giovedì 20 maggio 2021

UN SINGOLARE ESPERIMENTO ANTROPOLOGICO: IL PANINARISMO

Inizi anni '80 del XX secolo. Si stavano spegnendo gli ultimi echi del '68. La gente non voleva più saperne dell'impegno politico e sociale, il cui frutto erano stati gli anni di piombo. Ne aveva abbastanza dei comunisti, del terrorismo e della Rivoluzione. Cominciavano a vedersi i soldi, dopo un lungo periodo di stenti. Finalmente si aveva la pancia piena, la borghesia si poteva permettere spese consistenti. Così a Milano si formarono i paninari (Gallo, 1993). Erano una vera e propria tribù urbana, con proprie regole e un proprio slang (Azzali, 1993). 
Com'è specificato in modo pedantesco nella Wikipedia in italiano, per identificare il fenomeno di costume giovanile è utilizzato il termine paninaro, come se fosse un nome astratto e collettivo. Questa è la spiegazione data: "Per sineddoche, non esistendo un nome come paninarismo o paninaresimo per tutto il movimento, a cui ci si riferisce semplicemente come i paninari". Ebbene, il termine Paninarismo esiste eccome, perché l'ho fatto esistere io. "La lingua è del popolo, ed è il popolo stesso che crea le parole, le distrugge e le trasforma, con buona pace di Lavoisier" (De Benedetti, 2015). 
L'etimologia del termine paninaro viene fatta risalire al primo luogo documentato in cui si radunavano i gruppi da cui l'embrione del movimento si sarebbe formato e sviluppato: il bar Al Panino in Piazza del Liberty, nota più semplicenente come Piazza Liberty, nel pieno centro di Milano. Ci sono tuttavia opinioni discordanti e alcuni negano espressamente questa tesi, affermando che il locale in questione era piuttosto un raduno di giovani di estrema destra detti sanbabilini (Verdoia, 2013). In seguito il tempio del Paninarismo divenne il famosissimo Burghy in Piazza San Babila, un locale che può essere considerato il precursore di McDonalds.      

 
Un'interpretazione dietrologica 

Secondo la vulgata corrente, i paninari sarebbero stati l'espressione del cosiddetto "riflusso nel privato". Con questo termine del linguaggio giornalistico si intede un atteggiamento di disimpegno politico e sociale, il ripiegamento nella sfera del privato in un clima caratterizzato da estrema disillusione. Quindi un fenomeno di costume fondato sulla moda e sull'apparire sarebbe stato la conseguenza di qualcosa che era già in atto a un livello più profondo. Alcuni sostengono addiruttura che i paninari si sarebbero formati dal "vuoto pneumatico" degli anni '80 (Leggeri, 2015). Propongo un diverso modo di analizzare il fenomeno. A parer mio, il Paninarismo sarebbe invece stato la principale causa dell'affermarsi del "riflusso nel privato" e del "vuoto pneumatico", una costruzione artificiale architettata a tavolino per uno scopo ben preciso. Vediamo di esporre in dettaglio gli eventi. Era necessario disinnescare la tensione sociale, che aveva raggiunto livelli insopportabili, prossimi al punto di rottura. Bisognava seppellire per sempre gli anni di piombo e la loro eredità maledetta. Far obliare i problemi con la crescita esponenziale dei consumi. Silvio Berlusconi aveva tutti i mezzi per riuscire nell'ambiziosa impresa. Direi che ci è riuscito alla perfezione. In altre parole, il Paninarismo è stato un esperimento antropologico su larga scala, che ha impattato in modo pervasivo sui comportamenti e sui modi di pensare della popolazione italiana. Una delle sue caratteristiche fondanti era un acceso filoamericanismo di origine feticistica, puramente materialista e non ideologica. Un fatto del tutto nuovo. Non a caso si è parlato di edonismo reaganiano (D'Agostino, 1985), definito come "non solo un goliardico scherzo catodico, ma il piedino di porco per penetrare nella Weltanschauung degli Anni '80" (D'Agostino, 2011). Va detto questo: si tratta di una subcultura autoctona. Mentre i rockabilly, i metallari e i dark sono giunti dal mondo anglosassone, i paninari sono a tutti gli effetti un prodotto italiano. 
 

Drive In e il contesto mediatico
 
Qualcuno si ricorda ancora di Drive In? I Millennials non ne sanno nulla. Per farla breve, era una trasmissione andata in onda sulle reti di Berlusconi dal 1983 al 1988. Chi l'ha vista non l'ha dimenticata. Lory Del Santo incedeva sensuale, con le sue splendide tettine, con le sue gambe statuarie. Sorriso smagliante e voce vellutata. All'epoca non era ancora dedita alle assurdità New Age. Era sensualità assoluta. Nella sigla d'apertura lei passava e a Enrico Beruschi cadevano gli occhi sul pavimento (effetto speciale rudimentale). Suonava la musichetta in sottofondo e una vocina femminile faceva "saxofonofonì". Tutta la popolazione maschile italiana se ne restava davanti al video con lo sperma che premeva nei testicoli. Potremmo definire Drive In una manifestazione dei frivoli anni '80. Oppure era proprio Drive In a generare l'essenza dei frivoli anni '80? Molti troveranno stravagante la mia domanda. Consideriamo però alcune cose. La trasmissione, che andò in onda con cadenza settimanale a partire dal 1983, aveva una diffusione capillare, giungendo ovunque. Questo è un fatto che non va sottovalutato. Si avvertiva un imperativo: dimenticare la violenza. Lasciarsi alle spalle l'orrore. La Milano della mala con la sua escalation che l'aveva trasformata in feroce gangsterismo. Una scia di sangue, rapine quotidiane. Morti ammazzati. Attentati senza sosta, sequestri. Stragismo, eversione. Guardando la televisione si poteva dire basta. Basta con la strategia della tensione! Basta con Lotta Continua! Basta con le Brigate Rosse! Basta con Vallanzasca! Basta con i tumulti! Basta con i tribunali studenteschi! Basta con i coglioni che urlavano "fascista!" a chiunque non condividesse le loro stronzate! Simili atrocità erano come l'alito di un dragone infernale, sulfureo, un tanfo pestilenziale che nessuno voleva più annusare. I primi segnali di disimpegno cominciarono su finire degli anni '70, quando fu notato che moltissimi avevano abiurato Marx per abbracciare il consumismo (Montanelli, 1979). A questa urgente domanda di senso, Berlusconi diede una risposta forte che fu percepita come salvifica. Ecco quindi un po' di profumo erotico che non costava nulla. Un profumo inebriante, che non si poteva fare a meno di continuare ad annusare. Questa strategia ebbe un immenso successo. Non bisogna tuttavia dimenticare che non è tutto oro ciò che luccica. Erano i prodromi di ciò che si sarebbe sviluppato appieno anni dopo, irradiandosi dalla Reggia di Hardcore. Tempo fa ebbi a dare una definizione meno anodina del fenomeno: "prove tecniche di puttanizzazione". I frutti maturi del seme piantato in quell'epoca li si è visti nel XXI secolo col diffondersi di una nuova definizione della prostituzione: "Un'intelligente forma di imprenditoria che dà alla donna l'accesso alla ricchezza tramite la libera gestione del proprio corpo".  

 
Enzo Braschi, il Profeta del Paninarismo 
 
Proprio Drive In fu il palco migliore per la diffusione del Paninarismo, che ebbe in Enzo Braschi il suo predicatore convulsionario. Si presentava sul palco mentre suonavano le note di Wild Boys (pron. uabbòis o uabbò), una canzone dei Duran Duran, gruppo il cui cantante Simon Le Bon era idolatrato dai paninari. Imperversava, faceva faville. In seguito il comico ha affermato cose stravaganti su questo suo passato, dando l'impressione di un tentativo di rinnegarlo. Ha rifiutato l'etichetta di ideologo del movimento paninaro, facendo capire che in realtà vi si sarebbe infiltrato obtorto collo. Questo a dispetto del fatto di per sé evidente che è stato per anni il massimo promotore di quella subcultura. Si è diffusa poi una leggenda, una diceria, secondo cui alcuni paninari lo avrebbero pestato perché aveva perculato l'identità del loro gruppo. Queste sono le sue parole riportate in un'intervista: "Se è vero che un gruppo di paninari milanesi mi riempirono di botte? No. Però quelli che ci credevano veramente in quel movimento si sentirono offesi. Una volta un paio di paninari di zona San Babila, a Milano, mi inseguirono. Non ho mai capito se volessero un autografo o darmi una 'compilation di schiaffazzi'. Un'altra volta in una discoteca mi si avventarono una trentina di loro: quelli sì, volevano spaccarmi le ossa. Io mi feci grosso e li respinsi. Forse, mi salvai la vita" (Braschi, 2017). Trovo difficile credergli. Sono tutte affermazioni analizzabili tramite un famoso brocardo: "excusatio non petita, accusatio manifesta". Sarebbe sensato dirlo usando una parola genovese: "sono musse". A mio avviso Braschi non intese mai perculare un'identità che traeva vita, vigore e grandissima diffusione proprio dai suoi numeri comici. Chi può pensare che senza di lui ci sarebbero stati così tanti paninari? In realtà era il protagonista indiscusso di uno dei più importanti esperimenti antropologici di tutto il XX secolo. Credo che ne fosse consapevole, anche se non posso fornirne una dimostrazione diretta. Senza dubbio è stato notevole l'effetto dell'opera braschiana sulla codifica e sull'omologazione del gergo paninaro sull'intero territorio italiano e oltre. Qualcuno accusa Braschi di aver preso una subcultura elitaria ed esclusiva, tipica unicamente del Milanese, facendone qualcosa di nazional popolare (Sam Arko, 2007). Perché dovrebbe essere un'accusa? Diabole Domine, era proprio quello lo scopo dell'esperimento! 
 
