono in contatto intimo e quotidiano," e che questi due fattori "rendano il prestito soltanto un modesto impedimento" (1994b:42). Certo, quando non si sa se le lingue confrontate siano realmente imparentate, non si sa nemmeno se esse un tempo hanno preso a prestito parole l'una dall'altra—ossia, se esse sono state nelle "speciali circostanze" che producono il prestito. Inoltre, come discusso in questa sezione, mentre certi termini del vocabolario sono più passibili di altri di essre presi a prestito, di fatto ci sono chiari casi che dimostrano che virtualmente ogni tipo di lessico può essere prestato, inclusi i pronomi, i nomi delle parti del corpo, e simili.

Note del traduttore: 

(i) Dalla mia conoscenza della lingua Nahuatl classica, che ho appreso nei primi anni di università, non risulta una simile radice, l'unica parola nota per esprimere il concetto di 'ombelico' essendo xictli, con la variante xīctli (nell'ortografia classica x = š). Nel mio materiale di studio non ho trovato alcun composto contenente una radice *tox- con questo significato. Forse si tratta di una radice residuale presente in alcuni composti fossilizzati. In ogni caso sarebbe utile sapere da quale fonte Campbell ha tratto questa agnizione. 
(ii) Nahuatl xāmitl 'mattone', allo stato possessivo -xān, es. noxān 'il mio mattone'. Si noti che Campbell, così come gli autori da lui criticati, riporta le forme di svariate lingue in modo estremamente approssimativo, spesso tralasciando tratti fonetici importanti come la lunghezza vocalica.
(iii) Il termine, che è un nome del gallo, si trova come antroponimo dell'ultimo Inca, Atahuallpa. Prima del contatto con gli Spagnoli indicava un gallinaceo selvatico.
(iv) Un termine di sostrato molto popolare, cfr. francese cochon. I romanisti lo considerano un "ipocoristico", stratagemma da essi spesso usato per negare termini preromani la cui ricostruzione si presenta difficile.
(v) Un marchiano errore del Campbell: il termine navel 'ombelico' ha infatti chiara etimologia germanica e non è un prestito. Potremmo tuttavia avere a che fare con un semplice refuso: navel al posto di naval 'navale', di chiara origine latina. L'articolo resta tuttavia ben valido nella sua sostanza: il discorso, che reputo della massima importanza, non è certo inficiato dalla presenza di un refuso e di qualche dato di dubbia origine.

Questo è il link da cui si può scaricare l'opera in formato pdf:

sabato 4 aprile 2015

UN VIDEO SUI PAGANI DI LETTONIA: ALCUNE CONSIDERAZIONI


Interessante video di Franco Capone, pubblicato sul sito di Focus. Il documentario parla dei politeisti di Lettonia, che sono presentati come gli ultimi pagani d'Europa. Sono mostrati quindi alcuni loro riti, senza dubbio di origine antichissima. Esiste però qualcosa da rimarcare. Sappiamo che i paesi del Baltico sono stati sede di conflitti sanguinosissimi, perché i Cavalieri Teutonici e i Cavalieri Portaspada vi hanno condotto le cosiddette Crociate contro quelli che chiamavano Saraceni del Nord, facendo di tutto per cristianizzare con la forza quelle genti. Ci furono stermini e atrocità di ogni genere. La Lettonia fu divisa in feudi. Riga, capitale della Lettonia, era un importante centro dello Stato Monastico dei Cavalieri Teutonici, che si distinsero in efferatezza, dominando la regione con pugno d'acciaio. Unico stato pagano rimasto a resistere al loro potere fu il Granducato di Lituania, ma sul finire del XIV secolo anche lì giunse il tramonto per l'antica religione: nel 1386 il Granduca Jagellone (Jogaila) accettò il battesimo per poter sposare l'undicenne Edvige (Jadwiga), Regina di Polonia e diventare così Re di Lituania e di Polonia col nome di Ladislao II. Nel 1387 iniziò la cristianizzazione sistematica della nazione: i fuochi perenni che ardevano nei santuari pagani furono spenti. L'ultima regione ad accettare il battesimo di massa e ad estinguere i fuochi fu la Samogizia, cristianizzata nel 1413. Questo evento è tuttora celebrato dai Gesuiti come un "trionfo della civiltà sulla barbarie"Non entro nei dettagli, ma non posso fare a meno di notare che i culti antichi sopravvissero tra i contadini, ma finirono col subire una pressione crescente da parte del clero cattolico, disorganizzandosi e infine cessando di sussistere come manifestazioni di una religione indipendente. Va fatto notare che divinità dell'antica mitologia vengono spesso menzionate nei canti popolari chiamati dainas in Lettonia e dainos in Lituania. Si potrebbe tuttavia trattare di reminiscenze poetiche più che della prova di una continuità dei culti antichi fino al tempo presente.  

