giovedì 10 aprile 2014

SU ALCUNI PRESTITI GRECI IN LATINO

Autori greci come Polibio e Plutarco hanno trascritto nelle loro opere antroponimi e vocaboli latini, trasmettendoci preziose informazioni molto utili sulla pronuncia della lingua di Roma loro contemporanea.
Esistono però anche numerosi vocaboli greci passati in latino. Alcuni di questi prestiti, molto comuni nella lingua quotidiana, sono stati trasmessi in eredità alle lingue neolatine e sono usati ancora oggi. Particolarmente interessanti sono i prestiti greci che hanno i suoni velari /k/, /kh/ e /g/ davanti alle vocali anteriori /e/,
/e:/, /i/, /i:/, /ü/, /ü:/.
Riporto alcuni esempi significativi:

gr. βραχίων > lat. brachium
gr. γυρός > lat. gyrus
gr.
κερασός > lat. cerasus
gr.
κοιμητήριον > lat. coemeterium
gr.
κῦμα > lat. cyma
gr. dor.
μαχανά > lat. machina

Dall'analisi di queste parole possiamo dedurre con sicurezza quanto segue:

1) Le parole greche prese a prestito in latino avevano i suoni velari ("duri") davanti a vocali anteriori al momento dell'adozione; 
2) Questi prestiti greci sono stati trattati dai parlanti latini come parole ereditate;
3) Si passa da una situazione in cui sussistono consonanti velari ("dure") a una situazione più tarda in cui si trovano invece consonanti affricate ("molli").

Vediamo infatti come le parole in questione si sono evolute in italiano: 

lat. brachium > it. braccio
lat. *ceresia > it. ciliegia
lat. coemeterium > it. cimitero
lat. cyma > it. cima
lat. gyrus > it. giro
lat. machina > it. macina

Tutti possono constatare che in ciascuno di questi casi si sono sviluppati suoni palatali. A scanso di equivoci, la parola italiana "macchina" è stata reintrodotta dal latino letteraro "machina" molto tempo dopo che questa si era evoluta regolarmente in "macina" per genuina usura fonetica popolare. 

Tutto ciò prova la vanità della perversa idea di coloro che a dispetto d'ogni evidenza si ostinano a sostenere che i suoni consonantici palatali /tʃ/ e /dʒ/ siano sempre stati presenti in latino.
Infatti se il latino avesse pronunciato C e G davanti a E e I come affricate da epoca immemorabile, i prestiti greci sarebbero stati sì adottati con suoni velari, ma non avrebbero avuto nulla in comune con le parole native con suoni palatali e non avrebbero avuto motivo di svilupparli nel passaggio dal latino volgare alle parlate italiane: sarebbero ancora oggi pronunciati con suoni velari.
La stessa esistenza di queste parole dimostra che la palatalizzazione si è sviluppata soltanto in un'epoca posteriore alla loro entrata nella lingua latina, a causa di un mutamento fonetico regolare e molto graduale, di cui i parlanti non si sono resi conto.

domenica 6 aprile 2014



I CRIPTOETRUSCHI

In questi giorni continua a frullarmi nella testa un racconto degno di nota che mi è capitato di leggere quando ero ancora un ingenuo nerd foruncoloso. Forse si tratta solo di un sogno confusionario, perché mi sembra di ricordare che l'autore fosse un etruscologo serio e che riportasse la cosa come un aneddoto, ma la precisione dei miei ricordi mi fa credere che non si sia trattato di una mia invenzione poi scambiata per verità. D'altro canto, i motori di ricerca sembrano non ritornare proprio nulla sull'argomento. Si diceva che in un paese della Toscana la popolazione tramanderebbe in segreto la lingua e la religione politeista degli Etruschi dai tempi di Roma Antica. Si riportavano anche fatti molto singolari connessi a queste tradizioni segrete, come i rapporti di una persona che era stata in quel paese e si era trovata in una grotta ad assistere a riti di moderni Lucumoni, salvandosi poi per miracolo. Si dava l'idea di gente molto chiusa e capace di uccidere senza pietà pur di conservare il segreto della propria esistenza. Così veniva ascritto a loro un attentato dinamitardo che impedì la costruzione di una linea ferroviaria passante per quel paese. Persino l'avvelenamento di un papa rinascimentale sarebbe stato opera di questi Criptoetruschi. Almeno era un racconto originale e inquietante, privo della volgarità dei moderni misteriologi fanatici di teschi di cristallo, feti di coniglio e Templari di origine extraterrestre. Nelle profondità della mia anima, non ho mai smesso di sperare che i Criptoetruschi esistano davvero, anche se so che la cosa è a dir poco improbabile. Intanto il sito Gens Labo dice che esiste una famiglia toscana il cui cognome coincide con l'endoetnico degli Etruschi, Rasna, il che è senza dubbio una cosa di estremo interesse storico

sabato 5 aprile 2014

LE LETTERE CLAUDIANE

Sappiamo che l'Imperatore Claudio (10 a.C - 54 d.C.) ha avviato una riforma ortografica che però non ha avuto successo. Egli era ossessionato dall'idea di rendere l'ortografia del latino nobile più aderente alla realtà. Così ha pensato di introdurre tre nuove lettere, conosciute come lettere claudiane.