Un sintetico glossario 
 
Il paninarese era pieno zeppo di anglismi, autentici o maccheronici; l'influenza della lingua inglese si esercitava anche sulla morfologia (esistevano plurali in -s, nomi formati col suffisso -ation pronunciato -éscion, etc.). Vi si trovavano anche tracce di ispanismi maccheronici. Riporto un certo numero di vocaboli e di locuzioni:     

appiovrare "abbordare una ragazza" 
arrapation "eccitazione sessuale" 
arterio "un vecchio" (pl. arterios)
burghino "paninaro" 
cagacazzo "chi importuna le ragazze" 
cagare il cazzo "importunare"
cannare "sbagliare" 
centenari "i genitori"  
centra "cazzotto"
cesso "brutto" 
che calfort "che cavolo" 
ciàina "comunista" (dall'inglese China)
cinese "comunista" 
cinghiale "individuo rozzo; non paninaro" 
cinghio = cinghiale (pl. cinghios)
classica catrambogia "cosa incomprensibile" 
    esempio: 
    non ci capisco una classica catrambogia "non ci capisco 
    un cazzo"
company "la compagnia" 
compilation "un insieme, una serie"
cucador "scopatore, macho" (pl. cucadores)
cuccare "fare sesso con una ragazza" 
Curma "Courmayeur"  
everyday "sempre"
falchettare "puntare una ragazza" 
fiocinare "prendere qualcosa" 
floppy "fiasco, fallimento"
fuori di melone "impazzito"  
gallata "idea geniale"
gallo "paninaro di successo" 
galloso "figo" 
gino "ragazzo inesperto, sfigato" 
Gran Gallo "capo paninaro"
grano "denaro" 
grippare "afferrare qualcosa; afferrare qualcuno" 
ingrippare "coinvolgere" 
kissettini "bacini" 
kissettoni "bacioni" 
lager "scuola"
libidine "godimento, piacere" 
    esempi: 
    libidine mongola "grande godimento";
    è una libidine, mi si rizza "è un piacere immenso" 
manzire "fare sesso con una ragazza" 
mazzulare "massacrare di botte" 
mazzulatore "picchiatore" 
megagalattico "gigantesco, immenso" 
meucci "telefono" 
mezza gamba "50.000 lire" 
must "dovere" 
    esempio: 
    è un must "è un dovere" 
naa "no" 
non me ne sdruma un drigo "non me ne frega un cazzo" 
okappa "in regola" 
pacco "inganno, bidone" 
paccoso "uno che fa i bidoni" 
pan-look "look paninaro"
panozzo "panino; paninaro" 
preppy "ragazza"
ramboso "tosto" 
ruotare "andare in giro in moto"  
sapiens "i genitori"
schizzare al brucio "muoversi velocemente"
sfitinzia "ragazza" 
slacciare "rompere" 
    esempio: 
    ti slaccio la faccia, tamarro!  
slandra "vulva, figa; ragazza"
smerigliare il gargarozzo "mangiare"  
squallor "male"  
    esempio:
    l'andazzo oggi è uno squallor "oggi va male" 
squinzia = sfitinzia  
storia tesa "lite"
suggellare lo zillo con la slandra "fare sesso con una ragazza"
tacchinare "puntare una ragazza, fare la corte" 
tamarrata "cosa da tamarro"
tamarro "individuo rozzo; non paninaro" 
tarocco "falso, imitazione" 
tarro = tamarro 
Timbe "le Timberland" 
troppo giusto "buono, in" (indica approvazione)
troppo scarso "non buono" (indica disapprovazione)
truzzo "individuo rozzo" 
truzzolone "pseudo-paninaro" 
una cifra "tanto" 
una gamba "100.000 lire" 
very arrapation "sexy" 
very original "originale"  
volpinata "cosa molto furba" 
volpino "furbo"

Come si può notare, alcune di queste parole sono tuttora di uso corrente e nessuno ne sospetta l'origine (es. pacco, tarocco, cagacazzo, cesso). Il verbo cuccare si è indebolito e viene spesso glossato come "rimorchiare, conquistare; pomiciare"; c'è persino qualche ingenuo che lo traduce con "fare colpo". All'epoca era decisamente più hard (per dire di aver cuccato, un gallo doveva ottenere almeno un rapporto orale). Altre parole e locuzioni sono cadute in un oblio profondo e nessuno si sognerebbe più di usarle (es. classica catrambogia). 
Molti si chiedono se si parlasse davvero così. Ebbene sì, c'erano molti chi lo faceva. Per quanto possa sembrare incredibile, ci sono persone che affermano di non ricordare termini essenziali come sfitinzia, attribuendoli a distorsioni e caricature cabarettistiche dello stesso Braschi (Sam Arko, 2007). In netto contrasto, c'è invece chi afferma di usare ancora questi termini nella conversazione familiare. Se devo essere franco, credo che Verdoia, che parla tuttora in questo modo, sia più attendibile degli scettici.     

 
La Milano da bere (e da annusare) 
 
L'espressione "Milano da bere" è l'ennesima trovata del linguaggio dei giornalisti. È usata per descrivere certi ambienti opulenti della metropoli lombarda degli anni '80, in cui fortissimo e pervasivo era il potere del Partito Socialista Italiano di Craxi - quello stesso milieu in cui si formò Berlusconi. Queste erano le caratteristiche salienti del contesto:  
1) percezione di benessere diffuso; 
2) rampantismo arrivista e opulento ostentato dai ceti sociali emergenti; 
3) immagine "alla moda".
(Fonte: Wikipedia). 
La locuzione Milano da bere ha avuto origine da uno pubblicitaria dell'Amaro Ramazzotti (Mignani, 1994; Santolini, 2008). Non si tiene però conto di una cosa importante. Alla Milano da bere era associata in modo indissolubile una Milano da annusare. Era il regno dei proboscidati che aspiravano un pregiato alcaloide peruviano. Nei loro cervelli nevicava sempre. Combinandosi questo alcaloide con l'alcol, nei loro fegati erano sintetizzati ingenti quantitativi di cocaetilene. Qual era il rapporto dei paninari con la droga e con l'alcol? Senza dubbio era odiatissima l'eroina, che era la droga dei tamarri. Si dice che si beveva a malapena e che la bamba fosse così costosa da essere fuori dalla portata (Verdoia, 2013). Pure so per certo che molti se la potevano permettere e che era assai diffusa, oltre al fatto che alcuni galli erano bevitori. "Nasce ed impazza la tv privata di Berlusconi, piena di programmi che mostrano una società laccata, imbrillantata. In questo clima di festini alla moda, pieni di Vip televisivi, non può che prendere piede una droga come la cocaina che, diversamente dalle droghe più utilizzate negli anni '70, che servivano ad aprire le porte della percezione, serve per aumentare le prestazioni, non ingrassare, essere falsamente sempre in prima linea" (Meroni et al., 2012). Se la Milano da bere è ormai un ricordo, la Milano da annusare esiste tuttora. 
 
Paninari e yuppies 
 
Gli yuppies erano i giovani rampanti, nella cui vita esisteva soltanto il lavoro ai fini dell'arricchimento personale. Erano ben distinti dai paninari, nonostante qualcuno li considerasse i loro fratelli maggiori. Gli yuppies producevano ricchezza, i paninari la consumavano come rampolli viziati della borghesia medio-alta. La differenza tra le due subculture non avrebbe potuto essere più grande, pur coesistendo nello stesso habitat metropolitano. Condividevano pochi valori, nonostante esista nell'immaginario collettivo l'idea di una comunanza di Weltanschauung tra yuppies e paninari, fomentata da alcuni film ambientati nella Milano da bere. Possiamo citare Yuppies - I giovani di successo (Carlo Vanzina, 1986) e Yuppies 2 (Enrico Oldoini, 1986), in cui i protagonisti si esprimono in paninarese (es. troppo giusto "buono", troppo scarso "non buono", è una gallata "è un'idea geniale"). Puramente paninaro, senza traccia alcuna di yuppismo, è invece Italian Fast Food, diretto da Lodovico Gasparini nel 1986. In questo film Enzo Braschi interpreta il capo paninaro conosciuto come Gran Gallo, che lotta perennemente contro una gang di punk. Non è affatto sicuro che un paninaro potesse metamorfosare in uno yuppie una volta diventato più maturo. 

