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domenica 29 luglio 2018

CONTRO LA RETROATTIVITÀ DEL LINGUAGGIO IDEOLOGICO

Ogni ideologia è una visione del mondo, una Weltanschauung. Si è detto che il XX secolo è stato il tempo delle ideologie. In realtà anche il XXI è tempo di ideologie, ma con qualcosa in più. Questa è l'epoca in cui le ideologie sono usate scientemente per interpretare il passato anteriore alla loro stessa esistenza, applicando la retroattività! I risultati di questa operazione indebita sono oltremodo grotteschi. A quanto ricordo, negli anni '80 e '90 non si vedeva niente di simile. 

Mi sono accorto che qualcosa non andava nel corso dell'Anno del Signore 2007. L'amica Alessia Zoi aveva pubblicato una serie di articoli sull'Ordine dei Cavalieri Templari e sul processo che ha portato al loro annientamento. Sono rimasto basito quando un navigatore ha aggiunto a uno di questi post un commento: egli inveiva contro il Re di Francia, Filippo il Bello, accusandolo di essere fascista! In seguito sono venuto a conoscenza di un'esegesi storica abusiva, che definisce il Fascismo un "male metastorico". Persino alcuni neofascisti hanno aderito a questa congerie di assurdità spaventose, abolendo la parola "male" e mantenendo intatta la metastoricità. Il termine "metastorico" significa "che è al di là della Storia", ossia assoluto, che si manifesta immutato e immutabile in ogni epoca passata, presente e futura, indipendentemente dal contesto. In questi tempi sommamente calamitosi vediamo spesso orde di convulsionari attaccare tutto ciò che a loro arreca offesa etichettandola come "fascista", elevando alti lai e rendendo l'esistenza insopportabile. Quante volte ho dovuto sospendere per 30 giorni contatti di Facebook perché non facevano che sbraitare, vedendo dovunque il "fascismo", friggendo di sdegno come se le Camicie Nere imperversassero per le strade, come se Mussolini sedesse ancora al Quirinale e le strade fossero tappezzate da sue immagini gigantografiche! Dal momento che il termine Fascismo designa ogni regime dittatoriale definito "di destra" e avente certe caratteristiche, secondo questi "antifascisti" è evidente che il Nazionalsocialismo tedesco ne condivide la natura intrinseca. Così assistiamo alla delirante isteria di coloro che vedono dovunque i nazisti, urlando e strepitando come se il Führer, ormai ultracentenario, governasse ancora la Germania con pugno di ferro, come se ovunque su Berlino garrissero le bandiere con lo Hakenkreuz, come se a Norimberga Goebbels, seppur ridotto a una larva rachitica, ancora tuonasse ogni anno dinanzi a folle oceaniche di militanti col braccio teso. Ogni cosa è "nazismo" per questi decerebrati. Le parole sono usate a sproposito. Persino il termine "pogrom" ormai è usato per etichettare un semplice dissenso. Ma lo sanno questi idioti cos'è un pogrom? Ne hanno la benché minima idea? Sanno questi idioti cos'è l'odio razziale? Come dare una spiegazione a questi fenomeni di follia collettiva?

Vedete, ogni regime, inclusi quello di Mussolini e quello di Hitler, sono inseparabili dal contesto che li ha visti formarsi e consolidarsi. Sono fenomeni nati in un certo momento, aventi cause ben determinate, che non sono scorporabili dal loro secolo. Hanno avuto un inizio, una durata e una fine. Sapete cos'è il Nazionalsocialismo? È la volontà di Adolf Hitler. Questa spiegazione, data da Martin Bormann, concentra in sé l'intero Nazionalsocialismo. Essendo Adolf Hitler morto, si deduce che lo stesso Nazionalsocialismo è morto. Il Nazionalsocialismo senza Hitler non esiste, appartiene al regno dell'irrealtà. Ovviamente potranno sorgere in futuro regimi dittatoriali efferati, ma non potranno essere ritenuti una continuazione del Nazionalsocialismo. Avranno altre cause, saranno nati da contesti interamente diversi ed avranno un'evoluzione del tutto dissimile. Quindi dove sarebbe il carattere metastorico? Soltanto un pazzo furioso potrebbe prendere le caratteristiche del Nazionalsocialismo e trasferirle a Gengis Khan, come se il condottiero mongolo fosse scaturito dall'esperienza della Grande Guerra del 1915-1918 e dalla sconfitta della Germania! Questa sarebbe la storiografia moderna? Interpretare Carlo Magno, Nabucodonosor e il Faraone Ramesse II il Grande come prodotti del razzismo biologico ottocentesco di origine darwinista? La causa di queste aberrazioni è una sola: il mondo scolastico.

Qualcuno dirà che il mondo pullula di fermenti "nazionalisti", "xenofobi", "razzisti" e via discorrendo - in un parola "sovranisti" - attribuendo la colpa di questa instabilità pericolosa a Hitler e a Mussolini, col loro pretesoo carattere atemporale. Errore madornale. La scuola è stata la responsabile primaria della raccolta di un gran numero di spore fungine che ha conservato con grande cura e diffuso tra le genti. La scuola semplifica ogni cosa e la banalizza. Prende il Nazionalsocialismo e lo trasforma in una cosa stupida fatta di brutti-cattivi che odiano il "diverso" e non vogliono il negretto in classe. Per la scuola, il mondo esiste dal 1945, prima non c'erano eventi, l'intera Storia non sarebbe che un punto. Hitler e Mussolini non hanno una causa, sono entità prive di struttura interna giunte dal Nulla a minacciare il mondo dei Puffi, in cui tutti si volevano bene e il tempo non esisteva. Questa procedura porta automaticamente a interpretare l'intero passato dell'umanità usando questi strumenti concettuali miserrimi. I fermenti "nazionalisti", "xenofobi", "razzisti" di cui si parla si sono formati per reazione alla martellante propaganda scolastica.

Veniamo ora all'ideologia femminista cosiddetta "di genere". Non sto parlando della lotta per i diritti delle donne, ma di quel modo deleterio di considerare maschi e femmine come due specie diverse tra loro aliene anziché come componenti di un'unica specie, quella umana. La Weltanschauung delle Eumenidi seguaci di questa forma di fanatismo è interamente costituita da un insieme di locuzioni che vengono idolatrate come assoluti e usate come armi, quasi fossero dotate di un potere risolutore in grado di cambiare la realtà delle cose. Così è stata costruita una realtà distorta definita come "patriarcato", fondata sull'oppressione della donna, vista assurdamente come "minoranza", da parte della "maggioranza" formata dagli uomini. Naturalmente abbiamo sentito parlare di "patriarcato" già nella seconda metà dello scorso secolo. Il punto è che adesso questa categoria viene applicata all'intero corso della Storia del genere umano. Eppure posso dimostrare con argomenti solidissimi che tutto ciò è soltanto un abuso, essendo il concetto di "società patriarcale" spesso e volentieri inapplicabile a svariate grandi civiltà del passato. Consideriamo per esempio l'Egitto dei Faraoni. La donna aveva una posizione molto elevata ed aveva libertà che sarebbero state inconcepibili soltanto nel nostro Occidente di cinquant'anni fa. Ad esempio, poteva avere proprietà e gestire un'attività commerciale senza dover sottostare al marito. Ci sono state persino due donne che con certezza sono ascese al trono faraonico: Nefrusobek e Hatshepsut (mi si perdonino le trascrizioni fallaci dei nomi). Orbene, anche la Valle del Nilo aveva il suo lato oscuro. La donna infatti doveva sottoporsi a escissione del clitoride e delle piccole labbra. Ai nostri tempi le mutilazioni sessuali femminili sono viste come manifestazione estrema del "patriarcato", perché tipiche di società come quelle del Corno d'Africa, in cui la donna non può opporsi al suo fato ed è considerata come un essere inferiore; spesso sono indebitamente associate all'Islam. Nell'Antico Egitto le cose non stavano affatto così. Le mutilazioni sessuali avevano origine religiosa. Gli Egiziani credevano che uomini e donne derivassero dalla scissione di un Ermafrodita Primigenio, che secondo il mito aveva in sé entrambi i sessi. Tuttavia questa scissione sarebbe stata imperfetta, mantenendo nel maschio un residuo femminile (il prepuzio) e nella femmina residui maschili (il clitoride e le piccole labbra). Così per poter contrarre matrimonio, uomini e donne dovevano sottoporsi a un'operazione rituale di eliminazione dei residui del sesso opposto! Le cause non sono economiche né politiche, e a maggior ragione non possono essere viste come risultato di ideologie nate nel XX secolo d.C.! Le cause risiedono unicamente nella religione dell'Antico Egitto. Gli Egiziani non erano né "patriarcali" né "matriarcali": semplicemente l'ideologia femminista non funziona e non li può descrivere. Passiamo ora agli antichi Celti, i cui costumi sono descritti in modo approfondito da autori dell'antichità come Aristotele e Diodoro Siculo. La donna aveva un ruolo molto importante nella società celtica e non veniva oppressa. Anzi, i mariti si curavano poco delle mogli e preferivano dedicarsi all'omosessualità virile. Coltivavano la pederastia e le relazioni tra maschi adulti. Attualmente molti credono che l'omosessualità sia "mancanza di virilità" e che un omosessuale debba necessariamente essere femmineo quanto futile. Ebbene, i guerrieri Celti erano terribili sul campo di battaglia e di una violenza inaudita. Un quadro idilliaco per la donna? Non direi. Quando un uomo moriva, così ci documentano gli autori, venivano subito avviate indagini per scoprire quale donna fosse responsabile del decesso. Infatti si credeva che la morte improvvisa fosse causata per necessità dalla magia di una donna. Una volta trovata l'autrice del maleficio, veniva messa a morte. La costumanza di bruciare le streghe non ha le sue origini nella Bibbia! Vediamo che anche tra i Germani del Nord esisteva il costume di bruciare vive le streghe, con buona pace dei moderni revisionisti convinti che la pena del rogo sia stata inventata dall'Inquisizione nel XVII secolo. Basti pensare al mito della strega Angrboða, bruciata viva per le sue opere maligne: Loki trovava il suo cuore palpitante tra le ceneri e lo ingeriva, rimanendone gravido. Il nome della strega è formato da angr "dolore", "tribolazione", che ha anche il significato di "danno fisico". I costumi dei Germani erano diversi da quelli dei Celti, eppure la donna aveva comunque una posizione non vile, senz'altro migliore di quella vigente tra i Romani e tra i Greci. Anche in questi casi le categorie del "patriarcato" e del "matriarcato" non funzionano affatto.