Dopo un periodo di letargo i culti antichi delle genti baltiche sono stati riportati in auge nel tardo XIX secolo dal lituano Wilhelm "Vydunas" Storost (1868 - 1953). Egli organizzò feste pagane riuscendo ad attrarre un certo numero di praticanti. Si trattava di un movimento revivalista e ricostruzionista: il suo scopo era quello di ripristinare una tradizione interrotta e perduta, ma ancora conoscibile nei dettagli, visto che la sua scomparsa era avvenuta in epoca abbastanza recente. Per questo motivo, va etichettato come Neopaganesimo anziché come PaganesimoNon era però destino che i fautori dell'antica religione di quelle terre godessero di un lungo periodo di pace. Come se una maledizione gravasse, terribili persecuzioni si abbatterono sui neopagani del Baltico a partire dal 1940, quando quelle terre furono invase dai Sovietici. Il politeismo baltico fu trattato come una pericolosa religione nazionalistica dalle autorità sovietiche, che fecero di tutto per eradicarla. Molti neopagani baltici espatriarono, trovando rifugio in America. I meno fortunati furono fucilati o deportati in Siberia. A partire dal 1967 tale religione cominciò a chiamarsi Romuva, dal nome antico prussiano del santuario. Riapparve nei paesi baltici e nonostante una nuova ondata di persecuzioni agli inizi degli anni settanta riuscì ad accrescere la propria influenza, finendo con l'essere riconosciuta come religio licita dopo il crollo dell'Unione Sovietica. 

Se vogliamo essere precisi, dobbiamo far presenti alcuni fatti che di solito vengono taciuti.

1) Wilhelm "Vydunas" Storost era un adepto della Teosofia, quindi proveniva da un ambito culturale esoterico, molto diverso da quello degli antichi pagani;
2) Egli era impregnato di idee come l'universalismo panteistico, il vegetarianismo etico e simili, tanto che fu paragonato a Tagore e a Gandhi;  

3) Per quanto Storost non si ritenesse un leader religioso, la Romuva acquisì una struttura affine a quella della Chiesa di Roma. Questo fatto ricorda il tentativo di Giuliano il Filosofo di costruire una Chiesa Ellenica. 

Inutile dire che i Balti pagani non erano filosofi. Praticavano sacrifici cruenti e mangiavano carne, come è sempre stata la norma tra la maggior parte dei politeisti. Non erano animati da un particolare afflato di amore tra i popoli e sapevano trattare con ferocia i loro nemici: decapitavano i missionari a colpi d'accetta e se catturavano un cavaliere teutonico lo bruciavano vivo assieme al suo cavallo (con buona pace degli animalisti). Difficile credere a una continuità diretta nell'opera di Storost e nell'etica della Romuva.     

Di tutto questo tuttavia nel video di Capone non si fa alcuna menzione, così come non si nomina la Lituania. Viene suggerita l'idea di una sostanziale continuità nella trasmissione del paganesimo lettone, come se nulla di traumatico fosse mai avvenuto, come se quel popolo fosse sempre vissuto in modo giulivo in un'ingenua adorazione della Natura. Un'idea che contrasta con la realtà dei fatti storicamente accertabile. 

Riporterò ora un breve esempio per illustrare la drammaticità del concetto di cessazione della continuità.