 
Strane contraddizioni
 
Più volte è stato notato che i paninari ostentavano ricchezza, eppure in diversi casi si ispiravano a modelli di vestiario proletari, tipici di operai, boscaioli e contadini. La differenza sostanziale è che si trattava di indumenti costosissimi, essendo firmati. Un outfit tipico era costituito da giubbotto Moncler imbottiti di autentico piumino d'oca, pantaloni Levi's 501, scarpe Timberland, cintura El Charro, camicia Armani. Innumerevoli erano gli oggetti-feticcio. La stessa dieta dei paninari non era affatto sofisticata: era composta principalmente da panini con hamburger. Non esisteva a quei tempi la tirannia degli chef, con le loro porzioni da Lillipuziani meno nutrienti di una particola e i loro ingredienti selezionatissimi fatti pagare a peso d'oro. I paninari andavano nei fast food come Burghy in Piazza San Babila e "si smerigliavano il gargarozzo con una compilation di panozzi", come dicevano nel loro interessante e peculiare gergo. A quei tempi ero tanto ingenuo da pensare che i paninari si chiamassero così perché sembravano giganteschi panini deambulanti. Tutto nasceva da un equivoco. A Seregno i Moncler erano omologati e quasi tutti di un color arancione che li faceva assomigliare alla parte esterna del tipico pane molle usato dagli anglosassoni per preparere gli hamburger. In realtà c'erano Moncler di vari colori, anche viola o verdi, fluorescenti - e non c'erano soltanto i Moncler. Un'altra strana contraddizione la vedo nell'uso della lampada. Non era raro imbattersi in paninari che coltivavano il malsano costume di abbronzarsi sottoponendosi a irradiazione con i raggi UVA fino ad esibire una pelle più scura di quella di molti africani. Eppure ricordo bene che a Seregno molti di questi abbronzati ostentavano un razzismo a dir poco virulento. Mi fu persino riferito di un gallo che abusò della lampada a tal punto da sviluppare una neoplasia cutanea. 
 
La massima espansione del Paninarismo   

Ricorderò sempre che nei lontani anni del liceo, mentre ci si stava preparando a una gita scolastica a Monaco di Baviera, c'era chi temeva di trovare i paninari imperversanti nella città tedesca. "No! I panini a Monaco!", esclamavano alcuni miei compagni di classe. Poi quando andammo a Monaco, non vedemmo nemmeno un singolo Moncler (Monti, 1985). Si dice spesso che la massima espansione del Paninarismo si realizzò di lì a poco, nel 1986. L'evento determinante fu proprio la pubblicazione di un singolo dei Pet Shop Boys intitolato Paninaro, avvenuta in quello stesso anno (Falchi, 2003). Il gergo paninaro entrò nell'uso corrente e si diffuse anche tra persone estranee al movimento. Ricordo un bottegaio dei Navigli che ebbe a dirmi: "Gesù era un gallo". Sempre nel 1986 nacquero fumetti come Paninaro, edito da Edifumetto di Renzo Barbieri (un numero arrivò a vendere ben 140.000 copie), e Cucador, edito da Garden Editoriale. Esistevano anche versioni per ragazze, come New Preppy, edito da Edifumetto. In questi fumetti il paninaro era presentato come un eroe metropolitano, senza nascondere le sue inclinazioni abbastanza violente. Non dimentichiamo che i galli erano spesso coinvolti in risse. Ricordo giornalini che esaltavano le storie tese con i tamarri e altri gruppi deprecati; anche gli studenti adepti di Comunione e Liberazione venivano aggrediti. Quando studiavo a Fisica, questi fanatici religiosi erano una piaga. Peccato che non giungessero un po' di paninari agguerriti a slacciare la faccia ai ciellini!
 
Le ragioni dell'estinzione dei paninari 
 
Ho discusso a lungo con i miei coetanei della subitanea scomparsa dei paninari. Conserverò sempre memoria di queste conversazioni. L'argomento mi ha sempre affascinato. Le tesi a questo riguardo sono poche e circostanziate. I paninari si sarebbero estinti per via di un'improvvisa riduzione dei prezzi del loro costosissimo outfit, dovuta a qualche speculazione dei produttori, oppure per via di un incremento della ricchezza della Nazione - cose che avrebbero reso gli acquisti accessibili a una platea più ampia (Gallo, 1993). La questione non sarebbe però stata soltanto economica: avrebbe contribuito in modo determinante l'enorme diffusione di prodotti farlocchi. Tra questi citiamo con i loro nomi gergali i giubbotti Fintcler (imitazioni del Moncler) e le scarpe Finterland (imitazioni delle Timberland). Quando queste contraffazioni resero difficile alla massa distinguere tra paninari autentici e pseudo-paninari, sarebbero scattati dirompenti meccanismi di estinzione tempestiva (Dionisi, 1988). Verso gli inizi degli anni '90 del XX secolo, i pochissimi superstiti del movimento si sarebbero all'improvviso votati ad altre mode, rilanciando i pantaloni a zampa di elefante; alcuni sarebbero addirittura confluiti nei cosiddetti maranza (Azzali, 1993). In genere il termine maranza è glossato come "teppista"; la cosa non deve sorprendere troppo, visto il passato rissoso di molti galli - anche se resta problematico l'aspetto tamarresco dei criminali di strada. 
Tutte queste ipotesi alla fine si dimostrano incapaci di spiegare l'accaduto. La realtà è infatti ben diversa: le ragioni della fine del Paninarismo vanno rintracciate in chi lo ha fabbricato.   

 
Paninari e neopaninari in Svizzera 
 
Ho trovato un documento nel Web sulla diffusione del Paninarismo a Berna. Ecco il testo, che risale al 1988, quando a Milano il movimento si era ormai esaurito: 
 
"Ciao Italia! Noi orsi* siamo per ora il nucleo più lontano dal Durango. Tenere alta la gloriosa reputazione paninara nella Bear-city sfiora l'impossibile, ma il Pan-look muore con noi. [...] Della lingua tedesca a noi non ce ne sdruma un drigo, perché usiamo un linguaggio troppo giusto!" 
 
*L'orso è il simbolo araldico della città di Berna. Risale alla Dea Artiona degli antichi Elvezi.  
 
Questo è il link al documento con l'interessante citazione, che è stato pubblicato nel 2018: 
 
 
Un accademico studioso di linguaggi giovanili, il professor Guido Petrojetta (Università di Friburgo), si occupò del caso. Notiamo che nel testo sopra riportato si trova il termine Durango, che nel gergo paninaro indicava l'Italia. Mi sono interrogato sulla sua esatta etimologia, pensando dapprima allo stato messicano di Durango, vista la passione che molti paninari avevano per i film western. Poi all'improvviso ho avuto l'intuizione. Proprio Durango era il nome di una rinomata marca di stivali amati dai paninari. La Penisola è anche chiamata Stivale, per via della sua caratteristica forma. Così da Stivale si è arrivati a Durango. Ho trovato nel Web diverse attestazioni di questo vocabolo gergale. Su Facebook e altrove è documentata la presenza di qualche seguace tardivo del movimento: 
 
"Siamo pochi e sparsi per tutto il Durango ma ci siamo ancora"
(cit., 2020)  

"e oggi l’Italia ha disimparato a giocare col linguaggio perché non scherza più, non vuole più essere un Durango stragallosissimo di Dio."
(cit., 2016) 

Gli autori di questi interventi non sarebbero superstiti degli anni '80, ma esponenti di una nuova generazione di paninari formatisi dalla riattivazione della moda, avvenuta verso il 2012 a Milano (Benazzo, 2018). In questo contesto si è avuto l'avvistamento di un paninaro a Basilea. Dalla sua intervista si hanno indizi della presenza di seguaci del movimento anche in Germania (Benazzo, 2018). Il paninaro scoperto a Basilea è discendente di immigrati milanesi, giunti in Svizzera negli anni '70 dello scorso secolo. Tecnicamente parlando è un neopaninaro. Si dovrebbe parlare di Neopaninarismo per indicare il movimento riattivato negli anni '10 del XXI secolo. Ecco il link al documento:
 
 
Come si vede, il Paninarismo arrivò ben oltre il Canton Ticino e il Neopaninarismo è poi giunto ad allignare in Germania, dovunque ci fossero discendenti di immigrati italiani. 
 
Testimonianze dell'estinzione del Paninarismo 

Era il 1987. Un anno luttuoso per la musica: aveva fatto la sua comparsa Jovanotti e alla radio non trasmettevano quasi più brani decenti. Mi trovavo a Milano, di ritorno dalle vacanze estive. L'aria che si respirava era cambiata. All'improvviso mi resi conto che i paninari non esistevano più. Non ne vedevo più nel centro di Seregno. Non ne vedevo più in stazione, né a Seregno né a Milano. Non ce n'erano nemmeno sul treno. Vero è che quasi nessun paninaro frequentava il corso di laurea in Fisica all'università di Via Celoria, ma ormai non se ne vedevano più nemmeno nelle facoltà umanistiche di Via Festa del Perdono, dove le sfitinzie abbondavano. Nell'ateneo dove studiavo e soffrivo, ricordo soltanto una tale Barbara Duncan, che vestiva con abiti firmati e che dava feste orgiastiche esclusive - a cui non ero certo invitato. Ero un reietto e un immondo paria già a quei tempi. L'attillata Barbara Duncan non resse molto a Fisica: il suo ambiente ideale era la Milano da annusare. Per il resto, essendo quell'infelice sede universitaria infestata dai ciellini, l'estinzione dei paninari non aveva portato grandi cambiamenti. Una cosa mi ha sempre stupito: la perfetta sincronia nell'abbandono di un costume che sembrava destinato a diventare universale. Era come se tutti i paninari si fossero messi d'accordo, in un tempo in cui Internet non esisteva, in cui non c'erano smartphone, lanciando un tam tam con l'ordine di smettere all'istante l'uso dei Moncler e delle Timberland. Assurdo! Eppure questa impressione è sempre rimasta in me fortissima (Moretti, 1987). Alcuni anni dopo, nel borgo montano di Malesco, situato nell'impervia Ossola, ho potuto vedere che i paninari erano ancora presenti. In quei distretti si è registrato un ritardo nell'estinzione del Paninarismo rispetto all'ambiente metropolitano milanese (Cazzaniga, 1994).
 
