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domenica 10 maggio 2020


NON SI DEVE PROFANARE
IL SONNO DEI MORTI


Titolo in inglese: Let Sleeping Corpses Lie
Titolo in spagnolo: No profanar el sueño de los muertos 
AKA: Da dove vieni?; Zombie 3; Don't Open the Window;
       The Living Dead at the Manchester Morgue 
Lingua originale: Italiano
Paese di produzione: Italia, Spagna
Anno: 1974
Durata: 95 min.
Genere: Orrore 
Sottogenere: Horror fantascientifico, zombie apocalypse  
Regia: Jorge Grau
Soggetto: Sandro Continenza, Marcello Coscia, Juan Cobos,
     Miguel Rubio
Sceneggiatura: Sandro Continenza, Marcello Coscia, Juan
     Cobos, Miguel Rubio
Produttore: Edmondo Amati
Casa di produzione: Fida
Distribuzione in italiano: Flaminia Produzioni
     Cinematografiche srl - Roma
Fotografia: Francisco Sempere
Montaggio: Domingo Garcìa
Effetti speciali: Giannetto De Rossi, Luciano Bird
Musiche: Giuliano Sorgini
Scenografia: Carlo Leva
Costumi: Carmen De La Casa
Trucco: Giannetto De Rossi
Interpreti e personaggi:
    Ray Lovelock: George Meaning
    Arthur Kennedy: L'ispettore gerontocratico 
    Cristina Galbo: Edna Simmonds
    Aldo Massasso: L'investigatore Kinsey
    Giorgio Trestini: L'ufficiale Craig
    Roberto Posse: Benson
    José Ruiz Lifante: Martin West
    Jeannine Mestre: Katie West
    Gengher Gatti: Keith
    Fernando Hilbeck: Guthrie Wilson
    Vera Drudi: Mary
    Vicente Vega: Dott. Duffield
    Paco Sanz: Il giudice
    Paul Benson: Wood
    Anita Colby: Infermiera
    Joaquin Hinojosa: Uomo dell'autopsia
    Isabel Mestre: La telefonista
    Vito Salier: Un uomo nudo
    Francisco Sanz: Perkins
Doppiatori italiani:
    Cesare Barbetti: George Meaning
    Sergio Fiorentini: L'ispettore gerontocratico
    Ferruccio Amendola: L'ufficiale Craig 
 
 
Trama:
George è un aitante giovanotto un po' hippie, barbuto e biondiccio. Durante un viaggio nel territorio conosciuto come Lake District (quello dei famosi Poeti dei Laghi), ha un incidente: la sua moto, una Norton, finisce danneggiata dalla Mini Cooper guidata da una splendida donna dai capelli rossi come il fuoco, Edna. Non potendosi permettere il lusso di restare appiedato, George accetta da Edna un passaggio fino a Windermere. Siccome la donna deve recarsi a Southgate a trovare la sorella, chiede a George di essere lasciata lì, lasciandogli la macchina per proseguire verso Windermere, dove lei intende poi raggiungerlo. Il problema è che i due si perdono cercando la via per Southgate, finendo in una zona isolata. George scende dalla macchina e attraversa un fiume a piedi, raggiungendo una fattoria dove trova alcuni uomini del Ministero dell'Agricoltura, intenti ad armeggiare con strani macchinari. L'uomo biondiccio chiede loro spiegazioni. Gli rispondono che si tratta di una tecnologia sperimentale che permette di uccidere gli insetti per mezzo delle radiazioni ultrasoniche. Mentre Edna aspetta in macchina, viene aggredita da un uomo emerso all'improvviso dalle acque del fiume. Questo energumeno, alto e con la barba corvina, scompare dalla vista quando George fa ritorno. La situazione si ingarbuglia. Ormai è notte fonda. La sorella di Edna, Katie, è una creatura fragile e tormentata, dipendente dall'eroina. Ha un litigio col marito Martin, un fotografo che usa la sua arte per ritrarla nuda e nell'atto di bucarsi. L'uomo, esasperato, esce a scattare foto in una postazione remota tra i campi. Compare l'uomo barbuto che aveva aggredito Edna. Katie, terrorizzata, fugge nel buio, cercando l'aiuto di Martin, che però viene sopraffatto e ucciso dal misterioso aggressore. La ragazza riesce a tornare a casa e a questo punto  arrivano sua sorella Edna e il suo compagno. Viene chiamata la polizia, che si rivela subito ottusa e brutale. L'Ispettore è un gerontocrate oltremodo aggressivo, che pensa subito di accusare Katie del delitto, rivolgendo la sua antipatia contro George. A spingerlo è un odio assoluto e irrazionale verso le persone giovani. Egli è un uomo tutto d'un pezzo, un "poliziotto reazionario e tetragono che odia i capelloni" (come scrive un commentatore), convinto che i giovani siano tutti drogati e dediti alle orge più sfrenate: assimila addirittura la musica rock ai rituali satanici. Credendo che un uomo onesto non debba e non possa avere erezioni, accusa con facilità tutti coloro che provano desiderio sessuale di essere i responsabili dei peggiori crimini. La sua tattica investigativa consiste nella ricerca di un capro espiatorio. Katie finisce ricoverata all'ospedale di Manchester, dove alcuni bambini manifestano sintomi di frenesia cannibalica. Presto George ed Edna scoprono l'orrenda verità: stanno sorgendo i morti viventi! I cadaveri si rianimano proprio a causa delle radiazioni diffuse dagli scienziati dementi del Ministero dell'Agricoltura. Tutto precipita in un vortice di aggressioni e di inseguimenti, senza nemmeno un istante di respiro. Gli eventi raccapriccianti si moltiplicano, senza che si possa fare nulla per porvi rimedio. George combatte strenuamente contro gli zombie. Il problema è che per un macabro scherzo del destino, ogni volta che ha terminato la dura lotta, la polizia arriva e lo accusa sempre di essere lui il responsabile di tutte quelle morti aberranti! A un certo punto non si capisce nemmeno se la piaga peggiore sia l'epidemia zombificante o l'atteggiamento della polizia. L'ispettore gerontocratico è come posseduto dalla follia e sembra trionfare, ma alla fine troverà la sua Nemesi.

Sequenze memorabili:
L'assedio al cimitero. Gli zombie che sventrano un poliziotto, gli estraggono le viscere e le divorano, masticandole con infinita avidità. Il sangue che cola dal cranio forato di una morta vivente. Il poppante che morsica un dito al protagonista. Il fotografo zombificato che strangola la gracile moglie; lui e i suoi compagni che strappano i seni all'infermiera, quindi la eviscerano. Un morto vivente che spacca il cranio a un medico servendosi di una scure, dopo avergliela strappata di mano.  
 
 
Recensione:  
Quest'opera di Grau è ritenuta un'eccezione tra i film etichettati come "zombeschi minori". A parer mio è un'opera che ha dei meriti. Non è affatto un film mediocre! Non si può considerare una pura e semplice riedizione degli "zombeschi maggiori". Anche a costo di attirarmi l'ostilità di molti cinefili schifiltosi quanto saccenti, lo considero eccellente sotto tutti i punti di vista. La regia è impeccabile, le interpretazioni degli attori sono ottime, l'ambientazione è suggestiva e non si dimentica. Lovelock nel ruolo di George è robusto; la fulva Galbo nel ruolo di Edna è sublime. Non mancano gli spunti di riflessione politica, sociale ed ecologica. Certo, avrei goduto di più se l'odiosissimo ispettore fosse finito dilaniato e masticato! 
 
Dopo essere stato presentato al Sitges - Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna il 30 settembre 1974, il film uscì in Italia il 28 novembre dello stesso anni, per poi essere distribuito nel Regno Unito e negli Stati Uniti d'America nel corso del 1975, con vari titoli (in tutto più di 15!). I riscontri nel mondo anglosassone sono stati ottimi. L'accademico Peter Dendle lo ha definito "sorprendentemente efficace" ed ha affermato che è "forse il miglior film zombesco in un anno di zombeschi molto buoni". Glenn Kay, che ha scritto Zombie Movies: The Ultimate Guide, ha detto che questa pellicola ha eclissato la successiva produzione zombesca italiana degli anni '80. Secondo lo stesso Kay questo è "il più efficace e disturbante film spagnolo del periodo"
 

Biologia degli zombie 
 
Mentre gli zombie dei film di George A. Romero muoiono all'istante quando sono colpiti al cranio da un colpo di arma da fuoco, nella pellicola di Grau si vede una donna che continua ad avanzare anche quando dal cervello bucato scaturisce un denso fiotto di sangue scuro. Anche l'uomo barbuto e colossale che lotta con il fotografo e ne riceve una grossa pietra in testa, non fa una piega: dopo aver strozzato la sua vittima si erge e avanza verso la giovane eroinomane, nonostante il sangue chiaro che gli cola dalla ferita aperta. Come il protagonista scopre, la sola possibilità di distruggere i cadaveri rianimati è il fuoco. Un'altra peculiarità davvero strana degli zombie di Grau, che non ha riscontro in Romero, è l'iride, rossa come il sangue e frastagliata come una stella marina. Ci sono interrogativi sui processi biologici che portano un cadavere a rianimarsi. Non sempre la zombificazione di un cadavere è rapida. Se una persona muore per mano di uno zombie, sembra che il processo ci metta più tempo a compiersi. All'inizio lo spettatore  ha addirittura l'impressione che il fotografo Martin sia sfuggito al suo destino di vita nella morte, ma poi lo si vede all'obitorio dell'ospedale, sorto dagli abissi dell'Ade con le labbra che grondano sangue! 

