mercoledì 28 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT CELTISTA: LA MALEDIZIONE GAELICA NE 'I RATTI NEI MURI'

Il racconto I ratti nei muri (The Rats in the Walls) è un capolavoro di H. P. Lovecraft. Fu scritto nel 1923, fra agosto e settembre, e pubblicato per la prima volta nel marzo del 1924 sulla rivista Weird Tales. Horror puro e weird robusto. La trama ruota attorno a un tema che non sarà mai abbastanza sfruttato finché il Tempo avrà corso: la storia di una famiglia nobiliare gravata da una terribile maledizione. La voce narrante è quella dell'ultimo superstite della stirpe dei Delapore, giunto in Inghilterra dal Massachusetts dopo che il suo unico figlio era stato reso invalido durante la Grande Guerra. Il suo scopo era ristrutturare Exham Priory ad Anchester, la proprietà dei suoi Antenati, i nobili De la Poer, avendola acquistata dalla famiglia del capitano Edward Norrys. Finiti i lavori dopo la morte dell'infelice figlio e resa abitabile la vetusta dimora, il protagonista si accorge ben presto che qualcosa non va: si palesano con rumori spettrali gli eserciti dei ratti. Per cercare di capire l'origine di queste presenze infestanti e funeste, Delapore assume una squadra di esperti, tra i quali l'archeologo Sir William Brinton, l'occultista Thornton e l'antropologo Trask. Le ricerche culminano con la scoperta di un vero e proprio mondo sotterraneo, un labirinto di gallerie e di cripte piene zeppe di scheletri deformi. Emerge così la terribile verità. I De la Poer, baroni normanni, erano una famiglia demoniaca e degenerata che allevava relitti umani allo scopo di macellarli e di nutrirsi delle loro carni!
 
Al culmine dell'orrore, Delapore viene trovato in stato di spaventosa alterazione, proprio sul cadavere semidivorato del capitano Norrys. Il delirio si esprime con una vera e propria catabasi linguistica:
 
"Curse you, Thornton, I’ll teach you to faint at what my family do! ... ’Sblood, thou stinkard, I’ll learn ye how to gust ... wolde ye swynke me thilke wys? ... Magna Mater! Magna Mater! ... Atys ... Dia ad aghaidh ’s ad aodaun ... agus bas dunach ort! Dhonas ’s dholas ort, agus leat-sa! ... Ungl ... ungl ... rrrlh ... chchch …." 
 
1) Il protagonista parte dall'inglese contemporaneo: "Curse you, Thornton, Ill teach you to faint at what my family do!"
2) Prosegue quindi con l'inglese dell'epoca elisabettiana: "Sblood, thou stinkard, Ill learn ye how to gust"
3) Giunge poi al medio inglese dell'epoca di Chaucer: "wolde ye swynke me thilke wys?" 
4) Non riesce a procedere con l'anglosassone e continua con il latino: "Magna Mater! Magna Mater! ... Atys ..." 
5) A questo punto dovrebbe arrivare al britannico parlato ai tempi di Cesare. Invece troviamo una maledizione anacronistica in gaelico scozzese: "Dia ad aghaidh ’s ad aodaun ... agus bas dunach ort! Dhonas ’s dholas ort, agus leat-sa!" 
6) Infine, sprofondando negli Abissi del Tempo, ecco comparire dei grugniti inarticolati, quasi fossimo di fronte a versi di pitecantropi: "Ungl ... ungl ... rrrlh ... chchch ….
 
Nelle traduzioni in italiano, si segnalano alterazioni dei testi in gaelico e non solo (vedi nel seguito). Non è facile orientarsi nell'ocano di tutte le traduzioni che sono state fatte. Mi limiterò a riportarne alcune. 
 
Questa è la traduzione di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco: 
 
"Maledetto Thornton, ti insegno io a svenire di fronte a quello che ha fatto la mia famiglia! Maledette bestie schifose, vi insegno io come si fa a... Mi resistete, maledetti... 
Magna Mater! Magna Mater!... Atys... Dia ad aghaidh’s ad aodann ... agus bas dunach ort! Dhonas’s dholas ort, agus leatsa! ... Ungl ... ungl ... rrrlh ... chchch …." 
 