Rimozione, oblio e ritornanti
 
Nel 2012 mi sono imbattuto in L., una ragazza che si era da poco laureata al Politecnico di Milano. Mentre parlavamo del più e del meno, mi ha riportato il caso di un "paninaro" che era diventato un eroe rifiutandosi di pagare il pizzo ai mafiosi. Sono rimasto allibito. Dopo alcuni minuti di malintesi imbarazzanti da parte di entrambi, è emersa la realtà dei fatti: con "paninaro", L. intendeva il venditore ambulante di panini e ignorava del tutto che esistesse un'altra accezione della parola. Nel 1982, quando si videro i primi paninari al bar Al Panino di Piazza Liberty, L. al massimo era sperma nei testicoli di suo padre. A distanza di 30 anni da allora, l'esistenza del Paninarismo era stata addirittura rimossa a Milano. Se avessi parlato a L. degli Antitrinitari, degli Anabattisti di Münster o dell'Eretico di Lacchiarella, avrei anche potuto capire il suo stupore. Meno comprensibile è che una milanese trasecolasse nel sentir parlare di una subcultura tanto recente. Tanto più che proprio nel 2012 si era svolto un raduno di paninari in Piazza San Babila. Si trattava sia di superstiti degli anni '80 che di giovani neopaninari (Benazzo, 2018). Secondo altri erano soltanto rievocazioni nostalgiche organizzate ad arte (Canziani-Crivelli, 2015). In ogni caso ne concludiamo che Milano è vasta: una giovane sbarbina come L. poteva anche non conoscere ogni diverticolo della metropoli.  
 

Il Paninarismo come religione 

Nel 1986 negli ambienti paninari si parlava troppo di Dio. Lo si menzionava troppo. Il Gallo di Dio. Il Gallo Supremo del Dio Vivente. Il Dio Galloso. Il Durango di Dio. Qualcuno cominciava a credere in un destino ultraterreno per chi seguiva i precetti dall'abbigliamento griffato: la Grande Paninoteca Celeste, dove si cuccava senza sosta. Ancora un po' e si sarebbero circolate frasi come "Tu non sei veramente morto se credi nel Grande Gallo", "Il Grande Gallo ha creato l'Universo", "Ci attendono grandi viali celesti da percorrere in Zündapp". La subcultura giovanile stava diventando qualcosa di ipertrofico, correndo il rischio di svilupparsi in una nuova religione, il Gallismo. In fondo anche il Cristianesimo aveva aveva avuto inizi modesti all'epoca dell'antica Roma - forse proprio a partire da un esperimento antropologico (Atwill, 2005). Nessuno ne avrebbe saputo prevedere gli sviluppi. Dirò di più. Il Gallismo sarebbe stato la prima religione nella storia del genere umano con questa caratteristica: l'etica coincide con l'estetica. Posso immaginare l'accaduto e lo ricostruisco sotto forma di narrazione, anche se ovviamente non ne sono stato testimone. A Berlusconi non piacque quanto gli fu riportato, così decise di far cessare in modo subitaneo l'esperimento antropologico. Il Magnate di Hardcore non voleva derive religiose tanto destabilizzanti, non intendeva permetterle, quindi staccò la spina e pose fine al progetto. Interruppe i finanziamenti da un giorno all'altro. Diede ordini a Enzo Braschi di smetterla con le sue prediche paninaresche. Così fu inventata in fretta e furia una nuova pantomima guittesca per il comico: Braschi era stato chiamato alla leva militare e cominciò a interpretare il ruolo di una recluta ottusa, che sapeva quasi soltanto recitare il ritornello "gnornò", lapalissiana contrazione di "signor no". Domanda del caporale: "Sei macaco?" Risposta della recluta: "Gnornò!" I paninari furono colti dal terrore. Sapevano che li aspettava la naja, che non potevano sottrarsi agli obblighi militari e che sarebbe stata la fine della loro bella vita. Dopo una simile agonia, Drive In chiuse i battenti, nell'aprile del 1988. Così la religione paninara non poté svilupparsi. Fu estirpata sul nascere. I paninari superstiti non si ripresero dal colpo. Il fumetto Paninaro smise di essere pubblicato di lì a poco, nel 1989. Il servizio di leva non ebbe comunque lunga vita: fu abolito nel 2004, poco più di un decennio dopo gli eventi da me descritti. I boomerang hanno la strana capacità di tornare da chi li lancia, anche se è un multimilionario.
 
Il Neopaninarismo è un culto del cargo?

Non si può evitare di notare che il contesto in cui sono comparsi i neopaninari è profondamente diverso da quello degli anni '80 dello scorso secolo. Manca del tutto l'ottimismo, la fiducia in un futuro radioso. Allora perché qualcuno sta rievocando qualcosa che non ha attinenza con la nostra epoca inquieta? Forse il fenomeno neopaninaro è una forma di culto del cargo. Alcuni pensano questo: vestendosi come nei frivoli anni '80 e riportando in vita un'estinta identità di gruppo, ritorneranno l'abbondanza e la spensieratezza di quei tempi, per magia simpatica. Il Paninarismo è stato un esperimento antropologico, come abbiamo dimostrato. Il Neopaninarismo non è un esperimento antropologico: è un imprevisto.    
 
 
Violenza, religione, ingiustizia e morte  
 
Questa è la scheda tecnica della canzone dei Pet Shop Boys, che conserva traccia di quanto ho esposto sulle derive religiose del Paninarismo: 
 
Singolo: Paninaro 
Artista: Pet Shop Boys
Album: Suburbia
Anno: 1996 
Paese: Regno Unito 
Lingua: Inglese 
Genere: Synth pop 
Produttore: Pet Shop Boys 
Etichetta: Parlophone

Testo:

Passion and love and sex and money
Violence, religion, injustice and death
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Girls, boys, art, pleasure
Girls, boys, art, pleasure
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Food, cars, travel
Food, cars, travel, travel
New York, New York, New York
New York
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Armani, Armani, ah-ah-Armani
Versace, cinque
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Armani, Armani, ah-ah-Armani
Versace, cinque
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
I don't like country-and-western
I don't like rock music
I don't like, I don't like rockabilly 
or rock 'n0 roll particularly
Don't like much really, do I?
But what I do like I love passionately
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
You, you're my lover, you're my hope, you're my dreams
my life, my passion, my love, my sex, my money
violence, religion, injustice and death
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
Don't like much really, do I?
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh
But what I do like I love passionately
Paninaro, Paninaro, oh, oh, oh

Ispirazione: 
 
"Eravamo a Milano a fare promozione, vedemmo dei ragazzi vestiti in modo curioso. Noi eravamo considerati alternativi. Loro sembravano più fan di Madonna o Wham! Ma ci arrivò l'ispirazione per un brano con un coro oh-oh che sembrava piacere tanto all'Italia in quel momento la intitolammo così".  
(Neil Tennant)
 
Il brano fu registrato nuovamente nel 1995, circa un decennio dopo l'estinzione del movimento. Gli fu dato un nuovo nome: Paninaro '95 e usato per promuovere l'album Alternative
 
La religione a cui alludono i Pet Shop Boys è il Gallismo, non certo l'agonizzante bigottismo dei vecchi o il rampante fanatismo di Comunione e Liberazione. La menzione della violenza consiste nell'ingigantimento delle tensioni tra paninari e gruppi ostili (punk, estremisti di sinistra chiamati Ciàina o cinesi, metallari, etc.). La menzione dell'ingiustizia fa riferimento all'ostentazione della ricchezza. E la morte? Mi sembra facile capirlo. Qualcuno a forza di fiutare sacchi di bamba ci sarà pure rimasto secco.
Secondo alcuni questa canzone contribuì ad esportare la moda persino in Albione. Secondo altre fonti era soltanto un'eco della subcultura giovanile italiana, che aveva raggiunto il Regno Unito come un tentacolo sporadico (Falchi, 2003). Sono abbastanza scettico sulla diffusione del Paninarismo in Albione a partire dal 1986, né mi risultano attestazioni di una sua presenza negli Stati Uniti. 
 
Riferimenti

Atwill, 2005: Caesar's Messiah
Azzali, 1993: comunicazione personale 
Benazzo, 2018: Spazio Sara (www.missprettysara.com
Braschi, 2017: Enzo Braschi, il Paninaro di Drive In: "Oggi mi occupo di indiani d’America e ufo", intervista su www.tvblog.it
Canziani-Crivelli, 2015: Raduno dei paninari a Milano: la generazione 'troppo giusta' degli anni '80, su Blasting News Italia (it.blastingnews.com)
Cazzaniga, 1994: comunicazione personale  
D'Agostino, 1985: Quelli della notte (programma televisivo di Renzo Arbore e Ugo Porcelli, trasmesso su Rai2).
D'Agostino, 2011: Gli anni dell'Edonismo Reaganiano, su La Stampa (www.lastampa.it), 6 febbraio 2011  
De Benedetti, 2015: La situazione è grammatica, Einaudi, 2015 
Dionisi, 1988: comunicazione personale
Falchi, 2003: cominicazione personale 
Gallo, 1993: comunicazione personale 
Leggeri, 2015: Trooooooppo scarsi!!! I Paninari a fumetti. (www.lospaziobianco.it)  
Meroni et al., 2012: Adolescenti di oggi e generazioni precedenti: Emo & Co., Rivista di psicoterapia relazionale: 35, 1, 2012, pag. 19 
Mignani, 1994: L'uomo che inventò la Milano da bere, su La Stampa (www.lastampa.it), 1 aprile 2008
Montanelli, 1979: I nonni del '68, su Il Giornale nuovo, 16 gennaio 1979
Monti, 1985: comunicazione personale 
Moretti, 1987: memorie
Sam Arko, 2007: Vero e falso dei paninari, thread su Narchive.com.
Santolini, 2008: L'uomo che inventò la Milano da bere, su La Stampa (www.lastampa.it), 1º aprile 2008 
Verdoia, 2013: intervista in Troppo giusto - Storia dei paninari italiani (www.vice.com)

lunedì 17 maggio 2021

INGLESE CUCKOLD, FRANCESE COCU 'CORNUTO', GERGO PANINARO CUCCARE 'FARE SESSO'

