mercoledì 31 agosto 2016

ALCUNE NOTE SU STAND BY ME DI BEN E. KING E SUL SUO 'ADATTAMENTO' ITALIANO


Le parole di Stand by Me (1961), scritte da Ben E. King, Jerry Leiber e Mike Stoller, mi ispirano una serie di riflessioni. Questo è il testo: 

Stand by Me
(Ben E. King)

When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No I won't be afraid
Oh, I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me

So darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand, stand by me
Stand by me

If the sky that we look upon
Should tumble and fall
Or the mountain should crumble to the sea
I won't cry, I won't cry
No, I won't shed a tear
Just as long as you stand, stand by me

And darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand now, stand by me
Stand by me

So darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand now, stand by me, stand by me
Whenever you're in trouble won't you stand by me
Oh stand by me, won't you stand now, oh, stand
Stand by me

La canzone di Ben E. King è palesemente rivolta a Dio. Si tratta di una chiara metafora della morte, che è vista come il calare delle tenebre alla fine di una giornata. Il moribondo si ritrova solo tra le montagne, in una valle solitaria e impervia, lontano dalle luci delle città. Non c'è più il sole a fare da guida. Sembra quasi di ravvisare un sentimento antico e tipico dei fierissimi Celti, la cui sola paura era che il cielo cadesse sulle loro teste. Infatti la volta celeste sembra tremare, le stelle sono scosse dalle loro sedi e minacciano il viandante. Un riferimento anche all'Apocalisse e a Satana che in forma di dragone smuove gli astri facendone precipitare una terza parte sulla Terra (Ap. 12, 3-4). Un'allegoria che non può avere corrispondenza nella realtà fisica dei cieli e delle stelle, che sono soli lontani e non innocue scintille incastonate nell'Empireo, ma che conserva immutata la sua potenza maestosa. Le montagne collassano, l'intero universo perde senso per chi si accinge a trapassare. Mentre la realtà quotidiana viene smantellata fin dalle fondamenta, Dio è la sola presenza amica. Sembra che l'autore del testo abbia provato sulla propria pelle un'esperienza di pre-morte (NDE), che sia stato vicinissimo a spirare e che una volta ritornato dai confini dell'esistenza terrena abbia sentito fin nel midollo il ricordo di quegli istanti. 

Si capisce che l'origine ultima del testo è Salmi 23, 4: 

Quand'anche camminassi nella valle dell'ombra della morte,
non temerei alcun male, perché tu sei con me;
il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.  

Alcuni affermano che la canzone di Ben E. King è un adattamento alla musica del suo tempo di un brano soul degli Staple Singers, risalente al 1955. Sono tuttavia convinto che non sia un banale remake. In realtà gli Staple Singers a loro volta si sono ispirati alla canzone Stand by Me di Charles Albert Tindley (1905), che è stata poi ripresa tra gli altri anche da Bob Dylan. Riporto il testo in questione per un rapido confronto:

Stand by Me
(Charles Albert Tindley song)

When the storms of life are raging
Stand by me (Stand by me)
When the storms of life are raging
Stand by me (Stand by me)
When the world is tossing me
Like a ship upon the sea
Thou who rulest wind and water
Stand by me (Stand by me)

In the midst of tribulation
Stand by me (Stand by me)
In the midst of tribulation
Stand by me (Stand by me)
When the hosts of hell assail
And my strength begins to fail
Thou who never lost a battle
Stand by me (Stand by me)

In the midst of faults and failures
Stand by me (Stand by me)
In the midst of faults and failures
Stand by me (Stand by me)
When I do the best I can
And my friends misunderstand
Thou who knowest all about me
Stand by me (Stand by me)

In the midst of persecution
Stand by me (Stand by me)
In the midst of persecution
Stand by me (Stand by me)
When my foes in battle array
Undertake to stop my way
Thou who saved Paul and Silas
Stand by me (Stand by me)

When I'm growing old and feeble
Stand by me (Stand by me)
When I'm growing old and feeble
Stand by me (Stand by me)
When my life becomes a burden
And I'm nearing chilly Jordan
O Thou Lily of the Valley
Stand by me (Stand by me)

Mentre Stand by Me di Ben E. King, membro della Chiesa Battista, è una canzone spirituale che affonda le sue radici nella sensibilità protestante, il suo "adattamento" italiano cantato da Adriano Celentano, Pregherò (1962), è invece di natura assolutamente dissimile. Pregherò non è una canzone cristiana nello stesso senso dell'originale: è infatti una canzone cattolica.  

Eccone il testo: 

Pregherò
(Adriano Celentano)
 

Pregherò
Per te,
Che hai la notte nel cuor
E se tu lo vorrai,
Crederai

Io lo so perchè,
Tu la fede non hai
Ma se tu lo vorrai,
Crederai.

Non devi odiare il sole
Perchè, tu non puoi vederlo,
Ma c'è
Ora splende, su di noi,
Su di noi.

Dal castello del silenzio,
Egli vede anche te
E già sento
Che anche tu, lo vedrai.

Egli sa
Che lo vedrai,
Solo con gli occhi miei
Ed il mondo,
La sua luce, riavrà
Io t'amo, t'amo, t'amo
O-o-oh!
Questo é il primo segno
Che da
La tua fede nel Signor,
Nel Signor, nel Signor.

Io t'amo t'amo t'amo
O-o-oh!
Questo é il primo segno che da
La tua fede nel Signor,
Nel Signor.
La fede é il più bel dono
Che il Signore ci da
Per vedere lui
E allor
Tu vedrai,
Tu vedrai,
Tu vedrai...

A comporre le parole fu Don Backy, un cantautore del clan di Celentano. Pregherò fu subito un successo strepitoso, che raggiunse il primo posto nelle classifiche e arrivò a vendere un milione di copie. Ricordo ancora quando in una trasmissione a cantare questa canzone fu Little Tony. Ci metteva un ardore che rasentava il fanatismo. Aveva gli occhi spiritati e simili a carboni ardenti, tanto da sembrare un milite in partenza per le Crociate.  
Del moribondo che si affida a Dio nel testo italiano non c'è traccia alcuna. A quanto ho potuto apprendere - ma è cosa tutta da dimostrarsi - l'autore del testo celentanesco avrebbe tratto ispirazione dalla vicenda di una ragazza che ha smesso di credere in Dio dopo aver perso la vista. Secondo il mio parere, è invece suscettibile di un'interpretazione ben più ampia. Nego che alluda a un caso particolare. Pregherò è un inno all'intolleranza religiosa, in cui chiunque non crede nel Dio imposto dai preti della Chiesa di Roma viene ritenuto un minus habens, in tutto e per tutto un minorato. La cecità non è, come alcuni dicono, l'incapacità degli occhi di una ragazza di vedere il mondo, ma una trasparente metafora dell'ateismo. L'ateo è in altre parole paragonato a un cieco, che ha la notte nel cuore, che odia il sole perché non può vederlo, che non concepisce i colori perché gli manca qualcosa. Il cattolico militante ritiene quindi di avere il dovere di vessarlo, di spingerlo in tutti i modi a rientrare nell'ovile ecclesiastico e di pregare Dio perché lo converta contro la sua volontà. Un'aporia spaventosa. I cattolici, che affermano la dottrina del Libero Arbitrio, poi si trovano a negarla, contraddicendosi ogni volta che chiedono a Dio di violare la volontà di una persona.

