mercoledì 20 luglio 2016


COLLASSO. COME LE SOCIETÀ
SCELGONO DI MORIRE O VIVERE

Titolo originale: Collapse: How societies choose
     to fail or succeed

Autore: Jared Diamond
Prima edizione: 2005
Lingua originale: Inglese
Genere: Antropologico/storico
Editore: Einaudi
Collana: Saggi
Curatore: L. Civalleri
Traduttore: F. Leardini

Sinossi (da Amazon.it): Sono molte le civiltà del passato che parevano solide e che invece sono scomparse. E se è successo nel passato, perché non potrebbe accadere anche a noi? Diamond si lancia in un ampio giro del mondo alla ricerca di casi esemplari con i quali mettere alla prova le sue teorie. Osserva somiglianze e differenze, storie e destini di antiche civiltà (i Maya, i Vichinghi, l'Isola di Pasqua), di società appartenenti al Terzo Mondo (Ruanda, Haiti, Repubblica Dominicana) o che nel giro di un solo secolo si sono impoverite, e individua le cause principali che stanno dietro al collasso: degrado ambientale, cambiamento climatico, crollo dei commerci, avversità dei popoli vicini, incapacità culturali e politiche di affrontare i problemi.

Indice:

    Prologo - Due fattorie
    Parte prima - Un caso di studio: il Montana
        1. I cieli sconfinati del Montana
    Parte seconda - Il passato
        2. Il crepuscolo degli idoli di pietra
        3. Gli ultimi sopravvissuti: le isole Pitcairn ed
            Henderson
        4. Gli antichi americani: gli anasazi e i loro
            vicini
        5. I Maya: ascese e cadute
        6. I vichinghi: preludi e fughe
        7. La verde Groenlandia
        8. La fine dei norvegesi in Groenlandia
        9. Due strade per la vittoria
    Parte terza - Il presente
        10. Malthus in Africa: genocidio in Ruanda
        11. Un'isola, due popoli, due storie: la
             Repubblica domenicana e Haiti
        12. La Cina, un gigante instabile
        13. L'Australia, grande miniera
    Parte quarta - Lezioni per il futuro
        14. Perché i popoli fanno scelte sbagliate?
        15. Business e ambiente
        16. Il mondo è il nostro polder

Recensione:

Questo libro di Diamond è un autentico gioiello, pieno zeppo di informazioni che non è facile reperire e che sono di grande pregio, vere e proprie boccate di ossigeno per la mente. Ovviamente le pagine più ispirate sono quelle che ritraggono civiltà che non hanno avuto successo nei loro tentativi di sopravvivere e che sono quindi incorse nel disastro. Trovo invece meno interessanti i tentativi di trarre una morale ottimistica dalla gigantesca mole di dati riportati. Se l'autore identifica correttamente la causa principale del genocidio del Ruanda, ossia la pressione demografica - arrivando a preconizzare un suo possibile ripresentarsi - non gli riesce di comprendere che tali mattanze non riguarderanno nel prossimo futuro soltanto l'Africa, ma fioriranno ineluttabilmente in Europa. Infatti proprio le nazioni del Vecchio Continente costituiscono il ricettacolo in cui si già adesso si stanno sversando le eccedenze demografiche delle regioni subsahariane, con tutto ciò che ne consegue. Credere che dalla globalizzazione possano scaturire motivi di speranza, seppur cauta, mi sembra assurdo come pensare che si possa curare un'infezione da Escherichia coli tramite pratiche di coprofagia. Non mi si dovrà dunque biasimare se affermo che il libro è tanto meno riuscito quanto più si procede nella lettura, andando dal capolavoro che è l'analisi del passato alla mediocrità delle conclusioni.  

La parte che illustra la storia della colonia norvegese in Groenlandia è piena di dettagli curiosi ed è quella che mi ha più colpito. Solo per fare un esempio, ci si imbatte in un fatto innegabile quanto strano: i discendenti dei Vichinghi stanziati nella Terra Verde non mangiavano pesce. Dall'analisi dei sedimenti di rifiuti di diversi siti, i residui ittici ammontano a circa lo 0,1% del totale (contro percentuali maggiori del 50% in Islanda e in Norvegia). Non si sono trovati quasi strumenti adatti alla pesca, come ami e lenze. In un sito addirittura fu mangiato un solo merluzzo nel corso di un secolo. Diamond riesce a resistere a tutti i tentativi cervellotici di spiegare questa anomalia, enunciando un'ipotesi geniale. Il fondatore della colonia, Erik il Rosso, fece una terribile indigestione di pesce e si salvò per miracolo. Come conseguenza per 450 anni il pesce in Groenlandia fu tabù, anche a costo della morte per fame.

Le condizioni di vita erano spaventose e si facevano sempre più dure con il passar dei decenni. I discendenti dei primi coloni, legati all'allevamento del bestiame bovino, si dimostrarono incapaci di far fronte al clima che procedeva verso una vera e propria piccola glaciazione. I bovini era liberi di pascolare per pochi mesi l'anno, poi venivano rinchiusi in poste che erano come sepolcri, dove rimanevano murati durante il terribile inverno. Gli escrementi non potevano essere rimossi e nel corso della stagione invernale si accumulavano fin quasi a soffocarli. I servi dovevano trascorrere i mesi bui in tali buchi di merda, impegnati a nutrire a forza gli animali. Soltanto la primavera successiva i bovini venivano liberati dalla loro atroce prigionia: le poste venivano aperte, lo sterco veniva spazzato via e il bestiame reso rachitico cercava di reggersi sulle proprie deboli gambe, avviandosi al pascolo. Era un allevamento che richiedeva una gran quantità di sforzi e che non rendeva nulla: venne continuato fino alla fine perché era ritenuto segno di prestigio sociale.