Una parola inglese è diventata molto famosa: cuckold "cornuto". La si trova moltissime volte nei siti pornografici come xHamster. Come lemma tecnico del mondo del porno, l'epiteto cuckold indica un uomo passivo che presta volentieri la sua compagna a estranei perché ne godano sessualmente. In genere si tratta di energumeni che si fanno praticare sesso orale e la penetrano, arrivando infine a coprirla di sperma. Il costume è attecchito, tanto che si trovano bizzarri commenti dovunque. Ne ricordo due in particolare. Un marito portava la moglie a fare pompini gratuiti a sconosciuti e stava a spiarla, lamentandosi poi del fatto che lei si sentiva a disagio. Un altro marito sospirava e scriveva: "Non riesco a convincere la mia compagna a realizzare il mio sogno, quello di essere reso cornuto". Molti sono riusciti nell'intento. Godono a tal punto nel vedere la moglie fare le gangbang spermatiche, che eiaculano senza nemmeno toccarselo. Questo è quanto. Tramite la pornografia, l'ennesimo anglismo è stato importato in italiano: cuckold, pronunciato in modo approssimativo come /'kakold/. Perché importare cuckold se già abbiamo le parole cornuto e becco? Perché cuckold non è davvero un "prestito di lusso". C'è infatti una sfumatura particolare nella parola inglese: il cuckold desidera essere un cornuto, spasima, vuole che la consorte sia posseduta da altri. Il cornuto classico invece è ignaro delle attività che lo hanno reso tale, potendo reagire con furia nel caso ne venisse al corrente.

Quando ero uno scolaretto, mia madre mi insegnava alcune parole di francese, che ricordava dai tempi della scuola. Cose molto semplici, come table "tavolo", ville "città", garçon "ragazzo", fille "ragazza", rien "niente" etc. Qualche anno dopo, avendo visto un film in cui Cary Grant interpretava il ruolo di un becco, le chiesi come si dicesse "cornuto" in francese. Lei prontamente mi rispose: "Si dice cocu". All'epoca dell'università, studiando su un dizionario Nahuatl-Francese, appresi che in Francia il verme cornuto del tabacco è chiamato ver cocu. È un bruco verdognolo e pingue, molto odiato dai coltivatori di tabacco per la sua voracità. È la larva della sfinge del tabacco (Manduca sexta), una bella falena grigiastra e setosa. La glossa francese dell'azteco ocuilin cuācuahueh (pronuncia /o'kwilin kwa:'kwaweɁ/) è proprio "ver cocu". Quindi in alcuni contesti la parola cocu allude a protuberanze fisiche, non soltanto alla condizione del marito becco. Questo è un caso curioso e di difficile soluzione.

Si capisce a colpo d'occhio che l'inglese cuckold (pronuncia /ˈkʌkəʊld/, /ˈkʌkoʊld/, /ˈkʌkəld/) "cornuto" è connesso strettamente al francese cocu (pronuncia /kɔ'ky/) "cornuto", femminile cocue "cornuta", plurale maschile cocus "cornuti", plurale femminile cocues "cornute". Basta poco a comprendere che la parola inglese è stata presa a prestito dal francese. 

1) Questa è la trafila che ha portato alla parola inglese moderna:

Antico francese: cucuault => 
Medio inglese: cokewold =>
Inglese moderno: cuckold
Varianti in medio inglese: cockewold, cokolde, kukwald, kukewald, kukeweld.   

2) Questa è l'analisi della parola sorgente: 

Il suffisso antico francese -ault deriva direttamente dalla lingua dei Franchi, in cui suonava -wald, ben attestato nell'onomastica e adottato in romanzo come accrescitivo/peggiorativo.
Protogermanico: 
*-waldaz "dominatore, condottiero", 
*waldanan "dominare".
Gli adattamenti in medio inglese somigliano molto alla forma germanica originaria, segno che esisteva ancora tra i parlanti una capacità di riconoscere questo elemento. 
In antico francese il suffisso -ault è aggiunto a cucu "cuculo", con allusione alle abitudini di parassitismo procreativo dell'uccello. 
 
2) Questa è la trafila che ha portato alla parola francese moderna: 
 
Antico francese: cucuault => 
Francese moderno: cocu

3) Si sono venute a formare queste contrapposizioni: 

Inglese:  
cuckoo /'kʊku:/ "cuculo" : cuckold /'kʌkǝld/ "cornuto"
 
Francese: 
coucou /ku'ku/ "cuculo" : cocu /kɔ'ky/ "cornuto" 
 
Una miniera di informazioni utili 
 
Questo riporta il dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline
 
 
cuckold (n.)
 
"derisive name for a man whose wife is false to him, "husband of an adulteress," early 13c., kukewald, cokewold, from Old French cucuault, from cocu (see cuckoo) + pejorative suffix -ault, of Germanic origin. So called from the female bird's alleged habit of changing mates, or her authentic habit of leaving eggs in another bird's nest."

Traduzione in italiano: 
 
"nome derisorio per un uomo la cui moglie è falsa nei suoi confronti, "marito di un'adultera", primo Trecento, kukewald, cokewold, dall'antico francese cucuault, da cocu (vedi cuckoo) + suffisso peggiorativo -ault, di origine germanica. Così chiamato dalla supposta abitudine femminile dell'uccello di cambiare compagno, o dell'autentica abitudine di lasciare uova nel nido di un altro uccello."
 
E ancora: 

"In Modern French the identity is more obvious: Coucou for the bird and cocu for the betrayed husband. German Hahnrei (13c.), from Low German, is of obscure origin. The second element seems to be connected to words for "ardent," and suggests perhaps "sexually aggressive hen," with transferal to humans, but Kluge suggests rather a connection to words for "capon" and "castrated." The female equivalent, cuckquean, is attested by 1560s."
 
Traduzione in italiano:  

"In francese moderno l'identità è più ovvia: coucou per l'uccello e cocu per il marito tradito. Il tedesco Hahnrei (Tredicesimo secolo), dal basso tedesco, è di oscura origine. Il secondo elemento sembra essere connesso a parole per "ardente", e suggerisce forse "gallina sessualmente aggressiva", con trasferimento agli umani, ma Kluge suggerisce piuttosto una connessione a parole per "cappone" e "castrato". L'equivalente femminile, cuckquean, è attestato dagli anni '60 del Cinquecento." 

Il Paninarismo e l'imperativo di cuccare

I paninari degli anni '80 dello scorso secolo facevano uso ed abuso del termine cuccare "fare sesso con una ragazza". Da tale verbo, che potremmo definire braschiano in quanto promosso dal comico Enzo Braschi, deriva per retroformazione il sostantivo cucco "atto di fare sesso con una ragazza". Si noterà che il verbo cuccare può essere intransitivo (es. "ieri sera ho cuccato") oppure transitivo (es. "sono riuscito a cuccare la sfitinzia arrapation"). Pochi sanno che queste parole erano già in uso nel gergo dei cicisbei del XVIII secolo. In origine il verbo cuccare significava "ingannare" ed è derivato da cucco "cuculo". Rimangono ancora alcune tracce dell'uso originario. La frase "non mi cucchi" significa "non m'imbrogli"
 
1) Questa è una possibile trafila semantica: 
 
cuccare "ingannare" => 
cuccare "convincere con l'inganno una donna a fare sesso"
cuccare "fare sesso con una donna"  
 
2) Questa è una trafila semantica alternativa: 

cuccare "agire come il cuculo" (= *cuculare)
cuccare "sedurre una donna, rendendo cornuto suo marito"
cuccare "fare sesso con una donna" 

Il fatto che cuccare possa essere un verbo transitivo fa pensare che la trafila 2) sia migliore della trafila 1).

Ai nostri giorni pochi usano la parola cucco per indicare il cuculo (Cuculus canorus). Ormai è diventata obsoleta e si conserva essenzialmente in una frase fatta: si dice "vecchio come il cucco" o "vecchio come il cucù", con riferimento al mitico pseudo-piccione strabico e parassitario. Forse il riferimento è al fatto che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, come  scritto nell'Ecclesiaste. In quest'ottica il trucco del cuculo è il più antico di tutti, proprio come la prostituzione è il più antico di tutti i mestieri. Ricordo ancora che l'amico Giovanni "X" De Matteo inveiva giustamente contro la Marvel, rea di aver trasformato Capitan America in una specie di neonazista affiliato all'organizzazione terroristica Hydra. Così scriveva (non ricordo tutte le parole in modo perfetto): 
 
"Come possono pensare che i fan rivorranno indietro il personaggio se ha commesso crimini contro l'Umanità? Come credono di uscirne? Con qualche trovata vecchia come il cucco, del tipo 'me lo hanno fatto fare gli alieni' oppure 'è stato un sogno'? Saluti, Casa delle Idee!" 
 
