venerdì 22 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI LUBOTSKY O IL SOSTRATO NELL'INDOIRANICO

Alexander Lubotsky (Università di Leida) è l'autore del lavoro The Indo-Iranian substratum (Il sostrato indoiranico), pubblicato originariamente in Early Contacts between Uralic and Indo-European: Linguistic and Archaeological Considerations (Contatti precoci tra uralico e indoeuropeo: considerazioni linguistiche e archeologiche). Il contributo è stato presentato a un simposio internazionale tenuto alla Stazione di Ricerca di  Tvärminne dell'Università di Helsinki, 8-10 gennaio 1999. L'articolo è consultabile e scaricabile al seguente url:


È un'approfondita trattazione degli elementi di sostrato comuni alle lingue indiane e a quelle iraniche, con discussione della loro struttura fonetica e morfologica, oltre a elenchi di radici. Questa è la sinossi, da me tradotta:

"Lo studio dei prestiti può essere uno strumento potente per determinare i contatti culturali preistorici e le migrazioni, ma questo strumento è usato in modo diverso in varie discipline. Così gli studi sui prestiti sono pienamente accettati nella linguistica uralica, mentre gli indoeuropeisti sono spesso riluttanti a riconoscere l'origine straniera di parole attestate nelle lingue indoeuropee. La ragione è ovvia: in uralico, noi conosciamo la sorgente dei prestiti (indoiranico, germanico, baltico), mentre la sorgente di possibili prestiti in indoeuropeo è di solito sconosciuta. Nonostante ciò, è una questione di grande importanza distinguere tra il lessico ereditato e i prestiti, anche se la lingua donatrice non può essere determinata. 
Negli anni recenti la metodologia per trattare i prestiti da una fonte sconosciuta è stata sviluppata da Kuiper (1991 e 1995), Beekes (1996) e Schrijver (1997). Come questi studiosi hanno fatto notare, un etimo è verosimilmente da considerarsi un prestito se è caratterizzato da qualcuna delle seguenti caratterstiche: 1) distribuzione geografica limitata; 2) irregolarità fonologica o morfofonologica; 3) fonologia insolita; 4) formazione insolita di parole; 5) semantica specifica, es. una parola appartiene a una categoria semantica che è particolarmente suscettibile di essere presa a prestito." 

Concordo sull'immensa importanza della scienza dei prestiti. Dissento invece sulle ragioni della riluttanza degli indoeuropeisti a riconoscere questo. Non lo fanno perché le lingue donatrici sono ignote, bensì per ragioni ideologiche e dogmatiche. Ragioni che non di rado sono contaminate dalla politica. Ho conosciuto indoeuropeisti convinti che i popoli di lingua indoeuropea debbano essere "moralmente superiori" a popoli che parlano lingue di ceppi diversi.  Quindi passano ad applicare il concetto di "superiorità morale" direttamente alle lingue e persino alle singole parole che ne compongono il lessico. C'è anche un'altra cosa su cui non sono molto d'accordo. Gli uralisti accettano pienamente l'esistenza di prestiti dall'indoiranico, dal germanico e dal baltico nelle lingue uraliche. Diverso discorso quando si tratta di elementi di sostrato provenienti da lingue ignote che compaiono come sostrato, numerosi ad esempio nelle lingue uraliche dei Saami (Lapponi). Sorge allora una specie di puritanesimo non troppo dissimile da quello dei Neogrammatici: ecco che la reazione spontanea di molti studiosi è quella di ricondurre le parole problematiche a etimologie conosciute, anche a costo di far loro violenza. Per fortuna c'è chi fa eccezione. 
 
L'autore applica le linee guida di Kuiper-Beekes-Schrijver al lessico indoiranico alla ricerca di prestiti di origine sconosciuta entrati nella protolingua in epoca anteriore alla sua suddivisione in due rami. Lo studio si fonda su una lista, raccolta dall'etimologo Manfred Mayrhofer (1926 - 2011) e contenente circa 120 parole sanscrite provviste di corrispondenze iraniche, ma prive di chiari collegamenti al di fuori dell'indoiranico. 
 
Le parole della lista di Mayrhofer soddisfano il criterio della limitata distribuzione geografica. Ciò non è però sufficiente. Infatti una parola potrebbe essere priva di un'etimologia credibile solo perché è andata perduta in tutti gli altri rami dell'indoeuropeo, restando soltanto in indoiranico. Può anche darsi che si brancoli nel buio perché l'etimologia corretta non è ancora stata trovata. Soltanto in presenza di altre caratteristiche tipiche di un prestito l'autore prende seriamente in considerazione l'idea di un'origine straniera. Nell'articolo il termine "sostrato" si usa per ogni lingua donatrice di prestiti, senza considerare che potrebbe essere anche un adstrato o un superstrato: la distinzione non può essere determinata allo stato attuale delle conoscenze. Ci potrebbe anche essere stata più di una lingua donatrice. L'autore passa quindi ad analizzare in dettaglio le caratteristiche peculiari mostrate da alcune delle parole indoiraniche isolate.

1) Corrispondenze fonetiche irregolari

In posizione iniziale: 

Sanscrito s- : Proto-iranico *s-
   Sanscrito sikatā- "sabbia" :
   Antico persiano ϑikā- "sabbia".  
   Sanscrito sūcī- "ago" :
   Tardo avestico sūkā- "ago".
Sanscrito k- : Proto-iranico *g- 
   Sanscrito keśa- "capelli" :
   Tardo avestico gaēsa- "capelli ricci".
Sanscrito ph- : Proto-iranico *sp- 
   Sanscrito phāla- "vomere" :
   Persiano moderno supār "vomere".
Sanscrito ś- : Proto-iranico *xšṷ- 
   Sanscrito śepa- "coda", ma pracrito cheppā- :
   Tardo avestico xšuuaēpā- "coda".

In posizione mediana: 

Sanscrito -a- : Proto-iranico *-u- 
   Sanscrito jahakā- "riccio" (animale) :
   Tardo avestico dužuka- "riccio" (animale).
Sanscrito -ā- : Proto-iranico *-a- 
   Sanscrito chāga- "caprone":
   Ossetico sæğ / sæğæ "caprone".
Sanscrito -v- : Proto-iranico *-b- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -dh- : Proto-iranico *-t- 
   Sanscrito gandha- "odore" :
   Tardo avestico gaiṇti- "cattivo odore".
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ra- 
   Sanscrito atharvan- "prete" :
   Avestico āϑrauuan- / aϑaurun- "prete". 
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -ūr- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito dūrśa- "indumento grossolano" :
   Wakhi δərs "lana di capra o di yak".

2) Struttura della radice impossibile per una parola indoeuropea

Esiste una ben nota legge fonetica che impedisce la contemporanea presenza di due consonanti occlusive sonore non aspirate nella stessa parola. Si evince quindi che parole come *gadā- "mazza" e *gṛdā- "pene" non possono aver avuto la loro origine nella lingua protoindoeuropea.

3) Struttura sillabica inusuale (parole trisillabiche con vocale lunga o dittongo nella seconda sillaba). 
 
Questi sono alcuni esempi di forme proto-indoiraniche ricostruite dall'autore:

*pīi̭ūša- "colostro"
*mai̭ūkʰa- "piolo di legno"
*i̭avīi̭ā- "canale"
*ṷarājʰa- "cinghiale selvatico"
*kapauta- "piccione"
*kapāra- "vaso, piatto"

La struttura di queste parole è tale da rendere molto difficile una spiegazione sulla base della morfologia indoeuropea. Come sempre l'autore è molto diplomatico. Direi che cercare di spiegare le parole di questo genere sulla base della morfologia indoeuropea è come pretendere di spiegare sulla base dell'anglosassone la morfologia della parola axolotl. Il suffisso della parola sanscrita pīyūṣa- "colostro" si trova anche nella parola sanscrita tarda gaṇḍūṣa- "acqua per sciacquarsi la bocca". Lubotsky rimanda a Wackernagel per questo dettaglio morfologico, facendo notare che anche separando il suffisso in pīyūṣa-, resterebbe una base problematica con una vocale lunga -ī- inesplicabile. Aggiungo che gaṇḍūṣa- deriva dalla radice para-Munda *gand- "acqua", termine di sostrato che emerge anche nella toponomastica indiana. 

4) Peculiarità fonetiche  

Aspirate sorde:
*(s)pʰāra- "vomere", *atʰarṷan- "prete", *kapʰa- "muco, catarro", *kʰā- "pozzo, sorgente", *kʰara- "asino", *mai̭ūkʰa- "piolo di legno".

Affricate palatali estremamente frequenti:
*anću- "pianta di Soma", *āćā- / *aćas- "regione, spazio", *ćarṷa, nome di una divinità, *daćā- "orlo, filo", *dṛća- / *dṝća- `coarse garment', *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *kaćapa- "tartaruga", *kaića- / *gaića- "capelli", *kućši- "lato del corpo, fianco", *maljʰa- "ventre", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *ṷarājʰa- "cinghiale selvatico", etc.