 

La prima lettera claudiana è detta antisigma, e serviva a rendere il suono /ps/, scritto PS o BS a seconda delle parole (come in urbs, trabs, ipse, etc.). La seconda è detta digamma inversum, e serviva a notare la consonante labiale /w/ (con tendenza ad evolvere in bilabiale /β/ durante il I secolo d.C.) scritta tradizionalmente come la vocale /u/. La terza è detta littera H dimidia, che serviva a rendere un suono vocalico intermedio tra /i/ e /u/, probabilmente affine al greco Υ, che si trovava in parole come optimus (scritto anche optumus) e libet (scritto anche lubet). Sono note alcune iscrizioni che mostrano digamma inversum e H dimidia, mentre a quanto pare finora non ci è giunta alcuna attestazione dell'antisigma.

L'Imperatore Claudio avrebbe ben potuto scegliere di usare l'antisigma per esprimere un suono palatale, come avevano fatto i Volsci, se questo fosse effettivamente esistito a suoi tempi. Invece non ha creduto necessario riformare l'ortografia introducendo lettere nuove per C e G davanti a vocali anteriori E e I, dato che alla sua epoca i fonemi /k/ e /g/ non avevano ancora subito alterazione in tali contesti. Ha preso invece l'antisigma e l'ha usato per esprimere il suono /ps/, cosa a parer mio del tutto priva di necessità, data la scarsa importanza del nesso nella lingua latina. A spingerlo è stata infatti l'analogia con la lettera X usata per esprimere in forma sintentica il nesso /ks/.

L'ESTINZIONE DELLE LINGUE È UNA REALTÀ

Da un po' di tempo rifletto su un bizzarro argomento, che secondo me riveste il massimo interesse etnologico: l'originale lingua dei Pigmei. Pochi sanno infatti che le popolazioni africane conosciute come Pigmei non conservano una lingua loro propria, ma hanno appreso nel corso dei secoli le lingue delle popolazioni vicine con le quali hanno sviluppato rapporti di dipendenza. Così la grande maggioranza parte dei Pigmei parla lingue Bantu, mentre qualche gruppo ha adottato lingue di ceppo diverso. 

Secondo Cavalli-Sforza, due sarebbero i tipi genetici sprovvisti di una lingua propria nota: i Pigmei e i Sardi. I Sardi attuali infatti parlano una lingua derivata direttamente dal Latino. Anzi, il Sardo è una delle lingue neolatine meglio conservate. Prima di apprendere il Latino, i Sardi parlavano Punico e Nuragico. Il Punico era una linga affine all'Ebraico, mentre sul Nuragico si possono fare soltanto congetture, anche se con tutta probabilità era affine al Basco. 

Va detto che mentre i Pigmei dell'Africa non conservano una lingua loro propria, ci sono molti altri gruppi detti Khoi-San, ossia i Boscimani e gli Ottentotti, che hanno lingue peculiari e irriducibili a qualsiasi altro ceppo. Due popoli di cacciatori-raccoglitori della Tanzania, i Sandawe e gli Hadza, hanno lingue prive di parentele, né tra di loro né con altre lingue, salvo forse quelle di gruppo Khoi-San.

Se si guarda la situazione fuori dall'Africa, si scopre che anche in Asia esistono popolazioni di bassa statura, con capelli crespi e la pelle molto scura: sono quelli che gli Spagnoli chiamarono Negritos. I primi esploratori venuti dalla Spagna che si imbatterono in queste genti si dissero certi della loro origine africana. Tra questi popoli ci sono i Semang della Malesia, gli Aeta delle Filippine e altri gruppi sparsi per l'arcipelago dell'Indonesia. Nessuno di questi gruppi parla una lingua propria: la situazione è simile a quella dei Pigmei Africani. La massima parte di loro ha adottato una lingua del ceppo Austronesiano, come ad esempio il Malese. Ci sono anche altri popoli peculiari di origine certamente remota: i Vedda di Sri Lanka e le genti delle Isole Andamane. Gli Andamanesi hanno mantenuto lingue proprie, a differenza degli altri ceppi, che sono del tutto prive di qualsiasi somiglianza nel resto del mondo. Tale è l'arcaicità degli Andamanesi che ignoravano del tutto il modo di accendere il fuoco. Per colmo dell'ironia, un proverbio dei Pigmei dell'Africa suonerebbe irrispettoso se applicato agli Andamanesi: "La scimmia non è un uomo, solo perché non sa accendere il fuoco".

A dire il vero se si studiano bene le lingue dei Pigmei dell'Africa e quelle dei Negritos dell'Asia, si scopre che qualche parola antica è sopravvissuta. Nell'idioma dei Baka, ad esempio, il 30% del vocabolario è di origine sconosciuta. Tra i gruppi africani sono prive di relazioni esterne le parole relative alla vita nella foresta, alla raccolta del miele, oltre ai numerali. Anche tra i Semang (che parlano Malese) e i Vedda (che parlano Singalese) si trovano molti termini isolati. Presso i Vedda si segnalano ad esempio termini come GALREKKI 'ascia', RUHANG 'amico', KUKKA 'cane', OKMA 'bufalo', TOMBA 'lumaca' e via discorrendo. Così esisterebbe modo di approfondire gli studi fino a capire qualcosa di più. Cercando in Rete, ho trovato alcuni interessantissimi documenti, anche se il materiale che trattano è limitato. Purtroppo noto che non c'è molta apertura mentale. Mi sono infatti imbattuto in un post scritto da un anglofono, che usa il Rasoio di Occam, negando la possibilità che tutte quelle lingue siano andate perdute. Così, in nome di una semplicità dogmatica e compulsoria, questa persona è arrivata a sostenere che gli antenati dei Pigmei erano esseri del tutto privi di parola, e che a un certo punto hanno imparato a parlare dai loro vicini. "Cosa c'è da stupirsi?" - si domanda addirittura in un passo - "In fondo le scimmie antropomorfe non hanno ancora imparato a parlare".