sabato 23 giugno 2018

IL TRAMONTO DELL'INGLESE COME LINGUA INTERNAZIONALE

Le genti vivono immerse in una spessa coltre di illusioni. Il mito della caverna narrato da Platone spiega la miserabile esistenza degli umani, che scambiano vane ombre proiettate da sagome per la realtà delle cose. Così credono che la lingua inglese sia al suo apogeo e irradi la luce del massimo splendore sul globo terracqueo, imponendosi dovunque, lingua franca dell'intero genere umano, destinata a soppiantare ogni altro idioma. Il sistema scolastico ha molto contribuito, unitamente ai media, a forgiare questa narrazione fallace. In fondo le semplici menti degli esseri umani sono ben comprensibili. Innanzitutto credono che l'insegnamento di una lingua debba per forza di cose corrispondere alla concreta esistenza di questa lingua come fenomeno assoluto, univocamente determinato e conoscibile, che non può dare adito a incomprensioni e ad ambiguità di sorta. Milioni di persone apprendono dalla maestrina qualcosa che chiamano "inglese", così tutti sono convinti che ad ogni singola parola scritta debba corrispondere una pronuncia universalmente riconoscibile senza difficoltà alcuna. Non può esistere inganno peggiore di questo!  

La perdita di unità della lingua inglese   

Immaginate un convegno sul destino del pianeta Terra, tenutosi nella città di Belloveso. Un climatologo americano di fama internazionale esponeva la sua relazione dopo quella di una ricercatrice del Politecnico. La donna parlava in uno pseudoinglese legnoso, caratterizzato da una rotica trillata al punto da sembrare un ringhio emesso facendo vibrare l'ugola. Nelle sue intenzioni, WI ARRA doveva significare "noi siamo". Il professore venuto dagli States, un ometto paffuto e grottesco, scandiva i suoi discorsi in una lingua tanto distante da quella dell'italiana da sembrare un vulcaniano o un klingoniano. Egli non usava rotiche trillate. Nessuna rotica finale di sillaba era da lui pronunciata. In altri contesti realizzava costantemente le rotiche come approssimanti labiali, ossia come /w/. Non solo, egli pronunciava allo stesso modo la consonante /l/ come /w/ in diverse posizioni, ad esempio quando preceduta da un'occlusiva. Così la parola climate "clima", che nell'inglese della Regina suona /'klaɪmɪt/, era da lui pronunciata QUAMA /'kwama/ o QUAME /'kwame/. La locuzione climate change era pronunciata addirittura in forma ridotta che noi trascriveremmo nell'ortografia italiana come QUAN C'È /kwan'tʃɛ/, con una /ɛ/ tonica nettissima e senza traccia di consonanti finali. Allora mi chiedo, una volta di più: "Può una persona che dice WI ARRA intendersi con una persona che dice QUAN C'È anziché /'klaɪmɪt 'tʃeɪndʒ/?" Santo Dio, no! Diabole Domine! Schweinegott Hundegott! No! Non è possibile. Troppa è la distanza tra i rispettivi sistemi fonemici. Quindi la relatrice del Politecnico e il professore americano non si comprendevano affatto. La prima usava una varietà semiortografica di pseudoinglese, di chiara origine scolastica. Il secondo agiva ispirandosi a un pensiero molto comune nel mondo anglosassone: "La mia lingua la parlo come voglio, sono gli altri che devono impararla, non sono io a dovermi abbassare al loro livello." A maggior ragione, gli studenti presenti nell'aula, un branco di stoltissimi Millennial adusi a ogni genere di droga e alle gangbang spermatiche, di certo non comprendevano nemmeno l'eco di una sillaba. L'accaduto è rappresentativo di ogni incontro tra persone di diverse nazionalità. Ognuno usa il proprio pseudoinglese, fingendo di capire l'altro. Se ho imparato a comprendere diversi tipi di pseudoinglese usati da studiosi anglosassoni, non lo devo certo alla scuola: è stata soltanto una lunga e paziente pratica ad insegnarmi. Se anche un giorno dovessi tenere in pubblico un discorso in inglese, userei di certo l'inglese della Regina, che in America si studia a scuola come una lingua morta. Tanto ci sarebbe la certezza che nessuno mi capirebbe e che le parole di qualsiasi interlocutore in fondo sono prive di qualsiasi importanza. "Il convegno è finito, andiamo su Youporn", questo pensa il branco degli studenti quando l'ultimo relatore ha esposto la sua presentazione. 

Una lingua incapace di unire

Se una lingua si frammenta in una miriade di varietà mutuamente inintelligibili o quasi, come può assolvere la funzione di lingua globale? La risposta è una sola: non può. Manca un'autorità centrale in grado di normare i fonemi e persino gli allofoni, di imporre una varietà prestigiosa che possa essere davvero comune a tutti. Lo stesso inglese della Regina ha un sistema fonetico di una grande complessità, le sue parole sono brevi e sfuggenti. Non è però un idioma condiviso, da milioni di persone è visto come preistoria, come se fosse una lingua morta del Neolitico. Comunque la si metta, non esiste una sola varietà di inglese che possa imporsi sulle altre. Non solo: non esiste una sola varietà di inglese che sia semplice. I problemi non si risolvono, si moltiplicano. Se una lingua ha fonemi che la maggior parte della popolazione non anglosassone sparsa per il globo terracqueo reputa ostici e fatica molto a distinguere, come può assolvere la funzione di lingua globale? Ancora una volta la risposta è una sola: non può.

Fraintendimenti

Posso trarre dalla mia memoria un gran numero di aneddoti in grado di illustrare ai lettori quanto sostengo. Ne riporto alcuni in questa sede. Un attempato giapponese faceva la fila all'autostazione e balbettava richieste di informazioni. La ragazza che distribuiva i biglietti lo ha indirizzato verso un pullman rosso, chiamandolo red bus. Peccato che il nipponico abbia capito bread bus, ossia "pullman del pane" o "pullman (fatto) di pane". Nonostante tutti i tentativi di spiegarsi, l'uomo insisteva, così la ragazza ha afferrato un oggetto di plastica rossa che aveva a portata di mano, scandendo con pazienza di Giobbe: "RED". A questo punto è stata compresa. Non mi è chiaro cosa possa aver ingenerato l'equivoco. Forse la rotica un po' uvulare della ragazza è stata analizzata come un nesso /br/. Se la lingua globale fosse lo spagnolo, termini come colorado o rojo non potrebbero essere fraintesi da nessuno: il loro suono sarebbe chiaro dall'Africa equatoriale alla Cina, anche tra genti che hanno rotiche diverse. Non sarebbe meglio per tutti? L'accaduto mi ha scosso: ancora adesso faccio fatica a capire come un giapponese possa trovare più logico pensare a un pullman che trasporta pane o a un pullman fatto di pane piuttosto che a un banalissimo pullman rosso. Anni fa il fraterno amico P. mi raccontò un singolare episodio che risaliva ai tempi in cui andava in vacanza negli States. Siccome tali vacanze comportavano l'obbligo di frequentazione scolastica, era facile incontrare in classe persone di mezzo mondo. Così P. era rimasto colpito da un giapponese che non riusciva ad articolare le parole più semplici, perché tentava disperatamente di ridurle ai suoni della propria lingua. Il ragazzo dell'Arcipelago aveva destato esilarazione pronunciando her house "la sua casa (di lei)" come whore house "bordello, postribolo". Non potendo pronunciare la vocale rotica di her /hə:ɹ/, la realizzava come una /ɔ:/ aperta e nettissima, collocando sulla sillaba un forte accento. Così se ne usciva con un /'hɔ:'haʊsu/ che per l'orecchio di un nativo era la casa delle puttane. Anche se house da quelle parti suonava /hɛɔs/ e non /haʊs/ come insegnato dai manuali, questa differenza non creava davvero problemi. La pietra dello scandalo era una sillaba che da pronome si trasformava in una fallofora. Sempre durante la stessa vacanza, l'insegnante, una giovane donna, rivolse una strana domanda alla scolaresca. Chiese a ciascuno cosa facesse venire in mente il termine Puritans. Quando fu il suo turno, un indostano scattò sull'attenti, esclamando: "PISS AND MORALITY!" L'insegnante rimase raggelata. Naturalmente il giovane hindu non intendeva dire che i Puritani si riunivano per fare sessioni di pissing. La parola da lui pronunciata /pɪs/ con una /ɪ/ breve e aperta, doveva invece essere /pi:s/ con una /i:/ lunga e chiusa, ossia peace "pace"

