Tempo fa mi sono imbattuto in un vocabolo toscano quasi sconosciuto al grande pubblico e dotato di un aspetto fonetico assai inconsueto, peculiarissimo: serqua "dozzina", che ha anche il significato colloquiale di "gran quantità". Talvolta la serqua è una gang, una banda, un gruppo di malfattori, di lestofanti o altra canaglia. Per quanto riguarda la pronuncia, a quanto pare la vocale tonica è chiusa: sérqua (fonte: Vocabolario Treccani). Tuttavia si deve riportare che una variante attestata è sarqua.
Ecco cinque esempi dell'uso della parola, tratti dal Vocabolario Treccani:
i) una serqua d'uova = una dozzina di uova
ii) un libricciolo Di mezza serqua di sonetti (Giuseppe Giusti)*
iii) gli ha dato una serqua di botte
iv) Teresa rispondeva con una serqua d'ingiurie e di parolacce (Carlo Levi)
v) siamo in mano di una serqua di sagrestani (Luigi Capuana)
* Ecco un estratto più completo e significativo:
Mi segue un contadin di Fattoria
Che mi discorre d’olio e di bestiame,
E mi domanda quando piglio moglie;
Sfruconandomi dietro il palafreno
E ansimando su su per la salita
Con un sacco in spalla, ove son chiusi
Dante, Virgilio, Giovenale, un rotolo
Di fogli rabescati, un libricciolo
Di mezza serqua di sonetti, dono
D’un manescalco del cavallo alato.
Che mi discorre d’olio e di bestiame,
E mi domanda quando piglio moglie;
Sfruconandomi dietro il palafreno
E ansimando su su per la salita
Con un sacco in spalla, ove son chiusi
Dante, Virgilio, Giovenale, un rotolo
Di fogli rabescati, un libricciolo
Di mezza serqua di sonetti, dono
D’un manescalco del cavallo alato.
I romanisti hanno ricondotto serqua al latino siliqua "baccello", giunta ai tempi odierni tramite la genuina usura del volgo. Ricordo ancora la Parabola del Figliol Prodigo, in cui l'esule si trovava costretto, dopo aver dilapidato con le prostitute la sua parte di eredità, a cibarsi delle silique che venivano date ai porci.
Nomen substantivum
sĭlĭqu|a, -ae fem.
sĭlĭqu|a, -ae fem.
1. Capsula plantae leguminariae.
2. plur. | Legumina.
3. Species plantae, taxonomice Ceratonia siliqua; idem quod siliqua Graeca.
2. plur. | Legumina.
3. Species plantae, taxonomice Ceratonia siliqua; idem quod siliqua Graeca.
4. → foenum Graecum
5. Pondus minus; etiam, nummus qui ⅟₂₄ solidi valuit.
5. Pondus minus; etiam, nummus qui ⅟₂₄ solidi valuit.
Traduzione in italiano:
1. Capsula della pianta leguminosa
2. plur. | Legumi
3. Specie di pianta, tassomomicamente Ceratonia siliqua; la stessa cosa di siliqua greca
4. → Fieno greco
5. Misura di peso minore; anche, moneta che valeva ⅟₂₄ del solido.
L'etimologia fornita dalla Wikipedia si deve a Julius Pokorny:
Per *sciliqua, dalla radice proto-indoeuropea *skel- (Pokorny, 1959, pp. 923-927).
In altre parole, si suppone che si sia avuta una dissimilanzione del gruppo consonantico iniziale sc- /sk/ ad opera della consonante labiovelare -qu- /kw/:
*/'skelikwa/ => */'skilikwa/ => /'silikwa/
La radice proto-indoeuropea ricostruita dal Pokorny come *(s)kel-, in notazione laringale è *(s)kelH- e significa "tagliare; dividere, separare":
Una simile dissimilazione è presupposta dal Pokorny anche per un'altra parola latina foneticamente simile e ricondotta alla stessa radice indoeuropea *(s)kel-: silex "pietra, roccia", "rupe", "selce".
*/'skeliks/ => */'skileks/ => /'sileks/
In tutta franchezza, non trovo molto convincenti queste etimologie, anche se Pokorny riporta una possibile connessione con l'antico irlandese sce(i)llec "roccia, masso" (glossa tedesca: Fels). Proprio la necessità di trovare un'etimologia sensata al toscanismo serqua mi spinge a formulare nuove teoria, che certamente non piaceranno al mondo accademico.