Non mi hanno mai convinto le teorie di Hannah Arendt sulla "banalità del Male". Il Male non è mai banale, proprio in virtù della sua esistenza come principio ontologico separato. Dopo aver letto il post insulso di questo sedicente studioso, sto però cominciando a capire che esistono anche realtà che sono ben al di sotto dello stesso concetto di banalità.

DARK RESURRECTION

Paese: Italia
Anno: 2007
Lingua originale: Italiano
Durata: 61 min 
Regia: Angelo Licata
Produttore: Angelo Licata
Produttore esecutivo: Davide Bigazzi
Produttore associato: Spencer M. Rohan
Genere: Fantascienza, fantasy
Soggetto: Angelo Licata
Sceneggiatura: Angelo Licata, Andrea Scibilia
Colonna sonora: Aldo De Scalzi, Pivio, Pierluigi
     Piucci, Mattia Panzarini, Gianluca Cerchiello
Effetti speciali: Angelo Licata, Davide Bigazzi
Fotografia: Angelo Licata
Costumi: Carmen Caci, Rosi Caci, Amedeo Tecchio,
    Stefania Zeni
Casa di produzione: Guerre Stellari Net, RCL Sound
    FX, Lords of Illusion
Casa di distribuzione: Machiavelli Music 
Interpreti e personaggi: 
    Marcella Braga: Hope
    Riccardo Leto: Leto
    Giuseppe Licata: Lord Sorran
    Sergio Múñiz: Muniza
    Grazia Ogulin: Nemer
    Fabrizio Rizzolo: Zorol
    Sara Ronco: His
    Elisa Werneck: Lady Organa
    Giorgia Wurth: Meres
    Maurizio Zuppa: Zui Mar Lee
    Fabrizio Brezzo: Zeb Soundar
    Lidia Napoli: Apprendista Jedi
Voce fuori campo: Claudio Sorrentino 


Recensione:

STAR WARS DEGLI ANELLI 

Degno di essere visto è senza dubbio Dark Resurrection, definito dal suoi stessi autori come "film sperimentale senza scopo di lucro, liberamente ispirato a Star Wars e diviso in due volumi della durata di 60 minuti ciascuno" e ritenuto dalla Lucasfilm "truly amazing". È alla proiezione della prima parte che ho avuto modo di assistere alla AstraCon. Meditando a lungo, io e il carissimo amico Evertrip aka Zorrokamikaze siamo giunti alla conclusione che si tratta di un'ibridizzazione tra Guerre Stellari e il Signore degli Anelli. Più che non l'esigua trama, trovo notevole la capacità di descrivere mondi medievali pervasi da una profonda decadenza. 

L'epopea dei Jedi nel periodo terminale della Nuova Repubblica è tutta incentrata su Eron, un pianeta boscoso dove a ogni passo si rischia di calpestare grassi vermi corazzati e zampettanti. Mentre le esauste forze Imperiali avanzano nella disorganizzazione, l'ordine monastico-cavalleresco vegeta in scenari polverosi e di grande abbandono, tra piramidi neoazteche già vecchie di millenni e gli avanzi di una tecnologia non più compresa appieno. Consumandosi in un letargo embrionale, i Jedi vengono a scoprire l'esistenza di un grave pericolo, e presto si rendono conto di essere alle prese con una nuova generazione di adepti del Lato Oscuro.

Il nuovo Signore Nero dei Sith è Lord Sorran, la cui etimologia rimanda direttamente a Sauron. La chiave del mistero è facile a trovarsi. Suppongo infatti che milioni di lettori anglosassoni non diano ai nomi Eldarin la loro pronuncia corretta, e riducano impietosamente i dittonghi a vocali semplici. Una profezia tramandata da antiche iscrizioni guida l'Oscuro su Eron alla ricerca di un sigillo da aprire (è proprio l'Anello?), atto che conferirà al Predestinato l'immortalità e la Conoscenza infinita.


La bellissima Hope, il cui nome proviene probabilmente dalla lingua Tlaxtlah (nel qual caso significherebbe Fellatrice), è l'apprendista del Maestro Zui Mar. Una venatura di Oscurità si insinua in lei, che concupisce invano il suo mentore mentre sta armeggiando con un saldatore per assemblare una spada laser. La pulzella deve sopprimere la sua libidine tramite un duro allenamento.

La lotta tra Lord Sorran e il Maestro Zui Mar si conclude con la sconfitta e la morte di quest'ultimo. Si lascia indovinare un seguito con la resurrezione del morto come Sith, sullo sfondo di una storia con Hope caratterizzata da sesso torbido, perverso, morboso, purulento. Mi diverte pensare alla somiglianza tra il padawan oscuro di Sorran e D. V., un pazzoide di mia conoscenza: stesso sguardo insano, stessi nei sulla faccia, stessi tratti caratteriali.

Per riassumere, in assoluto Dark Resurrection è il capolavoro della filmografia dentistica.

Il video è disponibile online, ai lettori non resta che visionarlo.