Vorrei riportare il testo nella sua forma originale, ma purtroppo è sparito da FB e dall'intero Web. Si noterà che cucco e cucù non sono due parole del tutto intercambiabili. Si dice orologio a cucù, non orologio a cucco (anche se nel Web si trova qualche attestazione). Mi affascinano queste sottigliezze della lingua italiana. 

venerdì 14 maggio 2021

LA SPIEGAZIONE BIOLOGICA DEL CICISBEISMO: UN FENOMENO DI PARASSITISMO PROCREATIVO

Può sembrare incredibile a dirsi, eppure si ravvisano somiglianze impressionanti tra il modo di agire del cicisbeo del XVIII secolo e quello del cuculo (Cuculus canorus, Linnaeus 1758), un uccello obbligato al parassitismo procreativo, come ciascuno ben sa. Il cuculo sembra un grosso piccione strabico dal piumaggio ventrale striato. La sua parentela genetica più prossima è però con i pappagalli. 
 
 
L'attenta osservazione dell'azione parassitaria del cuculo ha portato ad alcune conclusioni sorprendenti, che fino a un passato recente non erano affatto scontate. Eccole, in estrema sintesi: 
 
1) Non è vero che la femmina del cuculo abbandona le uova nel nido altrui e fugge via: resta nascosta nei paraggi a sorvegliare che tutto proceda per il meglio, mettendo in atto tattiche mafiose di intimidazione qualora questo non avvenga; 
2) Non è vero che gli uccelli parassitati dal cuculo non si accorgono della natura dell'intruso loro affibbiato: lo nutrono per paura e subiscono terribili rappresaglie qualora cerchino di espellerlo dal loro nido. 
3) Non è un mistero come il giovane cuculo possa apprendere il suo caratteristico verso ("gukkù! gukkù! gukkù!"), perché la madre non si allontana mai davvero da lui fino a che non è diventato indipendente: il nidiaceo ha così tempo e modo di udire il verso di cuculi adulti e di impararlo. A emettere il richiamo è soltanto il maschio. Tuttavia è incontestabile che dove c'è una femmina, lì i maschi si aggirano infallibilmente.
 
Ovviamente riesce difficile fare paragoni tra un volatile e un essere umano, tuttavia mi arrischio a tentare l'impresa. Il cavalier servente riusciva nella sua opera di seduzione e deponeva lo sperma nel ventre della dama. Così facendo trasmetteva il proprio patrimonio genetico e impediva la trasmissione di quello del legittimo consorte. Stando sempre appiccicato alla sua Signora, non permetteva al di lei marito di accedere all'intimità coniugale. Se un uomo amava davvero sua moglie (cosa rara ma non impossibile), si ritrovava in casa il proverbiale terzo incomodo, cosa che di fatto vanificava l'essenza del matrimonio e ne lasciava intatta unicamente l'apparenza. 
 
 
Mater semper certa, pater nunquam. In questi casi cicisbeali si poteva avere qualche certezza sul padre, che però non era quello legittimo. Oggi le cose vanno diversamente: quando si vede un pargolo, la gente attribuisce senza indugio la sua origine "a mamma e a papà". L'ipocrisia borghese fa sì che queste stupidissime parole lallatorie, mamma e papà, siano usate persino quando un figlio è adottivo e non ha geni ereditati da chi lo cresce. All'epoca di cui stiamo trattando i percorsi erano più tortuosi, perché intervenivano le corna! Sono convinto dell'utilità di certi esercizi speculativi, così mi accingo ad arrischiarne uno - anche se ovviamente non ho a disposizioni moderni strumenti di analisi del DNA estratto da resti umani. Ecco una rudimentale analisi genetica dell'autore de I promessi sposi
 
Alessandro Manzoni (1785 - 1873)
1) parte materna: 
50% del corredo genetico da Giulia Beccaria;
2) parte paterna:
50% del corredo genetico da Giovanni Verri;
3) risultato del parassitismo procreativo:
0% del corredo genetico da don Pietro Manzoni.  

Stando al suo genoma, l'artefice della lingua che tuttora parliano quotidianamente era dunque era un Verri-Beccaria, non un Manzoni-Beccaria. Questi non sono pettegolezzi di male lingue, come spesso li liquidano gli accademici. Sono fatti incontrovertibili. Così scriveva Niccolò Tommaseo sul Manzoni: 

"Anco di Pietro Verri ragiona con riverenza, tanto più ch'egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d'essere nepote di lui, cioè figliuolo d'un suo fratello, cavaliere di Malta."
(Colloquii col Manzoni, pubblicati per la prima volta e annotati da Teresa Lodi nel 1928) 
      
Piero Angela direbbe che tutto questo è più che positivo, perché è una strategia riproduttiva che favorisce la trasmissione dei geni dei più adatti, facendo soccombere e disperdere nel Nulla coloro che la Natura ha sentenziato, definendoli "rami secchi". In fondo credo che la fortuna di poter adorare una Signora non l'avrò mai: solo e dannato, mi avvio verso la Morte Ontologica. Credo che anche Richard Dawkins concordebbe appieno con queste conclusioni, data la sua fissazione ossessiva sul gene egoista, con tutte le conseguenze che ne derivano. Qualcuno può forse confutare quanto ho esposto? 

mercoledì 12 maggio 2021

ETIMOLOGIA DI CICISBEO

Il cicisbeo era il cavalier servente, una figura oggi inconcepibile ma molto diffusa nel XVIII secolo. Ogni dama sposata aveva un gentiluomo che la seguiva dovunque e attendeva alle sue necessità corporali, col benestare del marito, che non si sarebbe mai sognato di svolgere compiti che reputava degradanti. Solo per fare un esempio, una delle incombenze del cavalier servente era quella di occuparsi della pulizia e della cura dell'ano della sua Signora. Quando lei defecava, lui le puliva con amore lo sfintere. In tale contesto ambiguo e pruriginoso, non era raro che simili morbosità avessero come conseguenza una relazione sessuale. Ai figli nati da queste unioni era attribuita la paternità del marito, in modo automatico. Va detto che esistevano anche cicisbei omosessuali, cosa di cui esiste esplicita documentazione (Steegmuller, 1991). Quando il marito della dama era cornuto, lo sapeva e tuttavia non se ne curava. Era cornuto e contento. Ogni cosa era alla luce del sole. Il cicisbeo abitava nella dimora dei coniugi. Accompagnava la dama persino in chiesa. Qualsiasi manifestazione di gelosia da parte del marito della dama lo esponeva allo scherno generale: sarebbe stato coperto di ridicolo. Si tenga conto del fatto che all'epoca i matrimoni tra aristocratici non erano altro che contratti sociali gravosi dettati da ragioni politiche, le cui motivazioni escludevano per definizione l'amore e la passione. Sappiamo che Giovanni Verri servì come cicisbeo Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni. L'illustre scrittore milanese potrebbe essere stato concepito tramite le corna! Giovanni Verri era fratello di Pietro Verri, famoso economista, storico e letterato. Giulia Beccaria si dava parecchio da fare e rimediò come amante Carlo Imbonati, a cui lo stesso Manzoni dedicò una poesia. Un altro cicisbeo illustre fu Vittorio Alfieri, che servì la marchesa Gabriella Falletti per un periodo di due anni. Le regole del cicisbeismo stabilivano che un cavalier servente non poteva avere relazioni con donne diverse da quella a cui prestava i suoi servigi. La dama poteva troncare la relazione in qualsiasi momento, nel qual caso il cicisbeo cacciato via era definito spiantato. La diffusione del fenomeno includeva diverse grandi città italiane, tra cui Venezia, Milano, Firenze, Roma e Genova, oltre a Nizza, che attualmente si trova in Francia. In Francia questa pratica non era amata e poneva gravi problemi legati all'infedeltà coniugale e soprattutto alla legittimità della filiazione. Il cicisbeismo contribuì a far sì che in Francia fosse diffusa una cattiva opinione degli Italiani. Non a caso il mondo dei cavalier serventi andò in crisi quando furono introdotte nella Penisola le idee della Rivoluzione Francese; il Risorgimento contribuì attivamente alla sua estinzione. La sfrontatezza dell'aristocrazia decaduta fu sostituita dalla ripugnante ipocrisia borghese. 
 
 
Derivati:
cicisbeare "fare da cavalier servente a una dama"; "fare il galante con le donne", "agire come un corteggiatore o un seduttore"  
cicisbeatura "atto e abitudine da cicisbeo"
cicisbea "donna vanitosa e futile che ama farsi adorare"
cicisbeismo "atteggiamento proprio dei cicisbei"; "il costume dei cicisbei" 

Sinonimi del termine nell'accezione moderna: 
attillato 
bellimbusto 
damerino 
galletto 
vagheggino 
zerbinotto 

Proverbio toscano: 
Cicisbei e ganzerini fanno vita da facchini.
 
