Approfondendo
i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla
seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga:
polota (f.), Palazzo Imperiale di Costantinopoli
Declinazione: gen./dat./acc. polotu; pl. nom./acc. polotur, gen. polotna, dat. polotum.
Varianti:
polóta
pólóta
poluta
polluta
polúta
pólúta
palata
Derivati:
polota-svarf (n.), saccheggio del Palazzo
varianti:
polóta-svarf, polutasvarf, pólútasvarf
Si tratta del diritto, tipico dei Variaghi della Guardia Imperiale, di girare per il palazzo alla morte di un Imperatore, in cerca di denaro e preziosi vari di cui impossessarsi. Queste sono le radici del composto: polota "Palazzo" e sverfa "limare", donde svarf (n.) "polvere di limatura", ma anche "ruberia, estorsione". Il costume, senza dubbio un grande privilegio - oltre che un saccheggio legalizzato a tutti gli effetti - viene spiegato da Snorri Sturluson (1178 o 1179 -1241) nella Heimskringla, e più precisamente in questo passo della Haralds saga Harðráða (Saga di Aroldo dal Duro Consiglio) che vi è inclusa (ortografia non normalizzata):
Haralldr hafdi III sinnom komit í polota-svarf, medan hann var í Miklagardi. Þat ero þar lög, at hvert sinn er Grickia konungr deyr, þá skulo Væringiar hafa polota-svarf: þeir skolo þá gánga of allar polotur konungs, þar sem fehirdzlor hans ero, oc scal hverr þar eignaz at friálso þat ser, hvert er höndum kemr á.
Riporto anche il testo in ortografia normalizzata:
Haraldr hafði III sinnum komit í polota-svarf, meðan hann var í Miklagarði. Þat eru þar lǫg, at hvert sinn er Grikkjakonungr deyr, þá skulu Væringjar hafa polota-svarf: þeir skulu þá ganga um allar polotur konungs, þar sem féhirzlur hans eru, ok skal hverr þar eignaz at frjálsu þat sér, hvert er hǫndum kemr á.
Traduzione:
"Harald partecipò tre volte al saccheggio del Palazzo, mentre era a Bisanzio. Questa vi è la legge, che ogni volta che un re dei Greci muore, i Variaghi debbano tenere un saccheggio del Palazzo: essi devono allora andare per tutti i palazzi del re, dove sono le sue stanze del tesoro, e ognuno deve impossessarsi liberamente di ciò su cui mette le mani."
Richard Cleasby nel suo Icelandic - English dictionary, curato e completato da Gudbrand Vigfusson, riporta una citazione assai simile al testo del sapiente Snorri, per quanto non identica:
ganga þeir um allar polotur konungs, … ok skal hverr hafa at frjálsu þat sem hǫndum kemr á "... andare essi per tutti i palazzi del re, ... e ciascuno deve impossessarsi liberamente di ciò su cui mette le proprie mani".
Va detto che all'epoca di Cleasby e di Vigfusson non si era ancora diffusa l'epidemia di fontite acuta, così non saltavano fuori dovunque studentelli nerdosi e isterici a urlare a ogni piè sospinto: "Fonti!!! Fo-ffò-ffò! Fonti!!! Fo-ffò-ffò!" Così gli autori del dizionario non si curarono troppo di riportare l'estratto dello scritto di Snorri in modo accurato. Oggi sarebbe considerata una colpa imperdonabile. Se la fontite acuta fosse stata imperante già a quei tempi, sarebbe stata annullata l'intera aneddotica, che poggiava in gran parte su conoscenze riportate a memoria, utilissime anche se non esenti da distorsioni. Come al solito, il decostruzionismo moderno ha portato a un certo atteggiamento scettico nel mondo accademico: partendo dal fatto che la Heimskringla è a quanto pare la sola fonte a parlare del costume del polota-svarf - non menzionato nel mondo greco - c'è chi è giunto persino a dubitare della sua reale esistenza.
polota (f.), Palazzo Imperiale di Costantinopoli
Declinazione: gen./dat./acc. polotu; pl. nom./acc. polotur, gen. polotna, dat. polotum.
Varianti:
polóta
pólóta
poluta
polluta
polúta
pólúta
palata
Derivati:
polota-svarf (n.), saccheggio del Palazzo
varianti:
polóta-svarf, polutasvarf, pólútasvarf
Si tratta del diritto, tipico dei Variaghi della Guardia Imperiale, di girare per il palazzo alla morte di un Imperatore, in cerca di denaro e preziosi vari di cui impossessarsi. Queste sono le radici del composto: polota "Palazzo" e sverfa "limare", donde svarf (n.) "polvere di limatura", ma anche "ruberia, estorsione". Il costume, senza dubbio un grande privilegio - oltre che un saccheggio legalizzato a tutti gli effetti - viene spiegato da Snorri Sturluson (1178 o 1179 -1241) nella Heimskringla, e più precisamente in questo passo della Haralds saga Harðráða (Saga di Aroldo dal Duro Consiglio) che vi è inclusa (ortografia non normalizzata):
Haralldr hafdi III sinnom komit í polota-svarf, medan hann var í Miklagardi. Þat ero þar lög, at hvert sinn er Grickia konungr deyr, þá skulo Væringiar hafa polota-svarf: þeir skolo þá gánga of allar polotur konungs, þar sem fehirdzlor hans ero, oc scal hverr þar eignaz at friálso þat ser, hvert er höndum kemr á.
