giovedì 12 luglio 2018

ABITUDINI ALIMENTARI AGGRESSIVE TRA I PASSERIFORMI

In Facebook frequento numerosi gruppi dedicati alla fauna, in particolare a rettili, uccelli, insetti e altri artropodi. Ogni tanto mi imbatto in interventi di estremo interesse. Il 16 maggio 2018 nel gruppo ERPETOLOGIA: Official Group - Rettili, Anfibi, Aracnidi ed Insetti è comparso un post di Flavio Brand sulle raccapriccianti abitudini dell'avèrla, un simpatico passeriforme che compie spaventose opere di tortura e di macelleria ai danni delle proprie vittime, che possono essere lucertole, rospi, topi, insetti e persino altri uccelli. In realtà non si tratta di un'unica specie, bensì di una numerosa famiglia, i Laniidae. Il nome scientifico di questi uccelli deriva dalla parola latina lanius, di origine etrusca, che significa "macellaio", "sacrificatore", "carnefice".


Riporto in questa sede il post che ha attratto la mia attenzione, seguito dai commenti degli utenti. Errori e refusi sono degli autori. 

Flavio Brand:
Chi potrebbe essere così spietato da impalare una povera ed innocua lucertola? Fortunamente l'uomo non c'entra nulla in questo caso... colui che commette questi efferati crimini é l'avérla, un uccello passeriforme denominato Falconcello.
Questo passerotto molto carino ma sanguinario, é lungo circa 18 cm e pesa dai 35 ai 70 grammi. Uno dei tanti uccellini che si sentono cinguettare sulle colline e sui centri a più di 2000 metri sul livello del mare.
Anche in Italia si trova in quasi tutti i boschi o nei campi del paese, tranne in Sicilia e nel Salento. L’avrete quindi visto durante una gita in campagna e ne avrete lodato la simpatia, perché probabilmente non sapete che l’avèrla è uno degli assassini più spietati in natura. È chiamato anche uccello macellaio per la sua abitudine tutta particolare di puntare le prede da una postazione di avvistamento e poi di infilzarle su di un rovo o su qualcosa di acuminato e mangiarle piano piano qualora le prede siano di grosse dimensioni.
Una rarità nel regno animale, in cui solitamente i predatori uccidono alla svelta, solo per sopravvivenza.
L'averla si nutre di piccoli topi, di lucertole, di cavallette, di insetti e persino di altri uccelli, mangiandoli un po’ alla volta dopo che li ha impalati sullo spiedo, che può essere il rovo di un roseto o il filo spinato.
L'avèrla uccide anche quando non ha fame, impalando le vittime per poi tornare in seguito a nutrirsene.
Ovviamente la tecnica di caccia dell'averla, per quanto spietata possa sembrare é un espediente trovato per sopperire alla mancanza di artigli che hanno i predatori piu grandi ed assicurarsi pasti sostanziosi.

Marco Moretti:
Che non sia un "espediente" lo dimostra il fatto che tali costumi non sono affatto comuni tra i passeriformi.

Davide Noviello:  
La definizione di passerotto è davvero fuori luogo per un'averla, visto che appartiene al genere Lanius, famiglia Lanidi e non ha alcuna parentela con i passeri. Il fatto che appartenga all'ordine dei passeriformi non la accomuna ai passeri, del resto anche i corvidi sono passeriformi, ma nessuno chiamerebbe passerotto una cornacchia.

Stefano Piccioli:
Anche Cince e Cinciarelle non scherzano in fatto di aggressività alimentare, specie durante il freddo delle stagioni invernali. Queste due specie non esitano ad attaccare e ad uccidere altri Passeracei, come gli Organetti, per perforarne il cranio e nutrirsi del loro cervello, organo ricchissimo in lipidi, utili a questi piccoli "assassini" per difendersi dal freddo...

Gianfranco Zrcadlo Russo:
ho visto molte foto in cui le cince d'inverno ripuliscono le ossa spolpate dei cervi abbandonate dai lupi... rosicchiano i resti di grasso...