Qual è l'etimologia della parola cicisbeo? Notiamo subito la presenza di un gruppo consonantico particolare, sb. Nella lingua italiana il gruppo consonantico sb /zb/ non è eccezionale ma nemmeno comunissimo. Ricorre in quattro casi: 
 
1) Parole che iniziano con sb-, in cui il prefisso s- è l'esito del prefisso latino ex-. In molti casi sono verbi e loro derivati, meno spesso sono sostantivi e aggettivi non derivati da verbi, in cui il prefisso in questione funge da peggiorativo o intensivo.
Esempi: 
    sbadigliare (da cui sbadiglio)
    sbagliare (da cui sbagliato, sbaglio
    sballare (da cui sballo
    sbalzo 
    sbaraccare
    sbarrare (da cui sbarrato)
    sbellicarsi 
    sberla (non deverbale) 
    sberleffo (non deverbale)  
    sbilenco (non deverbale)
    sbirciare  
    sbirro (non deverbale)
    sboccare  
    sboccato "volgare" (non deverbale) 
    sbocciare
    sbolognare  
    sbornia (non deverbale) 
    sborone (non deverbale, da boria)
    sborrare "eiaculare" (da cui sborra "sperma", sborrata 
        "eiaculazione") 
    sborrare "togliere la lanugine" (caduto in disuso)
    sbudellare 
Raramente abbiamo un gruppo consonantico più complesso, sbr- /zbr-/.
Esempi: 
    sbraitare 
    sbranare 
    sbriciolare  
    sbrinare 
    sbrogliare 
    sbruffone (dal verbo sbruffare "darsi arie", caduto in disuso)
Il gruppo consonantico sbl- /zbl-/ è ancor più raro. 
Esempio: 
    sbloccare (da cui sblocco)
2) Prestiti dotti dal greco classico o neologismi formati a partire da tale lingua. In questo caso il gruppo consonantico sb compare all'interno della parola.
Esempi: 
    asbesto "amianto" 
    Lesbo (nome di un'isola)
    lesbica "omosessuale femmina"
    olisbo "dildo, fallo finto" 
    Tisbe (nome proprio femminile)
3) Parole prese a prestito da altre lingue. Spesso sono toponimi e antroponimi, ma non sempre. 
Esempio: 
    casba, kasba (dall'arabo qaṣba "fortezza")
    Lisbona 
    nisba "niente" (colloquiale, dal tedesco nichts
    Ozzy Osbourne
4) Formazioni onomatopeiche. 
Esempio: 
    bisbigliare 

Si nota subito una cosa: se togliamo le parole in cui il gruppo consonantico in questione ricorre in posizione iniziale, rimane veramente poco. In quale categoria dovrebbe essere inserita la parola cicisbeo? L'ipotesi più accreditata tra gli accademici è che sia una formazione onomatopeica, proprio come bisbigliare. In veneziano esisteva la parola espressiva cici, che indica il cicaleccio, il chiacchericcio delle donne. Il cicisbeo avrebbe ricevuto questo nome che era una sorta di trascrizione fonetica del chiacchiericcio in cui viveva immerso. Gli ambienti in cui prestava i suoi servigi erano pervasi senza sosta da un monotono brusio di pettegolezzi femminili. La vita del cavalier servente doveva essere incredibilmente frivola, anche se ricca di soddisfazioni sensuali.  

Le prime attestazioni 

La parola cicisbeo è riportata per la prima volta nel 1708 nell'opera del predicatore Giovanni Maria Muti, Quaresimale del Padre Maestro Fra Giovanni Maria Muti de Predicatori. Dieci anni più tardi, nel 1718, compare in una lettera della meritoria nobildonna Lady Mary Wortley Montagu, la stessa che documentò le ultime sopravvivenze dei Pauliciani a Plovdiv, in Bulgaria.

Cicisbeo e birignao 
 
Esiste un caratteristico modo di parlare che ha avuto origine proprio nell'ambiente dei cicisbei del XVIII secolo. È il cosiddetto birignao. Cos'è il birignao? Semplice: è una pronuncia artificiosa caratterizza da vocina nasale e da vocali finali allungate. Alcuni la definiscono "pronuncia leziosa fino al ridicolo, affettata, malamente teatrale" (cit.). Il termine è senza dubbio di origine onomatopeica: altro non è che un tentativo di trascrivere foneticamente questo tipo di pronuncia, che in qualche modo imita il miagolio dei gatti. Si narra che i Greci antichi, sentendo qualcuno parlare in una lingua diversa da quella dell'Ellade, udissero soltanto "bar bar" - da cui avrebbe tratto origine la parola barbaro (greco βάρβαρος, latino barbarus). In modo del tutto simile, quando le dame settecentesche e i loro adoratori parlavano, un uomo comune doveva sentire soltanto "miao, miao, birignao, birignao". Il fatto che la parola birignao sia onomatopeica deporrebbe a favore di un'origine onomatopeica anche della parola cicisbeo, dato che le due si sono formate fianco a fianco, per descrivere una stessa realtà.
 
Cicisbeo e Chichibio 
 
Senza dubbio è merito di Lovarini (1940) l'aver notato una strana somiglianza tra la parola cicisbeo e il nome di un personaggio della VI novella del Decameron di Boccaccio, Chichibio, che era un lussurioso ragazzotto esercitante la professione di cuoco. L'esatta pronuncia del singolare antroponimo è andata perduta: c'è chi dice Chichìbio e chi dice Chichibìo. Lovarini ha sostenuto questa idea: essendo questo Chichibio veneziano, il suo nome deve essere stato trascritto secondo la consuetudine veneziana, con il digramma ch che è pronunciato come un suono palatale. Così Chichibio viene a coincidere con cicibìo, che è la trascrizione fonetica del canto del fringuello o del beccafico. Questo cicibìo somiglia un po' a cicisbeo e ne potrebbe essere l'origine. Un'altra possibilità è che Boccaccio abbia ipercorretto la parola cicibìo in Chichibio, con un suono occlusivo velare: in fondo, secoli dopo il veneto còcio "tipo di carrozza" è stato ipercorretto in cocchio. La trovo un'idea sommamente interessante e meritevole di indagini approfondite. Di questo argomento si è occupata la vetusta Accademia della Crusca. Riporto il link: 
 
 
Alcune etimologie implausibili

Navigando nel vasto Web sono venuto a conoscenza alcune singolari leggende, tra loro molto simili. Le riporto senza indugio.
 
1) Il cicisbeo sarebbe stato chiamato così da un adattamento veneziano del francese chiche-beau, il cui corrispondente italiano è "cece bello" (non un ingannevole "ciccio bello"!). Siccome chiche è anche un termine colloquale per dire "piccolo" (cfr. spagnolo chico), la traduzione più idonea potrebbe invece essere "piccino bello". Questa proposta etimologica è sostenuta particolarmente dagli accademici tedeschi (la traduzione in tedesco è "schöne Kichererbse"). Non ha tuttavia fondamento alcuno, come dimostriamo nel seguito, con argomenti solidissimi. 
2) Secondo altri il cicisbeo sarebbe stato chiamato così dal toscano bel cece pronunciato al contrario, quasi come se fosse un "cece bello", che alcuni traducono come "bel pulcino" o "bel pisello". Questo cece bello sarebbe poi stato adattato in veneziano rendendo l'aggettivo bello con beo, producendo quindi cicisbeo attraverso un'incomprensibile mutazione. C'è sempre questo benedetto gruppo consonantico -sb- di cui nessuno sa render conto. 
3) A quanto sostiene la scrittrice e poetessa spagnola Carmen Martín Gaite, la parola cicisbeo in italiano significherebbe "in un sussurro". Non esiste alcun fondamento che possa giustificare questa "traduzione", è un po' come quando Walter Matthau sosteneva che Trabucco in latino significasse "Perdonatemi Padre perché ho molto peccato" (Buddy Buddy, Billy Wilder, 1981) o come quando Christian De Sica sosteneva che Ruòppolo in bolognese significasse "Per Bacco non lo so" (I pompieri, Neri Parenti, 1985). 
4) Secondo un grecista che segue la tradizione pedantesca, cicisbeo sarebbe una parola puramente ellenica, che qualche parruccone avrebbe formato dalle parole κῖκυς (kîkys) "forza, vigore" e σβέννυμι (sbénnymi) "estinguersi". Il cicisbeo sarebbe quindi un uomo effeminato, in quanto privo di forze virili. Si trova a malapena il tempo di deridere una simile baggianata.
 
Adattamenti in altre lingue 
 
Analizziamo ora il modo in cui la parola cicisbeo è stata importata in altre lingue d'Europa. 
 
1) Francese 
In francese il cicisbeo è chiamato sigisbée. La pronuncia più usata è /siʒis'be/, con un inesplicabile gruppo consonantico /sb/ la cui sibilante è sorda. La pronuncia /siʒiz'be/ esiste senz'altro, ma è meno prestigiosa. La variante cicisbée /sisis'be/ è desueta. Gli accademici francesi concordano nel ritenere questa parola un prestito dall'italiano cicisbeo. Non soltanto è falsa la derivazione di cicisbeo dal francese chiche-beau (la cui pronuncia sarebbe /ʃiʃ'bo/ o al limite /ʃiʃə'bo), ma possiamo vedere che è stato invece il francese a prendere a prestito sigisbée dall'italiano. Chi ha fabbricato l'etimologia di cicisbeo dal fantomatico chiche-beau non ha semplicemente controllato le parole usate in altre lingue per esprimere il concetto. Nell'immaginario collettivo italiano, ogni bizzarria sessuale sarebbe stata importata dalla Francia. Si è quindi portati a credere che il cavalier servente fosse una figura che prosperava proprio oltralpe. Non è così. Le anomalie fonetiche della parola sigisbée sono con ogni probabilità spiegabili tramite una complessa serie di dissimilazioni spontanee, generatesi allo scopo di minimizzare le difficoltà di pronuncia. 
 
/*ʃiʃis'be/ => 
/*ʃiʒis'be/ => 
/siʒis'be/.  