Immaginiamo cosa accadrebbe se qualcuno fosse colpito dal fatto che parlo la lingua dei Goti, inviasse un giornalista a intervistarmi e a riprendermi, pubblicando poi un video intitolato "L'ultimo Ostrogoto in Brianza". Ovviamente la cosa sarebbe assurda anche solo a pensarsi: non ho infatti appreso la lingua di Wulfila dai miei genitori, ma dai libri, e anche se a volte la parlotto tra me e me (è il modo migliore per imparare una lingua senza più locutori) non è la mia prima lingua. Essendo mancata la trasmissione ereditaria, non si può certo dire che esista un filo diretto che lega la lingua gotica da me conosciuta ai discorsi pronunciati dal Re Teodorico - e il discorso varrebbe anche se si potesse dimostrare tramite analisi genetica una mia discendenza dalla stirpe degli Amali.  

sabato 21 marzo 2015

COLIN RENFREW È UN NEMICO DELLA SCIENZA

Colin Renfrew è un archeologo britannico noto per la cosiddetta ipotesi anatolica sulla patria originaria degli Indoeuropei. Rifiutando la teoria kurganica di Marija Gimbutas, egli afferma che gli Indoeuropei si sarebbero diffusi a partire dall'Anatolia nel VII-VI millennio a.C., durante il Neolitico. A detta sua, la lingua indoeuropea si sarebbe diffusa per trasmissione culturale anziché per migrazione fisica. Spingendosi oltre, tale teoria arriva ad identificare la Rivoluzione Agricola del Neolitico proprio con la comparsa delle lingue indoeuropee, affermando che esisterebbe una continuità diretta tra quell'epoca e la nostra, senza nessun reale stravolgimento nella natura degli idiomi parlati nel corso dei secoli. Non userò mezzi termini: simili enunciati sono vaneggiamenti che non hanno più valore di una massa di baggianate New Age. Il discorso è lungo e articolato, vediamo di procedere con ordine. 

Le teorie di Colin Renfrew a proposito della cosiddetta indoeuropeizzazione neolitica sono semplicemente insostenibili in quanto non spiegano la realtà dei fatti. Non rendono assolutamente conto dei gradienti delle lingue indoeuropee antiche e moderne in Europa, che non appartengono al gruppo delle lingue anatoliche come quella degli Ittiti, ma a un tipo più recente e dotato di ben precise caratteristiche, tra cui un lessico relativo all'uso del cavallo e del carro da guerra. Se l'antenato delle lingue indoeuropee si fosse diffuso in un'epoca tanto antica, come supposto da Renfrew, le lingue storicamente documentate sarebbero tra loro talmente diverse da non recare più una chiara traccia dell'origine comune, e il lavoro dei filologi sarebbe molto più duro. Inoltre Renfrew non spiega in alcun modo l'esistenza degli elementi del sostrato preindoeuropeo. In altre parole, lingue indoeuropee come il greco e il latino mostrano nel loro lessico molte parole che non sono di origine indoeuropea e che puntano a lingue perdute che erano parlate in epoca più antica. Queste parole appartengono spesso e volentieri ad aree semantiche peculiari, includendo fitonimi, zoonimi, termini per indicare elementi del paesaggio, ma anche termini culturali come nomi di metalli (es. latino plumbum, greco μόλυβδος) e parole relative all'agricoltura, come il nome greco del grano, σῖτος.  

Questo archeologo, che non ha la benché minima competenza in fatto di linguistica, non è neppure in grado di spiegare la presenza dei Baschi nel'attuale penisola Iberica. Se fosse per lui, direbbe che i Baschi sono migrati da Sidonia in epoca recente. Si nota che nella lingua basca ci sono molte parole relative ad innovazioni neolitiche che non sono indoeuropee. 

Termini relativi all'agricoltura: 

aitzur, zappa 
ardo
, vino
bihi, chicco di grano
garagar, orzo
gari, grano, frumento
ogi, pane
olo, avena
ore, pasta
uzta, raccolto 

Termini relativi all'allevamento: 

ahuntz, capra
ardi, pecora
artile, lana
behi, vacca
gazta, formaggio
idi, bue
zenbera, formaggio molle
zezen, toro 

Persino alcuni termini relativi alla metallurgia sono antichi, segno che quando si cominciarono a lavorare i metalli esistevano ancora tradizioni non indoeuropee: 

berun, piombo
burdina, ferro
urre, oro
zilar, argento 

Si noterà che uno di questi lemmi, il nome dell'argento, è stato preso a prestito dai Germani (proto-germanico *siluβra-), dagli Slavi (antico slavo ecclesiastico sĭrebro) e dai Balti (antico prussiano silapris, lituano sidãbras, lettone sidrabs). Il nome del piombo è chiaramente simile agli equivalenti vocaboli del greco e del latino: è ben possibile che la radice sia di origine iberica e che si sia diffusa ad oriente.

