martedì 15 settembre 2015

I PREFISSI NELLA LINGUA PALEOSARDA RICOSTRUITA: MARCATORI DEL SECONDO TIPO

Chiamo marcatori del secondo tipo alcuni prefissi in uso nella lingua paleosarda che si prefiggono a radici inizianti per consonante, salvo alcune eccezioni. Questi elementi si comportano in modo decisamente diverso dai marcatori di primo tipo già analizzati. 

1) Prefissi in consonante alveolare:

Presentano due varianti essenziali: una iniziante per T- e un'altra, chiaramente un allomorfo, iniziante per TZ-. Non in tutti i casi è chiaro quale delle due forme sia la più antica. Il vocalismo è incerto e può dipendere - anche se non sempre - dalla vocale tonica della parola a cui si aggiungono i prefissi. Questo tipo di prefisso non comporta alterazioni del vocalismo della radice a cui si prefigge.
Così abbiamo:

TA-, TZA-
TE-, TZE-
TI-, TZI-
TU-, TZU-

Questi elementi sono tuttora vivi nella lingua sarda neolatina, dove si ritrovano prefissi sia a resti del sostrato preromano che a parole di chiara origine latina. In sardo le varianti in tz- si scrivono solitamente come th-, esprimendo ormai un suono fricativo interdentale.   

Esempi di prefissi applicati a parole sarde di origine latina:

thi-ghinisa "cenere incandescente"
       < lat.
cinus 
thi-likerta "lucertola"
< lat. lacerta(m)  
th-ukru "collo" < lat. iugulu(m)
th-únniu "fungo" < lat. fungu(m)

Esempi di prefissi applicati a parole sarde di origine paleosarda:

thi-likukku, tza-lakuka "gongilo
        (un lucertolone)" 
thi-lingrone "lombrico" (1)
thi-lipirke "locusta" 
thu-lurthis "biscia d'acqua" (2) 

(1) Variante senza prefisso: lingrone "individuo allampanato"; altre forme molto lontane foneticamente potrebbero essere ricondotte a diverse radici.  (2) Varianti su-lurzi (con articolo romanzo) e lúrtsis, lircis (senza prefisso). 

Non è sempre facile in questi casi separare il lessema originario e ricostruirlo in modo corretto, anche perché spesso si presentano forme problematiche e molto complesse, come ad esempio: 

thilibríu "nibbio"
thurulía "poiana" 

tzarantzula "tarantola"
tzintzimureddu "pipistrello"
tzurrundeddu "pipistrello"

Frequenti sono le interferenze tra lemmi nativi e voci neolatine. Così sospetto che tzintzigorru, sitzigorru "chiocciola" risenta della voce neolatina corru, gorru (< lat. cornu:), che non ha nulla a che vedere con il paleosardo GORRU "rosso"

Possibili spiegazioni: le posizioni di Blasco Ferrer e di Pittau

Blasco Ferrer non riconosce la natura paleosarda di questi prefissi e aderisce alla teoria di molti romanisti, che vedono in tali formazioni nient'altro che agglutinazioni delle parole latine (di origine greca) thi:u(m) "zio" e thi:a(m) "zia". Accolgo senza dubbio le obiezioni di Pittau a una simile posizione, che mi pare inconsistente con l'impostazione di uno studioso come il Blasco Ferrer, che non è certo affetto da Horror Praeromanus e che tanto ha contribuito a chiarire la natura della lingua paleosarda. Una tale analisi è infatti tipica di persone che si fanno in quattro per negare qualsiasi realtà anteriore all'arrivo della lingua latina, spiegando a forza Omero con Omero.

Così si sintetizza la posizione di numerosi romanisti, adottata da Blasco Ferrer: 

1) Le parole latine thi:u(m) e thi:a(m) sono all'origine dei prefissi sardi;
2) La motivazione dell'uso di tali parole è totemica ed esprime aspirazione alla caccia o timore;
3) Esistono in dialetti dell'Italia meridionale e centrale forme tabuistiche in apparenza analoghe come ciammaruca "lumaca" < lat. *thi:am eru:ca(m); zimmadonna "chiocciola" : it. *Zia Madonna; zalaura "lupo" : it. *Zia Laura.

Così si sintetizza la posizione di Pittau: 

1) I vocabili thiu e thia in sardo non elidono mai le vocali -u, -a davanti a consonante, ma il solo thiu lo fa davanti a vocale;
2) Non si ha la benché minima documentazione di forme abbreviate *thu e *tha.
3) I prefissi si trovano con specie di animali che non sono mai state prede ambite o oggetto di timore; 
4) Si trovano questi prefissi anche con alcuni nomi inanimati, come il barbaricino ta-ni'ele "coso" per nikele id. (trascritti taniqele e nichele dal Pittau).