Sinonimi di sigisbée sono chevalier servant e galant. Per maggiori informazioni si rimanda al sito La langue française (www.lalanguefrancaise.com):
 
 
Possiamo trarre da tutto ciò un'informazione della massima utilità. La pronuncia raccomandata in italiano è cicisbèo /tʃitʃiz'bεo/, anche i dati della lingua francese fanno pensare che un tempo fosse cicisbéo /tʃitʃis'beo/, con la vocale /e/ chiusa e con la sibilante sorda /s/
 
2) Inglese 
Nella lingua di Albione troviamo prestiti dall'italiano e dal francese per indicare il cicisbeo. Abbiamo queste forme: 
cicisbeo /ˌtʃɪtʃɪzˈbeɪəʊ/ (UK), /ˌtʃɪtʃɪzˈbeɪoʊ/ (USA)
cicisbee /sisiz'bi:/ 
sigisbeo /sidʒiz'beɪəʊ/ (UK), /ˌsɪdʒɪzˈbeɪoʊ/ (USA) 
Il celebre Lord George Gordon Byron servì come cicisbeo la contessa Teresa Gamba Guiccioli, che successivamente divenne marchesa di Boissy. Era una donna bellissima. Il suo servitore e amante la conobbe in senso biblico, lasciandole dentro il materiale genetico, come già aveva fatto con la sorellastra Augusta.       

3) Spagnolo  
La parola cicisbeo è stata adattata in spagnolo come chichsveo (variante ortografica: chichisbeo). Nel Diccionario de Autoridades (1729) è contenuta la seguente definizione: 

Chichisveo. Especie de galanteo, obsequio, y servicio cortesano de un hombre a una muger que no reprehende el empacho; pero le condena por peligroso la conciencia. Es voz italiana, de donde se ha introducido en España. 
 
Traduzione della glossa: 
 
"Una sorta di civetteria, dono e servizio cortese da parte di un uomo a una donna che non rimprovera l'imbarazzo; ma la coscienza lo condanna come pericoloso. È una voce italiana, da dove è stata introdotta in Spagna."

Si ritiene che questa sia una delle poche parole italiane entrate come prestiti nello spagnolo degli inizi del XVIII secolo. Non è giunta dalla Francia. Come notato da Luciana Gentilli (Università di Macerata, 2017), la voce citata nel dizionario è relativa al mestiere del cavalier servente piuttosto che alla sua concreta persona; vi trapela un bilioso astio moralistico fondato sull'invidia. 
Nello spagnolo del Messico esiste un'ulteriore evoluzione, sia fonetica che semantica, dell'italianismo chichisveo
chichifo /tʃi'tʃifo/ "prostituto omosessuale" 
Si nota la retrazione dell'accento, nata con ogni probabilità in contesti gergali.

4) Tedesco 
Oltre al prestito non assimilato cicisbeo, si trova in tedesco il calco dienender Kavalier "cavalier servente". La professione è detta Cicisbeat. Un altro sinonimo è Hausfreund, alla lettera "amico di casa" (si noterà che questa parola è un eufemismo per Liebhaber "amante"). Dal francese è giunta anche la denominazione Galan, alla lettera "galante".

Alcune note antropologiche

Il Divino Marchese Donatien Alphonse François de Sade, era molto scettico sulla natura carnale della relazione tra il cicisbeo e la sua Signora. Nella sua opera Histoire de Juliette, ou les Prospérités du vice, ha scritto quanto segue:

"Ceux qui croient que le sigisbée est un amant sont dans une grande erreur : il est l’ami commode de la femme, quelquefois l’espion du mari, mais il ne couche point, et c’est sans doute, de tous les rôles, le plus plat à jouer en Italie."

Traduzione: 

"Sbaglia di grosso chi crede che il cicisbeo sia un amante: è l'amico di comodo della moglie, a volte la spia del marito, ma non dorme <con lei>, e questo è senza dubbio, fra tutti i ruoli, il più piatto da recitare in Italia." 

Questo perché il Divino Marchese, che pure era un libertino sfrenato, doveva avere poca esperienza di certi aspetti della vita mondana delle città italiane, nonostante avesse viaggiato nella Penisola, non mancando di notare fenomeni come la corruzione a Firenze e la prostituzione infantile a Napoli. Molto strano. Probabilmente non lo interessavano affatto le vicende dei cavalier serventi, delle dame e dei mariti cornuti. Cercava cose più sanguigne e più turpi. Non si deve dimenticare un dettaglio di non poco conto: esistono numerose immagini pornografiche d'epoca che ritraggono i cicisbei itifallici in azione! 
 
Così scriveva Montesquieu, che ebbe occasione di vedere cicisbei in un suo viaggio a Milano: 
 
"Je ne vous ai parlé des sigisbées. C'est la chose la plus ridicule qu'un sot peuple ait pu inventer : ce sont des amoureux sans espérance, des victimes qui sacrifient leur liberté à la dame qu'ils ont choisie. Enfin, après les chevaliers errants, il n'y a rien de si sot qu'un sigisbée. On ne peut s'empêcher de rire en voyant passer une femme dans les rues dans sa chaise et un sénateur qui lui conte ses raisons, fait des gestes, et sa souveraine aussi, au milieux de la rue ; on ne peut s'empêcher de rire la première fois que l'on voit cela. Le sigisbée ne quitte pas sa dame d'un pas: il est toujours auprès d'elle et à ses ordres ; le crime d'indifférence est un crime impardonnable."
 
Traduzione: 
 
"Non vi ho parlato dei cicisbei. È la cosa più ridicola che un popolo stupido abbia potuto inventare: sono innamorati senza speranza, vittime che sacrificano la loro libertà alla dama che hanno scelto. Per me, dopo i cavalieri erranti, non vi è nulla di più sciocco di un cicisbeo. Non si può trattenere il riso alla vista di una signora che passa per strada, sulla portantina, e di un senatore che le (racconta le sue ragioni), gesticola come la sua sovrana, in mezzo alla strada; non ci si può trattenere dal sorridere la prima volta che si vede una simile scena. Il cicisbeo non si allontana dalla dama di un passo: è sempre vicino a lei ed ai suoi ordini; il delitto di indifferenza è un crimine imperdonabile."  
 
Charle Dupaty nelle Lettres sur l'Italie en 1785 (Volume 1, Lettera XX), attesta che il cicisbeismo era diffusissimo a Genova. Non era sconosciuto nemmeno in Francia, nonostante le furibonde polemiche che scatenava.  

"Qu'est-ce en apparence qu'un sigisbée? qu'est-il dans la réalité? comment une femme en prend-elle? comment un homme veut-il l'être? comment les maris en souffrent ils? est-ce le lieutenant d'un mari? jusqu'à quel poin le représente-t-il? quel est l'origine de cet usage? quelle cause l'entretient ou l'altère? quelle influence a-t-il sur les mœures? en trouve-t-on des traces ou des approximations dans les mœurs des autres peuples? Questions difficiles è résoudre! En deux mots, le sigisbée représente à peu près à Gênes l'ami de la maison à Paris." 
 
Traduzione:  
 
"Che cos'è in apparenza un cicisbeo? Che cos'è in realtà? Come una donna lo accetta? Come un uomo vuole esserlo? Come i mariti lo sopportano? È il sostituto del marito? Fino a che punto lo rappresenta? Qual è l'origine di questa usanza? Quale motivo la mantiene o la modifica? Che influenza ha sui costumi? Se ne trovano tracce o somiglianze nei costumi degli altri popoli? Domande a cui è difficile rispondere! In due parole, il cicisbeo rappresenta, più o meno, a Genova, quello che, a Parigi, è l'amico di casa."

A Genova si scopava liberamente e l'amore platonico non esisteva. Scopavano anche i preti. A quei tempi le cose erano così un po' ovunque, non soltanto nella città ligure. Incredibile come abbia potuto avvenire una restaurazione di precetti matrimoniali rigoristi. 

Il cicisbeismo in Spagna

Nella moderna Spagna esiste la radicata convinzione che quello del cicisbeo fosse amore puramente platonico, addirittura spirituale. Di fronte alla benché minima insinuazione del contrario, gli accademici iberici esclamano stizziti: "¡No es posible!", "¡No es posible!" Tutti i loro argomenti si riducono a questo. La realtà del XVIII secolo era ben diversa e ne è stata completata la rimozione. Questa è una delle tante manipolazioni ideologiche portate avanti dalle autorità spagnole. Possiamo trovare indizi del fatto che il cicisbeismo fu importato in Spagna dall'Italia, vi prosperò e destò immenso scandalo, conducendo quindi a una reazione violenta: una vera e propria campagna moralizzatrice anticisisbeale! 

"Orbene al di là delle diverse registrazioni linguistiche, il cavalier servente di dama d’alto lignaggio con la sua ritualità cogente, con i suoi nuovi paradigmi comportamentali è al centro di una vera e propria trasformazione epocale, che nella Spagna settecentesca ingenererà vivaci proteste e prese di posizione sessuofobe." 
(Gentilli, 2017) 

Nella citata opera di Luciana Gentilli (Il cicisbeismo screditato. Tra satira misogina e intransigenza religiosa), è riportato anche che un certo Abad de Cenicero scrisse addirittura una "Impugnación católica y fundada a la escandalosa moda del chichisveo, introducida en la pundonorosa nación española" (Madrid, 1737). Si tratta di un testo assolutamente illeggibile, che testimonia tuttavia due cose: 
1) Il fenomeno del cicisbeismo ebbe gran corso e diffusione in Spagna; 
2) I cicisbei avevano contatti carnali con le dame e vivevano in grande sfrenatezza, con buona pace di Sade. 

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