La mia ipotesi è che Pregherò sia stata commissionata dall'organizzazione settaria conosciuta come Azione Cattolica, che nei primi anni '60 aveva ancora un considerevole potere. I ranghi di tale associazione erano agguerritissimi e ben organizzati, tanto che lo stesso Mussolini dovette faticare non poco per sopprimerla, anche se non in modo definitivo. Preoccupato dall'influenza che la setta aveva sui giovani e dalla sua invadenza in ogni campo sociale, scatenò contro di essa gli squadristi d'assalto, che ne ebbero ragione soltanto dopo una dura pugna in cui ne devastarono le sedi, requisendo distintivi, spezzando crocefissi, intonando ripetuti canti osceni e di morte contro il Pontefice (il più mite ritornello sarà stato qualcosa del tipo "Ratti, Ratti nel buso del cul, vaffancul, vaffancul!"). La cosa è tanto più sorprendente se si pensa che questa offensiva esplose nel 1931, dopo la firma dei Patti Lateranensi (1929). Tornando a Celentano e a Don Backy, possiamo affermare questo: ciò che contraddistingue ogni sillaba di Pregherò è proprio l'idea di societas christiana, un'utopia teorizzata da Alcide De Gasperi e portata avanti non soltanto dal Partito Popolare (poi Democrazia Cristiana), ma anche dall'Azione Cattolica. Un'utopia fondata sulla confusione semantica tra le parole cristiano (christianus) e cattolico (catholicus), in cui chiaramente non c'è e non può esserci alcun posto per chi non si riconosce nella teologia e nell'etica della Chiesa Romana. 

Non posso accettare l'analisi di Marco Liberti - che pure riporta informazioni interessanti di cui gli sono grato. Dire che le parole di Ben E. King sono "un testo d'amore abbastanza banale" è una pura e semplice assurdità, più grande del mostro marino che inghiottì Giona. Banali parole d'amore saranno quelle che un ragazzo foruncoloso rivolge alla sua segaiola, non certo quelle di Stand by Me

GÖDEL O DELL'IDEA DI INESISTENZA DEL TEMPO

In questi tempi di grande declino cognitivo del genere umano, va di gran moda l'idea che il tempo non esista. Non che il tempo sia qualcosa di misterioso e di estremamente difficile a trattarsi, ma che sia privo di realtà. In genere i sostenitori di quest'idea - o meglio di questo meme - sono anche abbastanza fanatici. Si dicono assolutamente certi di sussistere in una dimensione atemporale e vogliono imporre la loro certezza come dogma. Vediamo così di cominciare a fare qualche considerazione sul controverso argomento.

Sono consapevole che la trattazione non potrà esaurirsi in un semplice post, tanto è complessa. Iniziamo dall'idea di Kurt Gödel, che commentando le teorie di Albert Einstein, asserì l'inesistenza del tempo e la riduzione del cambiamento a qualcosa che ha la sua origine in un universo statico. Sul sito Scienzaeconoscenza.it, Alessandro Silva (2013) commenta i risultati degli interessanti studi dell'italiano Davide Fiscaletti e dello sloveno Amrit Sorli sulla natura del tempo, che partono proprio dalle deduzioni di Gödel.  



Riporto in questa sede i necessari riferimenti bibliografici e ad essi rimando per approfondimenti.

•    http://www.dailygalaxy.com/my_weblog/
2011/10/spacetime-has-no-time-dimension-
new-theory-claims-that-time-is-not-the-4th-
dimension-todays-most-pop.html

•    http://www.physorg.com/news/2011-04-
scientists-spacetime-dimension.html

•    Fiscaletti Davide and Sorli Amrit, “Non-locality and the symmetryzed quantum potential”, Physics Essays, Vol. 21, Num. 4, 2008
•    Sorli Amrit and Fiscaletti Davide, “Time is a measuring system derived from light speed”, Physics Essays, Vol. 23, Num. 2, 2010
•    Sorli Amrit, Fiscaletti Davide and Klinar Dusan, “Replacing time with numerical order of material change resolves Zeno problems on motion”, Physics Essays, Vol. 24, Num. 1, 2011
•    Sorli Amrit, Klinar Dusan and Fiscaletti Davide, “New insights into the special theory of relativity”, Physics Essays, Vol. 24, Num. 2, 2011

Per necessità di discussione riassumo in questa sede brani dell'articolo di Silva, aggiungendo le mie riflessioni. Il punto di partenza dell'articolista è l'affermazone del matematico Kurt Gödel, che nel 1949 sostenne: "In ogni universo descritto dalla teoria della relatività, il tempo non può esistere". Le ricerche di Fiscaletti e di Sorli portano alla conclusione che il tempo non debba essere ritenuto una dimensione fisica primaria, ma semplicemente come sequenza. In altre parole, il tempo sarebbe una mera grandezza matematica che descrive l'ordine numerico dei cambiamenti materiali, ossia degli eventi che avvengono nell'universo.  

Benissimo, ma una grandezza matematica non è qualcosa di inesistente. La proposizione "il tempo è una grandezza matematica" implica che "esiste qualcosa che chiamiamo tempo e che è descritto come un insieme ordinato di numeri". Questo contraddice in modo palese la proposizione "il tempo non può esistere" formulata da Gödel. Una successione di numeri non è qualcosa di inesistente. Possibile che qualcosa di così evidente sia sfuggito a quel grande logico? Dovremmo forse concludere che il matematico austriaco sia stato oggetto di una stima a dir poco esagerata? Potrebbe anche darsi. Del resto, solo la demenza della scuola e dei mass media potrebbe definire "uno tra i più grandi logici della Storia" un uomo che per evitare un'intossicazione alimentare si è lasciato morire di fame.  

Gödel, Fiscaletti e Sorli concordano nel definire i cambiamenti dell'universo come un ordine numerico. Si passa dal cambiamento "n" al cambiamento "n+1" e da questo al cambiamento "n+2", etc. Questo ordine numerico è una grandezza misurabile dagli orologi, definiti come "sistemi di riferimento che misurano la velocità di tutti i cambiamenti che hanno luogo nell'universo" (Silva, 2013). Non è l'universo a cambiare nel tempo, concludono gli studiosi: è piuttosto il tempo, ordine numerico del cambiamento, a fluire nell'universo.

Premesso che questa descrizione formale del cambiamento la trovo perfettamente logica e condivisibile, le conclusioni in parte la contraddicono. Dire che non esiste il tempo ma che esistono cambiamenti è assurdo. Se non è zuppa è pan bagnato. Il tempo consiste nei cambiamenti, non è possibile affermare l'esistenza dei secondi negando l'esistenza del primo - a prescindere dalla definizione che ne possiamo dare. Forse Gödel era semplicemente allergico alla parola "tempo" e l'intera questione dovrebbe essere considerata di lana caprina. Non un problema fisico ma un problema di metalinguaggio. I fautori della teoria del tempo inesistente giurano e spergiurano che così non è. 

Gödel, teorico dell'universo senza tempo, fu anche uno strenuo assertore della possibilità dei viaggi temporali dal presente al passato. Nel 1949 affrontò questo spinoso argomento, elaborando modelli matematici. Analizzando le equazioni di Einstein che descrivono l'espansione dell'universo, si accorse che una soluzione corrispondeva a una traiettoria spazio-temporale in cui il punto di arrivo precede nel tempo quello di partenza. Ne rimase molto turbato e si convinse che il tempo fosse soltanto una percezione umana soggettiva. 

Il problema, e lo si legge chiaramente, è che le conclusioni espresse da Fiscaletti e Sorli sono in ogni caso abissalmente distanti da quelle di Gödel, al punto che tra esse non sussiste quasi alcun punto di contatto. I due studiosi non ritengono affatto possibile il viaggio nel tempo dal presente al passato, mentre Gödel è giunto a tal punto nella sua negazione autistica del concetto di tempo da cozzare contro la realtà delle cose e da perdere il ben dell'intelletto.