Un film italo-spagnolo inglesato 
 
Lo spettatore è convinto di essere in Inghilterra. Poi si scopre che il film è stato girato prevalentemente in Italia. Il paesaggio inglese è stato imitato alla perfezione, come pure la particolarissima atmosfera che vi regna. Soltanto alcune sequenze sono state girate in Albione, e tra queste possiamo annoverare quelle ambientate nel cimitero. Secondo i compilatori del database IMDb, si tratterebbe proprio del cimitero in cui si è fermato a riposarsi Little John, proprio quello della compagnia di Robin Hood. La troupe sarebbe addirittura stata trattata con ostilità dai nativi e costretta a terminare le riprese nel giro di 24 ore. Le scene in cui si vede l'esterno dell'ospedale sono state girate nei pressi del Barnes Hospital di Cheadle (Greater Manchester). 
 
Le Profezie della Morrigan  

Le sequenze iniziali ci mostrano un panorama degli Ultimi Giorni. La decadenza pervade ogni cosa. Bianchi vapori tossici salgono dai fatiscenti edifici industriali. I fumi esiziali uccidono gli uccelli. Per le vie della città incubica si aggira un uomo con la mascherina, sinistro presagio di un futuro pandemico che all'epoca nessuno avrebbe mai potuto immaginare. Il film di Grau è un coraggioso atto di accusa contro il titanismo di un mondo scientifico cieco ed ottuso, che pretende di affermare il proprio dominio sulla natura stessa dell'Esistenza, soggiogando e manipolando gli elementi. Quelli erano tempi in cui era ancora possibile un'ecologia radicale eroica, ben diversa dagli sterili isterismi dello squallido presente!  

 
Arroganza scientista 
 
Gli scienziati-burocrati del Ministero dell'Agricoltura non considerano minimamente il ruolo degli insetti impollinatori. Le radiazioni del loro macchinario uccidono ogni specie di insetto, dalle formiche alle api. La gente odia le vespe e i calabroni, perché possono pungere e talvolta provocano reazioni anafilattiche anche mortali. Tuttavia senza tali insetti non avremmo il vino. Sono proprio vespe e calabroni a portare sull'uva i lieviti necessari per la vinificazione. Se non ci fossero, ci toccherebbe usare il lievito di birra per far fermentare il mosto, e il sapore della bevanda sarebbe del tutto diverso. Se le api scomparissero, cosa faremmo senza il miele? Non avremmo l'alimento più delizioso. Non potrei nemmeno gustare l'idromele, che reputo migliore del vino d'uva. Sarei costretto a produrmi un succedaneo dalla melassa, cosa a dir poco deprimente. Queste sono le cose a cui i seguaci del neopositivismo materialista non pensano nemmeno per un istante. Ritengono che un'idea possa funzionare, si credono infallibili e la mettono in pratica senza esitare, ignorandone le conseguenze.

Curiosità 

Jorge Grau è un regista spagnolo, nato a Barcellona. In catalano grau significa "grado", "livello" (dal latino gradus). Per una singolare distorsione percettiva ho identificato a prima vista il cognome col tedesco grau, che significa "grigio" e dalla cui radice deriva Grauen "terrore".

Il nome del protagonista, George, sembra essere un omaggio al mitico Romero, indimenticabile autore dei film "zombeschi maggiori". Nessuno potrà mai convincermi del contrario!  

Gli occhi rossi degli zombie, con l'iride frastagliata simile a una macchia di mestruo su un sostrato di albume spermatico deteriorato, sono stati prodotti tramite uova sode e striscioline di cotone tinto. Ecco quant'era la genialità di quei registi, costretti a produrre cose mirabolanti a partire da mezzi praticamente inesistenti!  

Gli attori che impersonavano i morti viventi mangiarono gli occhi e altri organi finti, visto che erano commestibili: il regista non li avvisò della presenza delle fibre di cotone, che provocarono episodi di diarre acutissima. Una volta svelato l'arcano, gli attori si misero a ridere - senza capire i rischi concreti di trovarsi chissà perché con il morbo di Crohn. 

Il produttore del film, Edmondo Amati, non nutriva particolare fiducia nel regista catalano. Così pensò bene di affiancargli Gianni Arduini, il cui cognome rivela una nobile origine longobarda. 

In tutta la contorta vicenda, non mi pare che venga mai rivelato il cognome del tristissimo ispettore impotente e gerontocratico! Alcuni recensori lo menzionano come Kennedy, ma questo è il cognome dell'attore, non del personaggio.

Il regista ha scelto un'attrice col seno piatto per interpretare la parte dell'infermiera. Così le ha applicato un seno posticcio, destinato ad essere dilaniato dagli zombie nella scena della sua morte. 
 
La lugubre locanda in cui George ed Edna trovano alloggio si chiama The Old Owl Hotel, ma in una breve sequenza la scritta compare con una metatesi: The Old Olw Hotel. La causa dell'errore non è misteriosa. Va detto che la scritta è su un vetro che gli attori vedono dal lato opposto, quindi invertita. Deve essere stata predisposta male, ma la svista non è stata corretta perché non ne valeva la pena, dato che comunque i caratteri dovevano apparire speculari allo spettatore. Tra l'altro non è The Blind Owl Hotel, come pure è stato scritto da qualche parte nel vasto Web.

venerdì 8 maggio 2020


I VIVI E I MORTI 

Titolo originale: House of Usher
AKA: The Fall of the House of Usher, The Mysterious House
     of Usher
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Anno: 1960
Durata: 80 minuti
Genere: Orrore
Regia: Roger Corman
Soggetto: Edgar Allan Poe
Sceneggiatura: Richard Matheson
Produttore: Roger Corman
Produttore esecutivo: James H. Nicholson
Casa di produzione: Alta Vista Productions
Fotografia: Floyd Crosby
Montaggio: Anthony Carras
Effetti speciali: Larry Butler, Pat Dinga e Ray Mercer
Musiche: Les Baxter
Scenografia: Daniel Haller
Costumi: Marjorie Corso
Interpreti e personaggi:
    Vincent Price: Roderick Usher
    Mark Damon: Philip Winthrop
    Myrna Fahey: Madeline Usher
    Harry Ellerbe: Bristol
    Eleanor LeFaber: Fantasma
    Ruth Oklander: Fantasma
    Géraldine Paulette: Fantasma
    David Andar: Fantasma
    Bill Borzage: Fantasma
    Mike Jordan: Fantasma
    Mike Jordor: Fantasma
    Nadajan: Fantasma
    George Paul: Fantasma
    Phil Sulvestre: Fantasma
    John Zimeas: Fantasma
Doppiatori italiani:
    Emilio Cigoli: Roderick Usher
    Pino Locchi: Philip Winthrop
    Rosetta Calavetta: Madeline Usher
    Amilcare Pettinelli: Bristol
Titoli in altre lingue:
   Spagnolo: La caída de la casa Usher
   Tedesco: Die Verfluchten (lett. I maledetti)
   Francese: La Chute de la maison Usher 