Frequenti gruppi consonantici con -s-:
*kućši- "lato del corpo, fianco", *ṷṛćša- "albero", *mats
a- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *kšīra- "latte", *pusća- "coda", *sćāga- / *sćaga- "caprone". 

La sequenza -rṷ-:
*atʰarṷan- "prete", *ćarṷa-, nome di una divinità, *g(ʰ)andʰ(a)rṷa- (/ -b(ʰ)a-) "un essere mitico". 
 
5) Peculiare formazione delle parole 
 
"Suffisso" -ka- (normalmente soltanto denominale):
*atka- "mantello", *stuka- "ciuffo di capelli", *ṷṛtka- "rene",
*jajʰaka- (/ -ā-) / *jajʰuka- (/ -ā-) "riccio" (animale);

"Suffisso" -sa- (raro nel lessico ereditato):
*pī
ūša- "colostro", *ṷṛćša- "albero";
 
"Suffisso" -pa-
*kaćapa- "tartaruga", *pāpa- "cattivo", *stupa- / *stūpa- "ciuffo di capelli", *šṷaipa- "coda";

Altre suffissazioni insolite:
*stu-ka-
contro *stu-pa- / *stū-pa-, entrambi "ciuffo di capelli", *nagna(jʰu)- "lievito, pane" (sanscrito nagnahu- "lievito", iranico *nagna- "pane"), *karuš- "danneggiato" (detto di denti), *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *matsa- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *bʰiš- "medicina, erba medicinale" (sanscrito bhiṣaj- "medico", tardo avestico bišaziia- "curare"), *paṷasta- (/ -ā-) "veste". 
 
6) Categorie semantiche 
Si può sospettare che una parola sia un prestito anche se non mostra anomalie fonologiche e/o morfologiche, e questo soltanto per la sua appartenenza a un dato campo semantico (es. religione, culto del Soma, tecnologia). Anche se gli indoeuropeisti classici insorgeranno nel leggerlo, appartiene al sostrato qui studiato anche il teonimo *indra- "divinità uranica", che mostra un vocalismo irregolare, oltre a *ṛši- "veggente", il cui esito sanscrito mostra un accento iniziale aberrante. Motivi semantici spingono ad attribuire un'origine straniera a parole come *daćā- "orlo, filo", *išt()a- "mattone", *ṷāćī- "ascia, coltello appuntito" e via discorrendo. 
 
Il sostrato in proto-indoiranico e in sanscrito
 
A questo punto l'autore indaga la corrispondenza tra le caratteristiche delineate per gli elementi del sostrato nel proto-indoiranico e quelli del sostrato presente nelle sole lingue indiane, che sono entrati in sanscrito soltanto quando le genti indoarie hanno attraversato l'Hindukush. A complicare le cose, si trova una notevole concordanza strutturale, anche in assenza di parole comuni.   

i) Abbondanza di parole trisillabiche con sillaba mediana lunga:
urvārū- "cetriolo", ulūka- "gufo", uṣṇīṣa- "turbante", ṛbīsa- "forno", kapola- "guancia", karīṣa- "letame", karmāra- "fabbro"*, kilāsa- "di colore variegato", kiśora- "puledro", mayūra- "pavone", masūra- "lenticchia", śārdūla- "tigre", śṛgāla- "sciacallo", etc. 
 
*Non è un derivato del verbo kṛ- "fare": occorre fare attenzione alle false etimologie.

ii) Presenza di aspirate sorde:
ulūkhala- "mortaio", khila- "terra incolta", khārī- "misura di grano", kharva- "mutilato", phala- "frutto", mukha- "bocca, faccia", śikhā- "ciuffo di capelli, cresta".

iii) Grande abbondanza di consonanti palatali (fricative e affricate):
nella lista di Kuiper di 383 parole straniere nel Ṛg-Veda, Lubotsky ha contato ben 90 parole contenti tali suoni (corrispondente a circa 23,5% del totale).

iv) Gruppi consonantici con -s-:
kṣauma- "di lino" (cfr. umā- "lino"), ikṣvāku-, nome proprio di persona  (Ṛg-Veda), kutsa-, nome proprio di persona (Ṛg-Veda), etc.

iv) Presenza del "suffisso” -pa-:
alpa- "piccolo", turīpa- "sperma", puṣpa- "fiore", śaṣpa- "erba giovane", śilpa- "variegato" (also śilpa- "ornamento"), śūrpa- "cesto di vagliatura", etc. 

v) Presenza del "suffisso" -h-:
malha- "dal ventre pendente, dal seno pendente" (detto di capre e pecore), barjaha- "mammella", barjahya- "capezzolo".

vi) Presenza del "suffisso" -ig- (si direbbe un agentivo):
ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante".

vii) Presenza della sequenza -rṷ-:
urvārū- "cetriolo", kharva- "mutilato", turvaśa-, nome proprio di persona, paṭharvan-, nome proprio di persona (RV), śarvarī- "notte" (aggiunto dall'autore con qualche dubbio). 

Lubotsky pensa di aver risolto il problema, traendo dall'analisi dei dati la seguente conclusione: la lingua che ha dato gli elementi di sostrato in proto-indoiranico deve essere stata simile a quella che ha dato gli elementi di sostrato in sanscrito, a causa delle caratteristiche fonologiche e morfofonologiche condivise. Il quadro che ne deriva è a mio avviso estremamente semplicistico e non tiene conto della complessità delle stratificazioni di elementi di sostrati in sanscrito. Per comprendere quanto è intricata la situazione rimando alle mie note sul lavoro di Witzel: 
 
 
Notiamo subito un problema che Lubotsky sembra non considerare: i prefissi delle parole di sostrato attribuibili alla lingua perduta chiamata para-Munda (ka-, ku-, ki-, etc.), che a quanto pare mancano nelle parole di sostrato in proto-indoiranico. Trovo soltanto kṣauma- "di lino" rispetto a umā- "lino", che mi pare inesplicabile. Ho rilevato una parola che doveva già essere presente prima dell'arrivo delle genti indoarie in India, ma che in seguito deve essere entrata come prestito nel para-Munda, assumendo un prefisso caratteristico e finendo quindi in sanscrito. Questo è il percorso: 
 
Proto-indoiranico: *stupa / *stūpa "ciuffo di capelli" =>
Para-Munda: *ka-stūpa "ciuffo di capelli" =>
Sanscrito: kastūpa "ciuffo di capelli". 

Del resto, non posso fare a meno di notare che diverse parole raccolte dall'autore e presenti soltanto in sanscrito si discostano da tutto ciò che è stato analizzato da Witzel - e in particolare dal para-Munda - mostrando invece un'effettiva rassomiglianza fonologica con gli elementi di sostrato in proto-indoiranico. Potrebbe darsi che fossero un tempo presenti in proto-indoiranico per poi finire perdute in iranico e conservate soltanto in sanscrito. Alludo a forme come ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante". 
 
Prestiti indoiranici in uralico 
 
Esistono molti prestiti indoiranici nelle lingue uraliche. Nonostante ciò, l'autore è incline a pensare che non ci siano realmente prestiti indoeuropei in proto-uralico. La sua opinione sembra allinearsi con quella degli studiosi che considerano le isoglosse tra indoeuropeo e uralico una prova della relazione etimologica tra le due (proto)lingue. I prestiti dall'indoiranico inizierebbero nel periodo ugrofinnico. Peccato che non si riesca a far collimare i dati. Il più antico strato di prestiti consiste di parole che si trovano soltanto in sanscrito, senza alcun corrispondente iranico. Questi sono alcuni esempi:       

Ugrofinnico *ora "lesina" :
    Sanscrito ārā- "lesina"
Finnovolgaico *reśmä "corda" :
   Sanscrito raśmi- "briglia"
Finnovolgaico *onke "uncino" :
   Sanscrito aṅka- "uncino"
Finnopermico *ant3 "erba giovane"
   Sanscrito *andhas- "erba"
 
Secondo Lubotsky, questo si dovrebbe al fatto che i popoli uralici sarebbero entrati in contatto prima con le genti indoarie, considerate una sorta di avanguardia, durante la loro migrazione verso oriente. I prestiti iranici sarebbero giunti dopo, come un flusso continuo. Ci sono parole proto-indoiraniche presenti già in ugrofinnico: 
 
Ugrofinnico mekše "ape" :
   Proto-indoiranico makš- "ape" 
 
Ci sono poi prestiti dal proto-indoiranico al proto-permico, che non possono essere troppo recenti perché mostrano la sibilante /s/ conservata: 
 
Proto-permico *sur "birra" : 
   Proto-indoiranico *surā "birra"
La probabile origine ultima della radice è sumerica. 
 
Il vogulico tas "estraneo" è un prestito dal proto-indoiranico *dasu- "straniero". Anche qui la sibilante integra è prova di antichità. E se i prestiti fossero giunti in uralico direttamente dalla lingua del sostrato senza mediazione indoeuropea?    
 