A questo punto ripropongo la recensione pubblicata a suo tempo dal buon Evertrip, che nel frattempo sembra essere scomparsa dal Web: 

"Ci sono due cose al mondo che odio: i fan di Star Wars e gli omaggi amatoriali. Mischiare insieme queste due cose equivale non solo a non avere idee ma anche essere “succube” delle proprie passioni al punto da non vedere altro. Come dicevamo io e Antares666, si tratta di una fusione fra Il Signore degli Anelli e Star Wars: okay, si tratta di uno science fantasy ma a tutto c’è un limite. Belli effetti speciali, conditi dalla presenza di un paio di stangone che non ci stanno mai male, ma per il resto, nulla. La protagonista Hope (che nome originale) e il suo maestro Wui Mar devono affrontare il cattivone di turno: Sorran (pronuncia francese di Sauron?), il quale anela a diventare la Living Force attraverso lo scioglimento di un sigillo che si trova sul pianeta Eron. L’ennesima lotta fra bene e male, flashback della protagonista col classico “ritorno alle origini”, e tante spade laser. Il regista, dentista di professione, non contento di aver girato un pessimo film con ottimi mezzi, ci anestetizza durante l’interminabile ora con astronavi e viaggi astrali, jedi e sith che si ammazzano di botte fino al prossimo “continua nel volume 2”, che farò a meno di vedere, se possibile. Decisamente uno spreco di risorse, persone e strumenti."

domenica 30 marzo 2014

NON SEQUITUR

E adesso dedichiamoci all'ennesimo caciucco di baggianate, sempre dalla stessa fonte: 
 
"Sorvoliamo pure per ora su Plutarco (nato nel 46 dc), del quale si cita solo (perché nella fantasia della restituta non esiste il suono della V) Oualerios per Valerius, senza maliziosamente mai citare le alternanze Νέρουα, Νέρβα; Σεουῆρος, Σεβῆρος e altre; eppoi, ancor peggio, su Polibio. Se vorrai ti dirò, se non avrai paura dei dati nudi e crudi che distruggono le tue certezze fondate soltanto sull'autorevolezza. Comunque già con Plutarco siamo fuori dai termini della cosiddetta pronunzia classica. In sostanza dire Kikero per Cicero è una bischerata."
Sorvoliamo su Plutarco? Un par de cojjoni, come dicono i Romani in quello che Dante Alighieri chiamava "il più turpe dei volgari", e che invece è particolamente adatto quando si tratta di esporre le inconsistenze al pubblico ludibrio.

Plutarco (46 d.C. ? - 125 d.C. ?) ebbe contatto diretto con la lingua latina in un'epoca ancora non troppo lontana da quella classica, così le sue trascrizioni ci danno un esempio di come il latino era pronunciato dalle classi colte nel I-II secolo d.C. L'idea della pronuncia classica che sparisce da un giorno all'altro seguendo una cronologia da manuale è di una grande ingenuità. Se qualcuno dice bischerate, quello non è Plutarco: molto più facile che le dicano i moderni che all'epoca non erano presenti e che rifiutano di servirsi di argomenti razionali.

Rimando a successivi post per una trattazione più approfondita. Per adesso mi limito a qualche significativo esempio tratto dalle Vite Parallele e contenente trascrizioni di parole latine con C e G davanti a vocali anteriori o al dittongo AE:

lat. ancilia : ἀγκύλια 
lat. Caesar : Καίσαρ 
lat. Celeres : Κέλερας (acc.)
lat. Cicero : Κ
ικέρων 
lat. hoc age : ὃκ ἄγε 
lat. Marcellus : Μ
άρκελλος
lat. Marcius : Μά
ρκιος
lat. Mucius : Μού
κιος
lat. Lucius : Λ
εκιος
lat. Scaevola : Σ
καιλας 
lat. Scipio : Σ
κηπίων 

Né si può argomentare che il greco, non avendo l'affricata palatale, l'avrebbe semplicemente trascritta come una velare: questo non accade  nelle lingue antiche e nemmeno in quelle moderne. I suoni /k/ e /tʃ/ sono molto diversi tra loro: è un inganno scolastico ritenerli simili e parlare di "c dura" e "c molle". L'orecchio di una persona che parla una lingua priva di suoni palatali non ne coglie alcuna somiglianza. Se una lingua non ha
/tʃ/, piuttosto la trascrive con /ts/ o con /s/.

Infatti il greco in epoca bizantina iniziò a trascrivere il suono palatale sviluppatosi nel tardo latino come τζ:
Μουτζιανι per Muciani.

Le alternanze tra
ου e β per trascrivere latino /w/ dimostrano in modo chiaro che questo suono stava assumendo nel I secolo d.C. una pronuncia bilabiale /β/, simile alla nostra /v/ ma realizzata con le labbra unite o avvicinate. Di questo esistono numerose testimonianze anche successive (ad esempio in Velio Longo, II secolo). Il processo tuttavia non era completato all'epoca di cui stiamo trattando, e molti ambienti ancora si pronunciava /w/. Si ha persino testimonianza che tra le plebi e tra popolazioni barbariche esisteva il vezzo di pronunciare addirittura il suono come una /u/ pienamente sillabica. I grammatici dell'epoca condannano la pronuncia trisillabica di venit come *u-e-nit.

Detto questo, non nascondo affatto alternanze come Νέρουα - Νέρβα o Σεουῆρος - Σεβῆρος, e non tremo certo di paura di fronte ad esse: ne sono a conoscenza fin dall'epoca del liceo.

Semplicemente il passaggio da /w/ alla bilabiale /β/ non ha nulla a che fare con la pronuncia della lettera C. Non sequitur. Mostrare che esisteva una pronuncia di V consonantica simile a /v/ non implica affatto che C fosse palatale davanti alle vocali E e I: tra le due cose non esiste nessun nesso logico.