Trama:
Il giovane Philip Winthrop è in viaggio verso la dimora nobiliare degli Usher, bramoso di raggiungere la sua dama adorata, la corvina Madeline. La casa è un maniero cadente che sorge in una landa spettrale, nebbiosa e desolata, quasi come un paesaggio marziano. Non vi nasce nemmeno un filo d'erba verde, non vi possono allignare nemmeno una lucertola o uno scarabeo, perché il suolo è contaminato e acido come il terriccio di morte che ricopre un'immensa fossa comune. Ovunque si ergono alberi neri, i cui rami untuosi sono come le braccia di un impiccato che continua ad urlare al cielo dal profondo del campo di inumazione. Quando finalmente Philip raggiunge gli Usher, riceve un'accoglienza fredda. Il fratello di Madeline, Roderick, si oppone al matrimonio. La stirpe degli Usher è maledetta e tarata, è stata condannata dalla Natura a causa della sua endogamia e dei sacrileghi trascorsi dei suoi fondatori maligni. Roderick, che è un albino simile a un'ombra dell'Ade, tale e quale a uno zombie macerato da anni di sepoltura, spiega bene queste cose a Philip, aggiungendo che a Madeline non può essere permesso di procreare e di propagagare così la maledizione della vita. Questi però non vuole sentire ragioni, perché è un rampollo stupido e incapace di intendere la dottrina del Male Metafisico. Madeline decide di fuggire col suo drudo, perché non sopporta più la mortifera influenza del fratello. Durante un'accesa discussione, accade qualcosa di orribile: la donna cade in uno stato di catalessi che la fa apparire defunta. Roderick convince Philip che è necessario farle i funerali e seppellirla, e così accade. Madeline è chiusa in una bara, adagiata su un tavolo marmoreo nella cripta di famiglia. Philip, distrutto dal dolore per la subitanea perdita, si prepara a partire da quel luogo maledetto, ma prima si intrattiene a parlare col domestico Bristol. Dalla conversazione emerge che la povera Madeline soffriva di catalessi. Questa rivelazione accende un campanello d'allarme nel cranio del giovane, che si precipita nei sotterranei, in preda alla disperazione nell'estremo tentativo di salvare l'amata. Madeline, che si era svegliata nella bara, era riuscita a romperla e ad emergere, ma in stato di totale pazzia. Mentre Philip la cerca, lei raggiunge il fratello, lotta con lui e lo strozza, uccidendolo. La casa, già incendiata dalla caduta di carboni ardenti, collassa all'improvviso. Il fuoco divora i due Usher, ponendo fine alla loro stirpe dannata. Anche il domestico trova una morte atroce tra le fiamme. Il solo Philip, quasi eletto dal regista a rappresentante della Vita, riesce a fuggire mentre ogni traccia del castello affonda nel fango. Il film si conclude dunque con le parole finali del racconto di Poe: "... e lo stagno profondo e umido si chiuse cupo e silenzioso sui frammenti della Casa degli Usher"

Recensione: 
Primo film del Ciclo di Poe di Roger Corman, House of Usher non si dimentica facilmente. È l'adattamento del racconto di Edgar Allan Poe La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher), appartenente alla raccolta dei Racconti del Terrore. Troviamo qui un Vincent Price spettrale, senza i tipici baffetti, che sembra vissuto in una caverna profonda come il Pozzo di Hranicka, inumato per anni come il mitico Zamolxis, senza mai poter essere essere sfiorato neppure da una sperduta particella di luce. Per interpretare il ruolo di Roderick Usher, si scolorì la chioma con l'acqua ossigenata (perossido d'idrogeno), mentre le sopracciglia e le ciglia sono state mantenute del colore naturale, soltanto un po' ritoccate con una speciale matita. Il motivo è molto semplice: se il perossido d'idrogeno entra a contatto con gli occhi, provoca cecità. Così il protagonista spiega la sua condizione poco invidiabile: 
 
"Madeline e io siamo come due statue di fragile cristallo, il minimo urto può frantumarci. Entrambi soffriamo per un'atroce sensibilità dei sensi. La mia è più grave perché esiste da più lungo tempo, ma il male è comune a tutti e due. La sola idea di cibi più complicati di un semplice brodo sconvolge il mio equilibrio. Ogni specie di emozione è un'agonia per la mia mente. I miei occhi sopportano a malapena solamente un filo di luce. Gli odori mi assalgono e mi torturano, e come le ho detto ogni suono, seppur lieve e debole, mi riempie di terrore." 
 
L'ospite gli chiede dunque se è per questo che ha dovuto togliersi gli stivali. Roderick Usher continua: 
 
"Sì! E anche così l'ho sentita arrivare. Ho sentito i suoi passi, persino il fruscio del vestito. Ho sentito lo scalpitio del suo cavallo. Ho sentito il calpestio degli zoccoli nel cortile, quel colpo, quel colpo alla porta è stato come una cannonata per le mie orecchie. Sento il fruscio dei branchi di topi che corrono per le cantine! Signor Winthrop, la maggior parte dei miei antenati sono caduti in preda alla pazzia, e nella loro pazzia hanno acquistato una potenza sovrumana! E solo lo sforzo di molti ha potuto immobilizzarli."

Questo è lirismo assoluto! Certo, non c'è coerenza assoluta nelle di quell'uomo notevole. Infatti, in occasione della funerea cena in compagnia della sorella e di Winthrop, lo vediamo bere vino e mangiare pietanze. Così non sembrano dargli fastidio i sinistri rumori della vetusta dimora che cade lentamente a pezzi.
 
 
Roderick Usher teologo cataro 
 
Roderick Usher specula sulla natura del Male, esponendo a Philip Winthrop le dottrine dualiste radicali che professa. Il Male non è negatio boni, come invece sosteneva Agostino d'Ippona e come tuttora sostiene Vito Mancuso. Il Male è una sostanza ontologica primigenia, increata, immortale ed eterna. La sua essenza funesta si era condensata nel capostipite degli Usher, giunto dall'Inghilterra come mercante di schiavi. Egli era un demone incarnato, era stato creato senza il Verbo. Apparteneva a Satana anima e corpo ed era dannato dalla nascita. Anzi, era dannato dall'eternità, perché era parte dell'Eternità Malvagia. Tale era il suo funesto potere, da riuscire ad corrompere gli Elementi, portando desolazione. Così spiega Roderick Usher: 
 
"Una volta questa terra era fertile, le colture abbondavano, la terra donava ricchezza al tempo del raccolto. Vi erano dei boschi e tanta vita, e fiori, campi di grano. Era molto bello qui. A quel tempo quest'acqua era chiara e fresca. I cigni scivolavano sulla superficie di cristallo. Gli animali venivano alla riva fiduciosi, a bere. Ma ciò era molto prima dei nostri tempi... Poi qualcosa si insinuò nelle viscere della terra e la avvelenò. Caddero le foglie dagli alberi. I fiori avvizzirono. I cespugli inaridirono per mancanza di linfa. Il frumento marcì nei campi. I laghi e gli stagni divennero neri e paludosi. La terra s'ammalò devastata dalla peste."  
 
Il giovane Winthrop domanda incredulo: "La peste?"
Roderick Usher risponde prontamente: "Sì signor Winthrop. La peste del Male!"
 
Dal seme del capostipite degli Usher erano nati numerosi malfattori e carnefici, perché un albero malvagio non può dare buoni frutti. Roderick mostra una galleria di dipinti dei suoi avi, di cui rivela i nomi e le orribili gesta criminali:  

Anthony Usher. Ladro, usuraio, mercante di schiavi.
Bernard Usher. Truffatore, falsario, ladro di gioielli, pervertito*.
Francis Usher. Assassino a pagamento.
Vivian Usher. Prostituta, ricattatrice, omicida. È morta in manicomio.
Il capitano David Usher. Contrabbandiere, mercante di schiavi, più volte omicida**.
 
*La versione originale ha drug addict, ossia "oppiomane", "morfinomane". Bizzarra la connotazione sessuale della versione italiana.
**La versione originale ha un ben più incisivo mass murderer "assassino di massa". 
 
I quadri in questione, il cui stile è decisamente inconsueto, mostrano questi diavoli con gli occhi simili a pozzi di tenebra assoluta che irradiano Luce Nera.
 
Philip Winthrop rappresenta il pensiero dell'Era Moderna e rifiuta la teologia del Neomanicheismo medievale. Non crede affatto al Male Metafisico. Il suo è un modo di sentire scientista e massonico, negatore di quella che Stanslas de Guaita chiamava "bestemmia dei due assoluti". Così protesta, scalcia, non vuole accettare che la realtà delle cose sia tanto annichilente. Con grande pazienza, il suo interlocutore dalle chiome albine gli spiega i misteri delle opere del Rex Mundi:

"Il Male non è una cosa astratta. È una realtà. Come ogni cosa vivente può essere creata, così il Male fu creato da queste persone. La storia degli Usher è una storia di bassezza e degradazione. Prima in Inghilterra e in seguito qui."

E ancora:

"L'essenza malefica che la pervade non è astrazione. Per diversi secoli azioni e pensieri malvagi presero vita fra le mura di questa casa. La casa stessa è il Male ora." 

Nel racconto di Poe non si trova traccia di questo piccolo trattato di teologia dualista radicale. Mi piacerebbe sapere da dove Roger Corman ha tratto la sua ispirazione. 
 
