giovedì 16 giugno 2016

I RAVIOLI: ORIGINE ED ETIMOLOGIA


L'uso di avvolgere la pasta alimentare su svariati ingredienti salati o dolci per farne ravioli è antichissimo e di certo è comparso in modo indipendente in diverse parti del mondo. Oltre che in Italia i ravioli si trovano in Germania, in Polonia, in Russia, in Persia, in India, in Cina, in Thailandia e in altri paesi, tra cui la remota Mongolia. Nel corso dei secoli diverse ricette si sono diffuse su aree vastissime, sovrapponendosi a tradizioni precedenti, tanto che non è facile districare la matassa. Non soltanto i ravioli non hanno origini determinabili con sicurezza, ma la stessa parola italiana che li designa è di origine problematica. Sono state avanzate diverse proposte etimologiche. 

1) Prima ipotesi: derivazione da rapa.
Secondo questa assunzione, la protoforma latina doveva essere *ra:piolu(m), con la variante *rap:iola(m), derivata da ra:pu(m), ra:pa(m) "rapa" con un suffisso diminutivo. Questo perché il ripieno era fatto in origine con foglie di rapa e ricotta. Secondo alcuni, l'accostamento deriverebbe invece dalla forma dei primi ravioli, che sarebbe stata simile a quella di piccole rape. Una forma tarda rabiolae (femminile plurale) è realmente attestata. Questo è riportato nel sito etimo.it, che pure è pieno di inconsistenze e di errori: 

"raviòlo e raviuòlo probabilmente dal b. lat. RABIÒLÆ specie di manicaretto, di cui è fatta menzione in una lettera dell'arcivescovo Giraldo presso Matteo Parigino." 

2) Seconda ipotesi: derivazione dal longobardo *raphio, *raffio "uncino" (> italiano raffio).
Secondo questa assunzione, il raviolo deve il suo nome alla forma originale, che sarebbe stata ricurva.
Da qui deve essere derivata la variante raffiolo, documentata nell'Italia Centrale e nel Meridione(1), oltre che nel Veneto (rafiol). Questa variante non può essere in alcun modo spiegata a partire da una protoforma *ra:piolu(m) tramite i regolari sviluppi delle varietà romanze.

(1) A Napoli e altrove indica un dolce. 

3) Terza ipotesi: derivazione da raviggiolo, lombardo raviggioeu /ravi'dʒø/, nome di un formaggio tipico dell'appennino tosco-romagnolo che a quanto pare si usava al posto della ricotta in alcune preparazioni. Sono note le varianti ravigiolo, raveggiolo e ravaggiolo. Alcuni sostengono che l'origine ultima di questo raviggiolo derivi dal nome di un paese toscano che oggi si chiama Raggiolo. In realtà dovrebbe derivare dal verbo rivagliare, ossia "passare di nuovo al vaglio", cfr. romagnolo ravgiòl "cruschello da rivagliare". L'etimologia popolare presenta qualche difficoltà semantica: il nome del raviolo verrebbe infatti ad essere identico a quello del formaggio senza alcun suffisso che ne specifichi in qualche modo la derivazione. 
In un sito web che sostiene questa etimologia viene sostenuta l'invenzione del manicaretto da parte di una contadina di Cernusco sul Naviglio, e viene utilizzata una citazione dell'umanista milanese Ortensio Lando (XVI sec.) in cui compare invece la forma "raffioli": "Libista, contadina lombarda da Cernuschio, fu l'inventrice di far raffioli avviluppati nella pasta".

 

4) Quarta ipotesi: derivazione da una parola di origine germanica non attestata in italiano, ma simile all'inglese to ravel "avvolgere". Contro questa proposta va ricordato che la parola inglese in questione, di origine olandese (< ravelen, a sua volta da rafel "filo sfilacciato"), si riferisce al filo e al filato e non mi pare quindi molto idonea a spiegare il raviolo.

Le ipotesi 1) e 2) sopra riportate cozzano tra loro, pur sembrando avere entrambe qualche ragione di validità. Come poterle comporre?

Se la seconda ipotesi fosse genuina, la forma lombarda non avrebbe -v-, perché il vocabolo longobardo aveva un fonema bilabiale /φφ/ derivato da -p- tramite la seconda rotazione consonantica, che si mantiene come -ff- negli esiti romanzi. Infatto la protoforma germanica della parola longobarda è ricostruibile come *xrapjan-, dalla radice *xrap- che ha dato in medio alto tedesco raffel "uncino". Esisteva anche una variante con nasale, *xrampjan- (m.) / *xrampjo:n- (f.), da cui longobardo *ramphio /'rampfjo/ (> italiano ranfio), *ramphia /'rampfja/ (> italiano ranfia). Dalla stessa radice, ma con un suffisso sigmatico e una metatesi, si è prodotto *xrap-so:n- > *xraspo:n-, donde italiano raspa, raspare. Non sussiste invece alcuna parentela con il tedesco moderno Krapfen "gancio", che ha un diverso consonantismo (protogermanico *krappan-) e il cui corrispondente longobardo è invece *kra(p)pho /'krappho, 'krappfo/, *kra(p)phio /'krapphjo, 'krappfjo/ (> italiano graffio). 

È dunque possibile che la forma neolatina fosse quella originale e genuina. Ipotizzo che sia passata in longobardo e che la -v- sia diventata -ff-. Quindi i Longobardi hanno ritenuto per etimologia popolare che la parola derivasse da *raffio "uncino", e la forma raffiolo sarebbe stata adottata dal romanzo per effetto boomerang.
La Onesti Francovich ha scritto che non esiste attestazione alcuna di prestiti romanzi nella lingua longobarda(2). Ebbene, il nome del raviolo potrebbe essere uno di questi.

(2) Anche se questo non è propriamente vero (esiste almeno un nome proprio formato da una radice romanza, ossia Lopichis: questo nome fu dato a un antenato di Paolo Diacono che fu salvato da un lupo).

Infine non va dimenticato che si trovano anche varianti difficili come ravaiolo e raffaiolo, che non possono essere ricondotte direttamente alle ipotesi 1) e 2): loro formazione bizzarra potrebbe però essere spiegata ammettendo in qualche misura anche l'ipotesi 3), ossia l'influenza del verbo rivagliare (vedi raviggiolo).

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