Questa è la traduzione di Giuseppe Lippi: 
 
"Maledetto Thornton, ti insegno io a svenire davanti agli atti della mia famiglia! Io t'ammazzo, vilissimo, ti fo vedere come si fa... oseresti resistermi? Magna Mater! Magna Mater!... Atys... Dia ad aghaidh’s ad aodanr... agus bas dunach ort! Dhonas’s dholas ort, agus leat-sa!... Ungl... ungl... rrrlh... chchch…."  
 
Questa è la traduzione di Carlo Pagetti: 
 
"Che tu sia maledetto, Thornton, ti insegno io a svenire davanti agli atti della mia famiglia! Per dio, carogna, te la faccio vedere io... oseresti opporti? Magna Mater! Magna Mater!... Attis... Dia ad aghaidh ʻs ad aodann... agus bas dunach ort! Dhonas ʻs dholas ort, agus leat-sa!... Ungl... ungl... rrrlh... chchch…."   
 
Notiamo subito che la traduzione di Pagetti è senza dubbio la migliore. Tra le altre cose, emenda Atys in Attis, il nome più corretto del Paredro di Cibele. Con tutto il bene che voglio a Giuseppe (RIP), ʼsblood non significa affatto "io t'ammazzo". È una contrazione della violenta bestemmia God's Blood "Sangue di Dio" (variante: Christ's Blood). Capisco che non fosse possibile far comparire l'imprecazione "Sangue di Dio" in una traduzione nell'Italietta bigotta, ma i fatti sono questi. Pagetti si avvicina di più al vero, con un "Per dio" che di certo ha richiesto un grande coraggio. Assurda la traduzione di Pilo-Fusco, se pure traduzione possiamo chiamarla: non si capisce come un semplice ʼsblood sia potuto divenire "Maledette bestie schifose". Forse per onomatopea?  

Come accennato, l'Autore non è stato in grado di utilizzare la lingua di Beowulf. Il suo medio inglese consiste di queste forme: 
 
wolde = would
ye = you 
swynke = to swink "sforzarsi, faticare" 
me = me
thilke = the like 
wys = wise (cfr. italiano guisa, di chiara origine germanica) 
 
Parleremo in altra sede del pronome ye, come anche del pronome Thou citato nel testo elisabettiano. 
 
Dal canto suo, in una lettera Lovecraft ha dato un abbozzo di spiegazione alle sue scelte a proposito della parte in gaelico. Riporto qui il testo: 

"What the intermediate jargon is, is perfectly good Celtic—a bit of venomously vituperative phraseology which a certain small boy out to know; because his grandpa, instead of consulting a professor to get a Celtic phrase, found a ready-made one so apt that he lifted it bodily from The Sin-Eater, by Fiona MacLeod, in the volume of Best Psychic Stories which Sonny himself generously sent! I thought you’d note that at once—but youth hath a crowded memory. Anyhow, the only objection to the phrase is that it’s Gaelic instead of Cymric as the south-of-England locale demands. But as—with anthropology—details don’t count. Nobody will ever stop to note the difference."
(SL1.258) 

Traduzione per gli anglofobi non anglofoni:

"Quale che sia il gergo intermedio, è Celtico perfettamente buono - un po' di fraseologia vituperante che un certo ragazzino vuole conoscere; poiché suo nonno, invece di consultare un professore per ottenere una frase celtica, ne trovò una già pronta, così adatta che la prese di peso da The Sin-Eater, di Fiona MacLeod, nel volume di Best Psychic Stories che lo stesso Sonny ha generosamente inviato! Pensavo che l'avresti notato subito - ma la gioventù ha una memoria affollata. Ad ogni modo, la sola obiezione alla frase è che è in Gaelico anziché in Gallese come richiesto dalla località del Sud dell'Inghilterra. Ma siccome - con l'antropologia - i dettagli non contano, nessuno si soffermerà mai a notare la differenza." 

Invece la differenza l'ho notata all'istante, essendo un appassionato celtista e indoeuropeista. Mi sono reso conto dell'assurda incoerenza a colpo d'occhio. Quanti recensori tecnici si sono soffermati sulla questione? Scommetto nessuno. Il punto è che le lingue celtiche non sono "gerghi" né tantomeno "slang criminali", come l'Autore sembra voler insinuare. Sono lingue degne come quelle derivate dal latino e dal protogermanico. Spero che gli eventuali lettori avranno la pazienza di leggere con attenzione quanto ho da dire.    
 