L'argomento presentato è
pseudoscientifico e non ha alcun valore. Si basa infatti sulla convinzione che pronuncia restituta e pronuncia ecclesiastica siano due entità monolitiche, e che una volta trovato un dato che pare contrastare con un dettaglio della pronuncia restituta, questo debba per necessità significare l'affermazione della pronuncia ecclesiastica. Se la Scienza avesse seguito una simile metodologia, non avremmo automobili, frigoriferi, acqua corrente, corrente elettrica, computer, telefonini e quant'altro.

A quanto pare c'è gente che ignora un fatto molto semplice: le lingue cambiano nel tempo, e lo fanno seguendo leggi ben precise. Dove una legge fonetica ammette un'eccezione, quell'eccezione viene spiegata in ciascun caso. Essi pensano che le lingue non siano mai cambiate dall'epoca paleolitica: proiettano ogni caratteristica di una lingua fin nella notte dei tempi. A sentir loro, ci sarebbe persino da dubitare che sappiano della derivazione delle lingue neolatine dal latino volgare: è più facile che pensino al latino come a una lingua che a un certo punto si è spenta, e all'italiano come a una lingua parlata dal volgo fin dall'epoca di Noè.

Non si vede come i "dati di fatto nudi e crudi" possano distruggere le "certezze fondate sull'autorevolezza". Se mi azzardassi a dire una cosa simile al mitico Er Monnezza, lui mi replicherebbe di certo: "distruggono li maccheroni de tu' nonno". Mi limiterò ad affermare che i fatti li spiego secondo la logica, che a quanto pare non sembra essere molto popolare in certi ambienti.

CONTRO LA PSEUDOSCIENZA, SENZA SE E SENZA MA

Sempre a proposito della pronuncia della lingua latina, il solito autore di Forumarcheologia (mi sono stancato di mettere il link) in un commento a un post di questo blog se ne è uscito con una delle sue "perle":

"Spiegare le forme del verbo parcere (parco, parcis, peperci/PARSI, PARSUM, parcere) è difficile con la restituta, come giustificare le doppie forme parcimonia e parsimonia, testimonianze dirette della C di cece" 
 
Questa è un'enormità talmente assurda per chiunque abbia anche una rudimentale conoscenza della lingua latina e della sua storia, che non necessiterebbe neanche di replica. Sono tuttavia dell'idea che le enormità abbiano un potere deleterio e contaminante, perché diffondono in rete come pacchetti memetici, comportandosi proprio come i virus. Sono infezioni cognitive. Vanno combattute non tanto per convincere coloro che le producono, che agiscono come troll e dovrebbero essere ascritti a tale categoria, ma a beneficio generale degli internauti, per mostrare l'inconsistenza delle conclusioni estranee al metodo scientifico. Vanno combattute, come San Giorgio ha combattuto il drago.

Affinché non si obietti che i miei discorsi sono incomprensibili al volgo, li riassumerò in punti:

1) La palatalizzazione non implica MAI il cambiamento della lettera C in S, nemmeno nella pronuncia ecclesiastica.

2) Le forme che derivano dalla radice dell'infinito PARCERE infatti hanno sempre C: PARCIS, PARCIT, PARCIMUS, etc..

3) La forma del perfetto raddoppiato è sempre PEPERCI, mai *PEPERSI.

4) Il supino PARSUM non è prodotto di palatalizzazione: non c'è nulla che possa indurre una mutazione palatale, dato che la sillaba -CU- contiene il suono occlusivo (volgarmente detto "duro") anche nella pronuncia ecclesiastica.

5) PARCIMONIA deriva dalla radice dell'infinito PARCERE, mentre il sinonimo PARSIMONIA deriva da quella del supino PARSUM, e questo spiega la diversità della lettera.

6) PARSI e PARSUM non sono affatto testimonianze dirette di un suono palatale, ma di un suffisso sigmatico -S-:

perfetto PARSIT < *PARKSIT
supino PARSUM < *PARKSUM (tema in -u-)
participio passato PARSUS < *PARKSOS

Questo suffisso si trova nel perfetto e spessissimo nel supino in moltissimi verbi. Basti guardare il seguente elenco: 

augeo, auges, AUXI, auctum, augere
curro, curris, cucurri, CURSUM, currere 
dico, dicis, DIXI, dictum, dicere
edo, edis (es), edi, ESUM, edere (esse)
farcio, farcis, FARSI, fartum, farcire
flecto, flectis, FLEXI, FLEXUM, flectere

maneo, manes, MANSI, MANSUM, manere
necto, nectis, NEXI, NEXUM, nectere patior, pateris, PASSUS SUM, pati
pello, pellis, pepuli, PULSUM, pellere
pingo, pingis, PINXI, pictum, pingere
plecto, plectis, PLEXI, PLEXUM, plectere
rego, regis, REXI, rectum, regere 
spargo, spargis, SPARSI, SPARSUM, spargere
tergo, tergis, TERSI, TERSUM, tergere video, vides, vidi, VISUM, videre 
vincio, vincis, VINXI, vinctum, vincire
vivo, vivis, VIXI, victum, vivere

Bisogna notare come in altri casi non si ha alcun suono sibilante e il perfetto ha -C- come l'infinito:

facio, facis, feci, factum, facere
iacio, iacis, ieci, iactum, iacere 
vinco, vincis, vici, victum, vincere 
 
Si noti poi che queste forme, dove sono sopravvissute in italiano, mostrano sempre una chiara sibilante e mai suoni palatali, in nessun caso: visse, perplesso, flesso, connesso, resse, lesse, etc.