Nonostante le condizioni disumane di sopravvivenza, i Groenlandesi investivano gran parte delle loro risorse per costruire chiese e per mantenere i vizi del Vescovo, che faceva importare vino e campane di bronzo a costi proibitivi. Per alimentare queste pretese inique e per pagare le esose decime, venivano organizzate battute nel Norðrseta, il territorio di caccia del Nord. Erano spedizioni pericolosissime, che sottraevano una gran parte della forza lavoro alla comunità proprio nella stagione del maggior bisogno. Causa la scarsità di legno e di ferro, le imbarcazioni erano malsicure, le armi rudimentali e poco adatte ad affrontare le fiere. Eppure con questi mezzi, i cacciatori riuscivano a massacrare un gran numero di trichechi e di orsi polari. Le carcasse venivano macellate in loco: non c'era posto per la carne sulle navi. Veniva trasportato qualche esemplare vivo di orso polare vivo e di girifalco, oltre alle pelli degli animali uccisi e alle zanne dei trichechi. Si trattava di merci inestimabili, che pretendevano però uno spaventoso tributo di sangue. 

L'autore è assolutamente incapace di accettare che i Groenlandesi non abbiano adottato la tecnologia degli Inuit, che avrebbe permesso loro di sopravvivere - ad esempio cacciando le balene in mare aperto. Per molte pagine continua a chiedersi perché questi discendenti di Vichinghi abbiano dissipato risorse per la costruzione di chiese, per le pompe del Vescovo e per le spedizioni nel Norðrseta. Nonostante la sua acuta capacità d'analisi e la vastità delle sue conoscenze, Diamond non coglie appieno il nòcciolo della questione. Pur enunciando in termini freddamente razionali la corretta spiegazione dell'agire dei coloni, non è in grado di comprenderla: il suo pensiero laico ha il sopravvento, sembra quasi che egli si aspetti che ogni popolazione del globo in ogni epoca storica debba agire sempre e comunque secondo un principio laico. Tuttavia i Groenlandesi erano religiosi e ritenevano i pagani Inuit seme del Diavolo, non veri e propri esseri umani. Ogni forma di promiscuità con gli Skrælingar e con le loro usanze avrebbe avuto una conseguenza ben più tremenda della morte per fame: la Dannazione Eterna.

Trovo molto interessanti anche altre parti dell'opera, come quella che parla degli abitanti dell'Isola di Pasqua e quella dedicata agli Anasazi. In quello che oggi è il Sudovest degli Stati Uniti fiorirono diverse civiltà che edificarono strutture architettoniche mirabili. Queste culture si svilupparono e si estinsero in tempi diversi. Tra loro vi erano gli Anasazi, il cui nome significa Antichi nella lingua dei Navajo (l'endoetnico è sconosciuto). All'inizio l'area era ricca di conifere e di ginepri, che fornivano cibo e legname alla popolazione, integrando le risorse dell'agricoltura e della caccia. Nel corso dei secoli, la popolazione crescente e l'aridità del clima causarono seri problemi. Diamond descrive il disgregarsi della società fino al suo crollo finale, quando imperversarono lotte intestine e si verificò la prevalenza del cannibalismo. Un grave problema trattato da Diamond è quello degli studiosi negazionisti, che si sono a lungo ostinati a combattere con ogni mezzo l'idea che tra gli Anasazi potessero allignare costumi antropofagi. Tale forma di negazionismo è tutt'altro che raro in antropologia e ha la sua origine in motivazioni moralistiche che possono ben essere viste come un ramo del pestilenziale albero del buonismo. Il ragionamento di base è semplice, per quanto deleterio: "Se si ammettesse l'esistenza del cannibalismo svincolato da episodi estremi di necessità di sopravvivenza, si giungerebbe a conclusioni pessimistiche sulla natura umana". A tutto ciò si oppone - oltre che l'evidenza dei fatti - quanto detto da Kant: "Da un legno così storto come quello di cui è fatto l'uomo, non può uscire nulla di interamente diritto". Tramite le analisi di resti archeologici e di escrementi rinsecchiti si è riusciti a ricostruire con precisione la dinamica della tragedia in cui è perita la civiltà Anasazi. Intere famiglie sono state predate e sterminate, dai crani è stato prelevato lo scalpo (con buona pace di chi reputa la pratica non autoctona), le carni tagliate sono state cucinate assieme al mais, le ossa sono state spezzate per estrarne il midollo. Sono state trovate pentole usate per la cottura e nelle feci sono stati scoperti abbondanti resti di miosina umana. Escrementi depositati nel luogo del banchetto tiesteo, senza dubbio in spregio alle vittime che sono servite a satollare gli stomaci degli assassini. Questi sono i fatti di fronte ai quali nulla possono le menzogne dei buonisti di ogni genere.

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