Esempi di false etimologie 

Il proto-indoiranico *matsa- "pesce" (sanscrito matsya-, tardo avestico masiia-) non può essere ricondotto al protogermanico *mati- "pasto" (donde gotico mats "cibo", matjan "mangiare"; inglese meat "carne", etc.). La radice protogermanica *mati- è abbastanza isolata (sono stati proposti esili paralleli in antico irlandese) ed è stata fatta risale a un fantomatico protoindoeuropeo *mad-. La radice proto-iranica non si spiega: semantica difettosa (indica anche il pesce vivo, non necessariamente come cibo, etc.), oltre alla presenza dell'ingombrante "suffisso" -s-
 
Il proto-indoiranico *magʰa- "dono, offerta sacrificale" (sanscrito magha-, tardo avestico maga) non può essere connesso con la radice protogermanica *maγ- "essere capace, potere" (donde gotico magan "essere capace, potere", mahts "forza, potenza") per evidenti motivi semantici. Oltretutto la radice protogermanica ha paralleli soltanto in baltico, in slavo e in celtico (gallico mageto-, mogeto-, mogit- "potente", documentato in antroponimi e topomini), ha tutta l'aria di essere un prestito da una lingua perduta.  

mercoledì 20 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI MILITAREV

Alexander Militarev (Московский государственный лингвистический университет, МГЛУ, Moscow State Linguistic University) è l'autore del lavoro Tamâhaq Tuaregs in Canary Island (Linguistic Evidence), pubblicato nel 1989. Attualmente l'articolo in questione non è più consultabile nel Web; com'è ovvio ne ho conservato una copia in formato pdf sul computer, ma non posso diffonderla. Poco male. Militarev nel 2018 ha pubblicato un nuovo lavoro, che è la revisione e l'ampliamento del precedente: Libyo-Berbers – Tuaregs – Canarians (Tamâhaq Tuaregs in the Canary Islands in the Context of Ethno-Linguistic Prehistory of Libyo-Berbers: Linguistic and Inscriptional Evidence). Per consultare e scaricare l'articolo, ospitato su Academia.edu, basta seguire questo link:

 
Questa è la sinossi tradotta in italiano del lavoro del 2018: 
 
"Ci sono pochi paralleli lessicali stupefacenti tra le lingue estinte degli indigeni delle Isole Canarie e una delle lingue dei Tuareg dei Sahara, appartentente al gruppo dialettale Tamâhaq (Ahaggar, Taitoq e alcune altre). A parte il fatto che tutti questi idiomi delle Canarie appartengono alla famiglia linguistica Berbero-Canaria (la cui posizione all'interno della macrofamiglia Afroasiatica e la cui preistoria ricostruita sono presentate nell'interpretazione dell'autore), e, quindi, hanno un lessico ereditato comune, i paralleli Canario-Tamâhaq presentano sviluppi fonetici comuni che sono talmente non banali e unici che la loro sola spiegazione consiste in contatti etno-culturali, e per la precisione prestiti lessicali dal Tamâhaq al Canario. Una serie di tali prestiti, riportati e analizzati nel seguito, dà fondamento all'ipotesi di una migrazione di Tuareg di lingua Tamâhaq nelle Isole Canarie, databile approssimativamente tra il VII e il XIV secolo d.C. Basando le sue idee su questa ipotesi, l'autore tenta di decirare alcune iscrizioni nell'Isola di Ferro (Hierro) scritte in tifinaɣ, la sola esistente delle varietà di scrittura Libica, con l'aiuto del dizionario Ahaggar, dimostrando che sono state composte in Tuareg Tamâhaq. A parte questo, si cerca di ricostruire la preistoria linguistica ed etno-culturale e la storia dei parlanti Berberi, Tuareg e Canari." 
 
Nel suo secondo articolo Militarev rigetta l'uso del termine Guanche, solitamente usato come sinonimo di Canario, dato che tecnicamente parlando è appropriato soltanto per indicare le genti di Tenerife. La parola, è derivata da Guanchinech, ossia "Gente di Chinech", essendo Chinech (varianti Achinech, Chinet) il nome nativo di Tenerife. A prima vista è molto convincente l'analisi del prefisso guan- come *wa-n-, derivato dal pronome protoberbero *wa- e dalla particella genitivale n-. Così *wa-n- sarebbe traducibile come "quello di". Il problema è che in origine questo *wan- doveva significare "figlio", "figlio di" e anche "uomo". Nelle lingue di Fuerteventura e di Lanzarote è attestato guamf "uomo" (varianti: guam "uomo", guang "figlio, ragazzo"). Nella lingua di Gran Canaria guan significa "figlio", mentre in quella di Tenerife guan significa "uomo", talvolta "figlio". Le fonti sono Bory e Pizarroso. Bethencourt ha guan col significato di "uomo di" e "figlio di" sia per la lingua di Tenerife che per quella di Gran Canaria. Ignacio Reyes García riporta i dati in questione nella seguente pagina del suo Diccionario histórico-etimológico del amaziq insular (DHEAI):
 
 
Le forme di Fuerteventura e Lanzarote sembrano in qualche modo cozzare con la tradizionale interpretazione berberologica. Occorre stabilire se davvero questo guan- è soltanto un mero prefisso e se il significato di "uomo; figlio" deve essere sempre allo stato costrutto, oppure se ricorreva anche allo stato assoluto, come sospetto. A partire da tutti questi dati, analizzati a fondo, sono incline a ricostruire una protoforma *wampk "uomo (giovane)", la cui origine ultima sarebbe però sconosciuta. Un bel problema anche dal punto di vista della fonotattica!  
 
Questa è la sintesi del lavoro di Militarev: 

1) Le lingue canarie sono geneticamente imparentate con le lingue berbere del Nord Africa.
1.1) Le unità linguistice canarie e berbere sono considerate dall'autore come due rami tassonomicamente eguali della famiglia berbero-canaria, che include il libico epigrafico e che a sua volta è parte della famiglia afroasiatica.
La dicotomia genetica berbero-canaria è sostenuta da:
  i) poche caratteristiche morfologiche arcaiche assenti in berbero;
  ii) un numero di radici afroasiatiche ereditate assenti in berbero;
  iii) presunti prestiti in proto-canario da varie lingue afroasiatiche e non afroasiatiche, non attestati in berbero, che sembrano prestiti "continentali" anteriori alla divisione del proto-berbero in dialetti (fine del II millennio a.C.). 
2) Ci sono fatti che apparentemente sembrano contraddire la suddetta dicotomia: 
   i) isoglosse tra le lingue canarie e le lingue berbere settentrionali (Cabilo, etc.);
   ii) isoglosse tra le lingue canarie e le lingue berbere meridionali (Tuareg).
   Le isoglosse del primo tipo consistono in pochi vocaboli culturali, ritenuti irrilevanti ai fini della classificazione. Le isoglosse del secondo tipo mostrano tratti fonetici compatibili soltanto con le lingue Tuareg. 
3) Esiste una serie di isoglosse che legano le lingue canarie a un particolare sottogruppo delle lingue Tuareg, un gruppo dialettale chiamato Tamâhaq, che ha /h/ come esito del proto-berbero /z/. La sola spiegazione plausibile è che queste parole siano state importate nell'Arcipelago da immigrati di lingua Tamâhaq. 
4) Esistono parole arabe nelle varie lingue canarie. Si noterà che non sono state trovate tracce di Islam nelle Canarie all'epoca del contatto con navigatori europei, mentre sembrano esserci stati vaghi residui di Cristianesimo.
5) Una lingua berbera non Tuareg, responsabile degli arabismi, deve essere stata portata nelle Canarie da un'ulteriore ondata migratoria, anteriormente alla conversione delle genti berbere all'Islam. Un ulteriore indizio sono termini canari non attestati in Tuareg, che non possono risalire al proto-berbero-canario (ad esempio prestiti dal latino). La migrazione non potrebbe essere avvenuta prima dell'VIII secolo d.C. 
6) Le vestigia di Cristianesimo nelle Canarie devono essere state portate dai migranti di lingua Tamâhaq, visto che proprio tra i Tuareg è presente un interessante sostrato religioso preislamico (ad esempio prestiti dal latino cristiano), possibile eredità del popolo dei Garamanti. Con ogni probabilità la migrazione è avvenuta nel VII secolo d.C. Altra eredità Tuareg nell'Arcipelago è la scrittura tifinaγ, documentata da brevi iscrizioni rupestri che l'autore riesce a tradurre senza difficoltà.  
 
Questi sono gli esempi di parole canarie che Militarev considera ereditate dal proto-afroasiatico ma assenti in berbero:

1) aganeye "braccio tagliato" (La Palma)
      proto-afroasiatico: *ginaʕ- "braccio, mano"
2) cuna "cane" (Gran Canaria), cancha "cane; cagnolini" (Tenerife)
      proto-afroasiatico: *kʷahin- "cane"
3) lia "sole d'estate" (Gran Canaria), alio "sole" (Lanzarote), lion
      "sole" (Hierro)
      proto-afroasiatico: *lVʕ(lVʕ)- "luce, luminaria"
4) abora "divinità celesti, Dio" (La Palma)
      a) proto-afroasiatico: *bVr(ʔ)- "creare"       
      b) proto-afroasiatico: *bVry- "spirito maligno; mago"
5) achaño "anno" (Tenerife)
      proto-afroasiatico: *san- "anno"
6) hirguan "demonio (dall'aspetto di uomo lanuto)" (Gomera),
         irvene "demonio (dall'aspetto di cane lanuto)" (La Palma)
      proto-afroasiatico: *hirgʷan- "cane" ("sciacallo dorato, iena e
         simili")
7) haña, jana, ana "pecora, agnello" (Tenerife) 
      proto-afroasiatico: *(ʔa)wVn- / *(ʔa)yVn- / *(ʔa)nay- "tipo di
         piccolo bovino / ovino"
8) afaro "chicco di grano" (Tenerife)
      proto-afroasiatico: *pir- / *par- "frutto, chicco di grano, seme"
9) beñesmer "stagione del raccolto (agosto)" (Tenerife)
     proto-afroasiatico: *čVmVr- "maturare, produrre un buon
        raccolto"
    Il prefisso della parola canaria è ricostruito come *we-n- (variante di *wa-n-).