La piaga delle pronunce ortografiche

Molte forme di pseudoinglese italico sono caratterizzate da veri e propri fonemi intrusivi. Il fenomeno, di per sé disdicevole e ripugnante, nasce dal fatto che gli studenti apprendono la lingua scritta a scuola, pensando che la lingua parlata sia soltanto il risultato dell'applicazione di regoline, regolette, regolucce e regolacce. Questo risultato, chiamato "pronuncia", è visto come qualcosa di secondario rispetto alla lettera. Non è altro che l'output di un software mentale che macina lettere. L'idea che la lingua parlata sia venuta prima di quella scritta è lontanissima dalle menti di questi decerebrati, che si sottomettono ai dogmi delle maestrine. Peggio ancora, essi professano queste storture in modo fideistico. Complice l'ignoranza belluina del corpo docente, questi branchi di alunni trovano che nulla sia più naturale dell'attribuire un suono a lettere mute, dando origine a moltissimi obbrobri. Così knee "ginocchio", che suona /ni:/, lo realizzeranno come KNI o addirittura come KINÌ. Famoso poi è il caso di iron "ferro", che suona /'aɪən/ e che è pronunciato AIRON dalle scolaresche italiche - come se fosse scritto EYE RAWN. Se la pronuncia ortografica è spinta, ecco che I know "io so" può suonare addirittura AI KANÒV o AI KANOVA, col pronome ben staccato e accentato quanto il verbo. Appurato che il suono trascritto col dittongo ea è spesso /i:/, molti pronunciano /i:/ tutte le parole con un dittongo ea, anche quelle in cui la vocale è una /e/ breve. Così lead "piombo" è da loro pronunciato come se fosse *LEED, e persino heavy "pesante" è pronunciato come se fosse *EEVY. A volte questo fenomeno colpisce anche parole senza dittongo grafico: devil "diavolo" è spesso pronunciato come se fosse *DEEVEEL o *DEEVAWL. Si può ben capire che i parlanti di un simile pseudoinglese non riconosceranno le parole native; allo stesso modo le loro aberrazioni non saranno riconosciute dai parlanti anglosassoni. I docenti mostrano verso tutto ciò un'incredibile tolleranza. Alcuni di loro sono convinti che lo schifo appena esposto sia "inglese" a tutti gli effetti, tanto sono asini. Altri invece sono consapevoli degli errori degli alunni, ma non hanno determinazione sufficiente per correggerli, anche perché plasmare i giovani stolti a suon di sganassoni è diventato illegale.

Il mito dell'accento

Cosa accade quando uno studente si reca in Inghilterra o in America e constata l'assoluta incomunicabilità? Semplice: dà la colpa a un mostro fantomatico che chiama "accento". La situazione classica è quella del giovane che sbandiera titoli, esami e quant'altro, ma dice di avere un "accento italianissimo" e di trovare difficile l'inglese parlato. In realtà l'accento qui non c'entra proprio nulla, dato che siamo di fronte a un problema di riconoscimento dei fonemi. Se in un dialetto del Regno Unito abbiamo una vocale /ɔ/ aperta nella parola stop, mentre in un dialetto americano abbiamo /a:/ e la pronuncia è /sta:p/, l'intonazione delle frasi non è nemmeno chiamata in causa, dal momento che la difficoltà è che nelle due parlate alcune parole sono realizzate usando due fonemi tra loro dissimili. Se io conosco la pronuncia /stɔp/ e mi trovo ad ascoltare un parlante che usa /sta:p/, può mancarmi la possibilità di identificare la parola nei suoi discorsi. Me la immaginerei addirittura scritta *STARP e non ne capirei la natura. C'è tuttavia di peggio. Su Quora in inglese, l'utente brasiliano Ygor Coelho ha scritto quanto segue (la traduzione è mia): «Non solo l'inglese è parlato molto velocemente dalla maggior parte dei parlanti, ma è anche una lingua con un uso molto intenso del sanddhi (connessioni di suoni tra le parole), che spesso cambia o porta via qualcosa dalla sillaba immediatamente precedente. Il risultato è che l'inglese parlato, della strada, è spesso estremamente difficile da distinguere parola per parola. Diventa tutto un unico, molto lungo borbottio, molte sillabe connesse l'una all'altra, e tui spesso non hai abbastanza tempo per pensare "vediamo, questa parola finisce qui, quest'altra inizia là", in modo tale da decodificare le frasi. Oltre a questo, le variazioni dialettali, specialmente nella pronuncia delle vocali, possono essere molto vaste in inglese, accrescendo ulteriormente la difficoltà di decodificare parola per parola una lunga sequenza di parole.» 

L'ascesa dello spagnolo

L'utente Alfonso Garcia, sempre su Quora, ricorda che lo spagnolo è usato dal 15% dei cittadini dell'Unione Europea, per un totale di circa 75 milioni di persone. Inoltre cita altri dati molto interessanti: 

1) Lo spagnolo è parlato da 55 milioni di persone negli USA; 
2) Lo spagnolo è obbligatorio in alcune scuole cinesi. Il Governo studia di renderlo obbligatorio in tutte le scuole. Lo stesso accade nelle Filippine; 
3) Lo spagnolo è la lingua straniera più importante nel futuro del Regno Unito, come sostenuto da un nuovo studio del British Council;
4) La popolarità dello spagnolo sta crescendo in Africa. È parlato da circa 10 milioni di persone in tale continente (Marocco, Sahara, Isole Canarie, Guinea Equatoriale, etc.);
5) Lo spagnolo è la seconda lingua in Antartide, dopo l'inglese. Ci sono stazioni di ricerca di Argentina, Cile, Spagna, Perù, Uruguay, etc.
6) È parlato da circa mezzo milione di persone in Oceania (minoranze in Australia, Nuova Zelanda, Isola di Pasqua, Hawaii, Guam, etc.);
7) È parlato da 575 milioni di persone in tutto il mondo. Inoltre, il portogese è parlato da 250 milioni di persone, e l'italiano da 75 milioni di persone. Così tu puoi capire, con diversi gradi di comprensione, circa 900 milioni di persone; 
8) In Duolingo, lo spagnolo è studiato da 145 milioni di persone. Molto più del francese, del tedesco o del cinese;
9) Infine è la seconda lingua più usata su Facebook e su Twitter. 

Che dire? Se davvero la Cina dovesse rendere obbligatorio lo studio dello spagnolo in tutte le sue scuole, l'ispanofonia diverrebbe una marea inarrestabile, un vero e proprio tsunami. Anche perché i cinesi le lingue le imparano davvero.

sabato 10 marzo 2018


CAPRICORN ONE 

Titolo originale: Capricorn One
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1978
Durata: 123 min.
Rapporto:
2,20 : 1
Genere: Fantascienza, thriller
Sottogenere: Fantapolitica, propaganda complottista
Regia: Peter Hyams
Soggetto:
Peter Hyams
Sceneggiatura: Peter Hyams
Produttore: Paul N. Lazarus III
Fotografia: Bill Butler
Montaggio: James Mitchell
Effetti speciali: Bruce Mattox
Musiche: Jerry Goldsmith
Scenografia:
Rick Simpson
Costumi: Patricia Norris
Trucco:
Michael Westmore; Emma DiVittorio
Interpreti e personaggi   
    Elliott Gould: Robert Caulfield
    James Brolin: Charles Brubaker
    Brenda Vaccaro: Kay Brubaker
    Sam Waterston: Peter Willis
    Lee Bryant: Sharon Willis
    O.J. Simpson: John Walker
    Denise Nicholas: Betty Walker
    Hal Holbrook: James Kelloway
    Karen Black: Judy Drinkwater
    Telly Savalas: Albain
    Robert Walden: Elliot Whittier
    David Huddleston: Hollis Peaker
    David Doyle: Walter Loughlin
    Norman Bartold: Presidente Usa
    James Karen: Price, vice presidente Usa
    Alan Fudge: Tecnico sala controllo
    Barbara Bosson : Alva Leacock
Doppiatori italiani   
    Pino Locchi: Robert Caulfield
    Pino Colizzi: Charles Brubaker
    Rita Savagnone: Kay Brubaker
    Cesare Barbetti: Peter Willis
    Luciano De Ambrosis: John Walker
    Giorgio Piazza: James Kelloway
    Maria Pia Di Meo: Judy Drinkwater
    Glauco Onorato: Albain
    Sergio Fiorentini: Hollis Peaker
    Renato Mori: Walter Loughlin
    Manlio De Angelis: Elliot Whittier
    Renato Mori: Direttore del giornale
    Sergio Graziani: Presidente Usa
    Sergio Rossi: Price
Achtung! Warning! Prodotto decostruito: trasmette il virus Derrida!