Né in Gödel né in Fiscaletti-Sorli si può trovare qualcosa che chiarisca davvero la natura del tempo - che resta assolutamente misterioso. Flusso imperscrutabile che origina in una dimensione aliena e indipendente da ogni altra, oppure sequenza di configurazioni statiche? Ma queste configurazioni statiche chi le assegna? Se distruggiamo la visione di Newton, se distruggiamo la visione di Einstein e di Minkowski del tempo come quarta dimensione di uno spazio (codificata da numeri immaginari), e riduciamo la realtà a quattro dimensioni spaziali, col tempo come dimensione spaziale come le altre, come possiamo spiegare la sua alterità sostanziale? Infatti il susseguirsi dei cambiamenti, come Fiscaletti e Sorli chiamano il tempo, è dotato delle seguenti qualità che lo differenziano dalle dimensioni spaziali: 

1) È ineluttabile. Non esiste modo di opporsi a questa successione di configurazoni, di rallentarla, di accelerarla o più in generale di modificarla.
2) È irreversibile. Procede nel verso prefissato. Non c'è modo,
pace Gödel, di ritornare indietro verso il passato o di uscire dalla propria linea di esistenza per esplorare configurazioni alternative.
3) È auto-annichilente. Le configurazioni temporali passate scompaiono come in una botola magica, tempo di Planck dopo tempo di Planck, e non le recupera più nemmeno il Mago Silvan. Si sottraggono alla nostra osservazione, a differenza delle dimensioni spaziali.

Cruciale è il problema filosofico e fisico dell'esistenza o meno di un ordine intrinseco nell'universo, del tutto indipendente dalla percezione che gli esseri umani ne hanno. Galileo affermò nel XVII secolo che la matematica rappresenta la lingua in cui è scritto l'universo, e che senza di essa non è possibile comprensione alcuna della realtà in cui siamo immersi. Se l'universo si fonda  sulla matematica, è computabile. Di conseguenza, ogni processo fisico può essere simulato servendosi di una macchina, ad esempio di un computer. Si viene così a definire il concetto di "universo computabile" o "universo matematico", in cui gli eventi non si svolgono in una dimensione lineare chiamata "tempo", ma sono deterministici e descrivibili come sequenze numeriche. Si tratta di un'astrazione che descrive e governa l'universo fisico.  Quando un osservatore è consapevole della differenza che passa tra universo fisico e universo computabile, tra un fenomeno e il modello che lo descrive, si definisce "osservatore cosciente".
"La coscienza e l'universo matematico sono dunque entità non-fisiche che sono presenti in ogni universo osservabile e non osservabile" (Silva, 2013).

Viene a questo punto in essere l'idea che la capacità dell'osservatore di operare la distinzione "passato-presente-futuro" si fondi non già su una realtà oggettiva - ossia la distinzione tra passato, presente e futuro -  ma sull'attività dei neuroni, come se il cervello fosse materiale fantasmatico e privo di riscontro oggettivo. È il concetto di "tempo psicologico". L'osservatore cosciente a quanto pare riceverebbe un particolare stato di grazia dalla consapevolezza di distinzione tra la realtà fisica e il modello matematico che la descrive: verrebbe proiettato in una fantomatica condizione di immutabilità che a dirla tutta sa tanto di baggianata New Age.       
Perle di delirio alla Timothy Leary: "L’esperienza che ogni essere umano ha dei cambiamenti lungo la linea “passato-presente-futuro” del tempo è il risultato delle esperienze vissute nel quadro del tempo psicologico." E ancora: "Per un osservatore cosciente e consapevole il tempo psicologico non influisce sul tempo dell’universo e dunque quest’ultimo può essere interpretato per ciò che realmente è, privo di esistenza." (sempre da Silva, 2013)

Certo è un merito di Fiscaletti e di Sorli l'ammettere come punto di partenza l'ipotesi della realtè esterna indipendente dall'osservatore (ERH). Non sembrano tuttavia molto convinti della sua validità, per loro sembra essere solo una ipotesi di lavoro. Dall'ipotesi ERH si sono addentrati nel pericolosissimo campo del relativismo gnoseologico, che gli Antichi chiamavano scetticismo. Un atteggiamento che porta alla negazione della realtà misurabile per ridurla a un fatto soggettivo. Il tempo consisterebbe in una percezione arbitraria. Cos'è dunque la percezione umana? Qualunque cosa sia, esiste una forma peculiare di Ordalia che ci permette di sfatare il mito dello scetticismo. Si ponga davanti a chi reputa che il tempo sia frutto della percezione un bicchierino da grappa con dentro un cicchetto di acido cianidrico purissimo. Si inviti tale persona a bere il cicchetto. L'istante in cui lo scettico porterà il bicchiere alle labbra sarà l'ultimo della sua vita biologica. L'istante dopo, lo scettico si accascerà fulminato, ogni funzione vitale sarà in lui cessata. Questo è un esempio, per quanto amaro, di dato di fatto inoppugnabile che nessuna volontà umana sarà mai in grado di modificare. Peccato che non ci sia nessuno a schiaffeggiare il genio riportandolo alla realtà delle cose con simili esperimenti concettuali. 

Troppa psicologia selvaggia e troppe droghe psichedeliche? Non parrebbe un'ipotesi così peregrina. L'esperimento concettuale del bicchierino di acido cianidrico dimostra che la percezione soggettiva  del tempo è del tutto ininfluente. Come si vede, Fiscaletti e Sorli sono partiti dall'ipotesi ERH per giungere alla sua sostanziale negazione. Il fatto è che la distinzione presente-passato-futuro non è il frutto dell'attività neuronale. Anche a costo di essere impopolare, affermerò ciò che la Logica impone di affermare: la percezione soggettiva dell'osservatore cosciente non ha potere alcuno sulla realtà circostante, non la modifica, non la plasma, non la può cancellare. Nella distinzione presente-passato-futuro sono inclusi eventi che hanno il potere di porre fine alla stessa esistenza fisica dell'osservatore. Nessuna sinapsi potrà riportare in vita un osservatore deceduto. 

Il dogma definitivo vorrebbe porre fine a secoli di filosofia, portando la Conoscenza allo Stagno Termodinamico: il tempo "esiste solo come una grandezza matematica che può essere misurata dagli orologi." 

Si arriva in questo modo alle vette assolute della genialità umana. Per spiegare il concetto di tempo, che solo rende possibile la nostra esistenza come quella delle macrogalassie, lo si assoggetta a un manufatto umano come l'orologio. Equivarrebbe a definire un essere umano come un'immagine antropoide che può essere filmata da una telecamera. Si converrà che non è una definizione scientifica e filosofica accettabile. Nulla può cancellare in me l'impressione che il mondo scientifico versi ormai in una condizione paragonabile a quella di un decrepito affetto da morbo di Alzheimer.

martedì 30 agosto 2016

GÖDEL E LA PROVA ONTOLOGICA DELL'ESISTENZA DI DIO

Anche se forse tra il pubblico pochi ne sono a conoscenza, il matematico austriaco Kurt Gödel nel 1970 presentò a Dana Scott una dimostrazione dell'esistenza di Dio ottenuta servendosi degli strumenti della logica moderna, e più precisamente della logica modale S5. Il suo teorema assume un aspetto a dir poco stravagante: 

"Se Dio è possibile, allora esiste necessariamente. Ma Dio è possibile. Quindi esiste necessariamente".  