Un anacronismo marchiano 
 
Questo è il testo in gaelico nella sua forma corretta: 
"Dia ad aghaidh ’s ad aodann ... agus bas dunach ort! Dhonas ’s dholas ort, agus leat-sa!"
 
Questa è la traduzione in inglese moderno:
"God against thee and in thy face ... and may a death of woe be yours ... Evil and sorrow to thee and thine." 
 
Questa è la traduzione in italiano:  
"Dio contro di te e in faccia a te... e possa una morte di dolore essere tua... Male e dolore a te e per te."  
 
Riporto senz'altro l'originale di William Sharp (Paisley 1855 - Bronte 1905), importante autore del Revival Celtico che scrisse sotto lo pseudonimo femminile di Fiona MacLeod. Le parti in gaelico le ho evidenziate in neretto: 
 
"But, Andrew Blair, I will say this: when you fair abroad, Droch caoidh ort! and when you go upon the water, Gaoth gun direadh ort! Ay, ay, Anndra-mhic-Adam, Dia ad aghaidh 's ad aodann ... agus bas dunach ort! Dhonas 's dholas ort, agus leat-sa!"   

Questa è la traduzione parola per parola: 
 
droch "cattivo" 
caoidh "lamento"
ort "su di te" 
 
gaoth "vento" 
gun "senza"
deireadh "fine"(1)  
ort "su di te" 
 
(1)Nell'originale è scritto erroneamente direadh; lo si trova tradotto erroneamente con "direction". La traduzione corretta è invece "end".

Dia "Dio" 
ad "al tuo; nel tuo" 
aghaidh "volto, faccia" 
's "e" (abbreviazione di agus, vedi sotto)
ad "al tuo; nel tuo" 
aodann "faccia, fronte"
agus "e" 
bàs "morte"
dunach "di disastro" 
ort "su di te"  
dhonas "cattiva fortuna" (forma "aspirata" di donas)
's "e" 
dhòlas "dolore" (forma "aspirata" di dòlas)
leat-sa "con te"
 
Notiamo che Lovecraft ha commesso un notevole errore di trascrizione, riportando la parola aodann come aodaun, per via di una banale inversione del carattere -n- corsivo, interpretato come -u-. Non è difficile incorrere in refusi di questo genere. Ricordo quando al liceo un'antipatica foruncolosa copiò un compito di inglese dalla vicina di banco, trascrivendo "glance" come "glauce" e facendo acrobazie perigliose nel tentativo di pronunciare tale vocabolo a lei sconosciuto (prima tentò di articolarlo come "gloss", poi lo pronunciò in maniera ortografica, come se fosse scritto in italiano, destando le ire funeste della professoressa). Simili insidiosi errori possono ricorrere spesso e inficiare il lavoro di linguisti e di antropologi. Il corsivo è un uso pessimo che andrebbe abolito una volta per tutte, date le ambiguità a cui si presta. 
 
Nella traduzione di Pilo-Fusco l'originale aodaun è restaurato con il corretto aodann. Così anche nella traduzione di Pagetti.
Nella traduzione di Lippi aodaun diventa invece aodanr, con un'impervia fonotattica degna delle iscrizioni oghamiche pictiche! 
 
Perché tutto questo non va bene? Perché parlo di anacronismo marchiano? Semplice. Le lingue cambiano nel tempo. Cambiano in modo sistematico, tramite mutamenti fonetici che non sono avvertite dai parlanti. Queste mutazioni sono quasi sempre regolari; quando non lo sono, è perché agiscono interferenze che soggiaciono in ogni caso a una logica. I mutamenti si accumulano nel corso dei secoli fino a produrre risultati sorprendenti. Le lingue diventano così irriconoscibili. Non si può prendere il gaelico scozzese del XIX secolo e proiettarlo nell'epoca dell'Impero Romano. Sarebbe come prendere il milanese di Carlo Porta e proiettarlo nell'epoca dell'Impero Romano. Anzi, peggio, perché i mutamenti che le lingue celtiche insulari hanno subìto nel corso dei secoli sono particolarmente corrosivi. In media è stata persa una sillaba su due.   
 
