sabato 25 settembre 2021

UN RELITTO ETRUSCO IN TOSCANO: COTA 'TIPO DI CAMOMILLA'

Una glossa etrusca tramandata da Dioscoride è καυτάμ (kautám), che designa una pianta conosciuta in latino come Solis oculi, ossia "occhio del sole" (TLE 823). Il fitonimo è un "evidente richiamo al fuoco e alla sfera solare" (Sannibale, 2007). Appare manifesta la sua identità con il teonimo etrusco Cautha (Cauθa, Cavθa-, Cavaθa-, Kavθa, Caθa, Caθ), che designa una divinità solare femminile, le cui caratteristiche sono poco chiare. Marziano Capella (IV-V sec.) la chiama Celeritas e la definisce Solis filia "Figlia del Sole" (Lib. I, § 50). Così ha scritto: "Vos quoque Iovis filii, Pales et Favor, cum Celeritate, Solis filia, ex sexta poscimini; nam Mars Quirinus et Genius superius postulati", ossia "Anche voi Figli di Giove, Pale e Favore, con Celerità, Figlia del Sole, dalla Sesta (Regione) siete richiesti; dunque Marte Quirino e il Genio più sopra sono stati richiesti". La terminazione del fitonimo indica che con ogni probabilità il vocabolo καυτάμ è stato preso da un testo in latino, in cui figurava al caso accusativo. La consonante -τ- in luogo dell'attesa aspirata -θ- si spiega pure con il fatto che Dioscoride deve aver tratto il vocabolo da un documento in latino, anziché dalla viva voce di un informatore. 

Riporto un interessantissimo brano del medico e botanico Dioscoride (circa 40 d.C. - circa 90 d.C.). Consiste in una lista di denominazioni greche di piante; quindi sono riportate due denominazioni latine di una pianta, seguite dalla traduzione in etrusco, punico, gallico e dacico. 
 

[138]    RV: ἀμάρακον· οἱ δὲ ἀνθεμίς, οἱ δὲ λευκάνθεμον, οἱ δὲ παρθένιον, οἱ δὲ χαμαίμηλον, οἱ δὲ χρυσοκαλλίας, οἱ δὲ μαλάβαθρον, οἱ δὲ ἄνθος πεδινόν, Ῥωμαῖοι σῶλις ὄκουλουμ, οἱ δὲ μιλλεφόλιουμ, Θοῦσκοι καυτάμ, Ἄφροι θαμάκθ, Γάλλοι οὐίγνητα, Δάκοι δουώδηλα. 
 
Le denominazioni greche di piante sono in tutto otto: 
 
1) ἀμάρακον (amárakon
2) ἀνθεμίς (anthemís
3) λευκάνθεμον (leukánthemon
4) παρθένιον (parthénion
5) χαμαίμηλον (chamáimēlon
6) χρυσοκαλλίας (chrysokallías
7) μαλάβαθρον (malábathron
8) ἄνθος πεδινόν (ánthos pedinón)

La prima denominazione, amárakon, indica la maggiorana (Origanum majorana). Diverse delle altre indicano specie tra loro simili o sono addirittura sinonimi: così leukánthemon indica la margherita (Leucanthemum vulgare) mentre ánthos pedinón è un sinonimo di anthemís e di chamáimēlon, che indica la camomilla (Matricaria chamomilla), notoriamente somigliante a una margherita. Il parthénion è anch'esso una pianta il cui aspetto è affine a quello di una margherita: è ancor oggi conosciuto come partenio (Tanacetum parthenium) e detto popolarmente amarella, amareggiola, maresina, erba amara, erba 'mara, erba magra. Invece il malábathron è il cinnamomo o tejpat (Cinnamomum verum), il cui aspetto è del tutto diverso.  
Il termine latino millefolium, trascritto come μιλλεφόλιουμ, dovrebbe indicare l'achillea (Achillea millefolium); tuttavia è indicato come suo sinonimo sōlis oculum "occhio del sole", trascritto come σῶλις ὄκουλουμ. Esiste la possibilità che il fitonimo indicasse diverse specie. In ogni caso, queste sono le sue traduzioni: 
 
Etrusco: καυτάμ (kautám)
Punico: θαμάκθ (thamákth
Gallico: οὐίγνητα (vignēta
Dacico: δουώδηλα (duōdēla)  
 
Tutto ciò è estremamente utile: stupisce che queste conoscenze antiche non abbiano avuto l'utilizzo che meritavano. Si noterà l'accuratezza della trascrizione del vocabolo punico, in cui θ trascrive un'aspirata /th/, mentre in etrusco lo stesso suono non è stato reso allo stesso modo come avrebbe dovuto. Dei vocaboli della lingua punica, gallica e dacica, tratteremo in altra sede. Credo che sia necessario compiere indagini più approfondite.   