Un maniero fatto di coke 
 
Peccato che alla ricchezza teologica e filosofica di Roderick Usher si contrappongano numerose incongruenze nel tessuto narrativo. L'incendio del castello è un classico cormaniano di cui la Settima Arte ha spesso e volentieri abusato. Svolge un preciso compito catartico: consuma le radici della maledizione e impedisce loro di continuare a produrre frutti funesti. Il Principe Gautama, più noto come Buddha, direbbe che in questo modo si consumano i semi del Karma. Il problema che spesso mi sono posto è questo: se un castello è fatto di pietra, cosa vi potrà mai bruciare? Certo, bruceranno le travi di legno, gli arazzi, le tende e simili. Tuttavia nei castelli di Corman l'incendio divampa con una tale furia che sembra sia la stessa pietra ad ardere. Tra l'altro il regista riutilizzò alcune scene del finale in suoi successivi film. Cosa buffa, non si aspettava affatto che gli spettatori sarebbero stati in grado di riconoscere i fotogrammi.  

 
Curiosità 
 
I dipinti orrifici di Burt Shonberg furono distribuiti tra il cast una volta terminate le riprese. Corman tenne per sé il ritratto di Vincent Price. 
 
Questo film fu distribuito da American International Pictures con due diversi titoli, secondo una pratica ingannevole che era comune all'epoca: in alcuni distretti fu mantenuto il titolo originale, House of Usher, mentre in altri la pellicola fu presentata come The Fall of the House of Usher.  

In Spagna ci furono problemi con House of Usher, che fu distribuito ben 23 anni dopo la sua uscita in America. A terrorizzare le autorità spagnole sono stati senza dubbio i suoi contenuti manichei! 

lunedì 4 maggio 2020


LA CITTÀ DEI MOSTRI 

Titolo originale: The Haunted Palace
Anno: 1963
Paese: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese, latino ecclesiastico  
Durata: 87 min
Rapporto: 2,35:1
Genere: Orrore
Regia: Roger Corman 
Soggetto: Howard Phillips Lovecraft
Sceneggiatura: Charles Beaumont, Francis Ford Coppola
     (non accreditato)
Produttore: Roger Corman
Produttore esecutivo: Samuel Z. Arkoff, James H. Nicholson,
     Ronald Sinclair
Fotografia: Floyd Crosby
Montaggio: Ronald Sinclair
Musiche: Ronald Stein
Scenografia: Daniel Haller
Costumi: Marjorie Corso
Trucco: Ted Coodley, Lorraine Roberson, Verne Langdon
Interpreti e personaggi:
    Vincent Price: Charles D. Ward / Joseph Curwen
    Debra Paget: Ann Ward
    Lon Chaney Jr.: Simon Orne
    Frank Maxwell: Dr. Willet / Priam Willet
    Leo Gordon: Edgar Weeden / Ezra Weeden
    Elisha Cook Jr.: Gideon Smith / Micah Smith
    John Dierkes: Benjamin West / Mr. West
    Milton Parsons: Jabez Hutchinson
    Cathie Merchant: Hester Tillinghast
    Guy Wilkerson: Gideon Leach / Mr. Leach
    I. Stanford Jolley: il cocchiere Carmody
    Harry Ellerbe: ministro
    Barboura Morris: Mrs. Weeden
    Darlene Lucht: Miss Fitch
Doppiatori italiani:
    Emilio Cigoli: Charles Ward \ Joseph Curven
    Rita Savagnone: Ann Ward
    Mario Pisu: Simon Orne
    Riccardo Mantoni: Dr. Willet \ Priam Willet
    Renato Turi: Edgar Weeden \ Ezra Weeden
    Sergio Tedesco: Gideon Smith \ Micah Smith
    Bruno Persa: Benjamin West \ Mr. West
    Arturo Dominici: Jabez Hutchinson
    Nino Marchetti: Gideon Leach \ Mr. Leach, il cocchiere
         Carmody
    Mario Mastria: Ministro
    Nino Bonanni: Berth
 
Trama:
Anno del Signore 1765, New England. Nel villaggio di Arkham avvengono misteriose sparizioni di alcune giovani. La popolazione, che vegeta immersa in un'opprimente caligine di superstizione, subito accusa Joseph Curwen, un possidente che abita in un maniero. Ritenuto uno stregone, l'uomo viene catturato e bruciato vivo sul rogo. Prima che le fiamme consumino il suo corpo, egli scaglia contro i suoi persecutori e contro la loro progenie una terribile maledizione eterna. Centodieci anni dopo, nel 1875, giunge ad Arkham un uomo di nome Charles Dexter Ward, che è proprio l'ultimo discendente diretto di Joseph Curwen. Accompagnato dalla bellissima moglie Ann, è intenzionato a prendere possesso della turrita dimora del suo illustre avo. Gli abitanti del villaggio, immerso in una densa nebbia e in una perenne oscurità, accolgono con estrema diffidenza il nuovo arrivato. Questi nota subito che la popolazione è affetta da spaventose tare e deformità, attribuite proprio alla maledizione del necromante: c'è chi ha le dita palmate come una rana, chi ha gli occhi coperti interamente da pelle, chi urla confinato in una stanza. Quando prende possesso del maniero, l'erede rimane affascinato da un ritratto del suo antenato, che lo ritrae avvolto nell'oscurità sotto un albero usato per le impiccagioni, tra i cui rami neri e ritorti fa capolino la luna piena. Li sguardo truce dell'uomo del dipinto è ammaliante, esercita un potere su chiunque abbia l'ardire di fissarlo. Charles nota subito l'estrema somiglianza tra se stesso e il proprio antenato. Presto cominciano a manifestarsi in lui strani disturbi mentali: diventa sonnambulo e vaga a lungo per le sale del castello. Sua moglie Ann stenta a riconoscerlo e fa di tutto per convincerlo ad andar via da quel luogo maledetto. All'inizio questi episodi avvengono soltanto di notte, ma presto l'influsso della magia nera di Curwen si esercita sul suo discendente anche di giorno. Egli ormai si identifica completamente con l'uomo del ritratto e riconosce nel vecchio guardiano, Simon Orne, il suo assistente di un tempo. Ritrova anche l'altro stregone, Jabez Hutchinson. Nella cripta del maniero essi officiano tremendi rituali satanici, utilizzando una copia del Necronomicon, con invocazioni a Cthulhu e a Yog-Sothoth, affinché si instauri il Regno dei Grandi Antichi. Il cadavere della donna che fu l'amante di Joseph Curwen, Hester Tillinghast, viene sottratto alla tomba e rianimato. La vendetta ha inizio: uno dopo l'altro, i discendenti dei responsabili dell'antico rogo vengono identificati e uccisi in modo atrocissimo. L'unico aiuto per la povera Ann è il medico del paese, il dottor Marinus Willet, l'unico che riesce ad avere un atteggiamento razionale di fronte agli eventi. Dopo vani tentativi di far allontanare la donna dall'influenza del marito posseduto, si risolve a fare un'incursione, dando fuoco al ritratto di Curwen. Le fiamme si propagano a tutto l'edificio, divorando ogni cosa nella consueta nemesi catartica. Sembra che la situazione allucinante si sia finalmente risolta: Charles Dexter Ward si salva dall'incendio e si ricongiunge alla sua amata consorte. Tuttavia quando alla fine viene inquadrato il suo ghigno demoniaco, si capisce che il Male non è stato sconfitto. Il necromante è stato capace di sopravvivere alla Morte! 


Recensione: 
Il titanico Price con la sua intensa interpretazione salva questo collage dalla damnatio memoriae. Corman pasticcia spesso e volentieri: non sempre produce cose sublimi. Quando i racconti e i romanzi originali non gli bastano per trarne un film decente, li ibrida in modo vario e ingegnoso - o indecoroso, dipende dai punti di vista. Per tenere insieme la sua creazione macchinosa, ecco che il regista ricorre a stratagemmi grotteschi oltre ogni umano dire, come lo storia surreale e ridicola del castello che avrebbe ospitato l'Inquisitore Tomás de Torquemada (il condizionale è d'obbligo), un edificio che una leggenda vuole trasportato pietra su pietra da qualche luogo dell'Europa - in modo tale da supplire all'atavica mancanza di castelli nel Nuovo Mondo. L'idea non è del tutto nuova. Qualcuno già aveva pensato qualcosa di simile in tempi più antichi. Lessi nella Saga degli Uomini di Eyr (Eyrbyggja Saga) che Thorolf Mostrarskegg ("Bella Barba"), Sommo Sacerdote del Grande Tempio dell'isola di Most, in Norvegia, fece trasportare in Islanda l'edificio di culto che amministrava, caricando sulle navi ogni zolla di terra su cui sorgeva, ogni sua trave e ogni altro suo componente. Però va detto che tale santuario pagano non era certo immenso, non era grande come la Basilica di San Pietro! Era una piccola costruzione lignea, senz'altro modesta anche in confronto a una stafkirkja, con una statua di Thor, i "chiodi divini" conficcati in una trave sacra e alcuni recipienti di legno o di metallo per raccogliere il sangue sacrificale (anche umano). L'idea dell'imponente maniero di pietra massiccia smontato dal Vecchio Continente, traslato per mare e rimontato in America, è una specie di ossessione di Roger Corman, una sua idée fixe: si trova anche in altri suoi film di ispirazione necrofila, I vivi e i morti (House of Usher, 1960) e La tomba di Ligeia (The Tomb of Ligeia, 1964). 
 
