Protagonisti del nichilismo
Sir Allan Curwen, nel suo poco noto taccuino di viaggi in Oriente (Spiritual paths: two years of travel in the Far East, Clarendon Press, Oxford, 1893), narra dell'incontro con un asceta birmano il quale soleva dedicare gran parte della giornata alla costruzione di gabbiette di bambù, che puntualmente, poi, dava alle fiamme. Curwen riferisce altresì i particolari della morte dell'eremita. Questi, dopo un lungo digiuno, prese a camminare all'indietro - azione apparentemente insensata, ma che acquista pienezza di significato nell'ottica del nullismo - e a furia di arretrare finì col cadere in un profondo crepaccio. Qui spirò dopo breve agonia. Curwen, che era sì un biofilo e vitalista frenetico ma non mancava di sensibilità, annota: "Se quell'uomo fosse un santo o più semplicemente un pazzo, non saprei dire. Ma di una cosa sono certo: il Nulla si rifletteva in lui come in uno specchio". Il caso dell'eremita birmano è ormai un classico dell'agiografia nichilista, e dobbiamo essere grati all'errabondo Sir Allan per averlo divulgato.
Un'altra figura eminente che ci preme ricordare è quella di Lorenzo Ovietti, autore di un breve scritto mai pubblicato ma conosciutissimo nella ristretta cerchia dei nullisti: "Sulla via dell'annichilimento". Ovietti, dopo aver militato in gioventù nelle file dell'Azione Cattolica, troncò ogni legame con quegli ambienti per dedicarsi interamente alla Causa. Ancora oggi a Torino vi è chi ricorda la sua figura allampanata, il suo sguardo spiritato, la barba incolta che scendeva fluente sin quasi alla cintola, gli occhiali senza lenti perennemente appiccicati al naso. All'età di trentacinque anni, Ovietti sparì senza lasciare tracce. Del suo capolavoro citiamo di seguito uno dei passi salienti:
Rinunciare alle possibilità e alle opportunità è un modo per negarsi alla vita. La rinuncia richiede disciplina e determinazione. E' un lento, quotidiano suicidio compiuto a mente serena, consumato con gelida ferocia: si vede partire un treno, poi un altro, poi un altro ancora... finché parte anche l'ultimo e si resta davvero soli, in una stazione deserta. Ci si siede su una panchina e si sta lì, fermi, a guardare le erbacce crescere fra i binari. E si prova quell'incredibile ebbrezza: sapersi belli e spacciati, morti pur essendo vivi. E' allora che ci si sente parte del Nulla, fagocitati dal vuoto.
Di personaggi esemplari, la storia tutta da scrivere del nullismo è piena. Il novarese Clemente Baggini, morto di recente, si dedicò per anni - negli intervalli fra una crisi depressiva e l'altra - alla stesura di un vero e proprio manuale dal titolo "Guida al nullismo". Neppure una pagina dell'opera si è conservata: Baggini infatti diede alle fiamme il manoscritto "perché così gli imponeva la sua coscienza di nichilista". Fra questo gesto e la condotta dell'eremita birmano corre un nesso evidente: in entrambi i casi appare l'intento di esaltare il Nulla nullificando sé stessi e quella parte di sé che è contenuta nelle opere del proprio ingegno, siano esse libri o gabbiette di bambù.
Un esempio simile ci è offerto dall'inglese Richard Benedict, meglio noto come "la talpa di Gloucester". Benedict per circa vent'anni, dal 1955 al 1975 (anno della sua morte), scavò ogni giorno, nel proprio cortile o in terreni altrui, una buca profonda quanto basta per seppellire un uomo, per poi riempirla di nuovo.
Si calcola che egli abbia scavato e poi riempito qualcosa come settemilatrecento buche. A smentire le malelingue che lo dipinsero come "un perfetto idiota", stanno i suoi quaderni di appunti, oggi custoditi dalla sorella Eleanore, che rivelano un intelletto brillante. Negli ambienti nichilisti anglosassoni si parla di Benedict con venerazione, sia per i meriti che acquisì in vita, facendo di sé stesso un monumento vivente al Nulla, sia per il valore dei suoi scritti. Non essendo stati pubblicati, essi circolano solo sotto forma di ciclostilati.
Benedict, ricorda la sorella, "scriveva in stato di trance, tenendo un bicchiere colmo d'acqua in equilibrio sulla testa". Nel gennaio 1974 egli intraprese un digiuno che lo ridusse agli stremi. Riferisce Eleanore: "Dormiva su un materassino di gomma, in solaio, e per un mese non uscì di casa. Stava tutto il giorno a fissare il muro, senza dire una parola". Fu allora che la fama di Benedict varcò per la prima volta la Manica e raggiunse i circoli nichilisti della Normandia.
Dal nord della Francia la notizia si diffuse poi in tutta Europa grazie ai soliti canali, e nel 1975, quando si seppe della sua morte, non vi era un solo nichilista che non fosse a conoscenza delle sue gesta.
Per concludere questo mio breve excursus fra i protagonisti del nullismo, ritengo doveroso riportare due frammenti tratti dai "Quaderni di Benedict", a mo' di epitaffio.
Il mondo è fatto per i gaudenti, è - indiscutibilmente - il loro habitat; il nichilista, estraneo alla vita, vi sta come un pesce fuor d'acqua. (XIX)
Il nichilismo è una spada senza impugnatura, ferisce chi la brandeggia. (XXVI)
Pietro Ferrari, 1992
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