Dato l'estremo interesse dell'informazione, la riporto senza esitare, avendola estratta dal Web non senza fatica e avvalendomi del diritto di citazione. La fonte è il Grande dizionario della lingua italiana, dell'Accademia della Crusca. Questo è il link al visualizzatore: 

 
Còta1, sf. bot. ant. e dial. antemide, varietà della camomilla. 
   Anonimo guelfo, v-330-10: colte ne sono le rose e le viuole, / ed évi nata cota e coregiuola: / cierto bene credo vi paia pecato. / maraviglia mi fo, se non vi duole / di quelli che vivono d'imbolio di suola / ed ànno fatto ciascuno di sé casato. Tommaseo [s. v.]: 'Cota', nome volgare di due specie d'antemide: Anthemis cotula e Anthemis altissima di Linneo. 
Tramater [s. v.]: 'Cota', specie di pianta del genere Anthemis, che appartiene alla singenesia superflua, famiglia delle corimbifere. si distingue per le foglie due volte pennate, e le pagliette del ricettacolo terminate da una punta pungente più lunga de' fioretti. trovasi tra le biade, ed è raccolta con le altre erbe per pastura de' bestiami. 
   = Voce d’area toscana, di etimo incerto, che si congettura d’origine etnisca,  da una forma *cauta, che sarebbe derivata da Cautha, con cui gli Etruschi denominavano la * divinità del Sole ’ : per la forma circolare e il colore giallo del fiore (l’antemide fu detta dagli antichi 'occhio del sole ’).
Cfr. anche COTULA. 
 
Questa è la sacrosanta verità: il fitonimo còta è di origine etrusca: è derivato dal teonimo Cautha, il condizionale è del tutto inutile. Anche Pittau aveva sostenuto questa etimologia. 
 
Un fitonimo còtula, oggi usato per indicare la camomilla fetida (Anthemis cotula) e altre piante simili, è un evidente diminutivo di còta. Tuttavia i romanisti hanno pensato di forgiare un'etimologia fittizia dal greco  κοτύλη (kotýle), che significa "ciotola, coppa, tazzina". L'idea malsana è che la parola greca indichi gli organi concavi, a forma di coppa, di questo genere di fiori. Contro gli autori di queste invereconde manipolazioni dovrebbero essere scagliate maledizioni nell'arcana lingua di Hyperborea, tratte dal Libro di Eibon!    

Mi si accuserà di essere un complottista, ma nel nostro mondo alcuni complotti esistono realmente, non sempre sono fantasie distorte di paranoici terminali o di gente scema come le feci dei bradipi. Nascondere qualcosa di capitale importanza, trattarlo come polvere sotto un tappeto, questa è una strategia abbastanza frequente nel mondo accademico. Queste evidenze possono soltanto mostrare una cosa: la conoscenza della lingua degli Etruschi è possibile ma in qualche modo interdetta. Per quanto difficile a ottenersi, non viene resa pubblica, si tende a nasconderla, viene ostacolata con ogni mezzo. Alcuni romanisti hanno trovato la verità su un'etimologia e l'hanno esposta in un articoletto dell'Accademia della Crusca, non l'hanno potuta negare, però l'hanno messa in qualche cantuccio recondito, come se fosse una bazzecola, una bagatella.  

Possibile etimologia di Cautha

In greco esistono parole derivate da una radice *kau- "ardere, bruciare", che non ha convincenti corrispondenze indoeuropee. Con ogni probabilità questa radice è un antichissimo relitto pre-ellenico che sopravviveva anche in etrusco. Ecco alcuni dati interessanti: 

καίω (káiō) "io brucio" 
 
Semantica: 
  1) accendere, mettere sul fuoco 
  2) bruciare, ardere 
  3) bruciare per il gelo (es. per la brina)
  4) ardere di passione (voce passiva)
  5) fare un fuoco per sé (voce media)
  6) cauterizzare 

Alcune parole derivate: 

καυστός (kaustós) "bruciato" 
   variante (nelle iscrizioni): καυτός (kautós
καῦμα (kâuma) "calore del sole", "ardore", "febbre", "marchio 
   a fuoco" 
καυαλέος (kaualéos) "calore ardente" (eolico) 
καημένος (kaēménos) "povero" 
κᾶλον (kâlon) "legna secca" 
καῦσις (kâusis) = καῦμα
καύσων (káusōn) "calore ardente", "scirocco"  
κηώδης (kēṓdēs) "fragrante, odoroso" (omerico) 
κήλεος (kḗleos) "ardente, sfolgorante"  
πυρκαϊά (pyrkaïá) "pira funebre", "rovine bruciate" 