La lista in questione non è priva di criticità. Riporto nel seguito alcuni miei commenti. 
 
cuna, cancha "cane":
Militarev ritiene queste parole connesse al chadico, al kushitico e all'omotico. In realtà questi sembrano prestiti indoeuropei relativamente recenti. La forma cuna viene a mio avviso dal celtiberico (accusativo *kunam). La forma cancha non può essere celtica, per cui la riconduco a una forma di indoeuropeo non celtico con le antiche vocali /a/ e /o/ confuse in /a/. Ipotizzo che si tratti della lingua dei Germani di Oretania, in cui si avrebbe *kantas "cane" (< *kwon-t-os). Il passaggio da -t- a -ch- è ben documentato nella lingua di Tenerife e di altre isole. A Tenerife è riportato gucancha, jucancha "demonio (dall'aspetto di cane grande e lanuto)", che ricondurrei a un composto *gū-kanta- (< *gwou-kwontos), alla lettera "cane-bue". 

abora "divinità celesti, Dio":
Militarev è incerto tra due etimologie possibili, una da una radice proto-afroasiatica col signficato di "creare", l'altra da una diversa radice proto-afroasiatica col significato di "spirito maligno". Non è possibile che entrambe le etimologie proposte siano vere. Invece potrebbe darsi che siano entrambe false. A parer mio è possibile che abora stia per *agʷoran e che sia identico alla forma acoran, alcoran, alcorac "Dio" attestata a Gran Canaria, a sua volta corradicale della forma acoron, achoron attestata a Tenerife. In ultima analisi potremmo ricostruire *amḳʷoran e ritenere che sia derivato dal proto-berbero *a-mVḳḳʷar-an "grande" (cfr. Ahaggar amɣar "grande", Cabilo amǝqʷran, etc.).
 
achaño "anno":
Militarev riporta anche acano "anno" (Gran Canaria), aggiungendo l'etimologia sarebbe corretta se stesso per *açano (< *asan- e non *akan-). Questo è ben possibile, in fondo si trovano casi analoghi, come ad esempio acof /a'sof/ "fonte" (Hierro, cfr. Cabilo asif, tasift, "corso d'acqua", Mzab suf, etc.), con -c- che sta per -ç-

hirguan "demonio (dall'aspetto di uomo lanuto)":
Sembra che in realtà questa parola si trovi anche in berbero: Senwa argu "diavolo, genio maligno", pl. iruggwán (ortografia tradizionale argou, irouggouan). La forma della lingua di Gomera (che Militarev attribuisce a quella di La Palma), sarebbe dunque un plurale berbero fossilizzato. 
 
Questi sono gli esempi di parole canarie che Militarev considera prestiti da altre lingue afroasiatiche ma assenti in berbero:
 
1) jubaques, juvaque "pecore grasse" (Gomera, Hierro)
    varianti: juhaque, fubaque, tabaque  
       < kushitico orientale (Saho, Afar subaḥ "burro"),
       a sua volta dal proto-afroasiatico *ĉVbVḥ- "grasso"
2) atazaykate "grande cuore, coraggioso" (Gran Canaria)
    varianti: atacaycate, athacaite, atacayte, altacaite, altaycayte,
    etc. 
       < chadico occidentale (Hausa zukata "cuori")
3) belingo "divertimento, festa, baldoria" (Gran Canaria)
       < semitico (ebraico blg "gioire")
       a sua volta dal proto-afroasiatico *bVlVg- "splendere"
4) chacerquem, chacerquen "miele" (Tenerife), tacerquen "birra o
     vino (di palma)", azarquen "coagulo di mocanes" (Gran
     Canaria) < *(t)a-SVrḳ-Vn
       < semitico *ŝrḳ "essere rosso" (ebraico ŝōrēḳ "uva pregiata
      rossa")
5) axo "cadavere secco e imbalsamato, mummia" (Tenerife)
    varianti: xaxo, haho
    < egiziano 3ḫw "spirito, deceduto" 
    Questo importante prestito testimonia l'origine egiziana della mummificazione, diffusa nelle Canarie in epoca preispanica. Non va nascosto che la parola canaria non può essere un derivato diretto di quella egiziana, che aveva una vocale tonica /i:/, essendo la pronuncia agli inizi del Medio Regno ricostruibile come /'Ri:χu/. Probabilmente si tratta di un derivato del verbo /Ra:χ/, formato dalla stessa radice, ma attestato col significato di "diventare utile; diventare splendido".    
6) tarja, tarha, tara "segni mnemotecnici" (Tenerife)
   < egiziano hrb "scrivere una lettera"
   Questa radice egiziana è stata presa a prestito dal protoberbero *Hirab "lettera, messaggio", *Harab "scrivere". La forma canaria mostra invece un prefisso ta- e presuppone una protoforma *ta-Hrab
7) salema "tipo di pesce (Sparus cantharus)"
    (voce comune a varie isole)
   Questa radice, comune a tutte le lingue berbere (protoberbero *sVlmay "pesce", pl. *i-salm-an / *a-salm-an), è confrontara dall'autore all'egiziano del Medio Regno nšmw.t "tipo di pesce" (< *lVšm-Vw-t). La forma berbera plurale è passata in lingue del sostrato preindoeuropeo d'Europa, finendo poi in celtico e passando anche in latino. Questo è il percorso del famoso nome del salmone.  

Esiti della sibilante sonora /z/ del proto-berbero in isoglosse berbero-canarie (parole native o prestiti importati nelle Canarie da popolazioni non Tuareg):
 
1) azeca "muraglia" (Lanzarote, Fuerteventura)
    proto-berbero *t-ā-zaqqāw "muraglia"
    Ghadames tazəqqa "muro", etc.
    In Ahaggar si ha invece tăhaqqa "magazzino per viveri", con /h/.
2) zeloy "sole" (La Palma)
    proto-berbero *ā-zayl "luce diurna"
    Cabilo azal "luce diurna", etc. 
    In Ahaggar si ha invece ahəl "luce del sole", con /h/.
   Si noti che a Tenerife è documentato cel "luna", quindi la radice doveva avere il significato più antico di "luminaria celeste", perduto nelle lingue berbere continentali.
3) azuquahe "nero; bruno, rossiccio" (La Palma)
    varianti: azuquache, azaquache, asuquahe, etc.
    proto-berbero *ā-zVwwāɣ "rosso"
    Cabilo azəggʷaɣ "rosso"
    In Ahaggar si ha invece ihwaɣ "essere rosso", con /h/.
4) mencey, mencei, menzei "re, sovrano, difesa" (Tenerife)
    proto-berbero *ā-manzuy "primo, primogenito, colui che viene
       prima"
    Senwa amənzu "primogenito" 
    In Ahaggar si ha invece eməñhi "antesignano, araldo", con /h/

Esiti dell'aspirata /h/ prodotta dalla sibilante sonora /z/ del proto-berbero in prestiti importati nelle Canarie da popolazioni di lingua Tuareg Tamâhaq (Ahaggar):
 