È evidente che stiamo trattando di un fenomeno diversissimo dalla pronuncia delle velari, qualcosa che non ha proprio nulla a che vedere, nemmeno di striscio.

Trattando l'origine di supini come VISUM, FLEXUM e PLEXUM, si può parlare diffusamente di come il suffisso dentale *-t- abbia prodotto assibilazione se aggiunto a una radice in -t- o in -d-, proprio come è avvenuto in germanico e in celtico. Questo però esula dallo scopo di questo breve trattatello.

Di fronte a tutto questo, qualcuno oserà dire che le forme MANSI e MANSUM provano che maneo aveva la "n" di "gnegne".
Scherno, ludibrio e irrisione è tutto ciò che la pseudoscienza merita.

Forse non serve neanche scomodare San Giorgio: basterebbe Harry Potter con la sua bacchetta magica e la formula maccheronica "ridiculus!" per porre fine alle baggianate presentate come "argomentazioni".

sabato 29 marzo 2014

I CHIERICI TRADITORI

Nessuno è interessato a pubblicare assurdità sui neutrini. La letteratura pseudoscientifica sulla forza nucleare forte o sul calcolo tensoriale appare a tutti come una fatica che non porta proprio da nessuna parte. Abbondano invece le assurdità ogni volta che la politica ha qualche interesse a un dato argomento. A un politicante può infatti far comodo influenzare la ricerca, spingendola in alto mare, occultando la verità su qualcosa o dirigendo i fondi dove più gli appare opportuno. Così si trovano sempre accademici supini, pronti a soddisfare il politicante e a forzare i dati. Se neutrini e quark non danno alcun frutto o risultato spendibile nella politica, le cose sono molto diverse quando è in gioco qualcosa di cruciale, come ad esempio la produzione di energia. Ecco perché le baggianate sulla cosiddetta fusione fredda sono andate avanti molto a lungo. Finché si tratta di qualche scienziato che passa il suo tempo cercando di ottenere un po' di fumo da elettrodi immersi in soluzioni acquose e urlando eureka se l'acqua passa da 25 °C a 25,1 °C, tutto questo potrebbe apparire anche innocuo e persino patetico. Diverso è il caso di quegli scienziati che di fronte alla contaminazione radioattiva dichiarano che i radionuclidi sono innocui. Ciò a cui siamo di fronte è un fenomeno molto grave che possiamo chiamare Tradimento dei Chierici, dove la parola chierici è usata in senso laico per designare le autorità scientifiche. Gli esempi non si contano. Recentemente in Australia un professore se ne è uscito con una dichiarazione a dir poco surreale e sconcertante: "Non dovete preoccuparvi, un uomo può vivere con 32 grammi di plutonio in corpo senza riportare nocumento". Ci si potrebbe chiedere se il signore in questione si presterebbe a dimostrare tale enormità ingerendo anche solo un milligrammo di plutonio con i cereali della prima colazione. Si tenga conto che un solo grammo di plutonio può contaminare fino a un milione di persone, per rendere l'idea della dimensione del problema. Un milionesimo di grammo di plutonio inalato è sufficiente a indurre cancro ai polmoni. Non si tratta di invenzioni: le proprietà fisiche di un elemento restano tali e quali senza badare ai tentativi di manipolarle. Stupisce che più un'idea si allontana dalla realtà, più trova accesi sostenitori tra le genti. Ogni volta che si parla di contaminazione nucleare, ecco che intervengono i negazionisti nucleari, coloro che affermano l'innocuità delle radiazioni ionizzanti. Queste persone mettono nella loro missione un fervore religioso, arrivando a comportarsi come troll e ad attaccare chi si oppone alle loro menzogne usando anche argomenti ad hominem. I risultati del funesto connubio tra Scienza e politica sono sotto gli occhi di tutti: il frutto di tale unione abominevole è in tutto e per tutto assimilabile alla pseudoscienza. Stalin all'epoca arrivò a declamare le proprietà benefiche della radoattività, a sua detta capace persino di irrobustisce la salute: il dittatore mirava a trasformare l'Unione Sovietica in una superpotenza nucleare. In occasione del disastro di Chernobyl, Chirac nascose ogni informazione sul fallout in Francia, perché doveva portare avanti la costruzione di nuove centrali nucleari. In nome della grandeur, fece sì che nessuno evitasse di consumare verdure a foglia larga. Questo provocò numerosi casi mortali di leucemia. A Marsiglia, mi diceva un amico, in ogni via c'erano diversi morti in quei giorni. Eppure agli occhi dei troll di regime, colui che riporta la realtà dei fatti è accusato di disonestà intellettuale. La tattica è chiara: non appena qualche utente scrive qualcosa sull'assoluta gravità del disastro di Fukushima Daiichi, ecco che arrivano giullari e gaglioffi a recitare il mantra della radioattività inoffensiva. Qualsiasi argomento razionale si possa mostrare loro appare vano: persino la fisica e la chimica di base vengono sovvertite. Essi tuonano come se da loro scaturisse la voce stessa di Dio, dando per scontata un'autorità che non posseggono affatto. Un utente ha così commentato la foto raccapricciante di un bambino malformato: "Lo sapete, vero, che tutto questo non c'entra nulla con Fukushima e con la radioattività?" E quindi? Stabilire che una foto ritrae un bambino malformato a causa del talidomide non implica affatto che le acque dei reattori di Fukushima siano adatte alla balneazione. Appare evidente che questi figuri servono coloro che nel mondo accademico si sono compromessi con la politica, ne sono strumenti, quasi prolungamenti degli arti. Le classi dirigenti di tutte le nazioni hanno il terrore di perdere il controllo delle masse, cosa che accadrebbe di sicuro in America se scienziati integri stabilissero che è necessario evacuare la costa occidentale degli Stati Uniti. Non sia mai. Così ecco comparire post rassicuranti in cui si dichiara che Fukushima è ok, che tutto è sotto controllo, che la radioattività ha fatto rifiorire la vita, e via discorrendo. Siccome neppure questo è sufficiente, ecco che i narcotici mediatici distolgono la scarsa attenzione delle masse a questo problema. Tutte queste macchinazioni non risolveranno nulla in ogni caso: si giungerà a un punto di non ritorno in cui la realtà stessa delle cose si rivolterà contro ogni tentativo di farla apparire diversa da ciò che è.