Il titolo originale della pellicola di Corman, The Haunted Palace, fa riferimento all'omonima poesia di Edgar Allan Poe, contenuta nel racconto La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher, 1858). Eppure l'ispirazione principale è chiaramente tratta dall'opera di Howard Phillips Lovecraft, e in particolare dal romanzo Il caso di Charles Dexter Ward (The Case of Charles Dexter Ward, 1927, pubblicato postumo nel 1941) e dal racconto L'orrore di Dunwich (The Dunwich Horror, 1928, pubblicato nel 1929). Tipici della mitologia lovecraftiana sono i nomi di Cthulhu e di Yog-Sothoth, il Necronomicon, i riferimenti all'Antica Razza e al sorgere di una nuova progenie di dominatori, gli sfrenati e morbosi riti sessuali. Le cose sono andate così. Roger Corman aveva già diretto diversi film ispirati alle opere di Edgar Allan Poe: il già citato I vivi e i morti (House of Usher, 1960), Il pozzo e il pendolo (The Pit and the Pendulum, 1961), Sepolto vivo (The Premature Burial, 1962), I racconti del terrore (Tales of Terror, 1962) e I maghi del terrore (1963). Il pubblico era ormai abituato a questi adattamenti delle opere di Poe, per quanto pieni di ibridismo e non certo fedeli: il regista temeva che ci sarebbero state reazioni negative se non avesse inserito nel suo nuovo lavoro almeno un riferimento all'opera dello scrittore di Boston. Così per creare un senso di continuità, il titolo scelto per la pellicola è stato proprio The Haunted Palace. In italiano la traduzione più fedele sarebbe stata Il palazzo infestato, ma si è preferito alludere alle spaventose deformità degli abitanti di Arkham. Oggi, in tempi funesti in cui imperversa il buonismo politically correct, un titolo come La città dei mostri non sarebbe più possibile, perché fa uso della parola "mostri" in riferimento a problemi fisici. Un uso ormai inconcepibile, passibile di accuse di apologia dell'eugenetica e di filonazismo: scatterebbe subito la reductio ad Hitlerum. Sarebbe obbligatorio ricorrere a qualcosa come La città dei diversamente sani, dei diversamente abili e dei diversamente belli. Tra l'altro, Corman ha preso in fretta e furia la sua decisione di inserire i riferimenti a Poe in questa sua opera. Lo si comprende anche perché nei credits che compaiono nei titoli, il nome dell'illustre bostoniano ricorre per ben due volte come Edgar Allen Poe, con il secondo nome scritto in modo errato. Refusi simili scappano quando si è messi sotto pressione e i tempi di reazione sono ridotti al minimo. 
 
Il repertorio magico di Joseph Curwen  

Nel corso del film vengono menzionate due demoniache divinità della mitologia di H.P. Lovecraft: Cthulhu e Yog-Sothoth. Sorprendentemente, Corman non prova nemmeno a ricostruire le evocazioni nella lingua arcana di R'lyeh, forse per via della difficoltà dei suoi suoni alieni. Si accontenta così di utilizzare un comune latino ecclesiastico. Il risultato non è eccelso e di sicuro il doppiaggio non ha aiutato. La formula ricorrente nelle invocazioni di Curwen e del suo erede è "O vos Felices", alla lettera "O voi, Felici", pronunciato come "Ovos Felices", cosa che non ha il benché minimo senso, facendo venire in mente delle uova inesistenti (pur essendo in latino ova "uova", di genere neutro). Latino dei Metallari prima ancora del sorgere dell'Heavy Metal! Dato il mio udito molto scadente, ho faticato un po' prima di accorgermi dell'inghippo. La mia prima reazione è stata di stupore: come si possano definire "Felici" demoni come Cthulhu e Yog-Sothoth, non è dato sapere. Presto ho avuto una sorpresa, non appena mi sono messo ad indagare. L'ispirazione è a un'opera della mistica Ildegarda di Bingen (1098 - 1179), il trattato conosciuto col titolo di Scivias
 
R. O vos felices
radices cum quibus
opus miraculorum
et non opus
criminum
per torrens iter
perspicue umbre
plantatum est, et
o tu ruminans ignea vox,
precurrens limantem
lapidem subvertentem abyssum:


R. Gaudete in capite vestro.

V. Gaudete
in illo quem non viderunt
in terris multi
qui ipsum ardenter vocaverunt.


R. Gaudete in capite vestro.   

Davvero notevole, non trovate? Non ci si aspetterebbe qualcosa di tanto particolare. Per contro, H.P. Lovecraft, pur ricorrendo al latino (Corvinus necandus est. Cadaver aq(ua) forti dissolvendum, nec aliq(ui)d retinendum. Tace ut potes), non esita a riportare anche parole in lingua R'lyehian:
 
Y’AI ’NG’NGAH,
YOG-SOTHOTH
H’EE—L’GEB
F’AI THRODOG
UAAAH

OGTHROD AI’F
GEB’L—EE’H
YOG-SOTHOTH
‘NGAH’NG AI’Y
ZHRO! 

Faccio mia questa invocazione arcana, augurandomi che porti la Morte Eterna a quella massa degenerata di scimmie dell'Inferno che formano la specie Homo sapiens brulicante su questo pianeta coprolitico!  
 

Il castello di Corman e la casa di Lovecraft 

Sono preso da uno strano senso di straniamento ogni volta che confronto il tetro castello torquemadiano ideato da Roger Corman con una foto della dimora di Providence da cui trasse ispirazione il sublime H.P. Lovecraft per il suo romanzo Il caso di Charles Dexter Ward. Non c'è davvero niente in comune. La casa del New England non è cadente, non ispira un particolare orrore in chi la vede senza sapere nulla della questione. La vedo come amena, dipinta con un bel colore sangue di bue, che spesso ho visto nella provincia di Alessandria come in Norvegia, dalle parti di Bergen, dove ho avuto modo di visitare un suggestivo lebbrosario. Mi piacerebbe sapere cosa in concreto ha potuto trasmere al Solitario di Providence una simile carica di angoscia, tanto da fargli comporre un'opera intrisa di senso di annientamento, che sfiora il genere manicomiale. Cosa aveva in comune la bella casa signorile con un ospedale per malati di mente, in cui le vite di innumerevoli persone sono state distrutte? Forse non lo sapremo mai. Tutto questo dovrebbe farci riflettere su cosa è davvero orribile. 
 
 
Il Necromante che vinse la Morte 

Ricordo che il carissimo amico Sandro "Zoon", che tra l'altro ha una notevole somiglianza fisica con Vincent Price, mi narrò anni fa la vicenda di un mago nero che fu linciato a furor di popolo. Non mi sono dimenticato delle sue parole, perché mi hanno profondamente colpito e ancora risuonano in me. Così mi rivelò S., che il necromante ucciso era stato in grado di sopravvivere alla fine del proprio corpo proprio grazie all'essenza demoniaca dell'odio che lo animava, compatta e densa come l'oscurità di una supernova collassata e ridotta a materia neutronica. Quando ho visionato il film di Corman, sono stato sicuro che Sandro "Zoon" alludesse proprio alla morte di Joseph Curwen, anche se mi pare di rammentare che il necromante fosse stato ucciso per impiccagione anziché per combustione sul rogo. Ecco, la stessa cosa capiterà anche a me. Sarò in grado di superare la barriera della morte fisica, quella che Piero Angela nel suo materialismo positivista paragona agli spari di una mitragliatrice su una collina. Il mio Spirito, composto da un'essenza di assoluta tenebra siderale, come una Stella Nera di Feyaden, non si disperderà nei rivoli dell'entropia cosmica. Rimarrà compatto e coerente, dotato di capacità cognitiva. In questo modo trasmigrerò nel corpo di un Presidente degli Stati Uniti d'America o di un Premier di Israele, e ne prenderò possesso. Avrò davanti a me la valigetta fatidica e ordinerò il lancio dell'intero arsenare termonucleare, senza un solo istante di esitazione. Vediamo un po' cosa faranno i bulli, quando capiranno che è tutto finito, che il loro stramaledetto genoma è condannato. 

Curiosità 

In Spagna questo film cormaniano non è mai stato proiettato al cinema, mentre è stato trasmesso in TV soltanto 13 anni dopo la sua uscita in America. Non è poi così difficile capire il perché: le genti della Spagna sono di bell'aspetto, prestanti e valorose, ma anche oltremodo permalose e vendicative. Non è piaciuto il riferminento al famigerato inquisitore Tomás de Torquemada. 