1) hyguyeres "tipo di pianta (Euphorbia canariensis)" (Lanzarote)
    Ahaggar ăhəqqor "trave fatta di legno di palma"
    In Cabilo si ha invece azəqqur, con /z/.
    La terminazione -es sembra un francesismo, data la nazionalità del glossatore.
2) apio, hapio, gapio, gapo "fontana" (Hierro)
    Ahaggar tăhaft "canale d'irrigazione"
    In Ghat si ha invece tazəft "canale d'irrigazione", con /z/.
3) taharenemen "fichi secchi" (Gran Canaria)
    Ahaggar âhâr "fico (frutto)", tâhârt "fico (albero)"
    In Ghat si ha azar "fico (frutto)", con /z/.
4) tahuyan "gonnellini di pelle tinta" (Gomera), tahuy "pelle" (La
       Palma)
    Ahaggar tehayhayt "sacco di pelle dalle lunghe frange"
    In Tawllemmet si ha ašăyha "sacco di pelle speciale", con /ʃ/.
5) maho, maxo, majo "scarpa, calzatura" (Lanzarote, Fuerteventura)
    Ahaggar tamhit "sacco di pelle di capra"
    In Tadghaq si ha tamsit "sacco di pelle di capra", con /s/.
6) ahuar "terra" (La Palma),
    forma possessiva: benahoare, benahorare, benehoare "la mia
    terra, la mia patria" (La Palma)
    Ahaggar: ăhaggar "parte centrale del pianoro di Kel-Ahaggar"
         < *ā-hawwār, corradicale di əhwər "precedere, essere il
           primo" 
    Ghadames ezwər "precedere, essere il primo", Cabilo zwir, etc.,
           con /z/.
    Il raffronto proposto da Militarev sembra un po' tirato per i capelli.
    Il termine canario usato a La Palma definiva chiaramente la stessa isola ("terra" = "patria"), data la mentalità fiera degli abitanti. I geografi arabi medievali menzionano la tribù berbera libica degli Hawwara, il cui nome viene dalla stessa radice.
7) eraoranhan "un idolo maschio" (Hierro)
    varianti: eranoranhan, erahoranhan, eraoranzan
    orahan, oranjan, orojan "una divinità; Dio" (Hierro, Gomera)
    Ahaggar yorəhən "che dà (qualcosa) in cambio"
    Il composto eraoranhan è formato dal teonimo oranjan con l'aggiunta di un prefisso era-, che corrisponde perfettamente all'Ahaggar ere- "colui che". La variante eraoranzan è un doppione, con ogni probabilità importato da una lingua non Tamâhaq.
8) añepa "scettro" (Tenerife)
    varianti: anepa, anzpa 
    Ahaggar ăñhəf "bastone grosso e lungo"
    Ghat anžəf "tizzone" 
   La variante anzpa è un doppione, con ogni probabilità importato da una lingua non Tamâhaq.
 
Esiti dell'aspirata /h/ del proto-berbero in isoglosse berbero-canarie:

1) fayahuracan "capitano" (Gran Canaria)
    faya "uomo poderoso" (Gran Canaria)
    Ahaggar ufu "essere migliore"
    Ayr afu "essere migliore"
    Cabilo if "essere migliore"
    Seconda parte del composto:
    Ahaggar hərəkkət "rispettare"
    Tawllemmet hərəkkət "rispettare, aver paura"
    La forma fayahuracanes "capitani" è un plurale ispanizzato.
2) guaire, guayre "nobile, consigliere" (Gran Canaria)
    Ahaggar tihorar "essere molto rispettato"
    Tawllemmet ihar "meritare"
    < proto-berbero *ihwar
   Forme come guaires "capitani valorosi", guayres, gayres "consiglieri di guerra" sono  plurali ispanizzati. 
3) aala "acqua" (Gomera, Hierro)
    Ahaggar tăhala "fonte"
    Snus tala "stagno alimentato da una fonte"
    Cabilo tala "piccola fonte" 

Esiti dell'aspirata /h/ prodotta dal proto-berbero /β/ o /hw/ (possono essere parole native o prestiti importati nelle Canarie da pololazioni di lingua Tamâhaq): 
 
1) güiro "segno d'amore" (lingua non specificata)
    Ahaggar ər "amare, volere"
    Ghadames ebri "amare, volere"
    L'autore ricostruisce la forma proto-berbera del verbo come *ihwar / *yahwir.
2)  hero "fonte; cisterna" (Hierro)
     hera "sabbia dove sta l'acqua" (Hierro)
     hieri, hero, jierro "Hierro" 
     Ahaggar ahir "sorgente alimentata da flussi molto deboli"
     Ghadames ebär, īber "canale d'irrigazione" 

 Arabismi 
 
Cosa che può sembrare sorprendente, nelle lingue delle Canarie si trovavano interessanti arabismi. Militarev elenca le seguenti voci e ipotizza, a parer mio giustamente, che siano passate nell'Arcipelago per tramite berbero (ma non Tuareg):   

1) badanas "pelli spesse di pecora" (La Palma), badanas "pelli
     conciate di color cannella" (Gran Canaria)
    < arabo baṭn "ventre; ventriglio"
    La -s finale è un evidente ispanismo.
2) sabor "consiglio di guerra" (Gran Canaria)
    < arabo šawr "consiglio" (variante di šūrā)
3) taifa "riunione" (Gran Canaria)
     < arabo ṭāʔifat "famiglia, stirpe"
4) arba "quattro" (Tenerife)
     < arabo ʔarbaʕa "quattro"
5) cansa "cinque" (Tenerife)
     < arabo ḫamsa "cinque"
6) támaras "frutti, datteri sul ramo", támara "palma da datteri
    (Phoenix canariensis)" (Tenerife, Gran Canaria e altre isole)
    < arabo tamr "dattero"
    La -s finale è un evidente ispanismo, come riscontrato in molti altri casi. 
 
L'autore non sembra aver riconosciuto il numerale cansa "cinque" come un arabismo, pur citandolo nella discussione: ho provveduto io a inserire questa voce nella lista. Non mi stupisce troppo che la consonante araba /χ/ sia stata adottata come una semplice occlusiva velare /k/.   

Iscrizioni Tuareg nelle Canarie 
 
Una delle notizie che difficilmente si leggeranno sui quotidiani riguarda i recenti rinvenimenti un numero crescente di iscrizioni rupestri nelle isole dell'Arcipelago, e in particolare a Hierro. Questi documenti, redatti in scrittura tifinaγ derivata in via diretta da quella degli antichi Numidi, sono la più eloquente prova materiale di quanto affermato dall'autore sulla migrazione di Tuareg di lingua Tamâhaq nelle Canarie. Rimando senz'altro all'articolo di Militarev per approfondire questo affascinante argomento: è riportato il confronto di ogni segno canario con l'equivalente in varie forme di tifinaγ (antico Tuareg, Ahaggar) e in numidico orientale. Un'iscrizione trovata in Libia, a Ghirza (Wadi Zemzem), risalente al X secolo d.C. è stata usata come confronto con il materiale canario. I risultati sono sorprendenti: diverse iscrizioni trovate a Hierro sono riportate, traslitterate e tradotte semplicemente utilizzando la lingua Ahaggar.     

Appendici 

Nella prima appendice all'articolo, l'autore riporta alcune tavole col confronto tra le scritture libiche (Tuareg, numidico orientale) e alcune scritture semitiche (fenicio, neopunico, sud-arabico, etc.). 
 
Nella seconda appendice all'articolo, l'autore riporta una lista Swadesh di 100 parole delle lingue berbere. I vocaboli sono ammassati e la consultazione non è agevole. Sono presenti diverse ricostruzioni di protoforme, non sistematiche e mescolate al materiale presentato.

Nella terza appendice all'articolo, l'autore mostra un albero genealogico delle lingue berbere, basato sulla lessicostatistica di 17 lingue.
 
Nella quarta appendice all'articolo, l'autore riporta uno studio oltremodo interessante sui prestiti punici nelle lingue berbere. Purtroppo lo spazio non mi consente di trattare l'argomento col dovuto approfondimento. Pubblicherò in altra occasione il mio contributo in merito.  

Nella quinta appendice all'articolo, l'autore riporta uno studio oltremodo interessante sui prestiti berberi in nubiano. Purtroppo lo spazio non mi consente di trattare l'argomento col dovuto approfondimento. Pubblicherò in altra occasione il mio contributo in merito. 

Conclusioni
 
Tutto splendido, certo, eppure potrebbe essere meglio. Forse sarebbe innanzitutto il caso di cercare di ricostruire il protoberbero in modo più solido e di rendere reperibile a tutti gli studiosi il materiale. Dato che si tratta di un argomento spinoso, reputo essenziale favorire una consultazione agevole delle protoforme ricostruite. Esiste un database relativo al protoberbero, ad opera dello stesso Militarev, consultabile sul sito The Tower of Babel (https://starling.rinet.ru) al seguente link: 
 
 
Certo è un buon inizio, anche se mi pare incompleto e in generale poco soddisfacente. Deve essere anteriore agli studi compiuti dallo stesso autore, perché sembra considerare le lingue delle Canarie come semplici output del proto-berbero. Una volta risolto il problema della ricostruzione del proto-berbero si dovrebbe procedere, tramite i dati interni e il confronto con altre protolingue afroasiatiche, a ricostruire con maggior sicurezza il proto-canario e il proto-berbero-canario. Senza questo processo, faticoso ma necessario, si corre il rischio di prendere cantonate e persino di sprofondare in qualcosa che somiglia pericolosamente a un paleocomparativismo basato su semplici assonanze. Purtroppo la vera piaga in questo genere di studi è la carenza di conoscenza sulle lingue un tempo parlate nelle Canarie, le cui attestazioni sono frammentarie e spesso confuse.

lunedì 18 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI ATKINS

L. Patrick Atkins è l'autore della tesi Phonetic Descriptions of Glossolalia (Descrizioni fonetiche della glossolalia), consultabile e scaricabile al seguente link:


Titolo della tesi:
Phonetic Descriptions of Glossolalia
Studente: L. Patrick Atkins, M.A.
Università: George Mason University, Fairfax (VA)
Anno: 2014
Relatore della tesi: Dr. Steven H. Weinberger
Lingua originale: Inglese


Questo è l'indice della tesi di Atkins:

