venerdì 28 maggio 2021

 
O VARIUM FORTUNE 
 
Titolo originale: O varium Fortune 
Gruppo: Corvus Corax 
Autori: Corvus Corax, Ingeborg Schöpf & Klaus Lothar Peters 
Album: Cantus Buranus II 
Anno: 2008 
Data di rilascio: 1 agosto 2008
Genere: Musica neomedievale, Folk Rock 
Paese: Germania
Lingua: Latino medievale
Etichetta: Pica Records, Irond 
Formato: CD, Digibook
Orchestra: Deutsches Filmorchester Babelsberg
Formazione Corvus Corax: 
   Ardor von Venushügel 
   Castus Rabensang 
   Harmann der Drescher
   Hatz 
   Meister Selbfried  
   Patrick der Kalauer
   Teufel 
   Wim 
Cantante (Soprano): Ingeborg Schöpf 
Etimologia del nome del gruppo: dal nome scientifico del corvo imperiale (Corvus corax Linnaeus, 1758) 
Video: Live in München 2009 
Rimasterizzazione: 2016 
Link: 
 
Testo in latino medievale:
 
O VARIUM FORTUNE 
 
O varium fortune lubricum
Dans dubium tribunal iudicum,
Non modicum paras huic premium,
Quem colere tua vult gratia.

Et petere rote sublimia,
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens,
de rhetore consulem eligens.

Et petere rote sublimia,
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens,
de rhetore consulem eligens.

O varium fortune lubricum
Dans dubium tribunal iudicum,
Non modicum paras huic premium,
Quem colere tua vult gratia.

Et petere rote sublimia,
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens,
de rhetore consulem eligens.

Edificat Fortuna diruit;
Nunc abdicat quos prius coluit. 
Edificat Fortuna diruit;
Nunc abdicat quos prius coluit. 
 
Et petere rote sublimia
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens
De rhetore consulem eligens.

Et petere rote sublimia
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens
De rhetore consulem eligens.
 
Il testo è un piccolo estratto di un componimento ben più esteso, che fa parte dei Carmina Burana. Questi testi poetici sono opere dei Goliardi o Clerici vagantes. Risalgono al XI e al XII secolo e sono riportate nel Codex Latinus Monacensis 4660, detto anche Codex Buranus - da cui il nome della raccolta - in quanto reperito nel 1803 nella Bura di San Benedetto (Benediktbeuren) in Alta Baviera. In tutto sono 228, scritti nella maggior parte dei casi in latino, anche se alcuni sono in medio alto tedesco e uno in provenzale. Riflettono un movimento internazionale, che andava dalla Linguadoca alla Germania, all'Inghilterra e alla Scozia. Stava sorgendo l'Università, che è un'istituzione più antica dell'Impero Azteco, per quanto la cosa possa essere sorprendente. Questi Clerici vagantes vagavano da un ateneo all'altro, per tutta l'Europa, per poter seguire le lezioni che consideravano più utili. In questo erano favoriti dall'uso pervasivo del latino, vera e propria lingua franca dell'epoca. Avevano gli ordini minori, quindi godevano di alcuni privilegi ecclesiastici, pur non essendo vincolati ai voti imposti dall'ordinazione sacerdotale: conducevano esistenze sregolate tracannando ettolitri di vino e copulando selvaggiamente. Furono loro a reintrodurre il vino nella poesia dopo secoli di silenzio. Immensa era la loro avversione alla Curia pontificia, colpita dagli strali della satira per la sua simonia e per la sua corruzione. Di questi argomenti si dovrà parlare con maggior dettaglio in altra sede.

Ecco il testo completo della poesia da cui hanno attinto i Corvus Corax:  
 
O VARIUM (CB 14)

1.
O varium | Fortune lubricum,
dans dubium | tribunal iudicum,
non modicum | paras huic premium,
quem colere | tua vult gratia
et petere | rote sublimia,
dans dubia | tamen, prepostere
de stercore | pauperem erigens,
de rhetore | consulem eligens.

2.
Edificat | Fortuna, diruit;
nunc abdicat, | quos prius coluit;
quos noluit, | iterum vendicat
hec opera | sibi contraria,
dans munera | nimis labilia;
mobilia | sunt Sortis federa,
que debiles | ditans nobilitat
et nobiles | premens debilitat.