Queste sono alcune ricostruzioni di forme proto-iberniche: 
 
droch /t̪ɾox/ "cattivo" < *drukos (maschile); 
      < *drukā (femminile); < *drukon (neutro)
caoidh /khɯi/ "lamento" < *kējā    
ort /ɔrˠs̪t/ "su di te" < *wer-ted 
gaoth /kɯː/ "vento" < *gaitā  
gun /kun/ "senza" < *kina   
deireadh /'tʲeɾʲə/ "fine" < *diarewedon
Dia /tʲia/ "Dio" < *dēwos 
ad /at̪/ "al tuo, nel tuo" < *eni *tō   
aghaidh /ɤː.ɪ/ "faccia" < *agedā(2) 
aodann /ˈɯːt̪ən̪ˠ/ "faccia, fronte" < *antanos 
agus /'akəs̪/ "e" < *onkuθθus "vicinanza" 
bàs /pa:s̪/ "morte" < *bāθθon "morte"     
dunach /'t̪unəx/ "di disastro" < *dugnawatōs 
donas /'t̪onəs̪/ "cattiva fortuna" < *dugnawaθθus 
leat-sa /ˈlʲat̪sə/ "con te" < *letos-ted-son  
 
(2)Confronta la radice gallica agedo-, che forma antroponimi come Agedouiros. Il significato di questa parola era "faccia, superficie; onore". Così Agedouiros significa "Uomo d'Onore".  
 
Il gaelico dhòlas (forma "aspirata" di dòlas) deriva dal prefisso negativo/peggiorativo do- (< *du-) e dal medio irlandese sólas "gioia", prestito dall'antico francese solas, in ultima analisi dal latino sōlācium. Una ricostruzione su queste basi sarebbe quindi con ogni probabilità fallace. Pertanto sostituiamo il vocabolo: 
 
bròn /prɔ:n/ "dolore" < *brugnā  

Si nota che il processo di ricostruzione fa venire meno molte allitterazioni. La congiunzione agus (antico irlandese ocus) ha sostituito mezzi di espressione più antichi, che sono testimoniati nei documenti provenienti dalle Gallie: il suffisso -C (corrispondente al latino -que) e la congiunzione ETIC (corrispondente al latino et). Dobbiamo ovviamente tener conto di tutto questo.     

Possiamo tentare di ricostruire la maledizione, trascrivendola in ortografia latina integrata col carattere speciale detto "tau gallicum" e fornendone la pronuncia: 
 
DRVCA CEIA VERTED 
/'druka: 'ke:ja: 'werted/

 
GAITA CINA DIAREVEDON VERTED 
/'gaita: kina di'arewedon 'werted/
 
DEVOS ENI TO AGEDIN ANTANONC  
/'de:wos 'eni to: 'agedin 'antanonk/ 
 
ETIC BAÐÐON DVGNAVATOS VERTED 
/'etik 'ba:θθon 'dugnawato:s 'werted/

DVGNAVAÐÐVS BRVGNAC LETOSTEĐSON 
/'dugnawaθθus 'brugna:k 'letosteθˌson/

Tutto questo senza contare che DEVOS si riferisce a una divinità pagana (ad esempio Nodens), mentre il suo discendente gaelico Dia si riferisce alla divinità cristiana.  

La raccolta menzionata da Lovecraft, Best Psychic Stories, può essere letta gratuitamente su Archive.org:
 

La solita baggianata del razzismo lovecraftiano 
 
Gli stramaledetti buonisti politically correct insistono sul razzismo del Solitario di Providence: nel caso di questo racconto evidenziano il nome che il protagonista ha dato al proprio gatto, Nigger-Man. Nessuno ha però fatto la benché minima menzione all'innata avversione provata dall'Autore nei confronti degli Irlandesi - il cui colore della pelle non è certo quello della carta carbone, essendo praticamente indistinguibili dagli Anglosassoni! Non mi stancherò mai di ripeterlo: tutto ciò non toglie nemmeno un iota alla sua immensa gloria, che mai declinerà finché il Tempo avrà corso!   

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