A partire dai dati riportati sopra, è stata ricostruita una radice indoeuropea *k(')eh2w- "ardere" (notazione laringale), di cui però non esistono paralleli sicuri al di fuori del greco. Pokorny ha la seguente ricostruzione: *k̂ēu- / *k̂ǝu- / *k̂ū- "anzünden, verbrennen", ossia "accendere, bruciare", apponendovi un punto interrogativo e mostrando una certa dose di scetticismo. Timidamente lo studioso ha proposto un esile riscontro in baltico: lituano kūlėti "brandig werden, vom Getreide", ossia "divenire cancrenoso (detto del grano)"; kūlė̃ "Getreidebrand", ossia "cancrena del grano" (fungo o muffa che colpisce i cereali). Possiamo aggiungere la parola lettone kūla, che dovrebbe corrispondere al lituano kūlė̃. Si tratta del carbone dei cereali, una malattia delle piante caratterizzata dalla formazione di una massa nera, dovuta ai funghi Ustilaginali parassiti. Attacca i cereali (frumento, avena ecc.) e altre piante (aglio, cipolla, scorzonera) con danni talvolta molto gravi; con "carbone" si denominano anche i diversi funghi. Si segnala la grande difficoltà di trovare informazioni su queste parole in Google. Detto questo, secondo Pokorny, la massa muffosa nera doveva trarre la propria denominazione da un'antica radice indicante la combustione: 
"cosa bruciata" => "carbone" => "carbone dei cereali"
Non sono sicuro di questa etimologia: le parole baltiche citate potrebbero anche essere resti di un sostrato pre-indoeuropeo (cosa plausibile, essendo termini agricoli): non è nemmeno detto che si possa dividere kūl- in kū-l-.  

Perché gli indoeuropeisti tendono a ricostruire una consonante palatale k'- in questa radice, quando né i dati del greco né quelli molto dubbi del baltico ne offrono una giustificazione? Credo che sia per questo: si pensava di trovare esiti di *k'eh2w- nelle lingue iraniche. Anche se Pokorny non menziona esiti iranici, ricostruisce una radice *k̂euk- "leuchten, hell, weiß sein, glühen", ossia "risplendere, chiaro, essere bianco, splendere". Ne riporta quindi questi esiti: 
 
Avestico: saočint- "brennend" ("ardente")
Avestico: saočayeiti "inflammat = incitat"
Persiano moderno: sōxtan "anzünden, verbrennen" 
       ("accendere, bruciare")
Avestico: upa-suxta- "angezündet" ("incendiato") 
Avestico: ātrǝ-saoka- (m.) "Feuerbrand" ("tizzone")
Persiano moderno: sōg "Trauer, Kummer" ("dolore"); 
     Armeno: sug "dolore" (è un prestito iranico) 
Avestico: suxra- "leuchtend (vom Feuer)", "splendente 
    dal fuoco")
Persiano moderno: surx "rot" ("rosso") 

Come si vede, è una giungla di possibilità confuse.
 
Checché se ne dica, la radice *kau- "bruciare" presente in greco è di origine ultima tutt'altro che chiara e non può essere affatto garantita la sua origine nelle Steppe. Ovviamente ci sono alcuni moderni eredi dei Neogrammatici, pronti a strepitare e a giurare il contrario, per giunta accusandomi di essere "dogmatico". Fanno così perché prendono ordini da Dugin. 
 
Intanto ricostruisco questa radice: 
 
Proto-tirrenico: *kawa- "bruciare", "splendere"  
    Etrusco: Kav(a)θa "La Splendente"      
 
Il suffisso -θa è un marcatore del genere femminile, che troviamo nella parola lautniθa "liberta", derivata da lautni "liberto", a sua volta da lautn "gente, famiglia". Notevole è l'antroponimo femminile Pevθa, la cui radice è quella di peva- "miele", attestata nel Liber Linteus: pevaχ vinum "vino mielato", "mulsum". Evidentemente Pevθa significa "Ape femmina" ed è simile nella formazione al greco μέλισσα (mélissa) "ape", derivato da μέλι (méli) "miele". Si noti che il genitivo di Cauθa è sigmatico: Cauθas, Cauθaś, Kavθaś "di Cautha".   

Cautes e Cautopates 
 
Il culto di Mithra, molto diffuso durante l'Impero, era di chiara origine persiana, pur acquisendo nel contesto romano caratteristiche proprie. L'iconografia di questa religione mostra che Mithra aveva due assistenti, i cui nomi erano Cautes e Cautopates. Erano due tedofori. Cautes aveva una torcia puntata verso l'alto, mentre Cautopates aveva una torcia puntata verso il basso. Indossavano pantaloni frigi e berretto frigio. Assistevano alla Tauroctonia, così come alla nascita di Mithra; dal loro vestiario nacque l'equivoco di chi li ha confusi con pastori. Ecco perché circolano nel Web vignette memetiche in cui si dice che alla nascita del Dio hanno assistito i pastori, come quelli che hanno assistito alla nascita di Gesù a Betlemme. Cautes e Cautopates hanno una connessione con il sorgere del sole e con il suo tramonto: le loro torce sembrano alludere alla grande luminaria celeste. In diverse tradizioni si trovano figure simili. È stato fatto un paragone con gli Ashvin indiani e con i Dioscuri. Si deve però tener conto che tutti i culti solari hanno per necessità qualcosa di simile, traendo il loro fondamento da un fenomeno fisico percepibile dall'intero genere umano. 
I due teonimi mithraici non hanno tuttora una spiegazione convincente. Non sono state proposte etimologie, a quanto ne sappia. Questo è molto sorprendente. Non è detto che Cautes e Cautopates siano nomi di origine persiana, visto che nelle lingue iraniche non si è riusciti a trovare alcun parallelismo. Sostengo che potrebbe trattarsi invece di elementi etruschi integrati nella religione di Mithra, per come era praticata nell'Impero Romano.  

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