In forma più estesa, lo schema logico utilizzato è il seguente:

"Ogni proprietà positiva è necessariamente positiva.
Per definizione Dio ha tutte e solo le proprietà positive.
L'esistenza necessaria è una proprietà positiva.
Quindi Dio, se è possibile, possiede necessariamente l'esistenza.
Il sistema di tutte le proprietà positive è compatibile.
Quindi Dio è possibile.
Essendo possibile, Dio esiste necessariamente."

Ecco la dimostrazione, tratta dal sito Maat.it:


I - Definizione di proprietà positiva P(φ)
    (1) P(φ)  
     φ è positivo
    (o  φ ∈ P)
    "φ è una proprietà positiva P".
    Ad esempio essere onnipotente, essere giusto, essere onnisciente, essere misericordioso.
    (2) Assioma 1.  
    P(φ) . P(ψ) ⊃ P(φ . ψ)
    Nota 1. E per ogni numero di addendi.
    "Se φ e ψ sono proprietà positive, allora anche la congiunzione di φ e ψ è una proprietà positiva".
    Ad esempio se essere onnipotente è una proprietà positiva e essere misericordioso è una proprietà positiva, allora essere onnipotente e misericordioso è una proprietà positiva.
    La congiunzione di proprietà vale per un numero qualunque di addendi. Quindi è una proprietà positiva, ad esempio, anche essere onnipotente, giusto e misericordioso.
    (3) Assioma 2. 
    P(φ) ∨ P( ∼φ)
    Nota 2. Disgiunzione esclusiva.
    "Non è possibile che φ e ∼φ entrambe proprietà positive o entrambe proprietà non positive".
    O una proprietà è positiva o lo è il suo contrario. Se φ non è una proprietà positiva allora ∼φ è una proprietà positiva.
    Se essere giusto è una proprietà positiva allora essere non giusto non può essere una proprietà positiva.
    II - Definizione di Dio G(x)
    (4) Definizione 1.  
    G(x) ≡ (φ) [ P(φ) ⊃ φ(x) ] 
   (Dio)
    "Un essere x è di natura divina se e soltanto se possiede tutte e sole le proprietà positive φ".
    Dio viene definito in base alle proprietà positive. Da Dio viene esclusa ogni negazione ed ogni privazione. Le proprietà di Dio sono solo positive. Si potrebbe definire Dio dicendo che è un essere buono, giusto, onnipotente, onnisciente, misericordioso, ecc.

    III - Definizione di relazione di essenza φ Ess.x
    (5) Definizione 2.  
    φ Ess.x ≡ (ψ) [ ψ(x) ⊃ N(y) [ φ(y) ⊃ ψ(y) ]] 
    (Essenza di x)
           Nota 3. Due qualunque essenze di x sono necessariamente equivalenti.
    "φ è un’essenza di x (φ Ess.x) se e soltanto se per ogni proprietà ψ di x, esiste necessariamente un y, tale che se y ha la proprietà φ, allora ha la proprietà ψ".

    IV - Definizione di relazione di necessità
    (6)  p ⊃ Nq = N(p ⊃ q) 
    (Necessità)
    "Se p implica necessariamente q allora è necessario che p implichi q".
    (7)   Assioma 3. 
    P(φ) ⊃ NP(φ); ∼P(φ) ⊃ N ∼P(φ)
    "Se una proprietà è positiva allora è necessariamente positiva".  
    "Se una proprietà non è positiva, allora è necessariamente non positiva".

    V - Teorema 1: Se un essere è Dio allora ha l'essenza divina
    (8) Teorema.  
    G(x) ⊃ G Ess. x.
    "Se un essere x è di natura divina, allora l'essenza di x è la natura divina G".

    VI - Definizione di esistenza necessaria E(x)
    (9) Definizione 3. 
    E(x) ≡ (φ) [φ Ess. x ⊃ N (∃x) φ(x) ]  
    (Esistenza necessaria)
    "x esiste necessariamente, se e soltanto se per ogni elemento essenziale φ di x, necessariamente esiste un x che ha φ".
    Ossia "x esiste necessariamente se e soltanto se la sua essenza o ogni suo elemento essenziale esiste necessariamente".
    (10) Assioma 4.   P(E)
    "L'esistenza necessaria è una proprietà positiva".

    VII - Teorema 2: Se Dio è possibile allora esiste necessariamente
    (11) Teorema 2.
    G(x) ⊃ N(∃y) G(y)
    "Se x è Dio, allora esiste necessariamente".
    Quindi
    (12)
    (∃x) G(x) ⊃ N(∃y) G(y)
    "Se Dio esiste, allora esiste necessariamente".
    Necessitazione di (12):
    (12-a)
    N [(∃x) G(x) ⊃ N(∃y) G(y)]
    "E' necessario che se Dio esiste, allora esiste necessariamente".
    Da (12-a) e da (K) si ottiene:
    (13)
    M(∃x) G(x) ⊃ MN(∃y) G(y) 
    (M = possibilità)
    "Se è possibile che Dio esista, allora è possibile che Dio esista necessariamente".
    Da (13) e da (S5) si ottiene:
    (13-a)
    MN(∃x) G(x) ⊃ N(∃y) G(y)
    Da (13) e (13-a) si ottiene:
    (14)  M(∃x) G(x) ⊃ N(∃y) G(y)
    "Se è possibile che Dio esista, allora Dio esiste necessariamente".

    VIII - Dio è possibile
    M(∃x) G(x) significa che il sistema di tutte le proprietà positive è compatibile.
             Questo è vero grazie a:
    (15) Assioma 5.
    P(φ) . φ ⊃ Nψ : ⊃ P(ψ)
    "Se una proprietà positiva φ ne implica necessariamente un’altra ψ, allora anche ψ è positiva". 
che implica
     (16)  x = x è positivo
     (17) x ≠ x è negativo.
    Ma se un sistema S di proprietà positive fosse incompatibile, ciò significherebbe che la proprietà somma s (che è positiva) sarebbe x ≠ x.
    Gödel usa x ≠ x per significare una proprietà negativa.
    Per l'assioma 1 s è positivo e vale x = x per s. Ma s non può essere auto-contraddittorio con se stesso. Se qualcosa non è auto-contraddittorio, allora è possibile. Dunque S è possibile.

    IX - Dio esiste necessariamente
    Da (14) e da (15) per il modus ponens:
    (18) N(∃y) G(y)
    "Dio esiste necessariamente".
    Con P(E(x)) ∈ G(x) l'esistenza necessaria di Dio è dimostrata.