3.
Quid Dario | regnasse profuit?
Pompeïo | quid Roma tribuit?
Succubuit? | uterque gladio.
eligere | media tutius
quam petere | rote sublimius
et gravius | a summo ruere:
fit gravior | lapsus a prosperis
et durior | ab ipsis asperis.

4.
Subsidio | Fortune labilis
cur prelio | Troia tunc nobilis,
nunc flebilis | ruit incendio?
quis sanguinis | Romani gratiam,
quis nominis | Greci facundiam,
quis gloriam | fregit Carthaginis?
Sors lubrica, | que dedit, abstulit;
hec unica | que fovit, perculit.

5.
Nil gratius | Fortune gratia,
nil dulcius | est inter dulcia
quam gloria, | si staret longius.
sed labitur | ut olus marcidum
et sequitur | agrum nunc floridum,
quem aridum | cras cernes. Igitur
improprium | non edo canticum:
o varium | Fortune lubricum. 

Traduzione libera in italiano:

1. 
O Fortuna, volubile e scivolosa
che giudice incostante tu sei.
Largisci premi smisurati
a chi hai deciso di prediligere con la tua grazia
e di porre sulla sommità della tua ruota.
Ma i tuoi doni sono incerti e senza preavviso:
alzi il povero dallo sterco
ed eleggi l'orator a console.

2. 
La Fortuna costruisce, la Fortuna distrugge:
in un attimo abbandona colui che finora coccolava
per favorire un altro che poc'anzi respingeva.
Com'è contraddittoria quest'opera,
come sono fugaci i doni della Fortuna.
Incerti sono i patti della sorte
che umilia i nobili opprimendoli
e nobilita gli umili arricchendoli.

3. 
Che cosa è servito a Dario essere re?
Come Roma ha ripagato Pompeo?
Tutti e due sono stati vinti dalla spada.
È più sicuro scegliere la via di mezzo
che salire in alto sulla ruota
e poi cadere rovinosamente in basso.
Chi oggi Fortuna esalta
domani sarà ridotto in miseria.

4. 
Per quale capriccio della Fortuna
Troia un tempo gloriosa in battaglia
e ora degna di pianto, è annientata da un incendio?
Chi ha distrutto la grandezza dei Romani,
estinto l'eloquenza dei Greci,
infranto la gloria dei cartaginesi?
È la Sorte incostante che sottrae ciò che elargiva,
solo essa abbatte ciò che prima favoriva.

5. 
Niente è più grato della grazia della Fortuna
niente è più dolce tra le cose dolci
della gloria, se resta più a lungo. 
Ma decade come verdura marcia 
e segue il campo ora in fiore, 
che domani ti accorgi essere arido. 
Allora non mangio una brutta canzone: 
O Fortuna, volubile e scivolosa. 

[traduzione: Modo Antiquo 1999 (1 - 4); sottoscritto (5)] 
 

Memorie: 
Vidi i Corvus Corax con i miei occhi di carne nel lontano 1991, nell'augusta e metallica città di Berlino. Ne rimasi subito conquistato. Ero in una rievocazione medievale simile a una fiera, molto ben ricostruita. Anche il suduciume era autentico. C'erano molte persone che sembravano uscite dal XI secolo. A una specie di tenda era affisso un invitante cartello. Mostrava il disegno di una donna nuda messa a pecora che esibiva il deretano, con una scritta in medio tedesco ben traducibile: "Date un'inseminata a questa femmina". Sì, avrei voluto farlo. Poi ho saputo da un passante che in realtà c'era soltanto una massaggiatrice e che era un'audace trovata pubblicitaria. Dopo aver fatto qualche giro e aver trangugiato un litro di birra scura, mi sentivo a casa. Mi ero dimenticato di tutto, vivevo nella convinzione di essermi svegliato da un brutto sogno e di essere finalmente me stesso. Fu a questo punto che mi imbattei nei Corvus Corax. Suonavano le cornamuse su un palco di legno. La loro musica mi penetrava fin nelle ossa. Fui stupito dalle loro figure. Avevano la faccia tinta come antichi Britanni. Fu uno di quegli incontri che non si possono dimenticare, perché cambiano la vita.    

