mercoledì 14 marzo 2018

NOTE SUL LAVORO DI ADIEGO LAJARA

Ignasi-Xavier Adiego Lajara, dell'Università di Barcellona (Universitat de Barcelona) è l'autore dello studio Lenguas anatolias y protoindoeuropeo (in inglese Anatolian Languages and Proto-Indo-European), pubblicato sulla rivista archeologica e filologica Veleia (n. 33, 2016, codice DOI: 10.1387/veleia.16819). Il lavoro, che si trova sul sito Academia.edu, è consultabile e scaricabile liberamente seguendo questo link:


Riporto l'abstract, tradotto dal sottoscritto:

"Questo articolo è un rapporto sullo stato dell'arte sulla posizione dialettale del gruppo anatolico (che comprende l'hittita, il luvio, il palaico, il licio, il milio, il cario, il pisidio e il sidetico) all'interno della famiglia linguistica indoeuropea. Valuta le due principali posizioni con cui finora si sono cercate di spiegare le forti divergenze tra le lingue anatoliche e lo stadio linguistico ricostruito di proto-indoeuropeo: da una parte, c'è l'ipotesi che assume un generale processo di perdita di categorie linguistiche in anatolico a partire dalla lingua comune; dall'altra, abbiamo l'ipotesi che assume una precoce separazione dalla lingua comune. A questo proposito, evidenzio alcune opinioni di parte sul cambiamento linguistico, che hanno condizionato questa discussione. Inoltre enfatizzerò il progresso nello studio delle lingue anatiliche diverse dall'hittita e il loro contributo alla questione sulla posizione dialettale dell'anatolico nel gruppo indoeuropeo. La conclusione è che la presente situazione rende difficile decidere quale delle due posizioni sia giusta."

Ricostruzione di Brugmann (morfologia nominale):

1) Un sistema con tre categorie, genere, numero e caso. Queste categorie consistevano in tre generi (maschile, femminile, neutro), tre numeri (singolare, duale, plurale) e otto casi (nominativo, vocativo, accusativo, genitivo, ablativo, dativo, strumentale, locativo).
2) Da un punto di vista formale, è stato assunto un sistema di temi caratterizzato dal suono finale del tema stesso. È stata assunta una generale opposizione tra temi in -o e temi atematici. I temi in -o, chiamati anche temi tematici, sono caratterizzati da una vocale tematica -o/e-, accento fisso o non mobile e assenza di alternanze apofoniche o ablautiche, mentre i temi atematici sono caratterizzati da alternanze apofoniche e in molti tipi da accento mobile. Tra i temi atematici, un'importante sottoclasse è quella delle radici in -a:, che per lo più esprimono il genere femminile e che hanno sviluppato un particolare insieme di uscite flessive.
3) Per gli aggettivi, l'espressione di gradazione è ottenuta tramite specifici suffissi. Nel caso del grado comparativo, un suffisso *-ies-/-ios- può essere ricostruito con sicurezza.

Ricostruzione di Brugmann (morfologia verbale):

1) Un sistema di tre temi (tritematismo), ossia presente, aoristo, perfetto, basato principalmente - ma non esclusivamente - sull'espressione dell'aspetto. Ogni tema era formata dalla radice verbale per mezzo di diverse procedure caratteristiche con una varità di costruzioni per il tema del presente (radicale, raddoppiata, con infisso nasale, con diversi suffissi), contro una varietà  più limitata per il tema dell'aoristo (radicale, sigmatico, raddoppiato) e una formazione praticamente esclusiva del tema del perfetto (il perfetto raddoppiato). È notevole anche l'esistenza di una differenziazione chiaramente definita tra i temi tematici e atematici, con caratteristiche simili ai corrispondenti temi nominali (invariabilità delle forme nella flessione tematica rispetto alla variabilità apofonica e di accento nella flessione atematica).
2) L'esistenza della distinzione di voce tra attivo e medio-passivo, la distinzione di numero tra singolare, duale e plurale, così come la distinzione tra prima, seconda e terza persona, tutte espresse tramite uscite personali.
3) L'uso di diverse uscite personali aggiunte al tema del presente indicativo come mezzo per distinguere tra presente e passato (il cosiddetto imperfetto).
4) L'esistenza dei modi indicativo, congiuntivo e ottativo, gli ultimi due espressi tramite suffissi aperti aggiunti al tema.
5) L'esistenza di un modo imperativo caratterizzato dall'uso di specifiche uscite personali.
6) L'uso di un insieme di uscite per il tema del perfetto.
7) La presenza di aumento in alcune lingue come tratto del tempo passato, opposto all'uso senza aumento per il cosiddetto modo ingiuntivo.
8) L'assenza di ogni espressione formale del tempo futuro, rimpiazzato dall'uso del presente pro futuro.