La dimostrazione dell'esistenza di Dio fatta da Gödel è nella sostanza una riedizione di quella data a suo tempo da Anselmo d'Aosta nel Proslogion. Si tratta di una prova ontologica. Per quanto possa apparire a prima vista logica e rigorosa, non ha a parer mio alcun valore. Per Gödel, Dio sarebbe la somma di tutte le caratteristiche positive concepibili. Cominciamo male. Quali caratteristiche positive, di grazia, hanno una definizione assoluta ed oggettiva condivisibile da tutti gli esseri senzienti? La risposta di Gaunilone ad Anselmo rimane in tutto e per tutto valida: il pensiero può essere una mera rappresentazione vuota e priva di qualsiasi corrispondenza con la realtà. Si può ad esempio immaginare un essere perfetto, che assomma ciò che di perfetto è concepibile a partire da tutte le persone formanti il genere umano, pur appartenendo soltanto ai reami della fantasia. Gaunilone faceva l'esempio di un'isola perfetta, concepibile da mente umana ma nonostante ciò inesistente. Mi spingerò oltre. Immaginiamo un ermafrodita immortale ed eternamente giovane, dotato di una venustà folgorante, i cui escrementi sanno di frutta candita e profumano di violetta, la cui orina è come nebbiolo o grignolino, il cui sperma è come miele d'arancia stillante da favo. Il suo corpo è quello di una donna dai capelli più biondi dell'oro, la pelle lattea, i genitali simili a un fiore d'orchidea, con il fallo sopra e la vulva sotto. Questo però non significa affatto che l'Essere da me descritto esista davvero. Eppure se si sostituisse a "Dio" l'Ermafrodita da me descritto, la dimostrazione gödeliana resterebbe in tutto e per tutto valida. Infatti l'Ermafrodita ha tutte e sole le proprietà positive immaginate dal matematico. È immortale, buono, misericordioso, non è nel suo corpo alcuna pecca, alcun difetto. È onnipotente e onnisciente: come se avesse una bacchetta magica, può compiere qualsiasi prodigio, trasformare ogni cosa in ciò che vuole, far comparire oggetti ed esseri dal nulla e via discorrendo. Così sono tutti i suoi simili, appartenenti alla sua stessa specie, che con lui vivono nelle Terre dell'Immortalità: una stirpe di Dei Androgini. Essi si intrattengono in attività sessuali che sono positive in quanto espressioni di Amore assoluto e non hanno alcunché di funesto come quelle umane: non vi è egoismo né gelosia, non vi sono conseguenze nocive come malattie veneree o gravidanze indesiderate. La mia fantasia non ha freni, ma questo non è ancora sufficiente a materializzare gli esseri divini da me descritti. Non credo proprio che un giorno me ne apparirà davanti uno dicendomi che la dimostrazione di Gödel è in tutto e per tutto vera.

A chi storcerà il naso sentendomi parlare di una stirpe di Dei Ermafroditi, dirò che non risulta affatto che Gödel abbia dimostrato che Dio debba essere unico e che debba avere tutte le proprietà che le religioni del mondo attribuiscono a questo Essere, né che l'unicità sia in sé e per sé una proprietà definibile come "positiva" contro la pluralità definita come "non positiva"

Immaginiamo ora che la dimostrazione di Gödel sia valida e che esista un Essere che merita di essere definito Dio in quanto somma di tutte le proprietà positive. Se io dimostro che questo Dio ha creato qualcosa che ha almeno una proprietà non positiva, ossia negativa, ecco che la dimostrazione di Gödel si contraddice da sé. Se Dio ha creato tutti gli uomini, come le genti del mondo si ostinano ad affermare, allora Dio ha creato Ted Bundy. Ted Bundy era un crudelissimo serial killer che attirava ragazze con l'inganno, le sodomizzava, le torturava atrocemente e ne occultava il cadavere. Non contento, si recava sul luogo delle sepolture per annusare i lezzi di decomposizione che salivano dal terriccio molle. In preda a un'eccitazione necrofila, spesso esumava i corpi e usava loro sodomia, astenendosi dal farlo solo quando la putrefazione troppo avanzata minacciava di appestarlo con un odore così penetrante da non essere eliminato. Ted Bundy era senza dubbio alcuno un demonio. Se Dio ha creato Ted Bundy, Dio ha creato il Male. Quindi Dio possiede almeno una proprietà non positiva, ovvero negativa: l'aver dato origine a un essere malvagio. Se essere il Creatore di cose buone è una proprietà positiva, essere il Creatore di cose malvagie non può essere a sua volta una proprietà positiva. Dunque Dio, inteso come causa di tutte le cose, visibili e invisibili, non è semplicemente possibile, in quanto ammetterne l'esistenza significherebbe cadere in contraddizione. Con buona pace del matematico austriaco, il concetto di Dio come lo intendono le religioni monoteiste è auto-contraddittorio, dunque impossibile. Tutte le religioni monoteiste del mondo sono in errore. Le alternative sono le seguenti: 

1) Dio non esiste;
2) Dio esiste e presenta proprietà negative, ossia non è buono;
3) Dio esiste ed è buono, ma non è il Creatore di questo mondo, ossia esiste un altro Dio che è somma di tutte le proprietà negative e che ha fatto l'Uomo a propria immagine.

Gli atei e i materialisti propendono per la prima opzione. I malteisti e parte dei satanisti propendono per la seconda. La terza è tipica del Dualismo Anticosmico. Professandomi Cataro, è quella che sostengo a spada tratta. 

Non so come avrebbe reagito Gödel di fronte alle mie argomentazioni. Non esito ad abbattere i suoi idoli con la scure della Logica. Forse avrebbe farfugliato se solo qualcuno gli avesse fatto notare che un'astrazione come l'insieme dei concetti non ha una collocazione fisica dimostrabile in alcun luogo di questo o di altri universi. Anzi, nella sostanza possiamo ben dire che un'entità siffatta non esiste se non nelle farneticazioni di una mente completamente distaccata dalla realtà. L'insieme dei concetti non è in alcun modo fruibile. Non è neppure possibile fare in esso ricerche servendosi di un motore come Google.

domenica 28 agosto 2016


ORGASMO E MOTOCICLI
(CYCLE SLUTS)

Titolo originale: Cycle Sluts 
Anno di produzione: 1970
Genere: Pornografia
Sottogenere: Biker porn, BDSM 
Regia: Jon I. Noyer
Produttore: Leo Morkius
Musica: Pat Darvy
Sceneggiatura: Eric Von Rudolf
Interpreti:
   Barbra Streisand (as Doris Winters)
   Belle Handy
   Harley Rimmer(*)
   Marilyn Chambers (as Evelyn Lang)
   Roada Revere
(*) Pseudonimo allusivo: in inglese "to rim" significa "praticare l'anilingus".

Trama:
Il film è andato perduto, così si può ricorstruire qualcosa soltanto a partire dalle poche immagini che si sono salvate. Anche se nessuna è hard, ci si può fare un'idea del contesto. Questo è ciò che posso immaginare: le protagoniste non soltanto fellano e copulano, ma assumono ruoli di sadomasochismo fustigando e si facendosi fustigare. La Streisand sembra proprio la più passiva delle interpreti. 
 
Possiamo soltanto ricostruire il video a partire da un frammento di audio.

"Dove me lo vuoi mettere?!", strilla la Streisand mentre un motociclista irsuto le mostra il fallo gigantesco. La risposta è abbastanza scontata e non ha bisogno di parole: vuole infilarglielo proprio in quel buchino stretto stretto che sta dietro l'entrata principale. Si tratta di un rapporto sodomitico. Poi finisce che l'attrice di uccelli se ne ritrova due in un sandwich.


Recensione:
Sarò chiaro: ufficialmente questo film non esiste. È stato fatto passare per un soggetto immaginario che compare nella trama di un film interpretato dalla Streisand e da George Segal, Il Gufo e la Gattina, che non mancheremo di recensire in un'altra occasione. Nella versione in italiano della commedia, il film porno si intitola Orgasmo e motocicli.