Carmody è senza dubbio un cocchiere, e come tale è indicato dal prestigioso database IMDb. Questo nonostante l'American Film Institute Catalog of Feature Films 1961-1970 descriva Carmody come "Boat Captain". Com'è possibile questa incongruenza? Tutti possono vedere che non è presente alcun capitano di un'imbarcazione nel film di cui stiamo trattando. Sembra che all'origine ci sia un banale errore di stampa.  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Trovo interessante una considerazione trovata sul Davinotti e incentrata sul concetto di monstrum - anche se si sarebbe potuta evitare la citazione a quel malfattore cocainomane e mandrillesco che era Freud: 
 
"La difformità, il monstrum che si è insinuato ad Arkham non è solo dovuto all’opera del malvagio Curwen, ma deriva piuttosto da una lotta che gli antichi cittadini, ottusi, ciechi e contrari ad ogni cambiamento, non seppero affrontare fino in fondo. Joseph Curwen in quest’ottica diviene il simbolo di un confronto mai avvenuto fra l’umano e il non umano, ma anche una freudiana figura paterna che suscita timore-odio e che non si riesce ad affrontare. E, come ogni conflitto non risolto, si ripropone in tutta la sua devastante gravità quando meno ce lo si aspetta, reclamando la considerazione che merita."
 
Trovo invece non condivisibili queste parole dell'autore della recensione, che seguono immediatamente il brano sopra riportat:    

"Questa origine ambigua e assolutamente non manichea del male è un’idea tipicamente lovecraftiana, oltre che un tema estremamente moderno e profondo che Corman inserisce con efficacia e semplicità, attraverso allusioni, inquadrature fugaci, atmosfere sottili e pochi scambi di parole fra i personaggi." 
 
Adesso mi si spieghi questo: cosa ci sarebbe mai di non manicheo in Lovecraft? Egli ci parla di Male Assoluto e Cosmico. Male Metafisico, aggressivo, che non nasce da una semplice assenza di Bene. Anzi, se c'è qualcosa che latita nell'universo lovecraftiano, quella è proprio la definizione di una qualche proprietà ontologica in grado di opporsi al potere dei Grandi Antichi. 

martedì 5 novembre 2019

SONIA TREMOLO

Scoprii di avere un morto in cantina mentre stavo effettuando lavori di sgombero a lungo rimandati. I tessuti erano prosciugati e rinsecchiti a tal punto che li si sarebbe detti di cartone. Emanava un puzzo tutto sommato contenuto, una via di mezzo tra la pelle di salame e la crosta di formaggio ammuffita. Telefonai subito a Danilo per chiedergli consiglio.
“Ti mando una mia conoscente. Sistema tutto lei.”
“E chi sarebbe?”
“Meno sai meglio stai. Le do il tuo numero, ciao.”
Attesi per un’ora circa, in preda a una discreta agitazione, sino a che squillò il cellulare.
“Via Dei Pini 174?”, chiese una voce femminile.
“Sì, esatto.”
“Sarò lì tra mezz’ora.”
“Quando è vicina mi faccia uno squillo, così scendo e le apro il cancello col telecomando.”
Mezz’ora dopo una station wagon faceva retromarcia nel garage sotterraneo del palazzo, posizionandosi vicino all’ingresso della mia cantina. Ne scese una quarantenne dai capelli neri con indosso un impermeabile scuro.
Il viso, benché attraente, aveva tratti duri e lo sguardo trasmetteva una certa inquietudine.
Aprì il portellone del bagagliaio e mi si parò di fronte.
“Beh? Dov’è il reperto?”
“Mi segua.”
La sconosciuta indossò una mascherina e guanti da chirurgo.
Entrati, le mostrai il cadavere, appoggiato in un angolo tra la parete e un vecchio armadio tarlato.
 “Bella mummia. Sicuro di volersene privare?”
“Non saprei che farmene.”
“Com’è che si è accorto solo ora della sua presenza?”
“Prima c’era un bordello incredibile. Abito qui da pochi mesi, i precedenti inquilini hanno lasciato una montagna di cianfrusaglie.”
 “E un cadavere. Lo avvolga ben bene in un tappeto e me lo carichi in macchina. Stia attento nel muoverlo.”
Dopo aver steso un vecchio tappeto sul pavimento della cantina, vi adagiai la mummia, la avvolsi e la collocai nel bagagliaio. 
“Quanto le devo per il suo disturbo?”
“Niente.”
“Come niente?”
“Se dico niente è niente.”
“Mi permetta almeno di pagarle le spese della benzina.”
“Un favore si ricambia con un favore. La aspetto domani a casa mia.”
“Va bene.”
Mi porse un biglietto da visita.

Sonia Tremolo
Tassidermista
Via Allan Kardec, 40

“Alle 23 esatte.”
“Ci sarò”, dissi.
“Arrivederci. Chiuda il portellone .”
Salì in macchina e partì.
Inviai un messaggio a Danilo per avvertirlo che la questione era risolta.

L’indomani mattina mi recai a far colazione al Caffè del Moro. Seduto da solo a un tavolino, vidi il mio insegnante di religione delle superiori. Gli rivolsi un cenno di saluto.
“Buongiorno don.”
“Carissimo, quanto tempo.”
“Come sta?”
“Diciamo bene, compatibilmente con l’età. E tu? Ti interessi ancora di spiritismo?”
“Non più.”
“Bravo, sta’ lontano da quelle cose. Te la ricordi quella medium, come si chiamava… Vanessa Ley.”
“Sì, me la ricordo.”
“E’ deceduta, lo sapevi?”
“No, non ne avevo idea.”
“L’hanno trovata morta in casa, a Ivrea. Viveva sola, con una torma di gatti. Quando l’hanno ritrovata, le avevano completamente scarnificato la faccia.”
“Accipicchia.”
“Avevano fame, povere bestiole.”
Rientrando a casa mi soffermai nei pressi dell’edicola. La locandina del quotidiano locale titolava: “Orrore in Oltrepò: uccide la moglie e ne divora i resti”. Era, credo, il primo caso di un delitto in famiglia sfociato in atti di cannibalismo.  Incuriosito, acquistai una copia del giornale e mi sedetti a leggerlo su una panchina poco distante.
Il cannibale era un pensionato, residente in una sperduta frazione collinare dalle parti di Broni. Dopo aver accoppato la moglie l’aveva macellata riponendo poi le “porzioni” nel congelatore. Si era tradito allorché, a una domanda dei vicini in merito allo stato di salute della moglie, aveva risposto “L’avevo sempre giudicata una donna acida ma devo ammettere che, con una spruzzatina di vino bianco, le sue costolette sono deliziose”.
Benché fosse una giornata di sole, l’aria era frizzante. Mi alzai e mi diressi verso casa. Sul marciapiede dinanzi all’ingresso del mio condominio giaceva una colossale torta di escrementi. I casi erano due: o l’aveva deposta un alano portato a spasso da un padrone sconsiderato, oppure un teppista si era divertito a defecare proprio lì, vicino al cancello.
Risuonò un grido: “Ha visto che schifo? E’ una vergogna. Stavolta i vigili mi sentono!”.
Era la signora Santina che sbraitava dalla finestra.
Schivai il cumulo di feci ed entrai. Sulla soglia di casa mi squillò il cellulare.
“Può venire ora?”
Era lei, Sonia.
“Come, adesso?”
“Sì, stasera non posso. Un imprevisto.”
“Va bene, mi dia una mezzoretta.”
“A dopo.”
Salii pensieroso le scale.
“Che vorrà da me? Ormai non posso più tirarmi indietro.”

Via Allan Kardec è una strada periferica alberata su cui si affacciano villette signorili, alcune di recente costruzione. Quella al numero 40 aveva un aspetto incredibilmente decadente: una dimora da film horror. Il giardino, invece, appariva ben curato. Scesi dalla bicicletta e suonai il campanello. Mi fu subito aperto. Percorsi i pochi metri che separavano il cancello dalla veranda bussai alla porta una, due, tre volte. Nessuno rispose. Chiamai la signora al cellulare.
“Arrivo subito.”
Nell’attesa, mi sedetti sulla panchina in veranda. Mentre me ne stavo lì ad osservare le aiuole fiorite, un bel gattone dal mantello screziato sbucò da dietro l’angolo e venne a strusciarsi sulle mie gambe.
La padrona di casa giunse finalmente ad aprire. Indossava una vestaglia in raso, nera, chiusa da una cintura.
“Grazie per essere venuto. Entri.”
Io e il gatto la seguimmo dentro casa.
Fatti pochi metri in un corridoio dalle pareti color malva, entrammo in una sala elegantemente arredata.
“Si sieda. Posso offrirle una bella tisana? E’ un infuso di mia preparazione, a base di ribes e rosa canina. Le piacerà.”
“Va bene, grazie.”
Presi posto su una poltrona e il gatto mi si accoccolò in grembo.
La sua padrona tornò reggendo un vassoio con due tazze e dei pasticcini.
“Si serva pure. Le piacciono i dolci alle mandorle?”
“Molto.”

