domenica 24 luglio 2016


METTI LO DIAVOLO TUO NE LO MIO INFERNO

Titolo originale: Metti lo diavolo tuo ne lo mio
     inferno
Lingua originale: italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1972
Durata: 85 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: commedia, erotico
Regia: Bitto Albertini
Soggetto: Bitto Albertini,
   Vittorio Vighi
Sceneggiatura: Marino Onorati,
   Bitto Albertini
Produttore: Wolfranco Coccia
Fotografia: Pier Luigi Santi
Montaggio: Alberto Moriani
Musiche: Stelvio Cipriani
Scenografia: Stefano Paltrinieri
Costumi: Adriana Spadaro
Interpreti e personaggi:
    Antonio Cantafora: Ricciardetto
    Melinda Pillon: Monna Violante
    Margaret Rose Keil: Amalasunta
    Piera Viotti: Monna Elisa
    Alessandra Maravia: "Madre Badessa"
    Renate Schmidt: La Taverniera
    Mario Frera: Fra' Gaudenzio
    Mimmo Baldi: Martuccio
    Luca Sportelli: Geppino
    Gennaro Masini: Arturo
    Mario De Vico: Cardinale
    Giorgio Bixio: padre di Isabella
    Gennarino Pappagalli: Monsignore
    Bruno Boschetti: frate dal Veneto
    Renate Schmidt: la Taverniera
Doppiatori italiani:
    Gianni Giuliano: Ricciardetto
    Lorenza Biella: Monna Violante
    Marzia Ubaldi: Amalasunta
    Franco Latini: Martuccio

Trama (da Comingsoon.it):
Maestro Ricciardo, un giovine pittore cui il podestà di Montelupone ha commissionato il ritratto della propria moglie, divide il suo tempo tra il sedurre le donne del paese e l'escogitare idee per favorire l'economia del medesimo. Indetto da Bonifacio VIII, l'Anno Santo poiché Montelupone rischia di perdere - a vantaggio del vicino paese di Buoncostume - il denaro dei pellegrini in viaggio verso Roma, Ricciardo fa in modo, distruggendo un ponte, che costoro siano costretti a evitare la cittadina rivale e a passare per Montelupone. Gli affari dei suoi abitanti cominciano a prosperare e Ricciardo; considerato un benefattore, può dedicarsi alla sua attività preferita di cacciatore di donne. Quando il podestà però, che si ritiene l'unico a non essere stato tradito dalla moglie scopre costei a letto con Ricciardo condanna il pittore ad essere evirato. L'intervento di una nobildonna, incallita peccatrice, salva Ricciardo dall'atroce punizione.

Recensione:

"Servendosi della trama unicamente quale pretesto narrativo, il film si profonde, con estrema monotonia di situazioni e privo di ogni memoria del buon gusto o del senso del pudore, in scenette pornografiche vagamente ispirate al materiale boccaccesco." (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 75, 1972)

Memorabile la scena in cui l'amante si nasconde in una cassa di legno che si rivela un ingegnoso gabinetto dell'epoca. Tale cassa presenta due buchi in cima, su cui i signori della casa usano mettersi in posizione defecatoria, facendo cadere gli escrementi di sotto. Così accade che il pingue nobiluomo si siede su quell'ameno cesso assieme alla moglie ignaro del cavaliere che si nasconde là sotto, e comincia allegramente a rilasciare le feci. La telecamera riprende ciò che avviene all'interno del gabinetto: grosse pallottole di sterco piovono proprio sul naso dell'intruso nascosto, che distorce il volto in smorfie di assoluto disgusto. La moglie del nobiluomo è un po' stitica e fa fatica: dall'ano non le esce nulla. Il telespettatore è tenuto sotto tensione, nella spasmodica attesa di vedere anche la merda della donna addosso all'amante. Tuttavia, proprio quando lei riesce a liberarsi, ecco che le riprese cambiano e uno resta col fiato sospeso, volente o nolente, interrogandosi sulla merda della dama, sulla sua consistenza e sulla dinamica del suo impatto. La morbosità viene frustrata senza rimedio. Questa è una delle poche testimonianze di coprofilia che si trovino in un film italiano (un'altra è ovviamente in Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini) - e credo in assoluto l'unica in una commedia italiana.