Trama:

Capricorn One, la prima missione umana su Marte, è prossima alla partenza. Tutto sembra andare a gonfie vele, quando proprio all'ultimo i tre uomini dell'equipaggio, Brubaker, Willis e Walker, in gran segreto sono rimossi dall'abitacolo e condotti nel deserto. Senza alcuna spiegazione, si ritrovano confinati in un edificio isolato. Il lancio avviene senza che nessuno abbia il minimo sospetto sull'accaduto: il razzo parte senza nessuno a bordo, nell'eccitazione generale. A questo punto gli astronauti vengono a sapere dall'ufficiale della NASA, Kelloway, che è stato rilevato un guasto ai sistemi vitali che li avrebbe uccisi in breve volgere di tempo. Tutto è accaduto così: la società che forniva i materiali per la costruzione del Capricorn One era corrotta. La sua dirigenza ha dilapidato immensi capitali in droga e in puttane, facendo faville come all'osteria numero mille! Stante una simile dissipazione di risorse, in pratica il missile è stato costruito con la cartapesta e con l'attack. A questo punto Kelloway propone agli astronauti di simulare lo sbarco su Marte. Tutto si svolgerebbe in uno studio cinematografico, all'insaputa del mondo intero. I tre all'inizio rifiutano, ma presto vengono a più miti consigli, dato che l'ufficiale li ricatta in modo vilissimo: se non acconsentiranno, le loro famiglie saranno annientate in un tremendo schianto aereo. Hanno così inizio i preparativi per lo sbarco fittizio. Ovviamente le vittime del ricatto sono costrette a una rigidissima reclusione, per non rischiare che qualcuno possa vederli anche per un caso remoto. La cospirazione resta nota soltanto a pochi ufficiali, ma un giorno accade che un tecnico si rende conto della strana natura dei segnali del Capricorn One, che sembrano provenire da una distanza ravvicinata e non dallo spazio. Questo tecnico confida i suoi sospetti al suo amico, il giornalista Robert Cauffield, prima di scomparire nel nulla. Ben presto Cauffield, deciso ad indagare, si accorge di aver toccato qualcosa di molto pericoloso, al punto che si verificano attentati alla sua vita. Intanto, dopo aver organizzato l'atterraggio finto su Marte e aver trasmesso le immagini in mondovisione, la NASA si prepara al rientro del Capricorn One. Un surriscaldamento improvviso, dovuto al cedimento degli scudi termici all'impatto con l'atmosfera terrestre, è la causa della distruzione del veicolo spaziale. Agli occhi del mondo, Brubaker, Willis e Walker sono morti! Naturalmente non potranno mai più essere rilasciati. Anzi, il modo migliore di gestire la cosa, per la NAFIA, è senz'altro sopprimerli. Sospettando questo, i tre astronauti evadono e cercano scampo. Purtroppo si trovano ad affrontare il deserto, così scelgono di separarsi per rendere più difficile la cattura. Inseguiti dagli elicotteri governativi, i tre uomini versano in condizioni disperate. Uno solo di loro riuscirà a scamparla e dopo mille peripezie apparirà al proprio funerale, svelando al mondo l'inganno.

Recensione:

Tecnicamente parlando, mettendo da parte ogni animosità, direi che è una pellicola mediocre. Si segnala un Telly Savalas selvatico e aggressivo, che svolge abbastanza bene il ruolo dell'abitante semibarbaro di un distretto desertico. Attore bilioso e bisbetico, si trova a suo agio nel ruolo. Per contro, il detective improvvisato, interpretato da Eliott Gould, lo trovo insostanziale. Non male James Brolin nel deserto, che trova modo di sopravvivere mangiando crudo un serpente a sonagli. Per il resto, ci sono incoerenze à gogo. Il finale è ridicolo. Il padre di famiglia creduto morto dai suoi cari che se ne sbuca fuori in tuta da astronauta, saltellando giulivo, è una figura troppo imbarazzante per essere credibile. Mi pare inoltre che sia qualcosa di incongruo. Ma come, prima gli danno la caccia per mare e per monti, giurando di abbatterlo perché nessuno deve vederlo, e chissà come questo appare proprio alla posticcia e farisaica cerimonia del suo funerale? Alla presenza dell'intera classe politica della nazione? Forse il regista pensa che in una situazione simile i cattivi sarebbero sconfitti e tutto si aggiuterebbe per incanto? Bah!  

Analisi del patogeno

Se questo film fosse visto da un pubblico di sole persone intelligenti e obiettive, sarebbe un'opera di fantascienza e di fantapolitica come tante altre. Non potrebbe arrecare alcun danno. Tuttavia un inghippo c'è di sicuro. Si può individuare un tenue filamento di RNA memetico appartenente al temibile virus Derrida, in grado di decostruire il pensiero delle persone infettate e di propagarsi anche attraverso semplici contatti verbali in apparenza innocui. Il corredo concettuale del virus si nasconde sotto uno spesso strato proteico, più duro e compatto del solito, cosa che lo rende invisibile a molti. Eppure i memi infettivi sono tutti lì, pronti a colpire gli incauti. L'involucro che li nasconde alla vista è costituito interamente da scorie di politicume spicciolo raccattate qua e là per poi essere agglutinate. 

Una grave fallacia logica 

Analizzando la fabbricazione del virus memetico, si vede che è estremamente insidioso. Molti prodotti decostruiti sono a dir poco grossolani e li si riconosce all'istante. Questo invece è stato progettato a bella posta per non essere notato dalla maggior parte degli osservatori, anzi, può passare per qualcosa di diverso e di legittimo. Cerco di tratteggiare il pensiero dei progettisti. Prima disegnano con grande abilità uno scenario a dir poco desolante, con un governo corrotto oltre ogni limite, sovrapposto alle organizzazioni mafiose al punto da riuscire quasi indistinguibile. Rendono evidente il marciume più immondo, lo fanno venire a galla e lo mettono sotto il naso di tutti. Farlo è qualcosa di sacrosanto, tanto che nessuno può dire nulla in contrario. In questo modo scatta la trappola. Se giova alla nazione corrotta, un complotto è possibile. Quindi, se è possibile, allora è vero. Deve essere vero per necessità. Hai dei dubbi? Allora sostieni i malfattori del governo americano. Addirittura, se insisti, è perché sei pagato da loro per far credere che il complotto non esista. Non si scappa, è un vicolo cieco. 

L'aporia della censura 

Quando ebbi a dire in un gruppo FB di fantascienza che sarebbe meglio se non si facessero film nocivi come Capricorn One, un pubblico di fanatici è insorto, dandomi del censore, oltre che - ovvio - del talebano e del nazista. Ormai ci sono abituato. A sentire questi fantascientisti aggressivi, la pellicola di Hyams sarebbe addirittura un capolavoro. Facendo sfoggio di lievi manie di persecuzione, sostengono anche che è un capolavoro purtroppo sottovalutato. Secondo uno di loro, il film non sarebbe tra le cause dell'epidemia di negazionismo lunare, ma al contrario sarebbe stato ispirato dai complottisti già imperversanti negli USA degli anni '70. Affermazione opinabile. Certo, quello della censura dei contenuti pericolosi è un problema grave. Si inizia a censurare qualcosa per la più giusta delle cause e si finisce a non poter più esprimere alcuna idea. Questa è la tesi corrente, e di certo ha in sé una fibra di verità. A chi piacerebbe una censura occhiuta? A nessuno. Tuttavia, si noterà anche che partendo da questo presupposto si dovrebbe allora permettere la libera diffusione di ogni abominio, come ad esempio gli snuff movies o la pedopornografia, e tutto per difendere la "libertà di espressione artistica". Coloro che strepitano e urlano alla censura, come se ogni obiezione loro rivolta fosse il babau, a quanto pare non sembrano capirlo. Certo, finché si continuerà con questi sofismi, l'aporia non si risolverà di sicuro. Irrido e schernisco i dogmi dei popperiani, che in modo ipocrita e capzioso definiscono "tolleranza illimitata e universale" tutto ciò che le leggi permettono, dando invece una diversa definizione a ciò che è vietato perché nemico della cosiddetta "società aperta". Non c'è nulla da fare. Comunicare con un popperiano è impossibile. Si prostrerà sempre davanti alle feci rinsecchite della sua divinità, Karl Popper. Se è d'accordo con te, afferma che le stesse cose le aveva già dette Popper. Se non è d'accordo con te, dice che quanto sostieni è da rifiutarsi perché Popper aveva a riguardo una diversa opinione. Forse sarebbe meglio se questi fanatici si dedicassero a un altro popper, quel solvente che annusano gli uranisti. Mi rendo conto di essere ripetitivo come Catone il Censore, ma lo affermo una volta di più: l'unico modo per venirne a capo è instaurare un meccanismo in grado di provvedere alla rimozione del virus Derrida facendo uscire dall'inventario ontologico i suoi portatori. In un certo qual senso, è a dir poco frustrante conoscere una medicina in grado di debellare ogni forma di cancro e saperla irrealizzabile al presente stato delle cose.

