Barbara Baldazzi (Università di Roma "Tor Vergata"; Università degli Studi di Roma "La Sapienza") e Liana Verzico (Primo Ricercatore presso ISTAT, LUISS Buisiness School) sono le autrici del rapporto ISTAT intitolato L'uso di dialetti e lingue straniere in Italia, relativo all'anno 2012. Questo è l'url della pagina che riassume i risultati dell'indagine:
Nella stessa pagina si trova subito il link al testo integrale del rapporto, che è liberamente consultabile e scaricabile.
Cosa molto interessante, i dati del 2012 sono confrontati nei grafici con quelli della precedente indagine, i cui numeri risalgono al 2006. Nelle tabelle la serie storica va ancora più indietro nel tempo: è possibile valutare meglio il trend delle percentuali di parlanti grazie ai dati del 1995 e del 2000.
Questi sono i (prevedibili) risultati relativi ai dialetti:
1) Cresce l'uso dell'italiano, diminuisce fortemente l'uso esclusivo del dialetto.
2) L’uso prevalente dell’italiano è correlato inversamente all’età in tutti i contesti relazionali.
3) Le donne mostrano una maggiore propensione a esprimersi soltanto o prevalentemente in italiano in famiglia e con gli amici.
4) Usano prevalentemente il dialetto in famiglia e con gli amici coloro che hanno un titolo di studio basso.
5) Ancora in calo le differenze territoriali nell'utilizzo dell'italiano.
6) Diminuiscono le differenze sociali nell'uso della lingua italiana.
2) L’uso prevalente dell’italiano è correlato inversamente all’età in tutti i contesti relazionali.
3) Le donne mostrano una maggiore propensione a esprimersi soltanto o prevalentemente in italiano in famiglia e con gli amici.
4) Usano prevalentemente il dialetto in famiglia e con gli amici coloro che hanno un titolo di studio basso.
5) Ancora in calo le differenze territoriali nell'utilizzo dell'italiano.
6) Diminuiscono le differenze sociali nell'uso della lingua italiana.
In tutti i casi è confermato il trend di decrescita della dialettofonia già evidenziato per il 2006. Nel giro di sei anni, la percentuale del campione statistico che si esprime solo o prevalentemente in dialetto nell'ambito della famiglia è passato dal 15% al 9%. Un declino non irrilevante. La percentuale di persone che si esprimono solo o prevalentemente in italiano è passata dal 44,8% al 53,1%.
Anche i risultati relativi alle lingue straniere mi sembrano avere caratteristiche salienti abbastanza scontate. La sezione che li illustra si intitola "Le altre lingue: conoscenza diffusa ma di bassa qualità, con qualche sorpresa". Questo è quanto:
1) Conformemente alla presenza di immigrati e minoranze linguistiche tra la popolazione residente, la quota di quanti hanno almeno una madrelingua diversa dall’italiano ammonta all’8,8%.
2) La conoscenza di un'altra lingua è maggiormente diffusa tra i giovani di 18-24 anni.
3) Con riferimento al tipo di lingue conosciute, il 43,7% della popolazione di 18-74 anni conosce l'inglese, il 21,7% il francese, mentre il tedesco (4,8%), lo spagnolo (4,5%) o eventuali altre lingue (2,1%) sono conosciute da una quota residuale di persone.
4) La conoscenza dell’inglese è molto diffusa tra le nuove generazioni: la conoscono quattro giovani di 18-24 anni ogni cinque.
5) Emerge una forte differenza territoriale: le altre lingue sono più diffuse nel Nord-Est (64%), nel Nord-ovest (62,1%), nel Centro (61,9%) e nei Comuni centro di aree metropolitane (65,8%) mentre nel Sud e nelle Isole i valori sono nettamente inferiori (49,1%).
6) La conoscenza di altre lingue è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2006. La conoscenza dell’inglese rimane costante a tutte le età.
7) Differenze importanti si riscontrano considerando la condizione occupazionale e professionale.
8) Il titolo di studio ha un’influenza fondamentale nella conoscenza di lingue diverse dalla madrelingua, tale da annullare in parte le differenze generazionali.