Ecco invece ciò che emerge dal terremoto anatolico:

La morfologia nominale è molto diversa da quella proposta per il proto-indoeuropeo prima dell'interpretazione della lingua hittita:

1) L'hittita ha due generi (comune e neutro) senza alcuna traccia del femminile, sia nei sostantivi che negli aggettivi.
2) Non c'è il duale.
3) Un unico insieme di uscite dei casi è usato per tutti i temi nominali, cosicché non possiamo propriamente parlare di temi "tematici" e di temi in -a: come flessioni differenziate dal resto delle flessioni atematiche.
4) Non si possono osservare tracce di gradazione aggettivale.

Morfologia verbale:

1) Non c'è tritematismo: c'è soltanto una forma tematica da cui tutta la coniugazione è creata per ogni verbo. Contro il sistema presente-aoristo-perfetto del proto-indoeuropeo di Brugmann, l'hittita mostra un sistema monotematico.
2) Cosa ancor più interessante, non ci sono affatto chiare tracce di tutti i marcatori dei temi dell'aoristo e del perfetto.
3) Ci sono soltanto due modi, l'indicativo e l'imperativo. Non esistono tracce di ottativo e di congiuntivo.
4) Ogni verbo appartiene a una delle due classi di coniugazione, dette coniugazione in -mi e coniugazione in -hi, e queste classi sono caratterizzate da insiemi di uscite flessive in parte diverse. I criteri secondo cui i verbi primari e derivati sono assegnati a una o all'altra classe restano non chiari. Mentre le uscite della coniugazione in -mi si confrontano facilmente con le uscite primarie e secondarie del proto-indoeuropeo di Brugmann, le uscite singolari della coniugazione in -hi mostrano evidenti connessioni con le uscite del perfetto e del medio del proto-indeuropeo brugmanniano - ma è formalmente impossibile pensare che la classe in -hi sia un semplice esito di una "riconversione" dei perfetti e dei medi proto-indoeuropei in una classe di coniugazione.
5) In modo simile al modello brugmanniano, l'hittita distingue tra presente e passato tramite uscite personali.
6) L'esistenza di due voci espresse tramite uscite personali è anch'essa comune al modello brugmanniano.
7) L'hittita mostra particolari mezzi per esprimere il modo e l'aspetto: ha sviluppato un perfetto perifrastico, usa suffissi come -ske-/-ska per derivare temi con significato di imperfetto o ricorre a particelle per esprimere sfumature modali (potenziale, irreale, ottativo).
8) L'hittita non ha né duale né aumento.

È notevole che un tipo di formazione di temi nominali considerata residuale nel proto-indoeuropeo di Brugmann, i temi eteroclitici in -r-/n-, fosse pienamente produttiva in hittita e in luvio.

Prova della natura arcaica delle lingue anatoliche

Sono uno strenuo sostenitore della tesi della natura arcaica delle lingue anatoliche: esse non presentano traccia alcuna di molte caratteristiche morfologiche indoeuropee perché non le hanno mai sviluppate. Se le lingue anatoliche fossero derivate da una protolingua affine all'indoeuropeo brugmanniano o a quello ricostruito dai laringalisti, sarebbero di certo rimasti residui della situazione più antica. Ad esempio, non è possibile che l'usura fonetica sia stata così radicale da far scomparire ogni traccia di un'ipotetica antica distinzione del genere femminile nei sostantivi e negli aggettivi, e neppure di certe caratteristiche della flessione verbale (raddoppiamento, pluralità dei temi, etc.): sarebbe rimasta in ogni caso qualche reliquia. Non va dimenticato che tali lingue non hanno avuto un'erosione quasi completa dell'apparato grammaticale, paragonabile a quella che possiamo constatare nell'inglese. Hanno mantenuto una grammatica abbastanza complessa. Dovremmo quindi immaginare una perdita selettiva, che avrebbe fatto sparire certe caratteristiche brugmanniane ma conservando tutto il resto, come se ad agire fosse stato un diavoletto di Maxwell, un genietto maligno con in mente un progetto ben definito. Inutile dire che cose simili non accadono nell'evoluzione delle lingue.