Memorie

Ricordo ancora il giorno in cui mi resi conto dell'esistenza del problema, in epoca pre-Web. Mentre ero con amici a casa della bella M., un ospite che non avevo mai visto prima intavolò uno strano discorso. Era un lattoniere delirante, il cui livello di istruzione poteva essere paragonato a quello di un babbuino. Ebbene, costui affermò senza mezzi termini che gli astronauti non erano mai stati sulla Luna e che era tutto un imbroglio ordito dalla NASA. Fino a quel momento avevo creduto che tali opinioni fossero proprie soltanto della setta dei Testimoni di Geova. Con mio grande stupore mi accorsi che il lattoniere non apparteneva a tale congrega religiosa. In lui il pensiero complottista era già formato appieno e aveva motivazioni unicamente politiche. Essendo antiamericano - la menava senza sosta con i bambini palestinesi massacrati da Israele - riteneva del tutto normale che il governo yankee avesse inscenato una simile colossale frode ai danni del genere umano. Certo, che gli USA non siano governati da stinchi di santo è abbastanza palese a tutti. Su questo non ci piove. Pensare tuttavia che lo sbarco sulla luna non fosse mai avvenuto mi apparve subito come un'assurdità sesquipedale. L'amico P. mi parlò della presenza di alcuni retroriflettori sull'argenteo satellite, portati dagli astronauti. Aggiunse che quegli apparecchi abbandonati nelle vastità lunari erano stati utilizzati più volte in esperimenti di misura della distanza Terra-Luna tramite invio di raggi laser dalla Terra - tutte cose ben documentabili. Mi disse anche che è ancora visibile il "ragno" del LEM e che poteva essere osservato con un telescopio: lui stesso lo aveva fatto. Lì per lì non diedi grande importanza a queste cose e pensai ad altro. Qualche mese dopo venni a sapere che il lattoniere complottista era caduto da un tetto mentre lavorava, si era fracassato la schiena, era andato in agonia ed era infine spirato. Il problema tuttavia non si risolse con la scomparsa di quell'uomo. Dopo anni, quando ormai l'accesso al Web si era diffuso largamente, mi imbattei di nuovo nei complottisti negatori dello sbarco sulla luna, accorgendomi che erano più numerosi degli spiriti immondi di Gerasa. Con sgomento realizzai che molti di loro erano anche terrapiattisti, ossia settari convinti per articolo di fede che la Terra sia piatta. Un giorno riversai la mia rabbia sull'informatico M., esile e biondiccio, che mentre ero al lavoro parlò proprio di Capricorn One. Sentivo nominare il film per la prima volta. Reagii con furia al negazionismo lunare, eruttando in un torrente di imprecazioni e improperii. Tremante come un budino, M. disse balbettando: "Veramente non è quello che penso io, è solo la trama del film Capricorn One". La cosa finì lì, ma intanto cominciai a cercare informazioni su quell'opera deleteria.

Reazioni nel Web:

Il contagio decostruzionista è riuscito talmente bene che in tutta la rete si trovano a stento un paio di recensioni negative, tutte molto timide. Per rendersi conto del fanatismo imperante, basti analizzare gli interventi dei navigatori sulle pagine dei principali siti di cinema. C'è da restar basiti. Ecco un elenco di opinioni eulogistiche quanto grottesche raccolte nel Web: 

Capricorn one alimenta il forte dubbio !!
(weach)

avvincente thriller sulla "ragione di stato" 
(vic fontaine)

Straordinario
(fabio1957)

Film molto interessante.
(Furetto 60)

Grandissimo film!
(Ramses72)

intrattenimento intelligente e non vacuo, attualissimo anche ai nostri giorni...
(movieman)

Forse, e mica tanto forse, il miglior film di sci-fi mai girato fino ad oggi.
(ds2k2)

"Capricorn One" è un film...fantastico, per certi versi sottovalutato, sicuramente tra i migliori di (falsa)fantascienza degli anni '70.
(George Smiley)

Buon film di fantapolitica, ben girato e senza momenti di stanca.
(Baliverna)

E se lo sbarco sulla luna fosse stato un bluff???E se la Nasa ci avesse preso in giro???
(Ezio)

Gran bel film che miscela bene una buona dose di azione e tensione e tematiche sociali sempre attuali e forti.
(Alfatocoferolo)

E' un film che ho visto almeno dieci volte e che rivedo sempre con piacere.
(capricorn one)

Mi colpì moltissimo la prima volta che lo vidi e rimane uno dei miei preferiti.
(ioperplesso)

Bisogna dire che è un gran film, e ci vuole coraggio a farne uno così, che di fatto denuncia il falso arrivo sulal Luna [...]
(Axeroth)

Uno dei miei film preferiti di sempre. La storia è molto originale e mi ha fatto dubitare anche del viaggio sulla Luna.
(Rambo90)

Lungo, solido ed eccellente: bastano tre parole per sintetizzare quest'opera di fanta-space-thriller (poi neanche tropo fanta) di Peter Hyams.
(Tomastich)

Solo sporadicamente si trovano opinioni più decenti e critiche, soprattutto da fonti più autorevoli dell'internauta medio politicizzato:

"Assolutamente inverosimile, anche se avvincente intrigo fantapolitico che si scatena con evidente livore contro il Palazzo americano. Cia, Nasa, Casa Bianca, tutti corrotti, sostiene Peter Hyams, sceneggiatore e regista ideologicamente prevenuto. Insomma un film che è un po' come il radar di Ustica: vede soltanto ciò che gli fa comodo".
(Massimo Bertarelli, 'Il giornale', 28 settembre 2001)

"Un film potenzialmente interessante, trasformato dalle esigenze commerciali, in uno spettacolo professionale ma poco credibile."
(Magazine tv).

"Il film, nasconde l'abbastanza scontate tematiche del cinismo assassino, delle persone e degli organismi condizionati dalle 'ragioni di stato', nonché dalla non meno cinica possibilità di imbastire macroscopiche mistificazioni mediante i grandi mezzi di comunicazione sociale."
(Segnalazioni Cinematografiche, vol. 85, 1978).

Dopo lunga preparazione, la NASA sta per lanciare verso Marte navicella spaziale. Per un guasto la spedizione viene simulata, ma non tutti credono all'inganno. Tipico frutto della paranoia americana dopo lo scandalo Watergate, acquista nella seconda parte la sua vera fisionomia di apologo contro il potere, pur mantenendo le cadenze di un thriller d'inseguimento. Nel 1975 era uscito il bestseller Non siamo mai andati sulla Luna di Bill Kaysing, pubblicato anche in Italia.
(Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli)

mercoledì 11 ottobre 2017


 
NETANYAHU NEUTRALIZZATO
DA ZUCKERBERG 

Gli zeloti hanno una profonda idiosincrasia nei confronti dell'orina, delle feci e dell'orifizio anale. La religione condiziona ogni aspetto della loro vita e li porta a tumultuare spesso. Non passa giorno senza che quei settari minaccino la pace sociale in Israele. Netanyahu non può permettersi di inimicarseli, o per lui è finita. Questo circolo vizioso lo ha portato al disastro e lo ha reso impotente. La mia ricostruzione dell'accaduto è assai semplice. Zuckerberg ha presto trovato il modo di ricattare Netanyahu, avendo raccolto su di lui dati a dir poco cruciali. Minacciando di rendere pubblico materiale che avrebbe annientato il Primo Ministro israeliano, il Signore di Facebook ha ottenuto il suo scopo. Perché, vedete, tale materiale è talmente compromettente che anche solo una fuga di notizie riuscirebbe disastrosa. Si può dedurre qualcosa di più preciso sulla natura del materiale in questione: con ogni probabilità mostra Netanyahu nell'atto di lappare il boccone del prete alle prostitute e di farsi da loro orinare addosso. Proprio ciò che manda in bestia gli zeloti. Questo spiega perché alle continue e tonanti minacce di Bibi non abbiano fatto seguito atti concreti di sorta. Se le notizie sui suoi vizietti si fossero risapute, gli Haredim si sarebbero rivoltati, ed egli avrebbe anche perso il rispetto dei suoi stessi militari, con conseguenze catastrofiche. Così Netanyahu è rimasto paralizzato, proprio come la preda di un ragno. Si tenga conto che Zuckerberg agisce per spingere tutti gli Israeliti del mondo a migrare in massa nella loro terra ancestrale. Per questo motivo favorisce con ogni mezzo la diffusione del più feroce antisemitismo tra le genti. Ha permesso scientemente la propagazione capillare delle opere di Julius Streicher e dei Protocolli dei Savi di Sion, rendendo rampante l'odio antisemita. Gli ostacoli al suo dissennato progetto sono numerosi, ma lui non si perde d’animo ed escogita sempre nuove soluzioni di un cinismo davvero raggelante. Solo per fare un esempio, gli ebrei residenti in Europa sono molto furbi: in Israele non vogliono andarci, perché non si sta molto bene in un paese in cui se si esce al mattino non si sa se si rincasa alla sera. Così Zuckerberg intensifica il proliferare dell’antisemitismo nei paesi dell’Unione, mirando a far addensare nuvole temporalesche sulle comunità ebraiche, agendo affinché in tutta Europa si scatenino torbidi e sommosse, permettendo che gli antisemiti più radicali vi pullulino. In Francia, dove la situazione è già grave per via della presenza di grandi masse di musulmani ostili, si segnalano appelli delle autorità rabbiniche che consigliano ai membri delle comunità l’emigrazione in Israele. Sono consapevole del fatto che per molti quanto affermo suoni assurdo e paradossale, ma questa è la realtà dei fatti. Se ci fosse anche soltanto una minaccia di ascesa al potere di partiti antisemiti e se si cominciasse addirittura a parlare del rischio di pogrom, per Zuckerberg sarebbe meglio ancora: si innescherebbe in men che non si dica un esodo verso Israele.