TABLE OF CONTENTS

List of Tables ... v
List of Figures ... vi
Abstract ... vii
1. Introduction ... 1
2. Review of the Literature ... 10
3. Methodology ... 17
4. Data & Analysis ... 23
5. Discussion ... 35
Appendix A ... 42
Appendix B ... 44
References ... 47


LIST OF TABLES

1. Universals from Maddieson, 1986 ... 8
2. Observations from Goodman, 1972 ... 13
3. The Subjects at a glance ... 22
4. Phonetic Category Frequencies (% of Consonants) in
    Glossolalia Data ... 37


LIST OF FIGURES

1. IPA Consonant Chart for English ... 24
2. IPA Vowel Chart for English ... 24
3. Charlie’s Consonants ... 25
4. Charlie’s Vowels ... 26
5. Jill’s Consonants ... 27
6. Jill’s Vowels ... 27
7. Karen’s Consonants ... 28
8. Karen’s Vowels ... 29
9. Vowels: Glossolalia v. Maddieson ... 34
10. English Consonant Frequency Ranking from Mines, et al., 1978
    ... 36


DESCRIZIONI FONETICHE DELLA GLOSSOLALIA

"Questo articolo descrive foneticamente la parlata glossolalica di tre parlanti di madrelingua inglese. I soggetti sono stati intervistati per informazioni biografiche e glossolalie registrate. Dopo aver trascritto i discorsi coi simboli dell'alfabeto fonetico internazionale, gli inventari dei segmenti sono stati generati per ognuno dei campioni dei soggetti, e i segmenti di glossolalia asono stati descritti alla luce di universali fonologici. Questo studio conclude che gli universali linguistici influenzano la glossolalia e che i segmenti del discorso di un glossolalico sono un sottoinsieme dei segmenti della sua lingua nativa. Queste conclusioni hanno particolari implicazioni per la potenza degli universali fonologici come anche per ulteriori studi sulla glossolalia."

"Ogni parlante glossolalico è un'isola, con una propria lingua divina, nota soltanto a lui e priva di relazioni con tutte le altre lingue divine che sono state rivelate al mondo fin dall'inizio dei tempi. Questo è il dogma fondante degli studiosi dei fenomeni glossolalici. Un dogma che io sento di dover sfidare. Non esistono lingue davvero isolate. Non esistono lingue monadiche, fatte per descrivere un mondo privo di qualsiasi contatto con l'esterno." 
 
Innanzitutto l'autore fa alcune importanti precisazioni sulla parola glossolalia, sul suo uso e sulla sua storia. Non si tratta di un termine troppo antico, com'è facile immaginare: il suo conio risale alla seconda metà del XIX secolo ed è opera dell'ecclesiastico anglicano Frederic Farrar. Nella sua opera Life and Work of St. Paul (1879), egli ha descritto come glossolalia "quei soliloqui di emozione estatica spirituale" ("those soliloquies of ecstatic spiritual emotion"). Immagino che il testo non sia mai stato tradotto in italiano e non ho la benché minima idea di quante edizioni abbia avuto, in ogni caso sappiamo che la frase citata sui soliloqui spirituali si trova a pagina 52 dell'originale. A partire da Farrar, si è fatto un gran parlare di glossolalia e il mondo accademico ha usato tale termine per descrivere il fenomeno delle pronunce dirette dallo Spirito e prive di qualsiasi corrispondenza con lingue usate dal genere umano. Dal punto di vista fonologico, la glossolalia condivide con il linguaggio ordinario alcune caratteristiche di base, mancando tuttavia di parametri chiari e definibili di sintassi, semantica e proprietà comunicative. In realtà questo Farrar sembra aver avuto conoscenze scritturali abbastanza tenui. La locuzione "parlare in lingue" si trova negli Atti degli Apostoli (Atti 2, 1-13). I dodici Apostoli, riuniti dopo l'Ascensione di Cristo, udirono un improvviso suono dal cielo, simile a quello di un forte vento, che riempì la casa ove erano seduti. Apparvero dunque lingue di fuoco che si posarono su ognuno degli Apostoli, che furono pieni dello Spirito Santo, così si misero a parlare in altre lingue, dato che lo Spirito aveva dato loro la pronuncia. Quindi cominciarono a predicare a una folla di genti, e ognuno li udì parlare nella propria lingua nativa, come si legge in Atti 2, 8-11: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio." Ne possiamo dedurre che gli Apostoli non operarono affatto un miracolo di glossolalia, semmai un miracolo di xenoglossia, dato che parlarono in lingue esistenti e utilizzate da popoli di gente dotata di un corpo di carne, sangue e ossa. Non credo che ci sia bisogno di un eccelso grecista per comprendere che glossolalia è una parola formata male, come molte parole tipiche della nostra epoca (alcuni esempi: pedofilia, omofobia, etc.).
 
Per trovare un riferimento al dono di parlare lingue sconosciute dobbiamo andare a 1 Corinzi 14. Va però fatto notare una cosa estremamente importante: l'Apostolo reputa necessario che un discorso glossolalico proferito da qualcuno nell'Assemblea, sia tradotto prontamente da qualcun altro. Se non c'è traduzione possibile per le parole di qualcuno, la raccomandazione è che questi si astenga dal parlare nell'Assemblea, come scritto in 1 Corinzi 14, 29. Inoltre leggiamo in 1 Corinzi 14, 9 quanto segue: "Così anche voi, se con la lingua non proferite un discorso comprensibile, come si capirà quello che dite? Parlerete al vento." Tutto ciò è in assoluta contraddizione con la pratica glossolalica da parte dei Pentecostali e dei Carismatici, che insistono sull'assoluta intraducibilità dei loro interventi proferiti in lingue sconosciute. La cosa non deve stupire più di tanto. Sono sorte in numero immenso Chiese che sostengono dottrine e pratiche in contraddizione stridente con quanto si legge nelle Scritture. Se non ci sono confessioni cristiane che danno grande valore all'incesto, all'orgia e alla sodomia è soltanto perché nella competizione interreligiosa hanno perso la battaglia per la sopravvivenza, finendo annientate sul nascere da congregazioni più numerose, potenti e aggressive. Quando invece contenuti aberranti come l'adorazione di idoli e feticci riescono a passare per "devozione popolare", nessuno insorge, nesusno dice nulla: l'inveterata incorporazione dell'idolatria e del feticismo più crasso nella Chiesa Romana è un esempio lampante. 
 
Lo studio di Atkins si incentra su alcune domande essenziali:   
 
1) Gli universali fonologici che governano i segmenti del linguaggio umano ordinario limitano anche i segmenti e gli inventari fonemici delle parlate glossolaliche?
2) Esistono esempi in comune, relativamente ai segmenti, tra campioni distinti di glossolalia? 
3) Emerge qualche schema comune a campioni distinti di glossolalia?  

La mia risposta al primo degli interrogativi di Atkins è senz'altro negativa. Le limitazioni fonotattiche dei linguaggi glossolalici sono in genere profondamente diverse da quelle della maggior parte dei linguaggi reali. Si notano sproporzioni impressionanti negli inventari dei fonemi (o meglio delle unità fonetiche, visto che non sappiamo nulla sul significato delle parole e su eventuali coppie minime). Sia la seconda che la terza domanda dell'autore sembrano invece avere risposta positiva, anche se sono necessari studi più approfonditi per comprendere le ragioni di ciò che mi capita di rilevare. Osservando con attenzione varie produzioni glossolaliche di persone diverse, come quelle esposte nella presente tesi, ho la netta impressione che si tratti di lingue simili tra loro e con caratteristiche fonotattiche quasi identiche. Anche se a quanto pare sono pochi, esistono poi glossolalici anomali come il sottoscritto, le cui produzioni sono ben diverse da quelle dei Pentecostali e dei Carismatici.  

L'autore ha selezionato il suo gruppo di partecipanti allo studio in base ai seguenti requisiti: 
 
i) Madrelingua inglese; 
ii) Età minima 18 anni; 
iii) Consenso all'audioregistrazione di episodi glossolalici. 
 
Per ognuno è stato registrato un saggio di glossolalia della durata di tre minuti primi. Tutti gli intervistati hanno dichiarato di possedere il controllo della loro capacità, essendo in grado di iniziare e di interrompere a piacimento una preghiera espressa col "dono delle lingue". Da ciascun saggio di glossolalia è stato raccolto il testo contenuto in un minuto primo di registrazione, in genere nel mezzo; non è chiaro se le restanti porzioni dei testi documentati siano state conservate oppure cancellate. Questo testo così ottenuto è stato poi diviso in sequenze articolate in una singola esalazione (i cosiddetti breath groups, alla lettera "gruppi di respiro") e quindi trascritto in caratteri fonetici IPA. La metodologia di segmentazione in breath groups è stata usata anche da Motley e da Samarin (non Samarian, come spesso è riporta erroneamente nella tesi).

Questa modalità di raccolta dei testi glossolalici mi lascia piuttosto perplesso e mi sembra francamente poco scientifica. Volendo indagare il fenomeno, sarebbe stato dovere di uno studioso accurato raccogliere testi più estesi e studiarli in dettaglio con la massima attenzione. Forse alla base di questa scelta c'è una considerazione pragmatica: dato che i testi glossolalici raccolti non hanno traduzione possibile, ogni loro segmento vale quanto qualsiasi altro e in buona sostanza si può selezionarne qualcuno a caso, gettando il resto. 