Recensione:
Esaltante! Sia la musica che il video dello spettacolo tenuto a Monaco di Baviera nel 2009 sono capolavori assoluti! Ogni nota entra nel sangue e nelle ossa e scuote le fondamenta stesse della mia anima. Ho ascoltato il brano per ore, cadendo in uno stato simile all'estasi. La cantante bionda vestita come la Dea Fortuna è la soprano austriaca Ingeborg Schöpf. È di una bellezza divina. Ancora oggi, ogni volta che guardo il video non riesco a staccare gli occhi da lei. La gioia che mi dà contemplarla è come quella che provo a inebriarmi con l'idromele. Se la incontrassi di persona, mi innamorerei alla follia e cadrei folgorato senza potermi più rialzare. Mi viene da piangere e mi sembra di essere un lombrico, una specie di uomo-verme, condannato a non poter neppure sfiorare tanto splendore. Ci sono donne così, che mi fanno questo effetto. Sarebbe stato bellissimo se fosse stata cantata l'intera poesia, anziché soltanto il suo inizio. Forse gli autori temevano che un'eccessiva lunghezza del canto non avrebbe giovato. Peccato.    

Il problema della musicazione dei testi 
 
Sappiamo che 47 componimenti del Codex Buranus sono corredati di una trascrizione musicale tramite neumi in campo aperto (notazione adiastematica), la cui interpretazione può considerarsi un'impresa disperata. La ricostruzione delle musiche originali è a quanto pare un cammino in salita che non ha un traguardo univoco, anche se sono stati fatti diversi tentativi. Il compositore tedesco Carl Orff (Monaco di Baviera, 1895 - Monaco di Baviera, 1982) è famoso per aver musicato i Carmina Burana, anche se la sua opera non ha nulla a che vedere con le melodie originali, essendo stata composta di sana pianta (O varium non figura tra l'altro nell'elenco delle 24 poesie musicate). La stridente diversità dei risultati delle musicazioni del componimento che stiamo trattando è evidente da alcuni video reperibili nel Web. Invito tutti ad ascoltarli per comprendere ciò che intendo dire. 
 



La musicazione di un testo implica il tentativo di comporre qualcosa che appartiene al mondo contemporaneo al musicatore, non a quello contemporaneo all'autore delle parole. Si dà così origine a un insieme armonico di suoni che non poteva esistere all'epoca in cui visse il poeta. Il punto è che la sensibilità di un secolo viene ad essere innestata in un secolo diverso, con una sensibilità che potrebbe addirittura essere incompatibile. Non è un problema di poco conto. Si canta la Fortuna che abbandona ciò di cui aveva favorito la diffusione. Non dobbiamo però dimenticarci la forza spaventosa che tutto domina: l'Oblio. Ogni cosa finisce in una discarica, dove subisce disgregazione e si disfa nel Nulla. Mi pongo quindi una domanda. Ha senso la mia stessa opera? Ha senso che io mi curi di cose che sono state lasciate alla deriva? Ha senso che cerchi con ogni mezzo di ricostruirle, di restaurarle nella forma originale? No. Non ne ha nessuno. Dopo anni e anni di sforzi inani, sono costretto a questa conclusione, che nulla di sensato esiste nell'Universo. Siamo come topi in un labirinto variabile che non permette di dedurre una regola in grado di spiegarne il funzionamento. Questa mutabilità estrema ci condanna al logorio e alla morte vana.    

Glossario latino: 
 
abdicat "abbandona"  
consulem "il console" (accusativo di consul)
dans "che dà" 
dubium "dubbio" 
   dubia "dubbi" (neutro plurale)
de rhetore "dall'oratore"  
de stercore "dallo sterco" 
diruit "distrugge", "demolice", "manda in rovina"
edificat "costruisce" 
     (latino classico aedificat)
eligens "che elegge" 
erigens "che fa alzare"  
Fortuna "Fortuna, Sorte"
Fortune "della Fortuna, della Sorte" (genitivo) 
     (latino classico Fortunae
huic "a questo", "a costui" (dativo)
lubricum "scivoloso" (aggettivo neutro) 
non modicum "non scarso" (aggettivo neutro) 
nunc "ora, adesso" 
O varium Fortune lubricum "O Fortuna volubile e scivolosa", 
    alla lettera "O cosa volubile scivolosa della Fortuna"
paras "prepari" 
petere "chiedere, ricercare"
pauperem "il povero" (accusativo di pauper
premium "premio, ricompensa" 
     (latino classico praemium)
prepostere "confusamente, senza ordine" (avverbio)
      (latino classico praepostere
rote "alla ruota" (dativo) 
      (latino classico rotae)
quos prius coluit "coloro che prima trattava con riguardo": 
    quos "coloro" (accusativo plurale) 
    prius "prima" 
    coluit "trattava con riguardo" 
sublimia "le cose sublimi" (neutro plurale collettivo 
    dell'aggettivo sublimis
tamen "nondimeno, ciononostante" (avverbio) 
tribunal iudicum "tribunale dei giudici": 
   iudicum "dei giudici" (genitivo plurale di iudex "giudice") 

Si nota che dans dubium tribunal iudicum significa letteralmente "tribunale dei giudici che dà il dubbio".

