IL TIRANNO DI CERE
C'era un re in Etruria, che si chiamava Mezenzio (in lingua etrusca Mezentie). Era di una crudeltà indicibile, tanto che amava torturare i ribelli costringendoli al contatto con i cadaveri. Legava i condannati vivi ai morti decomposti, in modo che gli umori pestiferi fluissero senza sosta, portando alla lenta morte miasmatica. Coltivava perversioni indicibili. Si divertiva a far ingoiare sterco ed altre immondizie ai detrattori e ai prigionieri, fino a portarli alla consunzione. Era ritenuto un contemptor divum, uno spregiatore degli dèi. Il sommo Virgilio, che era tra le ultime sopravvivenze dell'Etruria Padana, ancora ricordava questo regnante, al punto di descriverlo nell'Eneide (Libro VIII) con queste parole:
Mortua quin etiam iungebat corpora vivis,
Componens manibusque manus atque oribus ora,
Tormenti genus! et sanie tabosque fluentes,
Complexu in misero, longa sic morte necabat.
Componens manibusque manus atque oribus ora,
Tormenti genus! et sanie tabosque fluentes,
Complexu in misero, longa sic morte necabat.
In un lampo di intuizione mi sono visto questo sovrano come un uomo scheletrico dai capelli rossi che parevano di fuoco vivo, gli occhi così chiari da sembrare grigi. In questo bagliore di reminiscenza, ho intuito qualcosa del suo demonismo, ma presto ciò che ho colto mi è sfuggito.
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