Google, come tutti i poteri del mondo, cerca con ogni mezzo di nascondere tutto ciò che è scomodo, così non è agevole reperire materiale fotografico sulle azioni scellerate dei sadici volatili. Ovviamente, se ci si mette d'impegno, si riesce a trovare il modo di superare gli ostacoli. Per contemplare cose davvero truci, suggerisco questi link: 



Stupisce la foto di un'avèrla che ha impalato un pettirosso, ridotto a un batuffolo di piume. Per non parlare di una lucertola trafitta da una lunga spina, con gli occhi pietrificati dalla sofferenza, come se in pochi secondi avesse incontrato un fato peggiore di mille morti. Davanti a questi orrori, i materialisti non sono in grado di fornire una risposta convincente. Cercano di razionalizzare le peggiori atrocità, pretendendo ogni volta di ridurle a qualcosa di accettabile che esenti la Natura da ogni colpa e che impedisca alle genti di vedere nell'esistenza qualcosa di negativo. Una simile propaganda, che per decenni ha avuto in Piero Angela il suo apostolo, si potrebbe definire banalizzazione del Male. La sua matrice, mi sembra utile farlo notare, poggia sulle dottrine evoluzionistiche di Darwin. Tanto si è dimostrato pervasivo il martellamento mediatico e scolastico, che ne vediamo all'opera i frutti anche in persone che non si definiscono materialiste. Così ecco che Flavio Brand nega innanzitutto la natura crudele delle avèrle aguzzine, quindi attribuire le loro attitudini a qualcosa di futile: non avendo questi uccelli artigli sviluppati, eccoli costretti ad evolvere raffinate tecniche di tortura per potersi nutrire. L'assurdità di una simile opinione è di per sé evidente. Sarebbe come affermare che avendo Ted Bundy i nervi delle mani un po' deboli, si è visto costretto ad assassinare decine di ragazze, sodomizzandole da vive e da morte, seppellendole nei boschi e andando di notte ad aspirare i lezzi della loro putrefazione!

Questo è riportato nel Compendio del Dualismo Anticosmico (cap. 5) a proposito dei materialisti che si affannano a far cozzare nelle categorie del Darwinismo aspetti della realtà non riducibili alla mera biologica: 

«Essi agitano davanti a noi lo spettro di un Rasoio di Occam utilizzato male, ossia di uno pseudo-Rasoio di Occam, e poi forniscono per ognuna delle evidenze da noi mostrate una spiegazione diversa e del tutto inverosimile, negando alla radice proprio quello strumento concettuale che dicono di utilizzare. Essi balbettano di “educazione all’istinto di caccia” di fronte alla crudeltà delle orche e di “conseguenze di un’epidemia di peste bovina” o di “mal di denti” di fronte ai Mangiatori di Uomini di Tsavo. Biascicano di “conseguenze di una malattia virale” di fronte alle vespe parassitogene e di “schizofrenia” di fronte ai cannibali. Una data aberrazione sessuale sarebbe dovuta a una “strategia riproduttiva”, mentre una data altra sarebbe dovuta a “parestesia”, ossia a “errata interpretazione dei dati sensoriali”. Un dato fenomeno naturale è per loro dovuto a qualcosa di completamente dissimile da ciò che muove un fenomeno diverso: non hanno alcuna visione di insieme. Così biasimano noi perché ammettiamo Due Princìpi in quanto mossi dalla necessità effettiva, mentre loro si fanno beffe di ogni principio di economia di pensiero e sciorinano enciclopedie di teorie per spiegare quelle che sono soltanto le conseguenze di un’unica causa: il Male Metafisico

Su Quora il problema della definizione del Bene e del Male desta ancor più inquietudine che su Facebook, specialmente in rapporto alla Natura. C'è chi nega la validità di questi concetti: essi semplicemente non esisterebbero, sarebbero creazioni umane. Altri cercano con ogni mezzo di abbattere i loro confini definitori, affermando che ci sarebbe un po' di Bene nel Male e un po' di Male nel Bene. Però uno stiletto di ferro, piantato nel cranio, che folgora il cervello di una persona uscendo da un'orbita oculare e spaccando un occhio, non è possibile definirlo come qualcosa di buono. Non serve un atto di fede nel soprannaturale per definire il concetto di demone: è un essere che esiste al solo scopo di infliggere dolore ad altri esseri, chiamati vittime.