“Immagino vorrà sapere perché l’ho convocata.”
“Effettivamente.”
“Prenda l’album sul tavolino di fronte a lei. Lo sfogli.”
L’album conteneva una serie di fotografie.
Alcune ritraevano Sonia in compagnia di un tipo dall’aria spavalda.
“Quello è mio marito”, disse, “O per meglio dire lo era.”
“E’ morto?”
“Sì. Conservo il suo cadavere nel mio laboratorio, da basso. Vuole che glielo mostri?”
“No no, non si disturbi. Magari un’altra volta.”
“Lo ha osservato bene in viso? Saprebbe riconoscerlo?”
“Sì, certo.”
“Guardi le foto successive.”
Dopo svariati ritratti fotografici del marito, apparvero alcuni scatti che mostravano una donna coi capelli rossi a caschetto.
“La mia ex migliore amica e assistente, Grazia Ferretti. Lei dovrà introdursi in casa sua e restituirmi ciò che quell’ingrata mi ha sottratto.”
“Sarebbe a dire?”
“La testa di mio marito Alberto.”
Trasecolai.
“La testa? Ma se mi ha detto poco fa che ne ha conservato il cadavere!”
“Dopo la morte l’ho decapitato. Volevo dedicare alla sua testa una cura particolare, capisce? Aveva una gran bella testa, mio marito.”
“Di cosa è morto, esattamente?”
“Overdose.”
“Si drogava?”
“Ma quale droga! Overdose di allopurinolo, un farmaco contro la gotta.”
“E io come faccio a entrare in casa della sua amica?”
“Ex amica. Semplice: deve rimediare un invito.”
“Ma se non la conosco nemmeno!”
“La conosca. Cominci col chiederle l’amicizia su Facebook.  Grazia è appassionata d’arte contemporanea e la settimana prossima ci sarà un vernissage di Sarfatti, il famoso pittore. Lo conosce?”
“No.”
“A questo si può rimediare. In ogni caso, le suggerisco di cogliere al balzo l’occasione della mostra per incontrarla.”
“Ammettiamo, in via del tutto ipotetica, che mi inviti a casa sua: se non so dove tiene la testa come faccio a prenderla?”
“Vive in un appartamento, mica nella reggia di Versailles.”
“Ha un garage?”
“Sì.”
“E se l’avesse nascosta lì?”
“Lo escludo nel modo più categorico. Sono sicura che la tiene in casa. Erano amanti, vorrà averla vicino a sé.”
“Scusi ma la testa dove sta, materialmente?”
“In un contenitore di vetro, immersa in una soluzione acquosa di formaldeide. ”
“E dove la infilo, in un trolley?”
“Bravo, finalmente una buona idea.”
“E secondo lei quella non si insospettisce a vedermi arrivare con un trolley?”
“Che motivo avrebbe d’insospettirsi? Lei dica che dovrà poi recarsi in stazione.”
“Non riuscirò mai a impadronirmi della testa senza che mi scopra.”
“Se la porti a letto.”
“La testa?”
“No, Grazia! E quando si è addormentata…”
Sonia si alzò, aprì il mobile alle sue spalle e ne tirò fuori una scatola.
“Sostituirà la testa di mio marito con questa copia in cera.”
La scatola conteneva una perfetta riproduzione della testa del defunto.
“Dunque, mi faccia capire: tolgo la testa di Alberto dalla boccia di vetro e la ripongo in quest’altra, prendo la testa finta e la metto al posto di quella vera.”
“Stia attento a non fare confusione però!”
“Beh ma non saranno mica del tutto uguali.”
“Certo che no ma sa com’è, l’emozione può giocare brutti scherzi.”
“La sta facendo troppo facile. Grazia viene a letto con me e poi cade in un sonno tanto profondo da non accorgersi che sto trafficando in salotto con la testa del suo ex amante?”
“Non è necessario che venga a letto con lei: è sufficiente che lei la narcotizzi.”
“In che modo?”
 “Le darò tutto l’occorrente, non si preoccupi. Basterà che  versi nel suo bicchiere qualche goccia del mio elisir e la stronza si addormenterà come un angioletto.”
“Ragioniamo: quella si sveglia intontita a distanza di ore e secondo lei non s’insospettisce?”
“Sospetti ciò che vuole.”
“Eh no! Ci devo entrare io, in quella casa, non voglio guai.”
“Si faccia trovare in casa al suo risveglio e non sospetterà nulla.”
“Se dorme dodici ore di fila?”
“Non accadrà: cinque gocce del mio preparato la faranno assopire. Dopo un pisolino di un’oretta o due, si sveglierà. Lei avrà tutto il tempo di sistemare la faccenda della testa senza che Grazia si accorga di nulla.”
“Non sarà così immediato rimediare un invito.”
“Sono certa che ci riuscirà.”

Non essendo un esperto di arte contemporanea, appena tornato a casa mi documentai su Sarfatti tramite Internet. Sbirciai la pagina Facebook della tizia: stranamente, non vi trovai selfie ammiccanti. Era tutto un susseguirsi di dipinti astratti, foto in bianco e nero di impianti industriali dismessi. Una bella donna che non amava apparire: cosa alquanto insolita. Le inviai una richiesta d’amicizia e seguitai a curiosare sulla sua bacheca.
Stavo per staccarmi dal pc quando vidi lampeggiare una notifica. Aveva accettato. Le inviai un messaggio tramite Messenger:
“Grazie e buona giornata.”
La risposta non tardò ad arrivare.
“Se mi mandi una foto del tuo cazzo ti cancello all’istante. Sono stufa di ricevere cazzi.”
Mi misi a ridere a crepapelle.
La signora pareva non prestare troppa attenzione al significato delle proprie affermazioni.
“Le assicuro che non è mia intenzione. Ho visto la sua pagina, mi sono piaciute le immagini che ha pubblicato. Tutto qui.”
“Ah, bene. Possiamo anche darci del tu, non ho mica ottant’anni. Ti interessi di arte? Dalla tua pagina non sembrerebbe. Vedo più che altro link musicali.”
“Amo la musica ma anche la pittura e la fotografia.”
“Chi ama troppe cose non ne ama seriamente nessuna.”
“Mica vero: a me ad esempio piace il risotto con i funghi. Amo seriamente il riso e i funghi.”
Un emoji sorridente comparve ad indicare un’attenuazione del gelo.
“Ti piacciono i gruppi prog italiani anni Settanta?”
“Sì.”
“Piacciono anche a me.”
“Davvero?”
“Sì. E’ per questo che ho accettato la tua richiesta.”
“Allora abbiamo qualcosa in comune.”
“Quello e il risotto ai funghi.”
La temperatura di scioglimento dei ghiacci poteva dirsi raggiunta.
La salutai augurandole buon pranzo.

“Dio Gianni!”, l’imprecazione del portiere risuonò come un tuono nell’androne del palazzo, “Chi è il bastardo che viene a cagare sempre davanti al cancello? Se lo becco giuro che lo inculo col manico del badile!”
“Sandro, ci risiamo?”
“Sì, e come se non bastasse la merda che mi tocca raschiare dal marciapiede, devo sorbirmi pure le menate della sciura Santina che mi lisa i coglioni, come se fossi stato io a cagare qua davanti!”
“Senza una telecamera ‘sta storia non finisce più.”
“Non serve la telecamera: ci penso io, vedrà! Prima o  poi lo becco e lo sdereno!”
Notai con sgomento che, nel pronunciare queste parole, il portiere era in preda a una vistosa erezione. Mi allontanai in fretta.