  
USO STRUMENTALE DELLE ATROCITÀ

In questa società terminale, i fatti più orribili non destano raccapriccio per la loro natura: vengono invece usati strumentalmente per sostenere o confutare una qualche tesi politica. A nessuno sembra interessare se una ragazza viene stuprata, ma solo se lo stupratore è autoctono o allogeno. Si è arrivati a tal punto, che se uno stupro conferma le proprie tesi, i commentatori gioiscono. Non esiste nessuna pietà per le vittime. Nemmeno nella Roma antica c’erano simili mostruosità. Si trovavano corpi di bambini esposti e di adulti gettati nelle fogne a cielo aperto a marcire, i folli e i crudeli non mancavano di certo, ma non si trovava la forma mentis aberrante che impera nei social network. Non si trovavano esempi di completo scollamento dalla realtà dei fatti, come quelli a cui assistiamo oggi. Il processo di degenerazione cognitiva è giunto a tal punto che potremmo definire il genere umano un tumore. I pochi anticorpi sopravvissuti si agitano nella solitudine e nella disperazione. “La specie umana è moribonda e spera di risorgere. Gli esseri umani sono frutto del caso: un tentativo fallito. E quando un esperimento fallisce, non ci si ostina a ripeterlo: si ricomincia da zero. E si seguono premesse e schemi migliori. Loro non meritano una seconda possibilità. E io la impedirò a tutti i costi.” (cit.). Se lavorassi in un laboratorio di xenobiologia, nel giro di pochi anni comincerebbero a circolare i neomorfi.

martedì 10 ottobre 2017



IL LINGUAGGIO DESTRUTTURATO
DEI GIORNALISTI

Apro la sezione “Salute e Benessere” di ANSA e mi imbatto nella seguente perla: “Oetzi, la mummia di Similaun trovata in Alto Adige, era più geneticamente predisposta all'infarto rispetto all'uomo moderno”. Forse i giornalisti non riescono a capire una cosa molto semplice: quella povera mummia, essendo un corpo morto da millenni, difficilmente può esserere affetta da infarto. Nessuno insegna più il metodo logico-deduttivo di Sherlock Holmes? Evidentemente no. Eppure non ci sarebbe voluto molto a scrivere “Oetzi, l’uomo la cui mummia è stata trovata in Alto Adige, era geneticamente più predisposto all’infarto rispetto all’uomo moderno”. Già, perché non ha senso neanche dire che una mummia era “più geneticamente predisposta all’infarto”. Si deve dire che quell’uomo (da vivo) era “geneticamente più predisposto all’infarto”. L’ordine delle parole in italiano dovrebbe avere ancora un senso. Si consideri poi la locuzione “uomo moderno”. Nel linguaggio corrente sta per “uomo attuale”, mentre per i paleontologi indica la specie Homo sapiens, di cui anche l’individuo soprannominato Oetzi faceva parte. Anche se Homo sapiens fa parte della famiglia degli ominidi, il sottotitolo “Studi sul suo corpo e su quello di altri ominidi” fa pensare che Oetzi fosse una specie di uomo arcaico come l’uomo di Neanderthal e i Denisovani, il che è falso. Anche un articolo così interessante è stato guastato da giornalisti privi di qualsiasi competenza scientifica e linguistica, della stessa pasta di quelli che tempo fa hanno scritto “Casetta per uccelli antincendio” e “Cadavere trovato in appartamento in avanzato stato di decomposizione”.

domenica 8 ottobre 2017


ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI VACCINI
E SULL'ANTIVACCINISMO

Le probabilità di subire una reazione avversa in seguito a una vaccinazione sono molto minori di quelle di avere un incidente stradale. È più facile essere rapiti dai terroristi dell'ISIS che incorrere in una reazione infausta dopo l’iniezione di un vaccino, questo è fuor di dubbio. Per contro è un dato di fatto inconfutabile che gli incidenti stradali sono molto comuni, che possono essere molto gravi e che spesso portano conseguenze indesiderabili come l'invalidità permanente, il coma irreversibile e la morte. Eppure non gliene frega un cazzo a nessuno! Nessuno rinuncia a guidare per paura delle conseguenze, gli automobilisti non ci pensano nemmeno per un attimo a smettere, perché fa loro comodo condurre veicoli. Ogni guidatore si crede immortale e invulnerabile. Inoltre va detto che con la macchina si lavora, si scopa, si va in vacanza, si adempie a tutti i culti idolatrici di questo presente materialista. Non esiste quindi l'antiautomobilismo, nessuno ha neppure l’ombra di un vago interesse a sostenerlo, nessun politico investirà mai in una simile idea, né potrà trarre vantaggi dalla sua propagazione. Il pubblico sarà sempre composto da pecore lobotomizzate, manovrabili a piacimento da chi le tosa, le castra e le scanna.

UN PERNICIOSISSIMO LIBERCOLO

Arthur Schopenhauer ha scritto L'arte di ottenere ragione (Eristische Dialektik - Die Kunst, Recht zu behalten), un trattato che ha arrecato un immenso danno alla Scienza, trasmettendo a troll e fissati di ogni genere dettagliate istruzioni per tormentare gli studiosi seri. Poco importa che egli intendesse denunciare la dialettica o arte di disputare, causata dalla "naturale prepotenza del genere umano": di fatto il suo scritto ha contribuito attivamente a far proliferare tale prepotenza, dando agli energumeni gli strumenti per arrecare danno. Nel seguito allego un sunto di tali strategie, che nel Web hanno trovato il loro massimo compimento.

1) Ampliamento: interpretare l'affermazione dell'avversario nel modo più generale possibile, restringendo invece la propria.

2) Omonimia: estendere l'affermazione presentata dall'avversario a qualcosa che, oltre al nome uguale, non ha nulla in comune con l'argomento in questione.

3) Generalizzazione: trattare l'affermazione dell'avversario con valore relativo (particolare) come se avesse un valore assoluto (universale).

4) Occultamento: presentare le premesse alla propria conclusione una alla volta, in modo che l'avversario le ammetta senza accorgersene.

5) False proposizioni: usare tesi false ma vere ad hominem, sfruttando i preconcetti e pregiudizi dell'avversario.

6) Dissimulazione di petitio principii: postulare ciò che si dovrebbe dimostrare.

7) Metodo socratico o erotematico: porre domande adeguate all'avversario e ricavare la verità della propria affermazione dalle stesse ammissioni dell'avversario.

8) Provocazione: suscitare l'ira dell'avversario per confonderlo.

9) Confusione: porre all'avversario domande in un ordine diverso da quello nel quale se le sarebbe aspettate.

10) Ritorsione delle negazioni dell'avversario: se l'avversario intenzionalmente risponde in modo negativo a tutte le domande, chiedere il contrario della tesi di cui ci si vuole servire.

11) Generalizzazione dell'inferenza: se l'avversario accetta la verità di fatti particolari dare per scontato che abbia accettato anche l'universale relativo.

12) Metaforizzare: scegliere sempre metafore e similitudini favorevoli alla propria affermazione, introducendo nella definizione ciò che si vuole provare in seguito.

13) Presentare l'opposto della propria tesi: presentare l'opposto della propria tesi in modo denigratorio, per far sì che l'avversario sia costretto a rifiutarlo.

14) Dichiarare la vittoria: dopo che l'avversario ha risposto a molte domande senza peraltro giungere alla conclusione desiderata, dichiarare la vittoria con una buona dose di faccia tosta.

15) Usare tesi apparentemente assurde: se la propria tesi è paradossale e non la si riesce a dimostrare, proporre all'avversario una tesi giusta ma non evidente; se questo la rifiuta condurlo ad absurdum e trionfare.