Riporto anche il testo in ortografia normalizzata:
Haraldr hafði III sinnum komit í polota-svarf, meðan hann var í Miklagarði. Þat eru þar lǫg, at hvert sinn er Grikkjakonungr deyr, þá skulu Væringjar hafa polota-svarf: þeir skulu þá ganga um allar polotur konungs, þar sem féhirzlur hans eru, ok skal hverr þar eignaz at frjálsu þat sér, hvert er hǫndum kemr á.
Traduzione:
"Harald partecipò tre volte al saccheggio del Palazzo, mentre era a Bisanzio. Questa vi è la legge, che ogni volta che un re dei Greci muore, i Variaghi debbano tenere un saccheggio del Palazzo: essi devono allora andare per tutti i palazzi del re, dove sono le sue stanze del tesoro, e ognuno deve impossessarsi liberamente di ciò su cui mette le mani."
Richard Cleasby nel suo Icelandic - English dictionary, curato e completato da Gudbrand Vigfusson, riporta una citazione assai simile al testo del sapiente Snorri, per quanto non identica:
ganga þeir um allar polotur konungs, … ok skal hverr hafa at frjálsu þat sem hǫndum kemr á "... andare essi per tutti i palazzi del re, ... e ciascuno deve impossessarsi liberamente di ciò su cui mette le proprie mani".
Va detto che all'epoca di Cleasby e di Vigfusson non si era ancora diffusa l'epidemia di fontite acuta, così non saltavano fuori dovunque studentelli nerdosi e isterici a urlare a ogni piè sospinto: "Fonti!!! Fo-ffò-ffò! Fonti!!! Fo-ffò-ffò!" Così gli autori del dizionario non si curarono troppo di riportare l'estratto dello scritto di Snorri in modo accurato. Oggi sarebbe considerata una colpa imperdonabile. Se la fontite acuta fosse stata imperante già a quei tempi, sarebbe stata annullata l'intera aneddotica, che poggiava in gran parte su conoscenze riportate a memoria, utilissime anche se non esenti da distorsioni. Come al solito, il decostruzionismo moderno ha portato a un certo atteggiamento scettico nel mondo accademico: partendo dal fatto che la Heimskringla è a quanto pare la sola fonte a parlare del costume del polota-svarf - non menzionato nel mondo greco - c'è chi è giunto persino a dubitare della sua reale esistenza.
Il Palazzo Imperiale, polota, fa parte della geografia di Bisanzio, la capitale che in norreno era chiamata Miklagarðr (Mikligarðr), ossia "Grande Città", e che era vista dai guerrieri scandinavi come un luogo splendido in cui conquistare oro, onore e gloria. La storia della parola errante per designare il Palazzo è un po' complicata. Si tratta chiaramente di un prestito che ha la sua origine ultima nel latino pala:tium "palazzo" (in origine indicava il Colle Palatino), passato in greco nell'epoca imperiale come παλάτιον. La parola era usata in particolar modo per indicare il complesso dei palazzi imperiali a Costantinopoli: Ἱερὸν παλάτιον "Sacro Palazzo" e Μέγα παλάτιον "Grande Palazzo". Quindi da Bisanzio il vocabolo è giunto nelle lingue slave (es. antico russo полота, polota), assumendo il tipico vocalismo in -o-, pur essendo nota anche la variante palata (палата) in cui questo mutamento non è avvenuto. La fonetica e la morfologia della parola dimostrano che non può essere stata presa direttamente dal greco, essendo la mediazione slava indispensabile: oltre al vocalismo è importante anche il cambiamento di genere grammaticale, da neutro a femminile. Si deve infine notare che in greco si ha l'assenza di assibilazione dell'occlusiva dentale -t-, cosa che punta direttamente a una pronuncia latina /pala:tium/ > /pa'la:tju(m)/ e non /palatsjum/ come vorrebbe l'uso della Chiesa Romana e del sistema scolastico di questo paese. Nel greco medievale παλάτιον è diventato regolarmente παλάτιν, quindi la -ν finale del genere neutro è caduta dando origine al greco moderno (demotico) παλάτι. Nonostante queste evidenze inoppugnabili, sono sicuro che non demorderanno i fautori superstiti della pronuncia ecclesiastica del latino proiettata indietro nel tempo fino alla preistoria più remota.
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