Sempre a proposito della pronuncia della lingua latina, il solito autore di Forumarcheologia (mi sono stancato di mettere il link) in un commento a un post di questo blog se ne è uscito con una delle sue "perle":
"Spiegare le forme del verbo parcere (parco, parcis, peperci/PARSI, PARSUM, parcere) è difficile con la restituta, come giustificare le doppie forme parcimonia e parsimonia, testimonianze dirette della C di cece"
"Spiegare le forme del verbo parcere (parco, parcis, peperci/PARSI, PARSUM, parcere) è difficile con la restituta, come giustificare le doppie forme parcimonia e parsimonia, testimonianze dirette della C di cece"
Questa è un'enormità talmente assurda per chiunque abbia anche una rudimentale conoscenza della lingua latina e della sua storia, che non necessiterebbe neanche di replica. Sono tuttavia dell'idea che le enormità abbiano un potere deleterio e contaminante, perché diffondono in rete come pacchetti memetici, comportandosi proprio come i virus. Sono infezioni cognitive. Vanno combattute non tanto per convincere coloro che le producono, che agiscono come troll e dovrebbero essere ascritti a tale categoria, ma a beneficio generale degli internauti, per mostrare l'inconsistenza delle conclusioni estranee al metodo scientifico. Vanno combattute, come San Giorgio ha combattuto il drago.
Affinché non si obietti che i miei discorsi sono incomprensibili al volgo, li riassumerò in punti:
1) La palatalizzazione non implica MAI il cambiamento della lettera C in S, nemmeno nella pronuncia ecclesiastica.
2) Le forme che derivano dalla radice dell'infinito PARCERE infatti hanno sempre C: PARCIS, PARCIT, PARCIMUS, etc..
3) La forma del perfetto raddoppiato è sempre PEPERCI, mai *PEPERSI.
4) Il supino PARSUM non è prodotto di palatalizzazione: non c'è nulla che possa indurre una mutazione palatale, dato che la sillaba -CU- contiene il suono occlusivo (volgarmente detto "duro") anche nella pronuncia ecclesiastica.
5) PARCIMONIA deriva dalla radice dell'infinito PARCERE, mentre il sinonimo PARSIMONIA deriva da quella del supino PARSUM, e questo spiega la diversità della lettera.
6) PARSI e PARSUM non sono affatto testimonianze dirette di un suono palatale, ma di un suffisso sigmatico -S-:
perfetto PARSIT < *PARKSIT
supino PARSUM < *PARKSUM (tema in -u-)
participio passato PARSUS < *PARKSOS
Questo suffisso si trova nel perfetto e spessissimo nel supino in moltissimi verbi. Basti guardare il seguente elenco:
augeo, auges, AUXI, auctum, augere
curro, curris, cucurri, CURSUM, currere dico, dicis, DIXI, dictum, dicere
edo, edis (es), edi, ESUM, edere (esse)
farcio, farcis, FARSI, fartum, farcire
flecto, flectis, FLEXI, FLEXUM, flectere
maneo, manes, MANSI, MANSUM, manere necto, nectis, NEXI, NEXUM, nectere patior, pateris, PASSUS SUM, pati
pello, pellis, pepuli, PULSUM, pellere
pingo, pingis, PINXI, pictum, pingere
plecto, plectis, PLEXI, PLEXUM, plectere
rego, regis, REXI, rectum, regere
spargo, spargis, SPARSI, SPARSUM, spargere tergo, tergis, TERSI, TERSUM, tergere video, vides, vidi, VISUM, videre
vincio, vincis, VINXI, vinctum, vincire
vivo, vivis, VIXI, victum, vivere
Bisogna notare come in altri casi non si ha alcun suono sibilante e il perfetto ha -C- come l'infinito:
facio, facis, feci, factum, facere
iacio, iacis, ieci, iactum, iacere
vinco, vincis, vici, victum, vincere
Si noti poi che queste forme, dove sono sopravvissute in italiano, mostrano sempre una chiara sibilante e mai suoni palatali, in nessun caso: visse, perplesso, flesso, connesso, resse, lesse, etc.
È evidente che stiamo trattando di un fenomeno diversissimo dalla pronuncia delle velari, qualcosa che non ha proprio nulla a che vedere, nemmeno di striscio.
Trattando l'origine di supini come VISUM, FLEXUM e PLEXUM, si può parlare diffusamente di come il suffisso dentale *-t- abbia prodotto assibilazione se aggiunto a una radice in -t- o in -d-, proprio come è avvenuto in germanico e in celtico. Questo però esula dallo scopo di questo breve trattatello.
Di fronte a tutto questo, qualcuno oserà dire che le forme MANSI e MANSUM provano che maneo aveva la "n" di "gnegne".
Scherno, ludibrio e irrisione è tutto ciò che la pseudoscienza merita.
Forse non serve neanche scomodare San Giorgio: basterebbe Harry Potter con la sua bacchetta magica e la formula maccheronica "ridiculus!" per porre fine alle baggianate presentate come "argomentazioni".
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