16) Argomenti Ad hominem: cercare contraddizioni nelle affermazioni dell'avversario.

17) Usare sottili distinzioni: se l'avversario incalza con una controprova, occorre trovare una sottile distinzione se la cosa consente un doppio significato.

18) Mutatio controversiae: se c'è il rischio che l'avversario possa avere ragione, spostare l'argomento della disputa su altre questioni.

19) Generalizzazione: se l'avversario sollecita ad esprimere un'opinione su un particolare, estrapolare l'universale ed opporsi a questo.

20) Trarre conclusioni: se l'avversario ha concesso parte delle premesse, trarre la conclusione anche se le premesse sono incomplete.

21) Controargomentazione: se l'avversario fa uso di un argomento solo apparente o sofistico, liquidarlo usando un controargomento altrettanto sofistico o apparente.

22) Petitio principii : rigettare le premesse dell'avversario come petitio principii.

23) Esagerazione: spingere l'avversario ad esagerare le proprie affermazioni e quindi confutarle.

24) Forzare la consequenzialità: trarre a forza dalle affermazioni dell'avversario, con false deduzioni, tesi che non vi siano contenute (apagoge).

25) Istanza o Exemplum in contrarium: l'apagoge si demolisce presentando un unico caso per cui il principio non è valido.

26) Retorsio argumenti: l'argomento che l'avversario vuole usare a proprio vantaggio viene usato meglio contro di lui.

27) Sfruttare l'ira dell'avversario: se di fronte a un certo argomento l'avversario si adira, insistere su quell'argomento, poiché è facilmente il punto debole del suo ragionamento.

28) Argumentum ad auditores: funziona meglio quando persone colte disputano di fronte ad ascoltatori incolti. Avanzare un'obiezione non valida ma "spettacolare", che richieda, per essere smentita, una lunga e noiosa disquisizione.

29) Diversione: qualora l'avversario fosse sul punto di vincere la disputa cambiare completamente argomento e proseguire come se fosse pertinente alla questione e costituisse un argomento contro l'avversario.

30) Argumentum ad verecundiam: invece che di motivazioni ci si appelli ad autorità rispettate dall'avversario.

31) Dichiarazione di incompetenza: dichiararsi incompetenti per insinuare negli spettatori il dubbio che l'affermazione dell'avversario sia una cosa insensata.

32) Denigrazione: per accantonare, o almeno rendere sospetta, un'affermazione dell'avversario ricondurla ad una categoria odiata dagli spettatori.

33) "Vero in teoria, falso in pratica": ammettere con questo sofisma le ragioni e tuttavia negarne le conseguenze.

34) Incalzare l'avversario: se l'avversario si dimostra evasivo riguardo ad un argomento, incalzarlo su quell'argomento, poiché facilmente sarà uno dei suoi punti deboli.

35) Argumentum ab utili: anziché agire sull'intelletto con il ragionamento, agire sulla volontà con motivazioni, dimostrando all'avversario che la sua opinione, se vera, non può recargli che danno.

36) Sproloquiare: l'avversario rimarrà sconcertato e sbigottito da sproloqui privi di senso.

37) Spacciare un argumentum ad hominem per uno ad rem: se l'avversario sceglie una cattiva prova a sostegno del suo argomento confutare la prova e passare questa confutazione come una confutazione all'intero argomento.

38) Argumentum ad personam: come ultima risorsa diventare offensivi, oltraggiosi e grossolani.

venerdì 11 agosto 2017

UN RIENTRO APOCALITTICO

Arrivato a Soweto, pardon, a Monza, il treno si è bloccato. L’altoparlante gracchiava che a causa dell’investimento di una persona e dei necessari accertamenti giudiziari, tutti i treni da e per Seregno avrebbero avuto almeno 120 minuti di ritardo. Panico. Sceso dal treno bloccato e cancellato, mi sono affrettato a comprare un biglietto del pullman in edicola. Sono corso per il sottopassaggio fino a raggiungere la piazzola da cui partono gli autobus e i miei occhi sono stati aggrediti da una visione raggelante. C’erano una cinquantina di Mandingo colossali, giganteschi, tutti seduti su un lungo muretto in mezzo ai rifiuti e alla sporcizia. I muri erano scrostati tanto da somigliare alla pelle giallastra di un lebbroso. Chiazze scure di orina dovunque, che corrodevano le pareti colando sull’asfalto. I Mandingo avevano con sé grosse radio da cui uscivano note disarmoniche, sgraziate. Un frastuono spaventoso, nuvole di sudore. Ho pensato per un attimo di essere stato teletrasportato in Nigeria, poi mi sono accorto di essere, diciamo così, in Italia, a causa di due dettagli. C’erano due ragazze bionde e tatuate sedute in mezzo ai nerboruti energumeni, e c’erano gli orari dei mezzi scritti in italiano. Sono rimasto lì per un’ora, perché l’autobus che dovevo prendere fa poche corse. Intanto arrivava altra gente che doveva partire e la tensione era in crescendo. Gli altoparlanti della stazione annunciavano a ritmo serrato il ritardo di 120 minuti e la cancellazione di sempre nuovi treni, a ciclo continuo. Ogni tanto annunciavano anche fantomatici pullman sostitutivi che però non si materializzavano. Arrivato allo stremo, sono riuscito a prendere il mezzo che mi avrebbe portato a Seregno. Per fortuna sono riuscito a trovare un posto a sedere. Vicino a me, in piedi, stava un giovane uomo biondiccio. Seduta poco lontano c’era sua moglie, che cercava di tenere a bada due bambine dai capelli dorati. A un certo punto, ecco che una di queste bambine ha cominciato a strepitare, chiedendo a suo padre di essere baciata in bocca, “lingua contro lingua”. Lui ha fatto finta di nulla, la madre non le badava, sperando che smettesse. Invano. Per poco non ho perso i sensi per l’orrore.
 
Marco "Antares666" Moretti, agosto 2017

giovedì 10 agosto 2017

QUANDO LA FONETICA PUO' UCCIDERE

Mi è tornato alla mente un episodio assai singolare, occorso molti anni fa. Alla televisione, all’epoca ancora la guardavo di tanto in tanto, scanalando ho visto un presentatore che presentava un concerto benefico, se così si può dire. Non ricordo il suo nome. A un certo punto ecco arrivare un gigantesco mandingo che doveva esibirsi nel suo numero. Il presentatore ha cercato di socializzare e se ne è uscito a dire "stop the war", pronunciando "stop" con una /o/ tanto chiusa da sembrare quasi "stup". L'energumeno colossale, a cui mancava soltanto il machete, ha subito dato in escandescenze. Il conduttore non capiva e insisteva con il suo "stup de worre". Quando finalmente il gigante di ebano ha afferrato il senso di quelle parole, ha emesso un verso inarticolato di assoluto disprezzo, tra un rantolo e una crisi di vomito, quindi ha eruttato il suo "stop the war" con "stop" pronunciato "staap". Soltanto i musicisti che hanno preso a suonare lo hanno convinto a iniziare a strimpellare la chitarra e a lasciar perdere l’alterco. Un esempio di incomprensione dovuta alla cessata unità della lingua inglese, che per poco non riusciva fatale al presentatore.

mercoledì 14 giugno 2017


UNA PERDITA GRAVISSIMA

Preziosa raccolta di vasellame etrusco polverizzata per errore da una squadra demolizioni

“Una perdita gravissima per il patrimonio culturale del Paese”: così ha dichiarato, trattenendo a stento le lacrime, il professor Berardi Gasperini dell’Università di Tor Bella Monaca. “A causa di un malaugurato disguido, i demolitori hanno minato l’edificio sbagliato, il Museo delle Antichità Etrusche, anziché il fatiscente palazzo attiguo”. L’esplosione ha letteralmente cancellato dalla faccia della terra migliaia e migliaia di cocci, anfore e pitali sbrecciati d’inestimabile valore, recuperati nel corso degli scavi archeologici condotti dall’Unità d’Italia ad oggi. Appresa la notizia, la direttrice del Museo professoressa Maddalena Serri, in vacanza studio a Capo Verde, è stata colta da malore. In un comunicato, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma ha annunciato che “Nessuno sforzo sarà risparmiato per riportare in vita la prestigiosa sede museale e i miseri rimasugli delle collezioni in essa custoditi”.

Pietro Ferrari, aprile 2017

lunedì 12 giugno 2017


STRANO INTERLUDIO 

Una vasta catacomba: questo sembra l’auditorium del Cidis, il Consorzio Interuniversitario per il Diritto allo Studio di Milano. Dopo alcune ore di permanenza in quel locale sotterraneo rischiarato da luci opache, ore trascorse all’ascolto di una relazione sulla “Piattaforma per la certificazione dei crediti ed il monitoraggio dei debiti”, chiunque sarebbe colto da una profonda sensazione di tedio. Il brio dell’oratore, titolare di uno studio tributario, appare del tutto ingiustificato vista la desolante aridità degli argomenti trattati.
Nel corridoio limitrofo all’auditorium è stato allestito un buffet con generi di conforto. Riconosco una delle hostess: era presente a un convegno svoltosi l’anno scorso, ma la ricordavo bionda. Anche lei pare rammentarsi di me. Apprendo dalla sua viva voce che non lavora abitualmente nel settore del catering, ma svolge attività di mediazione culturale presso un centro d’accoglienza in Valtellina. Non senza sorpresa scopro che è tunisina, originaria di Sousse (Susa), località presso cui, nel giugno del 2015, gli islamisti assassinarono decine di turisti alloggiati in un hotel.
A un tratto, chiede di poter fare “una foto ricordo” accanto a me, ed io acconsento.
Chissà, forse la foto confluirà nel database dei servizi segreti tunisini.