Tutte evidenze che sono state bellamente ignorate da Renfrew. Del resto, non è una novità lo strapotere degli archeologi, che cercano con ogni mezzo di pronunciarsi su argomenti che non sono preparati ad affrontare. Penso che Colin Renfrew non sia poi tanto diverso dai complottisti che infestano la Rete con le loro inconsistenze. Egli è incapace di distinguere la logica dal paralogismo. La sua teoria sull'equivalenza tra archeologia e linguistica è estremamente nociva alla Conoscenza. Nonostante sia un fatto appurato che archeologia e linguistica utilizzano mezzi diversi e hanno scopi diversi, esiste sempre chi intende con prepotenza affermare il primato dell'archeologia, giungendo a conclusioni indebite quanto ridicole. 

Gli esempi concreti che si possono fare sono innumerevoli. Gli Aquitani appartenevano alla Cultura di La Tène, che era di origine celtica. Tutti i loro manufatti e utensili erano di fattura lateniana. Tuttavia noi sappiamo per certo che gli Aquitani parlavano una lingua assai simile a una forma ancestrale di basco, e per nessuna ragione questa può essere classificata come lingua celtica. Allo stesso modo possiamo dire che gli Illiri furono profondamente influenzati dalla Cultura di La Tène, anche se la loro lingua, per quanto fosse sicuramente indoeuropea, non era certo celtica. La somiglianza della cultura materiale di diversi popoli non implica l'identità delle loro lingue. Non sequitur. Questo perché una cultura materiale viene adottata più facilmente di una lingua: una popolazione è restia ad abbandonare l'idioma dei propri padri, mentre è quasi sempre propensa a riconoscere la superiorità di una tecnologia e ad adottarla prontamente. In genere sono prese a prestito le parole necessarie a descrivere le innovazioni, ma il lessico di base e la struttura grammaticale oppongono nel breve periodo una certa resistenza al cambiamento. Sappiamo che gli Americani costruiscono palazzi e stadi proprio nello stesso modo degli Italiani, dei Tedeschi, degli Ungheresi, degli Iraniani e dei Giapponesi, ma le rispettive lingue sono realtà distinte, la loro differenziazione non è assolutamente sovrapponibile all'evoluzione della cultura materiale di questi popoli. Renfrew utilizza il Rasoio di Occam con estrema facilità, e questo suo uso abusivo rade ogni complessità. Così lo definisco nemico della Scienza. Tutti coloro che hanno un minimo di buonsenso dovrebbero rivoltarsi contro la stoltezza delle sue vane teorie. Invece si nota che ci sono pochissimi oppositori, mentre i partigiani di tali assurdità sono numerosi e non esistano ad assumere comportamenti molesti nel tentativo di imporsi con tecniche trollose. Alcuni sono anche più estremi, arrivando addirittura a proiettare le lingue indoeuropee nell'Europa del Paleolitico.   

Strategie dialettiche aggressive dei partigiani delle teorie pseudoscientifiche di Renfrew e simili:  

1) Prima tecnica negazionista: stabiliscono in modo dogmatico l'inesistenza dei sostrati non indoeuropei; 

2) Seconda tecnica negazionista: accusano chi si oppone alle loro teorie di non portare prove;   

3) Tecnica dello sfinimento: non stanno ad ascoltare le argomentazioni altrui e ripropongono le stesse idee fisse o commentano con frasi ironiche per far saltare i nervi.

4) Tecnica del maiale e della colomba: accusano di dogmatismo coloro che si oppongono alle loro idee dogmatiche, in modo da gettargli addosso discredito.  

Come reagire: 

1) Rifiutare di fare il gioco dei troll e di perdere tempo a parlare con loro;

2) Smontare i loro spropositi usando i Principi della Logica, pubblicando le confutazioni sul proprio blog. 

3) Esporre alla gogna del ridicolo ogni loro assurdità.