In altre parole, così come il Necronomicon appartiene al novero degli pseudolibri (pseudobiblia), Cycle Sluts sarebbe uno pseudofilm, qualcosa di cui molti parlano ma che in realtà non ha esistenza alcuna. Questo vogliono farci credere. Io però non ci credo affatto. A parer mio Cycle Sluts è stato girato eccome, solo che per evitare lo scandalo è stato fatto sparire. In America vige un bizzarro costume: un'attrice che gode i frutti della fama di Hollywood non può essere al contempo una pornodiva. Anche per un attore di sesso maschile si applica questa legge non scritta, che agisce con un'inesorabilità e una spietatezza mafiosa. Chi non ricorda l'eposodio del Tenente Colombo in cui un presentatore uccideva un collega che lo ricattava minacciando di pubblicare un suo film porno? Qualcuno si chiederà, chi girerebbe mai un film se poi non intende distribuirlo? L'ipotesi più plausibile è che sia stato girato per il desiderio della Streisand proprio sul set de Il Gufo e la gattina, quasi come un sottoprodotto, per poi essere probabilmente visionato solo da pochi intimi. La posizione che l'attrice aveva era troppo invidiabile e non doveva essere compromessa da una simile pazzia, così il caso fu insabbiato sul nascere. Eppure un fotoservizio è comparso sul settimanale ABC, sulla copertina di un suo numero campeggia la scritta "Arrivano le Moto-Girls". Una Streisand dallo sguardo supplice vi appare in tenuta BDSM, inginocchiata davanti a un nerboruto motociclista seminudo e armato di scudiscio, che esibisce un appariscente collare chiodato. Il fotoservizio è reperibile in questa pagina del sito Dangerousminds.net



Reazioni nel Web: 
Non mi è passata inosservata l'enigmatico intervento di un certo James Tison in una pagina del sito Dangerousminds.net: parlando della Streisand egli afferma: "She's the greatest porn star! She is by far! But no one knows it."
Internet Tough Guyz dichiara: "Ive always secretly wanted to bang Barbra. She's just hot. Very hot. Good singer and actress too."
Ric Carter preferisce invece lo stag"I like the earlier porn she did. More hard core, and it was impressive how she handles a massive cock in her mouth and pussy. Atta girl!"

 

Curiosità: 
Il titolo di questo film ispirò una band heavy metal degli anni '80 che si chiamava Cycle Sluts from Hell.

Remake:
Esistono due film hardcore del tipo detto biker porn che sono entrambi intitolati Cycle Sluts, evidentemente ispirati proprio dal film perduto della Streisand, che ne costituisce senza dubbio una sorta di Ur-Version. Il primo di questi Cycle Sluts fu girato poco dopo l'originale, nel 1971. Non sono riuscito a trovare informazioni sul regista. Gli interpreti sono Annette Michael (già vista nel mitico Flesh Gordon) e il barbuto 'Reb' Sawitz. Non l'ho mai visionato, ma un navigatore su Imdb.com lo recensisce come noioso ("boring biker porn"). Il secondo film fu invece girato nel 1992, diretto da Bob Vosse e interpretato da Peter North. Anche questo deve essere di una noia mortale e assoluta, come tutti i film in cui compare Peter North. Scopatori a gettone depilati e lampadati, dal membro anestetizzato dalla pomata al mentolo, con imponenti eiaculazioni tanto improbabili da far insorgere il sospetto che siano posticce, prodotte da una pompetta occulta che spruzza sapone liquido. 

sabato 27 agosto 2016


 
BARBRA STREISAND ATTRICE PORNO

Titolo: Sconosciuto
Anno di produzione: Sconosciuto (anni '60) 
Regia: Sconosciuta
Colore: Bianco e nero
Sonoro: Muto
Durata: circa 11' 30''
Genere: Pornografia, hardcore
Interpreti: 

   La protagonista: Barbra Streisand
  Il suo amante: Sconosciuto
Presenza nel Web:
Reperibile su Xvideos.com (versione restaurata) o su Xhamster.com (senza alcune sequenze iniziali e con una breve introduzione), digitando "Barbra Streisand" nella finestra di ricerca.
Avviso:
Eventuali minori di 18 anni sono invitati a non proseguire nella lettura.

Trama:
La giovane donna, chiaramente riconoscibile, bacia in bocca il suo amante e lo masturba con grande abilità. Si capisce che è qualcosa che ha fatto a moltissimi uomini. Lui la palpa e la denuda, mentre lei continua a toccarlo. Il fallo è svettante e lei dopo qualche indugio lo accoglie in bocca, iniziando a succhiarlo con grande passione. A un certo punto l'uomo allunga una mano per prendere da un cassetto un condom dalla forma assai peculiare, provvisto di doppio serbatoio spermatico. È un guanto di gomma assai scomodo, che lui si infila con grande fatica: evidentemente a quell'epoca non stava bene che dell'operazione si occupasse la donna. Alla fine il fallo è di nuovo pronto. Barbra sorride divertita, quindi inizia di nuovo a praticare la fellatio, prendendo la gomma tra le labbra. Lei si eccita e sale a cavalcioni sul suo amante, che lentamente la penetra nella vagina. Per un po' si vedono i suoi lucidi testicoli prorio sotto le natiche dell'attrice, mentre l'asta si muove all'interno. Poi all'uomo viene qualche fastidio, così esce dal vaso procreativo e decide di togliersi lo scomodo profilattico. Lei si mette nella posizione detta reverse cowgirl, e lui le infila dentro il fallo, questa volta senza protezione alcuna. Anche in questa occasione l'atto gli riesce poco agevole, così la fa distendere a gambe all'aria e le entra dentro, stantuffandola a fondo. Le provoca un orgasmo, quindi si distende sulla compagna di giochi in un inconsueto sessantanove. Per Barbra la posizione deve essere un po' scomoda. Lui le lecca il cunnus a fondo, avidamente, mentre lei succhia il membro fino a provocare l'eruzione dello sperma, che tracima dalla bocca e resta a lungo visibile mentre le cola sulle guance e sul collo. Finita la performance erotica, ecco la Streisand mostrarsi in una posa da dea greca, con un sorriso a 360 gradi e il seno bene in vista, piena di sé e della sua capacità seduttiva.   

Recensione:
Ovviamente questo corto deve essere valutato tenendo conto dei mezzi che esistevano all'epoca, senza fare paragoni tecnici con materiale recente. Le immagini sono un po' sfocate: il filmato deve essere stato riversato dalla pellicola, ed è noto che la celluloide soffre gli effetti del tempo che passa. Interessante spunto di riflessione antropologica è il sessantanove con l'uomo sopra e la donna sotto, che nell'attuale pornografia è cosa del tutto inconsueta. Al giorno d'oggi è l'uomo a stendersi e la donna a mettersi sopra di lui, per avere maggiore libertà di movimenti e succhiare più facilmente. Si può immaginare che fellare il fallo di un partner disposto in modo tanto assurdo provocherebbe i crampi a qualsiasi donna. Anche se i costumi erano in una fase di rapido cambiamento, persistevano residui di comportamenti di un'epoca precedente, in cui era ritenuto poco dignitoso per un uomo stare sotto a una donna. Così l'attore del film, dopo aver malsopportato di copulare con la partner nella posizione della reverse cowgirl, affermava la sua dominanza distendendosi sul corpo di lei, anche a discapito del proprio piacere. All'epoca la donna non era ritenuta un essere semidivino come oggi. Di conseguenza il sesso era vincolato a giudizi e pregiudizi che ai moderni apparirebbero ridicoli e che non mancavano di contraddizioni. Leccare la vulva andava bene, ma era una cosa che andava fatta stando sopra la donna. Scavare in queste assurdità ai limiti del grottesco non è vanità come potrebbe sembrare a prima vista: è fare antropologia nel modo più serio. 