Note sulla pronuncia e sull'ortografia: 
 
Si nota che in luogo del dittongo grafico ae si trova la vocale semplice e, così abbiamo Fortune, rote, edificat, premium, prepostere. Questa è una caratteristica tipica del latino medievale. 

Una peculiarità della musicazione è la posizione dell'accento, che cambia a seconda delle necessità del ritmo. Ecco un elenco di parole in cui l'accento cambia posizione: 
 
variúm anziché várium 
lubrícum anziché lúbricum 
dubiúm anziché dúbium 
tribunál anziché tribúnal  
modicúm anziché módicum 
coleré anziché cólere 
parás anziché páras
peteré anziché pétere 
roté anziché róte 
dubiá anziché dúbia 
tamén anziché támen
prepostére anziché praepóstere 
stercoré anziché stércore 
paupérem anziché páuperem 
erígens anziché érigens 
consúlem anziché cónsulem 
elígens anziché éligens
 
Forme con accentazione normale: 

Fortúne 
iúdicum 
húic 
prémium 
grátia 
sublímia 
túa
 
Anche nella poesia dell'antica Roma l'accento poteva subire simili variazioni. C'è però una differenza sostanziale. Nell'antica metrica a determinare la posizione dell'accento - che poteva contrastare con quella della lingua parlata - era la sequenza di sillabe brevi e sillabe lunghe secondo schemi precisi, come ad esempio quello dell'esametro. Qui invece è importante soltanto il ritmo musicale, dato che non vi è alcuna consapevolezza della quantità delle sillabe nel loro alternarsi.  

La pronuncia adottata è quella ecclesiastica ed accademica tipica della Germania, in cui g davanti a vocali anteriori ha il suono velare e non si palatalizza: 
 
erigens /e'rigens/ (anziché /'erigens/)
eligens /e'ligens/ (anziché /'eligens/)  
 
Come nella pronuncia ecclesiastica italica, t seguito da i e da vocale ha il suono affricato: 
 
gratia /'gratsia/ 
 
Non si ha l'approssimante /j/, bensì la vocale piena /i/
 
varium /vari-'um/ (anziché /'varium/)
dubium /dubi-'um/ (anziché /'dubium/)
dubia /dubi-'a/ (anziché /'dubia/)

Persino in iudicum all'inizio della parola si nota una sequenza iatale: 
 
iudicum /i-'udikum/
 
La pronuncia di qu è /kv/
 
quem /kvem/  
 
Si noti che questa pronuncia è comunque diversa da quella usata dai Clerici vagantes, che era la pronuncia carolingia elaborata dal dottissimo Alcuino per placare i timori superstiziosi del Re Carlo. 
 
Conclusioni 
 
Stupisce osservare che c'era molta più integrazione linguistica in Europa nel XI secolo che attualmente. Ai nostri giorni uno studente di Milano che volesse recarsi a frequentare lezioni all'Università di Parigi o di Strasburgo farebbe una grande fatica, dovrebbe parlare un inglese informe, alterato da pronunce scolastiche semiortografiche e corrotte. All'epoca invece esisteva una vasta comunità di giovani latinofoni che potevano andare ovunque, capire e farsi capire senza difficoltà con una lingua maneggevole dalla pronuncia facile. L'inglese usato nell'attuale Europa è distorto, turpe, dominato da una deformità abominevole: ogni parlante pronuncia i suoni incerti di quella lingua in modo tanto confuso da non poter essere quasi inteso da un suo conterraneo. Ci sono tante lingue pseudoinglesi quanti sono gli studenti! Pensiamo un po' a cosa doveva essere il mondo dei Goliardi (ben diversi dai tristissimi bulli che ne hanno usurpato il nome): tramite loro si tramandava in qualche modo il ricordo, seppur alterato, di Roma antica, il vagheggiamento di una gloria che strideva con la miseria del presente; con i loro attacchi contro l'alto clero ebbe vita un materiale che sarebbe riverberato per secoli, facendo infine diroccare l'edificio tirannico del Papato.  

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