“Faccio saltuariamente uso di eroina. La cosa ti disturba?”
Gli occhi verdi di Grazia mi fissavano con un’intensità difficile da sostenere.
“Per niente”, risposi.
“Meglio così.”
Sedevo nella saletta del suo appartamento da neanche un quarto d’ora ed eravamo già a questo punto. Avevo spuntato un invito a casa sua senza passare per l’inaugurazione, cosa di cui ero felicissimo, visto che di Sarfatti non mi importava un accidente.
“Tu fai uso di sostanze?”
“No.”
“Bevi?”
“Non granché. Soffro di bruciori di stomaco e devo moderarmi.”
“Un perfettino, insomma.”
“Non direi proprio.”
“E dov’è che vai di bello in treno?”
“A Bordighera.”
“A far che?”
“Mi ha invitato un amico.”
“Quindi sei omosessuale.”
La guardai sbigottito.
“Veramente no. Ma poi perché, scusa?”
“Riassumiamo: hai cinquant’anni, sei scapolo e non ti sei mai sposato, vai al mare a casa di un amico, quindi sei gay.”
“Ma è una conclusione del tutto arbitraria!”
“Mica tanto, mi sono limitata a constatare i fatti.”
“Non sono gay.”
“Va bene, come preferisci. Senti, io vado a fare una doccia, tu mettiti pure comodo, fa’ come se fossi a casa tua, basta che non ti masturbi sul divano.”
Stavo per mandarla a cagare ma mi trattenni: avevo una missione da compiere e questa storia della doccia cadeva a puntino.
Non appena si tolse di torno mi misi a perlustrare l’appartamento: con mia sorpresa la testa stava in un’anta dell’armadio in saletta! Sono sempre stato un imbranato totale, eppure in quell’occasione riuscii a stupire me stesso: effettuai la sostituzione con precisione e sveltezza.
Grazia riapparve dopo una decina di minuti, indossando un accappatoio verde.
“Scusa ma mi sono ricordata che ho un impegno alle cinque.”
“Nessun problema. Tanti saluti.”
Le rivolsi un sorriso che avrebbe destato invidia in Giuda Iscariota, strinsi saldamente le maniglie del trolley e mi tolsi di torno. Una volta per strada mi misi a fischiettare.
Fermai un taxi: dieci minuti dopo ero a casa.
La chiamata di Sonia non si fece attendere.
“Allora?”
“Sistemato.”
“Davvero?”
“Certo.”
“Grande. Ti posso raggiungere?”
“Ok.”

Quando scese dall’automobile, credetti di vedere l’assassina del film Profondo rosso: stesso abbigliamento, stesso taglio di capelli. Solo più giovane di Clara Calamai.
“Come ci sei riuscito?”
“E’ stato più semplice del previsto. Davvero non credevo che me la sarei cavata così in fretta e così facilmente.”
“E lei che impressione ti ha fatto?”
“Lasciamo perdere che è meglio. Solo mi domando: e se si accorge della sostituzione?”
“Lo escludo: ho fatto un lavoro sopraffino. Piuttosto, sa dove abiti?”
“No.”
“L’hai cancellata dai tuoi contatti?”
“Sì sì, bloccata su Facebook, Messenger, Whatsapp. Non mi becca più.”
“Sono in debito con te. D’ora in avanti, se tu dovessi avere problemi – che so io, un cadavere da occultare o roba del genere – non esitare a chiamarmi.”
“Spero di non trovare altre mummie in cantina!”
“Non mi riferivo a quello. Intendevo dire: se tu avessi necessità di smaltire un cadavere a seguito di un diverbio…”
“Ahhh… No, non penso, comunque grazie.”
“Non si può mai dire, credimi. Ad esempio, tu sei una persona pacata, un uomo tranquillo, eppure ti sei introdotto nella casa di una sconosciuta e le hai sottratto un ‘oggetto’. Non si può escludere che, un domani, tu commetta un omicidio.”
“Ma non penso proprio!”
“Nel caso, sappi che io posso fornirti il nécessaire.”
“Tipo?”
“Veleno, armi…”
“Addirittura?”
“Certo. Ma soprattutto, ti ripeto, io so come far sparire un cadavere."
“Ti ringrazio, spero comunque di non aver mai bisogno.”
“Senti, io mi riprendo la testa di mio marito e me ne torno a casa. Allora, ricordati: in caso di necessità, non esitare.”
“Va bene.”
Dopo che se ne fu andata, mi versai un bicchiere di whisky e mi misi a riflettere sulla sua proposta. In effetti, qualcuno c’era che avrei fatto fuori volentieri. All’occorrenza.

Pietro Ferrari, novembre 2019

venerdì 12 luglio 2019

UN INATTESO RITORNO 

Saranno state le sette di sera. Mi ero appena cambiato dopo essere tornato dal lavoro quando udii bussare alla porta.
Scostai le tende della finestra che dà sulla veranda e li vidi.
Erano in tre, talmente simili da risultare indistinguibili: alti un metro e sessanta, robusti.
Erano tre fantocci fecali, muniti di gambe e braccia e con una testa rudimentale. Benché la finestra fosse chiusa, fui investito da un pungente odore di escrementi. 
Venni colto dalle vertigini.
Stavo forse sognando?
No, erano proprio lì, dinanzi ai miei occhi, e non smettevano di bussare.
Mi accostai alla porta.
"Che volete? Chi siete?"
"Babbo! Siamo opera tua!"
"Che state dicendo? Io non vi conosco!"
"Come non ci conosci? Siamo usciti dal tuo buco del culo! Ci hai fabbricati tu, un poco alla volta, nel corso della tua esistenza."
In un istante compresi l'atroce verità: gli stronzi che avevo deposto in mezzo secolo si erano compattati, assumendo sembianze umane, ed ora si presentavano all'uscio di casa mia, in cerca di asilo!
"Andatevene, non vi voglio qui!"
"Non ce ne andremo."
"Chiamo la polizia!"
"Fai pure."
Mi attaccai al telefono.
"Polizia, aiuto!"
"Si calmi. Da dove chiama?"
"Dalla provincia di Pavia"
"Che succede?"
"Ci sono tre stronzi che vogliono entrare in casa mia!"
"Sono armati?"
"Non mi pare."
"Chi sono, esattamente?"
"Non lo so, non li ho mai visti prima!"
"Sono italiani?"
"Parlano italiano ma non so dirle se siano di qui."
"Senta, in questo momento le pattuglie sono tutte impegnate."
"E io che faccio?"
"Se la situazione degenera, richiami. Nel frattempo io allerto la pattuglia più vicina. Mi fornisca cortesemente il suo indirizzo."
Fornii il mio indirizzo.
I colpi alla porta proseguivano.
"Smettetela, stronzi!"
"Se non apri resteremo qui ad aspettare. Dovrai pur uscire, prima o poi."
"Adesso arriva la polizia!"
"Ne sei proprio sicuro?"
In quel preciso momento udii grida stridule provenire dal cortile della vicina.
Dunque non stava capitando solo a me?
"Siamo tornati! Non potrete più disfarvi di noi!" esclamarono in coro i tre fantocci.
Sbirciai nuovamente dalla finestra: gli stronzi stavano facendo il girotondo in veranda!
"Andate via! Non avete il diritto di insolentirmi!"
"Abbiamo tutto il diritto, invece. Sei stato tu ad averci prodotti, babbino."
"Non sono il vostro babbo!"
"E invece sì! Siamo il frutto delle tue interiora! Rivendichiamo le nostre prerogative!"
"Cosa vorreste che facessi? Che vi accogliessi in casa?"
"Ci sembra il minimo."
"Ma se puzzate da far schifo!"
"Non è certo colpa nostra, sei tu ad averci formati così."
"Basta! Non voglio più ascoltarvi, andate via!"
Mi rifugiai in saletta e accesi il televisore.
Il tiggì stava trasmettendo immagini riprese in piazza del Duomo a Milano: c'erano stronzi ovunque!
Era dunque quello il redde rationem?
La merda tornava a presentarci il conto?
Per troppo tempo ci eravamo cullati nell’illusione che le nostre feci fossero scomparse nel nulla, una volta tirato lo sciacquone del wc, ed ecco che ora l'erroneità di tale convinzione si manifestava in tutta la sua maleodorante evidenza.
Gli stronzi non si erano affatto dissolti come bolle di sapone, al contrario: si erano aggregati sino a formare quelli che, a tutti gli effetti, apparivano come manichini escrementizi animati.
Decisi di tentare il tutto per tutto: i tre stronzi presidiavano la porta sulla veranda? Avrei tentato la fuga dalla porta sul cortile.
Cercando di fare meno rumore possibile, tolsi il catenaccio e sbirciai fuori. Il cortile era sgombro.
Dalla strada però giungevano urla agghiaccianti. Aguzzai la vista.
Nei pressi del cancello, un gruppo di stronzi aveva circondato un passante che tentava disperatamente di respingerli mulinando le braccia. Fu sopraffatto: gli stronzi gli balzarono addosso, sommergendolo.
Richiusi la porta e tornai in saletta. Avrei atteso la notte, nella speranza che al calare delle tenebre gli assedianti si disperdessero. La suoneria del cellulare per poco non mi fece prendere un colpo. Risposi benché si trattasse di un numero sconosciuto. "Stiamo venendo a prenderti."
"Chi parla?"
"Siamo noi, babbino."
"Chi vi ha dato il mio numero, maledetti?"
"Siamo stati parte di te, ricordi? Ti conosciamo intimamente."
"Andate via!"
"Credevi di esserti liberato di noi? Ti sbagliavi. Ci hai estromessi dalla tua vita senza alcun riguardo, come se fossimo…"
"Siete soltanto degli stronzi!"
"Sì, siamo degli stronzi: i tuoi stronzi! E adesso ci ripagherai di tutto l’affetto che ci hai negato."
"Non vi devo nulla!"
"A presto babbino!" 


Pietro Ferrari, luglio 2019