9) Considerando il giudizio complessivo espresso dagli intervistati, trova conferma l’idea che in Italia il livello di conoscenza di altre lingue è piuttosto elementare.
2) La conoscenza di un'altra lingua è maggiormente diffusa tra i giovani di 18-24 anni.
3) Con riferimento al tipo di lingue conosciute, il 43,7% della popolazione di 18-74 anni conosce l'inglese, il 21,7% il francese, mentre il tedesco (4,8%), lo spagnolo (4,5%) o eventuali altre lingue (2,1%) sono conosciute da una quota residuale di persone.
4) La conoscenza dell’inglese è molto diffusa tra le nuove generazioni: la conoscono quattro giovani di 18-24 anni ogni cinque.
5) Emerge una forte differenza territoriale: le altre lingue sono più diffuse nel Nord-Est (64%), nel Nord-ovest (62,1%), nel Centro (61,9%) e nei Comuni centro di aree metropolitane (65,8%) mentre nel Sud e nelle Isole i valori sono nettamente inferiori (49,1%).
6) La conoscenza di altre lingue è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2006. La conoscenza dell’inglese rimane costante a tutte le età.
7) Differenze importanti si riscontrano considerando la condizione occupazionale e professionale.
8) Il titolo di studio ha un’influenza fondamentale nella conoscenza di lingue diverse dalla madrelingua, tale da annullare in parte le differenze generazionali.
9) Considerando il giudizio complessivo espresso dagli intervistati, trova conferma l’idea che in Italia il livello di conoscenza di altre lingue è piuttosto elementare.
Nel precedente rapporto si evidenziavano "livelli di conoscenza delle lingue straniere ancora bassi, ma maggiori tra donne, giovani e laureati", aggiungendo che "conversare e scrivere <sono> le capacità meno diffuse".
A quanto vedo, nel lavoro relativo al 2012 è stata espunta la sezione "Le modalità di apprendimento delle lingue straniere", presente nel 2006, in cui si evidenziava che l'ambiente in cui gli italiani apprendono lingue diverse dalla propria è principalmente la scuola. Si smussano gli angoli, omettendo di specificare che le cause della conoscenza di bassa qualità delle lingue straniere sono da ricercarsi nel sistema scolastico.
Reazioni nel Web:
Mi sono imbattuto in un'interessante presentazione ppt (stampata in pdf) che commenta il lavoro di Baldazzi-Verzicco, contestandone vigorosamente le conclusioni. Risale al 2014 e fa parte del materiale didattico dell'Università per Stranieri "Dante Alighieri" di Reggio Calabria. Può essere consultata e scaricata liberamente a questo url:
L'autore del file, il cui nominativo non è conosciuto, contesta innanzitutto la natura soggettiva delle risposte delle persone che compongono il campione statistico, per necessità basate sull'autovalutazione, e quindi ritenute in sostanza inattendibili. Il ragionamento fatto è il seguente: un intervistato potrebbe sottostimare la sua dialettofonia, essendo convinto di parlare prevalentemente italiano. Potrebbe anche capitare che la dialettofonia venga dissimulata per snobberia. Viene riportato il colorito commento di una salentina, apparso su una pagina di Facebook:
"A mie nu me cuntàti. Lu parlu ogne giurnu! Le autre fimmine fannu tutte le signiure quandu rispundenu alli questionari, poi tornane a casa e parlane chiui strascinate de mie."
A dire il vero, la mia esperienza mi porta a ritenere tutto il contrario: i parlanti dei dialetti italiani tendono a sovrastimare la loro capacità e la loro dialettofonia. Innumerevoli persone dichiarano di parlare fluentemente il loro dialetto, quando in realtà lo mescolano in modo sistematico all'italiano (code-switching e code mixing). Inoltre esiste una cosa che il parlante dialettale medio non riesce a comprendere: il fatto incontestabile che tutte queste varietà linguistiche sono condannate all'estinzione e procedono verso l'exitus perdendo pezzi giorno dopo giorno.
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