Aggiungerei alle considerazioni del Pittau anche il fatto che le forme tratte da dialetti meridionali e centrali sono argotiche e di natura diversa da quella delle forme sarde. Non si ha mai qualcosa come *thi:u(m) lupu(m) per esaugurare il lupo: si ricorre a un eufemismo di natura diversa (un nome proprio femminile). Anche ciammaruca non sarà tanto da *thi:am eru:ca(m), quanto piuttosto da *Zia Maria Ruca.

La soluzione offerta da Pittau a questi gravi difficoltà è il paragone con il pronome dimostrativo etrusco ta, arc. ita: i prefissi paleosardi sono da lui interpretati come articoli che si sarebbero poi cristallizzati perdendo la loro originaria funzione. La cosa mi pare sospetta, anche perché i sostantivi neolatini derivano quasi sempre da accusativi, e all'accusativo l'etrusco ta fa tn. Se le parole in questione fossero entrate nel latino volgare da una lingua affine all'etrusco, è molto probabile che avrebbero conservato un elemento nasale come antica desinenza dell'accusativo fossile. 

La teoria dell'origine berbera

Non va nascosto che esistono anche romanisti che accettano l'origine neolatina dei prefissi in questione, ma li ritengono di origine berbera e li utilizzano nel tentativo di ricondurre la popolazione isolana a un sostrato africano. Il prefisso berbero utilizzato per il paragone è il ben noto marcatore femminile ta-:

a-fullus, fullus "pulcino" < lat. pullus
ta-fullus-t "gallina" 

Va detto però che dall'analisi della parole sarde, non si evince affatto un uso di questo prefisso per marcare parole di genere femminile in opposizione a parole di genere maschile: l'ipotesi, basata su un'assonanza e contraddetta dai dati di fatto, è quindi da respingersi. Wagner, le cui conoscenze di berbero erano alla meglio fragili, credeva che vi esistesse un fantomatico prefisso maschile *tu- opposto al femminile in ta-, mentre invece nella realtà il prefisso maschile è a-.  

2) Prefissi in consonante velare: 

Per alcune parole che in molte varietà di sardo neolatino si hanno prefissi in dentale, esistono anche forme che presentano invece un prefisso in consonante velare, a volte palatalizzata: 

ka-
ci- /tʃi-/
 

Così abbiamo in campidanese per thi-likerta:

ka-lixerta
ci-lixerta  

Si dovranno quindi ricostruire le seguenti forme paleosarde: 

KA-
KI-

È lampante il fatto che questi prefissi non possono essere ridotti artificiosamente a thi:a(m). Pittau riterrebbe di certo questo prefisso confrontabile con il pronome dimostrativo etrusco ca, arc. ika; non mi risulta tuttavia che lo studioso barbaricino abbia trattato queste forme nel suo sito.

3) Prefissi in vocale:

Si danno casi di parole sarde con antichi prefissi in vocale agglutinati. Questi sono: 

a-
u-

Esempi:

a-tzanda "papavero", rispetto a tzanda id.
u-kau "gabbiano", rispetto a kau, kaone id.

Il prefisso u- non sembra mostrare alcuna vitalità, mentre il prefisso a- ha la proprietà di aggiungersi spesso ai prefissi in dentale per dare una sequenza a-tza- (a volte dissimilata in an-tza-) o at-ta-.
Ricostruiamo quindi i corrispondenti prefissi paleosardi: 

A-
U-

Ancora una volta, sembra che questi elementi non alterino in alcun modo il significato delle parole a cui sono aggiunti: non è facile capire la loro antica funzione.

Considerazioni finali

A parer mio la natura di tutti questi elementi non è chiara. In una fase molto antica del protobasco dovevano esistere simili marcatori, di cui restano oggi pochissime tracce.

In un caso particolare possiamo ricostruire tale situazione in basco: 

urki, burk(h)i "betulla" - varianti: turki (vizcaino di Zigoitia), epurki (Gipuzkoa, arc.) 

La situazione che si ricostruisce è questa: 

*burki, *te-burki 

L'occlusiva dentale sorda t- del prefisso è quindi sparita nella maggior parte dei dialetti; in questo modo *te- si è mutato in e-. Respingo l'idea di Michelena, che postulava un'improbabile assimilazione da burki a *gurki, passando poi a *kurki e quindi provvidenzialmente dissimilando in turki. Una spiegazione contorta che postula una serie di mutamenti non usuali. La mia spiegazione invece riduce a una sola origine le forme turki ed epurki.

In aquitano, una forma antica di basco e in pratica una varietà di protobasco, si danno casi di conservazione dell'antico T- accanto a forme in H-

TALSCO-, HALSCO- : basco haltz "ontano" + -ko
TARBEL-, HARBELEX : basco harbel "ardesia" (lett. "pietra nera")

In particolare TARBEL- deve essere da *TA-HAR-BEL-, con successiva contrazione. 

Ho una domanda da porre sia al Blasco Ferrer che al Pittau, e spero che non cada nel vuoto. Quanto visto per le fasi più antiche del basco e per l'aquitano è poi così diverso dalla situazione dell'attuale sardo?

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