Note etimologiche:
i nomi vernacolari dell'avèrla

In italiano il nome avèrla presenta alcune varianti: avèlia, vèlia, vèrla. La regione da cui queste forme si sono irradiate è la Toscana, ove è presente anche la forma ghièrla. Ovviamente l'etimologia è ritenuta incerta dai romanisti. Stando al dizionario Treccani, l'avèrla cenerina è chiamata ghièrla gazzina. La connessione di questi bizzarri uccelli con le gazze è assai popolare, forse per via della livrea e del carattere vivace. Questo ci suggerisce anche il vero etimo della parola, che è dall'etrusco. Il prenome etrusco Vel, da un più antico Venel, nelle iscrizioni bilingui etrusco-latine è tradotto in modo quasi sistematico con Gaius (cfr. Facchetti, 2000). Lo stesso professor Facchetti ha pensato di tradurre il prenome Gaius con "Felice", dato che in italiano esiste il ben noto aggettivo gaio (dal provenzale gai "vivace"). Anche se nella lingua di Roma non è attestato un aggettivo con questo significato, è assai possibile che dovesse esistere tra il volgo, essendo riconducibile alla stessa radice di gaudeo "gioisco, godo" e di gaudium "gioia" (*gaw-, presente anche in greco). A parer mio Vel (arc. Venel) è da una parola etrusca con lo stesso senso. Non è improbabile che avesse anche il significato di "gazza": lo stesso italiano gazza è da un più antico gaia. Così Velia, usato come antroponimo femminile (la forma arcaica è attestata come Velelia su un vaso trovato a Tragliatella), potrebbe essere realmente il nome etrusco dell'avèrla. Sono convinto che si tratti di un vocabolo etrusco sopravvissuto in Toscana.

In inglese l'avèrla è detta shrike /ʃraɪk/, dall'anglosassone sċrīc /ʃri:k/. Il vocabolo è verosimilmente di origine onomatopeica, avendo poi perso questa caratteristica per via della naturale evoluzione fonetica. Risultano alcuni paralleli in altre lingue germaniche (svedese skrika "ghiandaia; urlare", tedesco Schrei "grido").  

La grande avèrla grigia (Lanius excubitor) è nota in Germania con vari nomi di supposta origine cristiana, come Warkangel, Werkengel, Wurchangel (una variante Werkenvogel è rifatta con Vogel "uccello"). Il significato dovrebbe essere quello di "angelo sterminatore", "angelo assassino", preferibile all'improbabile "angelo soffocante" riportato nella Wikipedia in inglese e altrove. In tedesco standard Wu¨rg(e)engel significa proprio "angelo sterminatore". Anche in Inghilterra, nello Yorkshire, ricorrono forme dialettali derivate dalla stessa fonte che ha dato origine ai composti tedeschi: war(r)iangle e weirangle (che indicano l'avèrla piccola, Lanius collurio). Un tempo questa denominazione era più diffusa: in Chaucer waryangle è un termine offensivo e l'avèrla è descritta come "piena di veleno". Il primo membro di queste parole è chiaro: antico alto tedesco warag, warg, warch "fuorilegge", anglosassone wearg "fuorilegge; lupo". Dato che le forme inglesi corrispondono a quelle tedesche, come possono avere origine cristiana? Dovrebbero essere state importate in Britannia dai Sassoni pagani, in un'epoca ben anteriore a quella della cristianizzazione della Germania! L'associazione al concetto di "angelo" sarà quindi dovuta a falsa etimologia. Percorrendo la Germania troviamo interessantissime vestigia pagane. Lungo il corso superiore del Reno è attestato l'epiteto Linkenom, forse "Sinistro Prenditore", per quanto si possa trattare di un'etimologia popolare. Le forme più interessanti sono tuttavia quelle che coinvolgono il numero nove: basso tedesco Neghendoer e medio alto tedesco Nünmörder, documentato attualmente nella variante Neuntöter, che è usato per designare Lanius collurio. Il significato è "che uccide nove (tipi di vittime)". Questo è un dettaglio della massima importanza, a quanto pare ignorato dagli studiosi, che fa riferimento alla somma importanza del numero nove nella religione pagana germanica. Si deve ricordare che nove erano i tipi di legno usati per celebrare i sacrifici (blót) nell'antica Scandinavia (cfr. poesia di Trollkyrka). In Germania l'avèrla (di qualsiasi specie) doveva essere sacra a Wotan per via della sua ferocia.

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