mercoledì 10 gennaio 2018

ECHI DEL BUDDHISMO IN OCCIDENTE


I SANTI BARLAAM E IOSAFAT:
BUDDHA NEL MARTIROLOGIO ROMANO

Tra gli innumerevoli testi che contribuirono a formare l'immaginario collettivo medievale ne esiste uno che ha origini più lontane di quanto non sospettassero i suoi lettori: il Romanzo di Barlaam e Iosafat. La storia è ambientata nel III o nel VI secolo nella remota India, dove il Re Abenner, pagano, perseguita con ferocia la Chiesa Cristiana fondata da San Tommaso durante il suo viaggio apostolico. Un indovino gli predice che il suo neonato figlio Iosafat è destinato a convertirsi al Cristianesimo e ad evangelizzare l'intero regno. Preso dall'orrore, Abenner decide allora di crescere il rampollo in un luogo isolato tra mille delizie, in modo che la vista degli orrori del mondo non possa mai spingerlo a meditare sulla morte e sul dolore. Tutte queste precauzioni risultano però vane: l'eremita Barlaam di Senaar riesce a raggiungere Iosafat nella sua prigione dalle sbarre dorate, e gli mostra che esistono malattia, vecchiaia e morte. Lo converte al Cristianesimo servendosi di riflessioni filosofiche e lo conduce con sé nel suo eremo. Saputo questo, il Re Abenner manda a Iosafat il mago Teuda perché lo perverta e lo corrompa, facendolo desistere dal suo insano proposito. Ma Iosafat riesce a convertire Teuda. Ritorna al Palazzo e converte anche il padre. Questi abdica subito in suo favore per ritirarsi nel deserto e vivere da anacoreta. Iosafat lascia a sua volta il potere per raggiungere il santo Barlaam nella sua cella.


Nel Romanzo è contenuta la descrizione poetica di una visione, la cui origine è fenicia. Un uomo, per fuggire da un terribile unicorno, cade in una fossa e si mette in salvo afferrando un albero, solo per accorgersi con orrore che le radici sono rosicchiate da una talpa bianca e da una nera. In fondo al baratro un immane dragone si prepara a divorarlo, e quattro serpi si muovono sul terreno. A questo punto l'uomo si accorge che l'albero secerne stille di miele che lo narcotizzano e gli fanno obliare l'amaro destino che lo attende. Distratto dall'ebbrezza, egli si scorda del pericolo mortale e precipita. L'unicorno è la Morte, la fossa il Mondo, l'albero è la Vita, le due talpe il Giorno e la Notte. Il dragone è l'Inferno, i serpenti sono i Quattro Elementi. Le gocce di miele sono i piaceri terreni, che impediscono al gaudente la percezione della morte.

La narrazione agiografica della vita di Barlaam e Iosafat era ritenuta opera di S. Giovanni Damasceno e fedele alla realtà storica. Nel secolo XIII le fu data immensa risonanza da un agiografo famoso: Jacopo da Varagine. Nella sua Legenda Aurea, egli raccoglie questa lontana tradizione divulgandola. Anche il suo contemporaneo Vincenzo di Beauvais ne parla in forma più estesa nel suo Speculum Historiae. Se ne trovano molte versioni in latino e in volgare, in prosa come in poesia. Si conosce persino una versione in lingua islandese del XV secolo. Il principe indiano e l'eremita di Senaar non furono mai formalmente canonizzati dalla Chiesa di Roma, ma risultano inclusi nelle versioni più antiche del martirologio romano, che fissava la loro festa il 27 novembre. La Chiesa Greca Ortodossa tuttora li venera (il nome Iosafat è riportato come Ioasaph), e li festeggia invece il 26 agosto.


Chiunque abbia anche una minima conoscenza di Buddhismo, rimarrà stupito dalla somiglianza tra la vicenda di Barlaam e Iosafat e la vita del Principe Siddhartha Gautama, più noto come il Buddha. Le analogie sono così numerose e profonde da non poter essere liquidate come coincidenza. Gli studiosi sono riusciti a provare questa origine e ad attribuire l'opera ritenuta in precedenza di Giovanni Damasceno a un monaco georgiano di nome Eutimio, che la scrisse nell'XI secolo. A sua volta Eutimio utilizzò come fonte scritti in arabo e in georgiano aventi come argomento proprio la vita del Buddha. Il nome che nei codici buddhisti è attribuito al Principe Gautama prima dell'Illuminazione è Bodhisattva, termine sanscrito che si corruppe in Bodisav, giungendo con questa forma nel territorio dell'attuale Afghanistan per poi entrare in persiano come Bodasif e in arabo come Budhasaf. Alcuni copisti arabi invece della lettura Budhasaf utilizzarono Yudasaf per via di un errore di trascrizione: la lettera che rappresenta la b- se scritta on un puntino sottostante, diventa invece la y- se scritta con due. Così Yudhasaf passò in georgiano come Iodasaph (X secolo) per diventare infine Ioasaph, Iosafat.

La fonte ultima è un testo usato dai Manichei che in seguito passò ad ambienti islamici con il titolo di Kitab Bilawhar wa-Yudasaf (ossia Libro di Bilawhar e Yudasaf), diffuso a Baghdad nell'VIII secolo.

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