I soggetti intervistati sono stati ora della fine soltanto tre. I loro veri nomi sono stati cambiati dallo stesso Atkins per via della normativa sulla privacy. Un campione modesto, non ci sono dubbi. Questi sono alcuni dati salienti: 
a) Il primo soggetto è una donna denominata Jill, nata nel 1942 a Blue Ridge nella Virginia sudoccidentale. 
b) Il secondo soggetto è un uomo denominato Charlie, marito di Jill, nato nel 1940 a Roanoke, in Virginia. 
c) Il terzo soggetto è una donna denominata Karen, nata nel 1972 a Danville, in Pennsylvania, ma residente in Virginia settentrionale all'epoca dello studio. Non sembra avere alcun legame di parentela o di conoscenza con i primi due soggetti, sempre che la cosa non sia stata omessa. 
 
Sono state aggiunte informazioni abbastanza dettagliate sulle insignificanti vite di questi tre individui (circostanze delle loro sventurate nascite, matrimoni e altre fonti di afflizione). Ritengo tuttavia importante far notare che l'autore della tesi afferma queste cose: i soggetti denominati Jill e Charlie non sono mai stati esposti ad alcuna lingua diversa dal loro nativo inglese d'America. Non sanno nulla di altri idiomi, non sospettano nemmeno che esistano suoni diversi da quelli articolati dalle loro gole. Pensano che in tutto l'Universo si parli solo e soltanto l'inglese d'America. Non sono nemmeno informati della stessa esistenza della lingua latina e della lingua greca. La loro ignoranza sul mondo e sulla storia sembra essere abissale, in fondo sono tipici campagnoli americani vissuti sempre in un contesto impregnato di religiosità biblica. Per contro, Karen ha passato la sua vita a praticare lingue diverse dalla propria. Ha appreso a scuola lo spagnolo e si è dilettata con un gran numero di altre lingue: italiano, cinese mandarino, tedesco, greco antico, ebraico biblico e moderno. Atkins non ci dice quale sia stato il profitto degli studi di Karen, se abbia poi imparato davvero qualcosa o se la sua massima capacità sia quella di farfugliare qualche sillaba dalla fonetica americanizzata. Gli anni di pratica glossolalica sono più di 30 sia per Jill che per Charlie, soltanto 16 per Karen. Ognuno di questi tre soggetti considera le proprie produzioni glossolaliche come una lingua personale usata nella preghiera per una maggior vicinanza allo Spirito di Dio.        

Si converrà che includere due membri della stessa famiglia come Jill e Charlie non sia una scelta molto logica: se un uomo ha intimità con una donna nel matrimonio, condividerà con lei non soltanto lo sperma ma anche i pensieri. Non siamo certi che le glossolalie di un uomo e di una donna tra loro sposati possano definirsi davvero tra loro indipendenti. Se Jill e Charlie sono così gumpescamente ingenui da credere che si parlasse l'inglese americano persino alla corte del Re Sole, Karen non è certo linguisticamente vergine. In ogni caso, non si può dire che il campione di intervistati sia significativo e sufficientemente esteso. 
 
Atkins ha studiato nel dettaglio la fonologia delle tre glossolalie raccolte, confrontandole innanzitutto con gli universali fonologici rintracciati nelle lingue ordinarie. Si definisce universale fonologico una tendenza comune presente nei sistemi fonologici di molte lingue. Molti universali fonologici si fondano su princìpi di simmetria fonologica. Una definizione abbastanza sfumata, come si può constatare, che lascia ampio spazio ad eccezioni: proprio per questo l'uso stesso della parola "universale" in un simile contesto potrebbe essere considerato ingannevole. Così si afferma che sistemi fonologici che non rispettano gli universali sono possibili, anche se improbabili. Evidentemente nessun linguista pieno di fede in questo concetto fallace ha mai studiato la storia della lingua basca. L'ipotesi di Atkins si fonda sulla possibilità di estendere certi universali fonologici alla glossolalia. Il suo ragionamento è molto semplice, lo capirebbe anche Forrest Gump. Così come è stato possibile tracciare gli universali linguistici in realtà sfumate come le lingue creole, deve essere possibile farlo anche con le glossolalie. Forse sfugge una cosa: le lingue creole non vengono dal nulla, è naturale che si sviluppino a partire dalle lingue che hanno loro dato origine. Il riferimento agli universali fonologici considerati per il confronto con le tre glossolalie è lo studio di Maddieson (1986), con notifiche del numero di eccezioni riscontrate nel database UPSID (UCLA Phonological Segment Inventory Database) dell'Institut für Phonetik dell'Università di Francoforte. Questi sono tali universali, mostrati in Tabella 1 (pag. 8):   

1) /k/ non ricorre senza /t/ (un'eccezione nel db UPSID);
2) /p/ non ricorre senza /k/ (quattro eccezioni nel db UPSID);
3) le consonanti nasali non ricorrono se mancano le occlusive con lo stesso punto di articolazione (cinque eccezioni nel db UPSID); 
4) le vocali medie non ricorrono se mancano le vocali alte e quelle basse (due eccezioni nel db UPSID);
5) le vocali anteriori arrotondate non ricorrono se mancano vocali anteriori non arrotondate della stessa altezza (due eccezioni nel db UPSID).
 
Rimando alla tesi di Atkins per una dettagliata analisi degli inventari fonologici delle tre glossolalie considerate. Come fatto notare dallo stesso Maddieson, le glossolalie in genere favoriscono la semplicità anziché la complessità. Già avevo notato che mancano le consonanti finali, mancano i gruppi consonantici complessi in tutte le posizioni, le sillabe chiuse sono poche e semplici. Maddieson e Atkins confermano tutto ciò: è estremamente improbabile che l'inventario fonologico di una glossolalia contenga abbastanza consonanti da potersi definire complesso. In tutti i casi le consonanti più ricorrenti sono le occlusive, com'è illustrato nella Tabella 4 (pag. 37). 
 
Questa è la situazione del sistema consonantico dell'inglese, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 17
Nasali: 11
Fricative: 15

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Charlie, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 54
Nasali: 25
Fricative: 7

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Jill, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 51
Nasali: 18
Fricative: 14 

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Karen, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 35
Nasali: 18
Fricative: 26 
 
Riporto alcuni estratti delle glossolalie (pagg. 44-46). Immagino che negli States ci siano numerosi individui convinti che le glossolalie siano coperte dai diritti d'autore e che non possano essere nemmeno citate per motivi di conoscenza. Visto che sono un gentiluomo, posso soltanto suggerire loro di parlarne direttamente con Dio. 
 
Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Charlie: 
 
Segmento 1:
   [pɑmɑnioʊkoʊtʌmlɑmᵇosikədada]
Segmento 2:
   [kɑmədioʊkoʊtʌnᵐlɑmᵇəsikədodoʊ]

Segmento 3:
   [ɹɑməsiːtoʊdiataʰitəmənononiɑndəlakita]

Segmento 4:
   [tɑmədioʊkoʊtʌmlɑmᵇəsikoʊtoʊdoʊdiɑndələkitatada]

Segmento 5:
   [jɑmədoʊdoʊdiɑndɑləkiːta]
Segmento 6:
   [vididioʊtoʊləoʊməsikaˈitɑdadada]
Segmento 7:
   [wɑmədoʊdoʊdiɑndələkiːta]

Segmento 8:
   [oʊkənoʊibɑdədadawɑmənoʊdoʊɾiɑndəlakjata]
Segmento 9:
   [zibədodoʊdəlẽjəkoʊtomjɑndadadadioʊndoʊlɑməsikəbɑɾoʊ]

Segmento 10:
   [jɑkətomlɑməsikədoʊdoʊdiɑndəlɑkiː]

Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Jill: 

Segmento 1:
   [hɑʃɑtəɾomɑʃiəndəɾəba]
Segmento 2:
   [hɑʃɑtədəməkədiətəɾoblesenekoɾeɑntaɪ]

Segmento 3:
   [oʊwəʃondəɾəɑŋɡiətəɾe]

Segmento 4:
   [tɛleotərənɑnebokodedeotərobatedɛkɔɹsətadəbə]
Segmento 5:
   [ɑŋkɔɹʃe-əkwɛʃiɑtəɾəmɑʃiɑndeɪ]
Segmento 6:
   [ɑʃɑtədəməkəʃiɛteɪdeɪkɛteɪɑtɑ]
Segmento 7:
   [ɑʃɑɾəkəmɑʃiɑtəɾəkoʊmədɪdijɛtɪdəkoʊmʊsədeɑteɪ]

Segmento 8:
   [eʃenənaməkɑdeɑtərokoleɪːbiɛndo]
Segmento 9:
   [hɑŋkiɑtəɾokleʃɛtɑdəmɑkədiɑndəɾobadada]

Segmento 10:
  [hɑⁿbiɛte-eɪkimiətəɾobɑziɛtəɾokoʊmədiɑntoʊ]

Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Karen: 
 