Lo studio di Pittau
Notiamo innanzitutto che dello studio di serqua si sono occupati in pochi. Tra questi possiamo sicuramente menzionare il professor Massimo Pittau (RIP). Nel vasto Web sono riuscito a trovare questa pagina, opera di Paolo Campidori:
Lo stesso Campidori ha fatto un'intervista a Pittau, menzionata nell'articolo, in cui il professore sardo riconduce serqua al vocabolo etrusco śerϕue, attestato nel Liber Linteus. Si tratta di una voce enigmatica, finora lasciata senza spiegazione. Pittau la riconduce al numerale śar "dieci", anche se al momento non mi è nota una sua variante apofonica *śer-. Parimenti, non mi risulta chiaro il suffisso -ϕue; in ogni caso non credo che possa significare "due". Sarebbe più logico individuare in śerϕue il locativo in -e di *śerϕua, a sua volta plurale inanimato in -ua di *śerϕa, esso stesso molto oscuro - e siamo al punto di partenza. Secondo Pittau, il significato di śerϕue dovrebbe essere "dozzina": attribuisce proprio a questo termine l'origine del toscano serqua. Mi si lasci dire che il passaggio da -ϕu- /phw/ a -qu- /kw/ mi sembra piuttosto improbabile. Non mi intratterrò su altre peculiari idee di Pittau riguardo al numerale 12 in etrusco.
Una soluzione innovativa
Sono convinto che la derivazione del toscano serqua non sia dal numerale śar "dieci", bensì dal numerale zal "due". Abbiamo una variante apofonica zel- attestata (zelarvenas, zelur, zelvθ). Si dovrebbe ricostruire *zelχva "dodici", "dozzina", parola formata col ben noto suffisso plurale e collettivo -cva, -χva. Sappiamo che i numerali presentano molte stranezze: una simile formazione non sarebbe in ogni caso impossibile. Si suppone ora che questo etrusco *zelχva sia passato in latino divenendo siliqua. Non sarebbe un caso isolato di corrispondenza tra etrusco -e- e latino -i- breve: basti pensare all'etrusco Selvans, che corrisponde a Silvānus (e al gentilizio etrusco Selvaθre, che corrisponde a silvester, silvestris).
1) Soluzione dei problemi di derivazione
Il toscano serqua non sarebbe un derivato del latino siliqua. Invece sarebbe un diretto derivato della forma estrusca, come anche il latino siliqua. Queste due trafile sarebbero indipendenti. In questo modo, il processo di derivazione postulato dai romanisti sarebbe invertito.
etrusco *zelχva => latino siliqua
etrusco *zelχva => latino volgare *selchua, *serchua =>
toscano serqua, sarqua
2) Soluzione dei problemi fonetici
La fonetica irregolare di serqua, che ha una rotica /r/ sviluppata da una liquida /l/, potrebbe essere dovuta al fatto che la parola è passata da una tarda forma di etrusco al latino volgare, con problemi di adattamento di gruppi consonantici non familiari, come /lkhw/, con la sua aspirata. Sarebbe invece molto meno comprensibile se serqua fosse derivato dalla forma latina siliqua: non si spiegherebbe bene l'evoluzione di una /l/ intervocalica in una rotica. La vocale -i- che si trova in siliqua ha l'aria di essere una soluzione più antica per evitare il gruppo consonantico.
3) Soluzione dei problemi semantici
Per quanto riguarda la semantica, Pittau riporta che "non si vede come dal concetto generico di “unità di misura” venga fuori anche il concetto specifico di “dozzina” e di “dodici”". Tuttavia il latino siliqua non esprime un concetto generico di "unità di misura", ma alcune unità di misura particolari, come 1/24 di solido, che potrebbero provenire direttamente dal concetto di "dodici" o essere comunque collegate. Postulare che da "dozzina" si sia arrivati ai significati della parola latina è in ogni caso verosimile.
"dozzina" => "molte cose" => "baccello" (che contiene le fave, etc.)
4) Soluzione dei problemi morfologici
Il suffisso -qua, inusuale in latino, è invece molto comune in etrusco come plurale inanimato e collettivo: -cva, -χva (es. avilχval "degli anni", flerχva "sacrifici"). Ovviamente questo i romanisti non lo sanno e non lo vogliono nemmeno sapere, perché il loro unico riferimento è il vocabolario di latino usato a scuola, al massimo con qualche integrazione presa dal vocabolario di greco.
Concordo appieno con la consclusione di Pittau: "relitti dell’antica lingua etrusca esistono tuttora nelle parlate della Toscana e del Lazio settentrionale". Ho preso molto sul serio il suo invito a indagare sull'argomento.
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