La strana reazione dell'attrice
e l'isterismo dei fan 

A quanto ho potuto leggere, quando il filmato è saltato fuori, la Streisand ha chiesto di visionarlo per "capire se quell'attrice fosse lei". Un'ammissione abbastanza esplicita del suo coinvolgimento nella produzione di materiale pornografico, oltre che del fatto che di simili stag dovevano essercene parecchi. Di fronte a quelle pruriginose sequenze se ne è stata zitta, come la moglie di Lot quando si è girata verso Sodoma. Non appena ha potuto biascicare qualche parola, ha proferito assurdità, dicendo che le dita dell'attrice non sarebbero state le sue, che il corpo sarebbe stato troppo pingue (chubby) per essere il suo, raccomandando di non sprecare soldi per acquistare il filmato. Tutte dichiarazioni che non hanno riscontro con la realtà dei fatti. Il problema risulta essere soprattutto dei fan della diva, che vengono ancor oggi scossi da convulsioni isteriche ogni volta che si menziona l'accaduto. Di certo è sorprendente che la Streisand faccia la serafica di fronte a questa sua testimonianza intima di tanti anni fa, mentre sappiamo che ha fatto il diavolo a quattro per la pubblicazione nel Web della foto di una sua villa, scatenando un esercito di avvocati per ottenerne la rimozione. Molti fan continuano a giurare a a spergiurare che la donna del film non sia Barbra, ma è chiaro che non hanno argomenti convincenti da proporre. Le fattezze dell'attrice sono talmente inconfondibili da non poter trarre in inganno. Stesso naso prominente, stessi occhi, stessa grande bocca, stesso sguardo, stesso sorriso, stessa gestualità, stesso modo di fare e di mettersi in mostra. Anche le dita sono le stesse! Assolutamente impossibile che si tratti di mere coincidenze. La teoria dei sosia, secondo cui ognuno di noi avrebbe almeno tre doppioni sul pianeta, è soltanto paccottiglia memetica. Molti sono convinti che sia vera, ma non lo è: i cosiddetti sosia non somigliano per nulla all'originale. Le genti ravvisano somiglianze soltanto per una diffusa prosopagnosia, ossia incapacità di riconoscere i lineamenti. Ad esempio, per moltissimi basta che due uomini abbiano una barba simile e dello stesso colore per far urlare al sosia. Ricordo che un mio amico fu per questo motivo considerato identico al protagonista di una telenovela che, se non vado errato, si intitolava "Nido di Rospi". Inutile dire che le somiglianze esistevano soltanto nella fantasia delle carampane isteriche che seguivano quel programma spazzatura. Gli unici sosia ben riusciti sono quelli dei potenti, resi somiglianti all'originale con decine di operazioni di chirurgia plastica. Dire che la pornodiva Tasha Voux e la Streisand sono come due gocce d'acqua - come è stato detto - è un marchiano nonsenso.

Una pellicola reale, non un meme

Gli inizi per Barbra Streisand nella suburra di New York non sono stati dei più facili. Prima che la fama cominciasse ad arriderle, il rischio di morire di fame sarebbe stato per lei più che concreto, se la sua morale fosse stata troppo vincolata al concetto di castità. Tuttavia lei si differenziava da tante prostitute che si vendevano nelle strade della metropoli: era infatti una giovane liberale. Così pensò di sfruttare un'arte che allora era all'avanguardia e di far filmare le sue performance in cambio di denaro - cosa che di certo le permise di essere un po' in carne, anziché magrissima (skinny), come in seguito avrebbe descritto se stessa in quegli anni, nel tentativo di sviare l'attenzione dalle sue attività. Durante gli anni '60 e '70 iniziarono a circolare voci insistenti (rumors) circa l'esistenza di stag interpretati da non poche celebrità hollywoodiane. La cosa destò un immenso scandalo, ma nessuna delle prove addotte risultò mai decisiva. Col passar del tempo queste voci subirono una metamorfosi che le trasformò in pacchetti collassati di informazioni degeneri, ossia in memi. Tuttavia questo non significa affatto che il materiale pornografico in questione sia inesistente.

mercoledì 24 agosto 2016


EPEPE

Titolo originale: Epepe
AKA: Metropole
Autore: Ferenc Karinthy
Genere: Romanzo
Sottogenere: Letteratura mitteleuropea, romanzo
     kafkiano, romanzo distopico  
Lingua originale: Ungherese
1a pubblicazione: 1970
1a edizione italiana: 2015
Editore italiano: Adelphi
Traduzione: Laura Sgarioto
Codice ISBN: 978-88-45-97662-9

Trama:
Budai è un linguista poliglotta ungherese che deve partecipare a un convegno internazionale a Helsinki. Così prende l'aereo, ma anziché giungere a destinazione, si ritrova in una città non identificabile in cui tutti parlano una lingua a lui del tutto sconosciuta. Per il protagonista è l'inizio di un inimmaginabile inferno in un ambiente dall'opprimente densità di popolazione. Portato da un pullman in un albergo, Budai consegna a un funzionario della reception i suoi documenti e il suo assegno di viaggio, ricevendone in cambio una certa quantità di denaro e la chiave di una camera. Subito si accorge che ogni tentativo di comunicare con gli autoctoni è assolutamente vano: in qualsiasi lingua a lui nota cerchi di dire qualcosa, nessuno è in grado di afferrare neppure una sillaba. Anche la scrittura è di origine ignota, soltanto i numeri arabi sono ben riconoscibili in un mare di inestricabili ideogrammi. Pur essendo avvantaggiato rispetto a una persona di media istruzione, l'esule magiaro non riuscirà a trovare il bandolo della matassa. 

Recensione:
Epepe materializza gli incubi kafkiani che hanno a lungo dominato i paesi del blocco comunista, in cui la riduzione dell'individuo a un atomo di una società disumanizzante era considerata un'utopia da perseguire con ogni mezzo. Davvero singolare che sia stata permessa da quei regimi orwelliani l'espressione abbastanza libera di queste inquietudini nell'arte, ad esempio nei cartoni animati in cui si vedevano persone inghiottite da folle immense e grigie che uscivano come una marea spaventosa da edifici simili ad alveari umani, sotto un cielo di piombo. Forse il fine era quello di demoralizzare le persone fin dalla tenera infanzia per fiaccare ogni possibile germe di individualismo, di certo non quello di mettere in guardia da un'agghiacciante distopia. Siamo di fronte a qualcosa come l'architettura della Germania Est, con i suoi casermoni color merda, progettati per uccidere sul nascere l'anelito di libertà.

Incomunicabilità assoluta

L'unico contatto che Budai riesce ad instaurare con una persona della metropoli sovraffollata è destinato a risolversi in modo drammatico. Si tratta della ragazza bionda il cui supposto nome, che lo studioso ungherese non è capace di trascrivere foneticamente, dà il titolo al romanzo. Epepe, ma anche Bebe, Bebebe, Tetete, Tjetjetje e via discorrendo, tanto incerta è la natura dei fonemi della lingua di quel paese enigmatico. La sua professione è quella di ascensorista: Budai riesce a conoscerla durante i suoi penosissimi spostamenti da un piano all'altro dell'albergo. Cerca di conversare con lei durante le pause, quando i due si rifugiano in un ambiente appartato all'ultimo piano. Dai faticosi tentativi di apprendere la lingua, lui riceve ben poco giovamento. In occasione di un blackout, Epepe si rifugia nella camera di Budai, gli eventi precipitano e i due finiscono a letto. Dopo aver copulato litigano in modo furioso: lei ripete una parola in ungherese pronunciata dall'uomo, che pensa di essere preso in giro e comincia a percuoterla. Dopo averla ridotta a un cencio, si pente e implora il suo perdono: lei si eccita ed ha inizio una nuova copula, ancor più focosa della prima. Un episodio che scandalizzerà non pochi lettori, dato che descrive una sessualità manesca e irruenta d'altri tempi, quando la donna era considerata un oggetto. A seguito di questa avventura, Budai perde l'unico appiglio che gli è rimasto, finendo col diventare un vagabondo in una terra ostile.   