Segmento 1:
  [ɑijəkətioʊsoʊʃəndatiəmɔsoʊʃənda]
Segmento 2:
  [ɑijəkotijəmɔsəʃəndadətijəməsəʃəndəteɔfʊʃəndo]
Segmento 3:
  [ɑijokoʊtəjuməsəʃəndədədeɪjɑjokʊʃətɑtədijɑsʊʃəndojomɑ]
Segmento 4:
  [ɑijəkɑtʃiosoʃəndadədijɑjosoʃəndɑfosombɑtiɑ]
Segmento 5:
  [ɑijəkətijosoʃəndɑdedijɑʃodʒujɑmovɑʃɪntɪdiː]
Segmento 6:
  [ɑijəkotʃijosəʃəndadədiɑjofəʃəndoʊjəmɑsəʃɑ]
Segmento 7:
  [ɑijokotʃijomɑtˢəʒəsəʃədədadiasoʊsoʊmɑtiːhɑː]
Segmento 8:
  [ɑijəfoʊʃəndədədiɑsoʃəndoijəmotiəmɑː]
Segmento 9:
  [ɑijokontjumɑː]
Segmento 10:
  [ɑijofoʃontiː]
 
Rilevo un'interessante contraddizione. Da una parte Atkins afferma che non di sono dittonghi nel campione raccolto da Charlie ("Furthermore, Charlie's sample contains no diphthongs", pag. 26). Quando passiamo ad analizzare le sequenze emesse da Charlie e riportate nell'Appendice B (pag.), scopriamo che vi ricorre in modo ossessivo il dittongo [oʊ]. 
 
Procedo all'analisi dei morfi, che a quanto mi consta non è stata fatta da Atkins. 

Si notano elementi comuni, che si ripetono ossessivamente in una stessa glossolalia e che a volte sembrano riecheggiare anche in glossolalie diverse. Non mi pare che finora si siano fatti avanti studiosi animati da questa consapevolezza. 
 
Nella glossolalia di Charlie si nota una certa libertà nelle sillabe iniziali dei segmenti, mentre le sillabe finali sono tra loro simili: ne ricorrono in sostanza due tipi soltanto. I morfi sono i seguenti: 

1) [-diɑndələkiːta] / [-niɑndələkita] / [-diɑndələkitatada] / [-ɾiɑndəlakjata] / [-diɑndəlɑki:]

Ne deduco che [-d-], [-n-] e [-ɾ-] sono allofoni di uno stesso fonema, almeno in alcuni contesti. Deduco anche l'esistenza di un possibile morfema [-ta] / [-da], la cui funzione ignoriamo. 

2) [-sikədada] / [-sikədodoʊ] / [-sikaˈitɑdadada] / [-sikəbɑɾoʊ]
 
Ne deduco che il dittongo [oʊ] potrebbe derivare da un ipotetico [*aʊ] o essere un allofono di [a], anche se non sono chiare le condizioni in cui ricorre. 
 
Nella glossolalia di Jill ricorre il seguente morfo complesso, che compare all'inizio di un segmento:  

[hɑʃɑtəɾomɑ-] / [hɑʃɑtədəmə-] / [ɑʃɑtədəmə-] / [ɑʃɑɾəkəmɑ-]  

Quasi certamente si tratta di un composto: un elemento [hɑʃɑ-] / [ɑʃɑ-] e un elemento [-təɾomɑ-] / [-tədəmə-] / [-ɾəkəmɑ-]. Studiare a fondo queste alternanze potrebbe permettere di distinguere i fonemi dagli allofono. Anche qui, come nella glossolalia di Charlie, sembra proprio che [-ɾ-] sia un allofono di [-t-] / [-d-]

Un morfo ricorrente all'interno dei segmenti è questo:

[-ʃiəndə-] / [-ʃondə-] / [-ʃiɑtə-] 
 
Credo che si tratti di qualcosa di molto importante, perché qualcosa di molto simile ricorre nella glossolalia di Karen (vedi nel seguito). Come già fatto notare, Charlie e Jill sono coniugi, mentre Karen non dovrebbe avere relazione con loro.
 
Nella glossolalia di Karen si nota che tutti i segmenti iniziano in modo molto simile, con un elemento [ɑijəkə-] / [ɑijəko-] / [ɑijokoʊ-] / [ɑijoko-] / [ɑijo-]. E se significasse proprio "Dio" o "Spirito"? Non ne abbiamo idea. Potrebbe essere invece un verbo, qualcosa come "Ti invoco" e via discorrendo. Ipotizzo che le forme ridotte (senza -k-), come [ɑijo-] e [ɑijə-] siano dovute alla presenza di una fricativa [-f-] nella sillaba seguente, come se si fosse prodotta una semplificazione automatica di un gruppo consonantico -*kf-. Si nota subito un elemento che ricorre con particolare insistenza: [-ʃənda]  / [-ʃənda-] / [-ʃəndɑ-] / [-ʃəndə-] / [-ʃəndo-] / [-ʃəndo]. Senza dubbio deve essere un morfo molto importante, peccato che non abbiamo idea del suo significato o della sua funzione: potrebbe benissimo essere un elemento grammaticale. La sua importanza è tale che ricorre anche nella glossolalia di Jill (vedi sopra). Prestiti tra glossolalie di persone che non dovrebbero conoscersi? Wanderwörter glossolaliche? Ci vuole ben altro che gli studi reperibili in letteratura per capirci qualcosa!  

Sono consapevole del fa[tto che la glossolalia è descritta come forma di linguaggio non comucativo (Goodman, 2969). A quanto è stato appurato dagli studiosi, non si tratta di un fenomeno relativo alla comunicazione. Resta tuttavia il fatto che se uno parla per ore di Dio, dovrà ben sapere qual è la parola usata per definire l'Essere oggetto di tanta adorazione. Invece niente. Non ne emerge nulla di utile, nulla che possa definirsi certo. Sfido i Pentecostali e i Carismatici di tutto il pianeta a fornirmi la pronuncia del nome di Dio nelle loro rispettive glossolalie. Sono certo che nessuno di loro sarà capace di farlo. Quindi a cosa varrebbe mai tutta la loro architettura pseudolinguistica? Non soltanto, come dice l'Apostolo, il loro parlare sarebbe fiato sprecato nel vento: conterrebbe un gravissimo vulnus. Se Dio parlasse per bocca di una persona e non le comunicasse in modo chiaro ed inequivocabile il senso di ogni parola ispirata, il suo stesso parlare sarebbe assolutamente vano. Questo contraddirebbe la definizione stessa di Cristianesimo. Se tu preghi e ti senti vicino allo Spirito di Dio, non puoi articolare sillabe di cui ignori il significato. Se dunque un folletto bizzarro si insinuasse in te e insufflasse nella tua bocca bestemmie atroci, non te ne accorgeresti nemmeno, crederesti di essere in comunione con lo Spirito di Dio, a meno che qualcun altro (ispirato da chi?) non si prendesse la briga di farti sapere (su quali basi?) che stai pronunciando parole blasfeme. Eppure la glossolalia religiosa è di un estremo interesse e continuerò a studiarla in modo approfondito. 
 
Un diverso tipo di glossolalia
 
Come diceva Bertrand Russell, ci sono due tipi di santi: i primi sono quelli che mangiano poco e vedono il Cielo, mentre i secondi sono quelli che bevono molto e vedono i serpenti. Sono fiero di appartenere ai secondi, per l'Eternità. Quelli che mangiano poco e vedono il Cielo balbettano così quando sono posseduti da quello che credono essere lo Spirito: "SHAKA-SHAKA-SHAKA BARA-BARA-BARA BAKA-BAKA-BAKA". E hanno anche il coraggio di definire i loro balbettamenti come "ineffabili". Io, che bevo molto e vedo i serpenti, articolo le mie glossolalie in un modo ben più complesso: "MRANGDAR NRELDZIMR DRAUGRMAAR MLENZHIRM STTAUR'M STTOREDALS MLANDRANZHIMZD R'BELLIR GDORDZEM STORBBOLD'MS BBARMAUDZIR STTORNR'M PPAMARAAMS NDORNBBOOM BDIIRM MANDARAUMABDAAUR'M NDAURU TTEERIMAH UNGDOH UNGDOH'S BBANDARANDAMS KHTOOLRDZD SSEBIR'M OGHDAMGD'S HURKHMU BDELRDZIROHT NUMENOMDZD STTEBOGAMST BBOMDZIROOMGH TTENEDZIRM MR'TOKKNA NDZEEMDARKKH AUMEDZORZH KKAMAHH". Ho inoltre qualche idea del significato di molte delle parole da me pronunciate (o meglio, scagliate): le sequenze esalate sono tutte maledizioni atroci contro l'Artefice di questo Universo abominevole! Coloro che mangiano poco e vedono il Cielo sono pecore lobotomizzate e belano, il mio invece è simile al ringhio di GMORK, in cui riverbera la Luce Nera dell'Odio Eterno. C'è solo un piccolo problema: quando si diventa consapevoli del significato di una glossolalia, qualunque sia la sua natura, questa diventa a tutti gli effetti una lingua vera e propria, una conlang glossolalica. Questo è quanto.