Per quanto possa rendermi impopolare, non esiterò ad affermare una verità scomoda. Tecnicamente parlando, le lingue anatoliche non sono lingue indoeuropee vere e proprie. Sono lingue preindoeuropee derivanti da una protolingua geneticamente imparentata con il protoindoeuropeo: il punto di divergenza è da collocarsi ben a monte dell'indoeuropeo ricostruito da Brugmann. In altre parole, la teoria a parer mio più vicina alla realtà è quella dell'indohittita. Il nome è brutto e sarebbe il caso di modificarlo, ma per comodità può andar bene.

Le invereconde baggianate di Renfrew

Noto una certa tendenza nel Web ad associare l'ipotesi indohittita con le deliranti teorie pseudoscientifiche dell'indoeuropeizzazione neolitica enunciate da Colin Renfrew, che respingo con fermezza. È chiaro che le lingue anatoliche hanno avuto origine più a nord, fuori dall'Anatolia e che si sono espanse in Asia minore solo in un secondo momento. Ritenere che l'Anatolia sia l'origine dell'indoeuropeizzazione è semplicemente folle, anche perché ancora in epoca storica persistevano in quelle terre lingue non indoeuropee. Lo stesso nome degli Hittiti deriva da quello della terra di Hatti, abitata anticamente da genti non indoeuropee poi assorbite e assimilate. Com'è ovvio che sia, la radice in questione non ha alcun parallelismo nelle lingue indoeuropee e non può essere spiegata tramite la ricostruzione brugmanniana. Va ricordato inoltre che la lingua delle antiche genti di Hatti ci è attestata, perché gli Hittiti se ne servivano per scopi religiosi: era una lingua non indoeuropea, chiamata proto-hattica dagli studiosi, appartenente alla molteplicità nord-caucasica (con somiglianze soprattutto con le lingue caucasiche nordoccidentali). Per usare un paragone rozzo che renda l'idea, la differenza tra l'hittita e il proto-hattico sembra quella che passa tra il latino e il cinese. A complicare il quadro, bisogna ricordare che lo stesso lessico dell'hittita è molto composito e in buona parte di origine oscura per non dire ignota - non necessariamente con corrispondenze in proto-hattico. I seguaci di Renfrew ignorano che anche parole con la stessa radice di termini indoeuropei possono gettare un po' di luce sulla lontana preistoria. Così apprendiamo molto dall'uso di un termine hittita, hartagga- "orso" (parente dell'IE *ṛkθo- "orso"), che indica anche un tipo di sacerdote: il ministro di culto doveva indossare la pelle dell'animale e impersonarlo, e questo ci appare come un lampante residuo di sciamanesimo, correlabile a un'origine settentrionale della popolazione.

È evidente che l'Anatolia non può essere stata a maggior ragione il luogo d'origine dell'indoeuropeo di Brugmann. Non è in quella terra che sono derivate le lingue indoeuropee moderne, come appare chiaro già analizzando la sua situazione linguistica nell'antichità, in cui dominano le lingue anatoliche. Ma forse Renfrew, che NON È un linguista, crede che un diavoletto di Maxwell abbia fatto evolvere la protolingua indohittita nelle lingue indoeuropee moderne in Europa e nelle lingue anatoliche in Asia Minore, postulando assurdi meccanismi selettivi.

Epilogo

L'articolo di Adiego Lajara non prende posizione in modo netto. Si limita a fare un riepilogo dei fatti conoscibili, per affermare che non si può giungere in alcun modo a conclusioni certe. Questo è in un certo qual senso l'ammissione di una sconfitta. Posso capire la sua sfiducia. La discussione è dominata da posizioni preconcette, che rallentano e ostacolano gli studi, complice anche l'estrema frammentarietà del mondo accademico. Uno studioso che segue il metodo scientifico deve raccogliere dati e far passare sotto il loro giogo le proprie teorie. Non può e non deve in alcun caso manipolare la realtà documentabile e accertabile per piegarla alle proprie idee preconcette. Se lo fa, è un falso uomo di Scienza e un malfattore. Ci sono neogrammatici e laringalisti che adorano con feticismo estremo le proprie teorie, al punto di costringere le lingue anatoliche nel letto di Procuste delle loro ricostruzioni, considerate assolute e definitive.

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