Vane ipotesi

Cos'è realmente il mondo in cui Budai si trova imprigionato? Un altro pianeta? Una dimensione parallela? Un'altra linea temporale? La Terra di un remoto futuro? Che sia un mondo diverso dal nostro lo si capisce immediatamente. Le leggi fisiche non sono esattamente le stesse. Sembra che persino l'incredibile ammassarsi di persone in ogni spazio disponibile obbedisca a qualche forma di fluidodinamica in cui non vigono gli stessi parametri caratteristici del nostro universo. Come spiegare l'assoluta estraneità della lingua a ogni nozione a noi familiare e al contempo l'uso dei nostri stessi numeri arabi? Come sono giunte le cifre in quella terra sconosciuta? Da una parte si sarebbe portati a pensare che sia esistito un contatto che ha portato all'adozione dei numeri arabi, ma dall'altra non si riesce a farsene una ragione. Così le costellazioni in cielo sono quelle che conosciamo, ma la religione non è cristiana e nemmeno islamica, ebraica, buddhista o altro che possiamo descrivere. Quadri appesi alle pareti fanno presupporre l'esistenza di terre incontaminate con montagne e mari, tuttavia per quanto Budai può saperne la città non ha confini, si estende a perdita d'occhio senza che si riesca a scorgere qualcosa di diverso. Ogni teoria fallisce, non spiega proprio nulla e cade in contraddizione con i dati di fatto.     

Uno scontro razziale in discoteca

Un episodio bizzarro mi ha particolarmente colpito. In un mondo in cui tutti i tipi umani sono rappresentati, dal nordico all'ottentotto, dal cinese al patagone, all'improvviso accade qualcosa di imprevisto. In una discoteca ctonia due compagnie si scontrano: una è formata da bianchi, l'altra da neri. Tanto violenta è la rissa che scaturisce da un futile motivo, che presto si arriva a un accoltellamento. In quell'umanità la genetica sembra funzionare in uno strano modo. A differenza di quanto accade sul nostro pianeta, i vari fenotipi non sono miscibili, ma coesistono come l'aqua e l'olio in una bottiglia: per quanto si agiti il contenitore finiranno col separarsi, simile attraendo simile e allontanandosi dal dissimile. Senza dubbio è un'interessante metafora, anche se non si capisce bene di cosa.

La conlang di Epepe

Riporto in questa sede le magre nozioni della lingua del mondo distopico di Epepe, ricavate dalla lettura del libro. Innanzitutto c'è la descrizione, seppur insoddisfacente, del sistema numerale: 

dütt, uno
klooz, grooz, due
tösh, baar, tre
gedirim
, quattro
baar, tösh, cinque (*)
kus, sei
rod, dod, sette
hodod, otto
dohodod
, nove

ezrez, dieci

(*) L'autore commenta: "stranamente, il 3 e il 5 sembravano intercambiabili, o forse solo lui non era capace di distinguerli." Forse le due diverse forme servono a distinguere gli esseri animati o umani da quelli inanimati o non umani, anche se non è chiaro perché solo in questi numerali si manifesti la distinzione. La diversità tra i numerali 3 e 5 potrebbe essere tonale, anche se è chiaro che qualcosa non quadra. L'autore deve aver inserito questa indeterminazione per aumentare il senso di mistero e di inquietudine nel lettore. 

I numerali hodod "otto" e dohodod "nove" sono palesemente formati a partire da rod, dod "sette" tramite l'uso di suffissi. Inutili i tentativi fatti dal protagonista di collegare alcuni numerali con i loro equivalenti in lingue note: si tratta di semplici assonanze, e per giunta alquanto vaghe. "Certo, con un po' di fantasia il gedirim (4) poteva essere assimilato al russo četyre, il kus (6) al kuusi del finlandese, l'ezrez (10) all'ashr dell'arabo." 

Una forma che ricorre spesso nelle conversazioni è identificata come un pronome: 

klött "Lei, Voi" 

Forse si tratta di una forma di origine onorifica, come l'italiano Vossignoria. Sono attestate le varianti klütt e glütt. Quando Budai viene espulso dall'albergo per insolvenza, gli viene contestato il mancato pagamento del conto di due settimane con questa frase: 

"Tuluplubru klött apalapala groz paratléba... Klött, klött, klött...! 

Si distingue il numerale groz "due", sopra riportato come klooz, grooz, in una forma atona. Si deduce che paratléba deve esprimere il concetto di "conto". Qui il klött assume una sfumatura di accusa.

Poche traduzioni si possono ottenere in modo abbastanza sicuro dal contesto narrativo: 

chlom brattibratt "hai da accendere?"
durung! "smettila!"

je duruntj "la devi smettere"


Durante lo scontro razziale tra bianchi e neri alla discoteca, volano esclamazioni insultanti come "Durumba!" e "Undurumbunda!" Si nota che il morfo durum- potrebbe essere lo stesso che compare in "Durung!" e in "Je duruntj"

Budai ha stilato, con immensa fatica, un elenco di vocaboli scelti tra quelli più tipici della vita urbana nel mondo moderno, che dovrebbero essere internazionali, parole come "cacao", "cioccolato", "caffè", "arancia", "taxi", "hotel", "buffet", "aeroporto", "ambasciata", ma non ne menziona nessuno, limitandosi a constatare che nessuno è formato a partire da radici note. Ci è anche riportato un inno rivoluzionario, soltanto che ci manca la traduzione e non abbiamo il benché minimo elemento per capirci qualcosa:  

Cetec topa debette
E
tek gl
ö chri fefee
Bügiüti gnemelaga
Pecice... ! 

Durante la rivolta, i militari urlano alla massa degli insorti prima la parola "Cetencia!" e poi una sua variante, "Cetencio!" Si potrebbe pensare che sia un adattamento dell'italiano "sentenza", intesa come "condanna"? Non mi faccio illusioni in proposito: in un diverso contesto un poliziotto usa la parola "cetence" in una domanda. Budai cerca disperatamente di aggrapparsi a qualcosa di noto, così ipotizza che la lingua possa avere in comune qualcosa con le lingue altaiche come il turco o con le lingue uraliche come il magiaro e il finlandese, a causa della grande frequenza dei suoni bemollizzati ö, ü, che in diverse sequenze sembrano obbedire a un principio di armonia vocalica. D'altro canto le parole pronunciate dalla ragazza bionda, Epepe, sono caratterizzate da una fonetica un po' diversa, con abbondanza del suono laterale -tl- e uscite in -lli che ricordano il Nahuatl, anche se non sussiste alcuna relazione tra le due lingue. "Jejee tlehuatlan... muula tlalaalli?", dice Epepe in un'occasione. E ancora: "Tuulli ulumulu alaulp tleplé..." Forse la lingua usata dagli uomini è un po' diversa da quella usata dalle donne, come avviene tra diversi popoli indigeni delle Americhe. Sarebbe interessante sottoporre tutte le frasi riportate a un'analisi serrata per vedere se si riesce a estrapolare qualcosa ancora. Purtroppo temo che il materiale sia insufficiente e dubito che l'autore abbia interesse a fornircene di nuovo. Non escludo che all'origine della creazione di Karinthy possano esserci suoi episodi di glossolalia.