BACHI DOTTI E BACHI VOLGARI

Anni fa mi capitò di leggere su un libro uno strafalcione immane. Si parlava dell'Euskara, la lingua dei Baschi. Il termine SAGU, che significa "topo", era stato tradotto chissà come con "sorriso". Capii presto cos'era successo. L'autore del libro era francese, e ovviamente aveva tradotto SAGU con "souris", che in francese significa per l'appunto "topo". A causa dell'omofonia con alcune voci del verbo "sourire", ossia "sorridere", il traduttore che aveva reso il libro in italiano ha dato origine a questo grave errore. Conoscendo già a grandi linee l'Euskara, la cosa mi è balzata subito agli occhi. Immagino che molti lettori saranno stati tratti in inganno.

Il problema delle false conoscenze che si propagano tramite pacchetti memetici è molto grave. Un caso notevole è quello della cosiddetta Ave Maria in etrusco, che in realtà era un Padre Nostro e in ultima analisi un falso storico. Un banale banner ha fuorviato un webmaster in un modo molto subdolo. Le pubblicità online spesso hanno connessione con il testo di una pagina. Così a me capitano pubblicità di sistemi per migliorare il sonno o per disintossicarsi dalla droga, perché parlo di stati alterati e di delirio nei miei post. Una volta mi è persino capitata la segnalazione di un proctologo. In altri blog mi appaiono banner su idoli mariani perché parlo di Dio e di Satana nell'ambito del Catarismo. Una pagina che riportava la preghiera in finto etrusco aveva "Hail Mary" in un banner, e qualcuno lo ha preso per il titolo della preghiera a lui incomprensibile. Così l'equivoco si è propagato ovunque, anche sulla Wikipedia. Me ne sono occupato in un post pubblicato il 10/10/2009 sul blog IL VOLTO OSCURO DELLA STORIA (ormai estinto) e in seguito recuperato:


Sempre a proposito della lingua etrusca, ho trovato un glossario sulla Wikipedia che contiene un errore marchiano. Non parlo di qualche termine inteso in modo diverso da studiosi diversi (che è una cosa abbastanza normale). Parlo di propagazione di un fraintendimento. Il termine HUIN- che dovrebbe significare "sorgente" si trova invece tradotto con "primavera", perché un traduttore dall'inglese ha equivocato la parola "spring", che significa sia "sorgente" che "primavera". Ogni giorno che passa mi convinco sempre di più della necessità di capillari controlli incrociati sulle informazioni reperite sia in Rete che su carta.

JOHN COLLINGS SQUIRE E IL PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELLA REALTÀ

Qualche mese fa mi è capitato di prendere a prestito dalla biblioteca un volume di storie ucroniche intitolato "Se la Storia fosse andata diversamente" (originale "If It Had Happened Otherwhise"). Mi sembrava molto interessante, in quanto affrontava le possibilità di sviluppo a partire da singoli nodi storici. Si articolava in diversi racconti, tutti fondati su una domanda del tipo "cosa sarebbe successo se il Regno di Granada non fosse caduto?" e simili.
Indagando, ho potuto constatare che gli autori non sono affatto degli sconosciuti. Questa è una
recensione sull'opera in questione, riportata sul sito libreriauniversitaria.it

"Lo storico inglese John Collings Squire, all'inizio degli anni Trenta, invitò alcune autorevoli personalità della politica e della cultura dell'epoca - G.K. Chesterton, Winston Churchill, Emil Ludwig e André Maurois, tra gli altri - a cimentarsi in una ricostruzione ipotetica di alcuni nodi cruciali della storia occidentale. Nacque così un piccolo capolavoro di letteratura ucronica, o come diremmo oggi di storia virtuale, il quale ben lungi dall'essere un arido virtuosismo accademico, o una semplice bizzarria, può essere invece letto come un tentativo originale di riesaminare la storia mediante un totale ribaltamento dei fatti realmente accaduti." 