Il titolo del film, "Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno", è - anche se di certo involontariamente - una delle poche interessanti manifestazioni di una dottrina dualista medievale nell'Italia moderna. Se per San Francesco la Natura è buona e composta per intero da Fratelli e Sorelle - pur dimenticandosi di Sorella Merda nel suo famoso Cantico - per i Catari la Natura è malvagia, irredimibile e creazione di Satana. Così chiamare "diavolo" il pene e "inferno" la vagina è in tutto e per tutto Dottrina dei Buoni Uomini, qualcosa che si distacca radicalmente dalla spiritualità mainstream dell'epoca e dalla teologia cattolica. Come sopra accennato, quello che duole è il fatto che tutto ciò non sia il prodotto di una mente consapevole. Ecco dove siamo ridotti a cercare barlumi di una religione un tempo gloriosa e ora obliata: nelle più turpi e grossolane commedie!

La recensione negativa del navigatore mm40, trovata su Filmtv.it, merita senza dubbio di essere riportata in questa sede:

"Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno ha un ruolo di culto fra i tanti decamerotici (commedie pecorecce farcite di nudi e volgarità, che vennero realizzate in serie e a bassissimo budget nel giro di 3-4 anni in seguito all'uscita del Decameron di Pasolini, 1971). Non si capisce bene perchè: forse per il curioso e arzigogolato titolo - tratto da una battuta del film -, perchè in effetti nè regista, nè interpreti, nè situazioni particolari della trama possono rimanere più di tanto impressi positivamente nella mente dello spettatore e aiutarlo magari a distinguere questo lavoro dagli innumerevoli similissimi che in quel periodo il cinema italiano sfornava senza posa. Bitto Albertini è fuori luogo: amante di un cinema esotico, da cartolina (Emanuelle nera, Nudo e crudele sono fra i suoi titoli più noti), qui si ritrova a dover imbastire una farsuccia scombiccherata a base di corna, nudi femminili e altre corna, con una sceneggiatura scritta peraltro proprio da lui con la collaborazione di Marino Onorati, mestierante non del tutto disprezzabile (Ultimo tango a Zagarol, L'esorciccio). Allo stesso modo il cast è assolutamente risibile: gli unici nomi che spiccano sono quelli di due caratteristi come Antonio Cantafora (qui protagonista) e Luca Sportelli (in un ruolo minore); si aggiungano pure le musiche dozzinali di uno Stelvio Cipriani fuori forma, nonchè le già note lacune tecniche del regista (in questo caso, data la realizzazione misera e frettolosa, perfino esuberanti): la frittata è fatta. Di Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno vale la pena segnalare soltanto una breve scena che vede marito e moglie seduti vicini sulle domestiche cloache; mentre i sottintesi erotici/sessuali si sprecano (l'amante di lei è nascosto nella 'tazza' di lui), lui sta defecando copiosamente e Albertini non manca di inquadrare dettagliatamente la produzione dell'atto, che va a spalmarsi leggiadra sul terzo (mai così tanto) incomodo. La storia del teatro e della letteratura mondiale potrebbe essere sconvolta: nasce il nuovo binomio Amore e Merda. 1/10."   

Che altro dire? Senza volerlo, mm40 evoca quello che a parer mio dovrebbe fondare ogni rappresentazione dei rapporti tra i sessi: l'indissuolubile unione dell'Amore e dello Sterco. Tutto inizia e finisce nella Merda. Che teatro e letteratura siano devastati da una Rivoluzione Fecale! 

Citazioni:
"A Montelupone si pecca bene e ci si purifica meglio."

Altre bizzarrie: 
Notevole è il personaggio di un mercenario svizzero, ardente sodomita attivo che cerca ogni pretesto per sfondare deretani, ricorrendo a un ingegnoso agguato.

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