La ricostruzione della parola gotica per indicare l'elefante è finalmente un fatto compiuto. Possiamo con sicurezza porre gotico *ailipandus /'ɛlipandus/ "elefante". Nella trascrizione etimologica tradizionale si scriverebbe *aílipandus. Noi non usiamo questa ortografia, dato che ci riferiamo al gotico dell'epoca di Wulfila (IV secolo d.C.), e in quanto la scelta editoriale di esprimere le vocali brevi /ɛ/ /ɔ/ con i digrammi aí aú può risultare estremamente ingannevole, soprattutto per i lettori italiani. Così nella lingua gotica ricostruita (conlang neogotica), avremo ailipandus, e per i nostri fini potremo usarlo senza l'asterisco tanto caro agli accademici, che come è risaputo si baloccano nella loro torre d'avorio senza volersi applicare a concrete e sistematiche imprese di ricostruzione delle lingue antiche.
Le basi che provano la fondatezza e la bontà del lemma da noi ricostruito sono le seguenti:
1) L'antroponimo Elipandus, portato da un dissidente religioso spagnolo (VIII-IX sec.)
2) Antico alto tedesco elphant, helphant, elepant "elefante"
3) Antico inglese (anglosassone) elpend, ylpend "elefante"
2) Antico alto tedesco elphant, helphant, elepant "elefante"
3) Antico inglese (anglosassone) elpend, ylpend "elefante"
Da questo vediamo che nella lingua di Wulfila *ailipandus "elefante" doveva essere ben distinto da ulbandus "cammello", proprio come in antico alto tedesco elphant "elefante" era ben distinto da olbenta "cammello" (variante olbento, antico sassone olbundeo). In altre parole si tratta di un doppione, entrato in gotico due volte da due fonti diverse (in una con vocale oscurata dalla liquida velare), e con significati diversi. La forma ulbandus sarà da un latino volgare *olifantus, che non è sconosciuto alle lingue romanze (si veda ad esempio il famoso Olifante, corno d'avorio del paladino Orlando, dall'antico francese olifant).
Questo pone fine, si spera una volta per tutte, all'annoso problema del vocabolo gotico per indicare il pachiderma proboscidato.
Questo pone fine, si spera una volta per tutte, all'annoso problema del vocabolo gotico per indicare il pachiderma proboscidato.
In particolare:
1) Non si deve ricostruire *feils "elefante" sulla base del norreno fíll "elefante", che chiaramente ha la sua origine nell'arabo fīl. Questo notevole vocabolo è attestato in un verso risalente al X secolo (Fb. i. 209), che tuttavia alcuni ritengono non autentico. Molto probabilmente è giunto tra i Vichinghi attraverso il persiano, seguendo le rotte commerciali della Russia e di Costantinopoli.
2) Non si dovrebbe usare ulbandus col significato di elefante: l'antico alto tedesco e l'anglosassone distinguono chiaramente l'elefante dal cammello. Ad esempio abbiamo in anglosassone on horsum and on, múlum and on olfendum and on elpendum, tradotto con "equis et mulis et elephantis et camelis" (Nar. 9. 15). Tuttavia pare certo che qualche sovrapposizione potesse sussistere in alcuni casi, come mostrato dall'esempio del norreno, in cui úlfaldi "cammello" si può tradurre con "elefante" in un famoso detto latino elephantum ex musca facere "far di una mosca un elefante" (gera úlfalda úr mýflugu).
2) Non si dovrebbe usare ulbandus col significato di elefante: l'antico alto tedesco e l'anglosassone distinguono chiaramente l'elefante dal cammello. Ad esempio abbiamo in anglosassone on horsum and on, múlum and on olfendum and on elpendum, tradotto con "equis et mulis et elephantis et camelis" (Nar. 9. 15). Tuttavia pare certo che qualche sovrapposizione potesse sussistere in alcuni casi, come mostrato dall'esempio del norreno, in cui úlfaldi "cammello" si può tradurre con "elefante" in un famoso detto latino elephantum ex musca facere "far di una mosca un elefante" (gera úlfalda úr mýflugu).
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