Eppure a me non è piaciuto granché, in quanto si fonda in gran parte sul cosiddetto Principio di Conservazione della Realtà. In altre parole, gli autori danno per scontato che la Storia sia stata creata da Dio così com'è, e che alterandola in qualsiasi punto non si avrebbe nella sostanza alterazione di ciò che accadrebbe in seguito.
Secondo questa impostazione, ci si potrebbe chiederebbe cosa avrebbe fatto Mussolini in un corso storico in cui Giulio Cesare fosse morto di polmonite ancora bambino - senza realizzare che se ciò fosse avvenuto, non solo non sarebbe mai esistito Mussolini, ma neppure alcuna nazione che conosciamo, e ovunque si parlerebbero lingue molto diverse da quelle in uso oggi.
Solo per fare un esempio, Philip Guedalla immagina un corso storico in cui il Regno di Granada sopravvive agli attacchi degli eserciti dei Re Cattolici, ma nella sua narrazione si parla di Lord Byron e di Napoleone. Persino la scoperta delle Americhe è concepita come noi la conosciamo, solo che non avrebbe destato entusiasmo. A chi non verrebbe da ridere leggendo della partecipazione di Granada alla Prima Guerra Mondiale?
Anche quando si comprende che un determinato evento ne escluderebbe un altro, manca l'idea di divergenza sul lungo periodo. Questo perché la struttura dell'opera è basata sulla meccanica classica, assolutamente lineare. Oggi abbiamo conoscenze più approfondite sulla natura del tempo e della realtà stessa, e capiamo quello che neppure Winston Churchill avrebbe mai potuto comprendere, data la sua ignoranza della quantistica, del Principio d'Indeterminazione di Heisenberg e del Paradigma Olografico.
Chi non ricorda la famosa affermazione di Edward Lorenz sulla farfalla che batte le ali in Brasile provocando un tornado in Texas? L'Effetto Farfalla non lascia scampo. Gli eventi propagano in modo del tutto incontrollabile. Pensiamo ad esempio all'accoppiamento. Ogni volta che un viscido spermatozoo penetra le difese di un ovulo fetente, si innescano meccanismi meiotici di crossing over che portano al caotico mescolamento del genoma maschile con quello femminile. Così basta un fattore minimo, imponderabile, per produrre una persona anziché un'altra. Se un gatto fosse morto per le vie di Braunau, Alois Hitler e Klara Pölzl avrebbero coito in una posizione diversa, in un'ora diversa, dopo aver mangiato cibi diversi. Lui avrebbe eiaculato in un momento diverso, secondo una diversa dinamica, ed ecco che un diverso spermatozoo avrebbe vinto la gara - e sarebbe nata una Gertrud Hitler di nessuna importanza anziché il ben noto Adolf. 

Anche il libro che ho recensito tempo fa, America Vichinga, edito da Frassinelli e ormai esaurito, contiene lo stesso Principio di Conservazione della Realtà. Infatti si fa intervenire Walter Raleigh in un corso storico la cui divergenza dal nostro risaliva al XI secolo. Potrete chiedervi come mai America Vichinga ha destato il mio entusiasmo mentre mi mostro così critico con il volume di Squire. La differenza è che America Vichinga è scritto molto bene, contiene diversi spunti suggestivi e fa sognare. È più fluido, nonostante l'identica esigenza di far convergere la narrazione ucronica con il nostro corso storico.

In generale, mi sento di dire che i migliori ucronisti non sono storici di professione.

(Esilio a Mordor, 4 ottobre 2008)

Titolo: Se la storia fosse andata diversamente. Saggi di
     storia virtuale
Titolo originale: If It Had Happened Otherwise
Autore: Autori vari 
Anno: 1931
Lingua originale: Inglese
Paese: Regno Unito
Curatore: John Collings Squire
Tipologia: Collezione di saggi (racconti)
Soggetto: Storia, ucronia
1a edizione it.: 24 settembre 1999 
Editore: Corbaccio
Collana: Collana storica
Curatore dell'edizione italiana: Gianfranco De Turris
Codice ISBN-10: 8879723545
Codice ISBN-13: 978-8879723541
Pagine: 356 pagg.
Formato: Copertina flessibile
Traduttore: Manuela Frassi

Sinossi (da www.amazon.it):
"Che cosa sarebbe accaduto se Napoleone, invece di arrendersi agli inglesi, dopo la sconfitta di Waterloo, fosse riuscito a fuggire in America? Se alla fine del XV secolo in Spagna avessero vinto i Mori? Questo curioso e insolito libro presenta le ricostruzioni "virtuali" di alcuni avvenimenti visti da grandi storici, insigni statisti quali per esempio Harold Nicholson e Winston Churchill che, a dispetto dello sviluppo delle varie, immaginarie ipotesi, presentano ambientazioni storicamente precise e accurate, facendo riflettere su cosa sarebbe accaduto se la storia avesse preso strade diverse."

Elenco dei saggi (edizione originale):

"If Drouet's Cart Had Stuck" di Hilaire Belloc
"If Don John of Austria Had Married Mary Queen of
      Scots"
di G. K. Chesterton
"If Lee Had NOT Won the Battle of Gettysburg" di Winston
      Churchill
"If Napoleon Had Escaped to America" di H. A. L. Fisher
"If the Moors in Spain Had Won" di Philip Guedalla
"If the General Strike Had Succeeded" di Ronald Knox
"If the Emperor Frederick Had Not Had Cancer" di Emil
     Ludwig
"If Louis XVI Had Had an Atom of Firmness" di André
     Maurois
"If Byron Had Become King of Greece" di Harold Nicolson
"If It Had Been Discovered in 1930 that Bacon Really Did
      Write Shakespeare"
, di J. C. Squire 
"If Booth Had Missed Lincoln" di Milton Waldman

Aggiunte dell'edizione rivisitata:

"If the Dutch Had Kept Nieuw Amsterdam" di Hendrik
      Willem van Loon
"If: A Jacobite Fantasy" di Charles Petrie
"If Napoleon Had Won the Battle of Waterloo" di G. M.
      Trevelyan