Pietro Ferrari, giugno 2016

sabato 10 giugno 2017

DIPARTITE 

Alle dieci e quaranta del 30 giugno 2016, nel bel mezzo dell’ultima lezione del corso di Letteratura apoftegmatica, il professor Fabbri fu colpito da un ictus cerebrale fulminante: impallidì di colpo e si accasciò al suolo senza vita. Dal pubblico di studenti presenti in aula si levò un mormorio di sgomento. I giovani esitarono ad accostarsi al vegliardo, temutissimo a causa del suo carattere dispotico. L’accademico aveva assunto al momento della caduta la posizione caratteristica dei cadaveri composti nelle bare: braccia distese lungo i fianchi, gambe diritte. Si verificò un incidente curioso e inesplicabile: un merlo, introdottosi nell’aula dal lucernario, si posò sulla fronte dell’accademico e gli beccò il naso. Dopo un quarto d’ora sopraggiunse un’ambulanza: il personale dopo aver constatato il decesso del professore decise di non rimuoverne il corpo, la cui stazza pachidermica avrebbe richiesto come minimo l’utilizzo di un paranco. Si convenne di lasciare l’ingrato compito all’impresa di pompe funebri, già allertata. Gli studenti abbandonarono speditamente l’aula. All’arrivo dei necrofori, l’ambulanza prese il largo. I portieri dell’università, individui dall’aria patibolare, furono allontanati con modi spicci. Fatto ciò, i necrofori si misero all’opera. La salma del professor Fabbri fu fatta rotolare su un materasso gonfiabile analogo a quelli utilizzati dai pompieri, che fu poi gonfiato mediante un compressore, quindi venne deposta in un feretro collocato su un carrello elevatore elettrico porta barelle, e di qui fatta scivolare nel vano dell’auto attrezzata per il trasporto. Tutto si svolse celermente e senza intoppi. La moglie, in vacanza studio a Capo Verde con un’amica, raggiunta telefonicamente dal vicerettore, lanciò grida acutissime, assordanti, placandosi solo in seguito alla promessa di una cerimonia funebre suntuosa a spese dell’ateneo. Dopo meno di un’ora, sul cortile della facoltà di Lettere calò il silenzio.

Pietro Ferrari, giugno 2016

domenica 4 giugno 2017


DALLA FITNESS AL DOMINIO DI BAAL 

Ci sono persone che sanno trasformare ogni incontro casuale in un rapporto sociale duraturo e aziende che riescono a trasformare ogni cliente in un partner fedele. Certe pagine Web rendono il navigatore schiavo della rete. Che cos'hanno in comune questi nodi della società, degli affari e del Web? Ognuno di loro ha un talento innato, che lo pone davanti a tutti gli altri. Benché sia impossibile trovare la chiave universale del successo, possiamo studiare il processo che separa i vinti dai vincitori: la competizione nei sistemi complessi.
In un ambiente competitivo ogni nodo ha una certa fitness. La fitness è la nostra attitudine a stringere più amicizie rispetto ai nostri vicini; è l'abilità di un'azienda di attirare e mantenere più clienti rispetto ad altre aziende; è la bravura di un attore che lo fa apprezzare e ricordare più di altri; è la capacità di una pagina Web di farci tornare quotidianamente sul suo contenuto anziché su quello di altri miliardi di pagine che si contendono la nostra attenzione. La fitness misura l'abilità competitiva di ogni nodo. Negli esseri umani può essere una questione genetica; per le aziende può dipendere dalla qualità del prodotto e della gestione, per gli attori dal talento, per i siti Web dal contenuto. In una rete possiamo assegnare una fitness a ogni nodo per indicare la sua capacità di competere per i link. Sul Web, per esempio, la fitness della mia pagina è 0,00001, mentre quella di Google è 0,2. Ciò che conta non è la reale grandezza di queste cifre, ma il loro rapporto, da cui si deduce il nostro potenziale d'attrazione nei confronti dei visitatori. Chiunque, infatti, si rende conto che Google è 20000 volte più utile del mio sito personale.
L'introduzione della fitness non elimina gli altri due meccanismi che governano l'evoluzione delle reti, la crescita e il collegamento preferenziale; modifica però il criterio in base al quale qualcosa viene considerata attraente in un ambiente competitivo. Nel modello a invarianza di scala abbiamo assunto che la capacità di attrazione di un nodo era determinata esclusivamente dal suo numero di link. In un ambiente competitivo anche la fitness ha un suo ruolo: i nodi con una fitness più elevata vengono linkati più frequentemente. Un modo semplice per far rientrare la fitness nel modello a invarianza di scala è assumere che il collegamento preferenziale sia guidato dal prodotto tra la fitness del nodo e il suo numero di link. Ogni nuovo nodo decide dove connettersi confrontando il prodotto tra fitness e connettività di ogni nodo disponibile, preferendo quello con un prodotto più alto e, quindi, con una più alta capacità di attrazione. Fra due nodi con lo stesso numero di link quello con una fitness più alta acquisirà nuovi link più velocemente dell'altro. Se due nodi hanno la stessa fitness, tuttavia, il favorito rimane comunque il più vecchio. Questo semplice modello a fitness, in grado di combinare la competizione e la crescita, fu il nostro primo tentativo di spiegare Google. Nato per distinguere velocemente i nodo l'uno dall'altro e dare un'opportunità ai nuovi arrivati, presto rivelò implicazioni più profonde, aprendo nuove prospettive su un'ampia famiglia di fenomeni che non era possibile scorgere in un universo ugualitario e privo di fitness.

Albert-László Barabási - Link, la nuova scienza delle reti
(Esilio a Mordor, 16/06/2007)

Se ci guardiamo intorno, possiamo capire facilmente che i concetti espressi dallo studioso ungherese non bastano più a spiegare la realtà delle cose. All'epoca in cui pubblicavo su Esilio a Mordor citazioni tratte da Link, la nuova scienza delle reti, i suoi enunciati descrivevano molto bene il complesso ecosistema del Web. La colpa principale dell'autore era l'ingenuità: egli credeva davvero che dal magma della Rete delle Reti si stesse autoaggregando un mondo migliore e che la competizione tra i siti fosse una cosa splendida, positiva, costruttiva. Dopo un periodo di tempo irrilevante dal punto di vista storico, vediamo che non c'è più fitness alcuna per i siti personali e per i blog. Ciò che era piccolo ora tende a zero: il mio sito personale non ha nessuna utilità. Ciò che era grande ora tende all'infinito: l'utilità dei Giganti è incommensurabile. Esistono soltanto pochissimi nuclei che sono quasar dell'informazione, come Google e Facebook, e per il resto una distesa infinita di relitti insignificanti. Facebook è il centro assoluto che oscura ogni altra sorgente di luce virtuale, con Zuckerberg che ha raggiunto capacità incredibili e sempre più inquietanti, prossime all'onniscienza, all'onnipotenza, all'onnipresenza. Egli concentra nelle sue mani un potere che nessuno sulla faccia del nostro pianeta ha mai avuto da che vi esiste il genere umano. Egli è il Sommo Dittatore, il Tiranno Assoluto. In questo presente desolante la gente è in preda alle febbri politiche e per questo crede di avere una visuale privilegiata sull'intero Universo: fissata con le proprie categorie obsolete, vede Hitler sotto ogni sasso e lo proietta dovunque, ma ignora che la propria vita è trasparente come il vetro. Dalle proprietà delle reti è nato un mostro che è Baal sulla Terra, è Moloch immanente. Egli arriva dove nessuno degli imperatori e dei despoti è mai giunto: all'interno del nostro cranio! 

mercoledì 28 dicembre 2016



UN VIAGGIO A QUILMES 

Google Maps insegna molte cose. Oggi ho visitato Quilmes, nella provincia di Buenos Aires, il luogo dove sono stati deportati i Diaghiti Quilmes e Calianos (KILMI nella lingua Kakán significa "tra i monti", QALIÁN significa “eroe”). Di loro è rimasto soltanto il nome attribuito all’abitato: un secolo dopo la deportazione si erano estinti. Oggi Quilmes è un luogo orrendo, come gran parte dell'Argentina, mi sia consentito dire. Casupole in cartongesso e in nudi mattoni, molte strade sterrate e angiporti, bassifondi che sembrano immensi campi rom, anzi ancor peggio: lande spettrali piene di immondizia in cui vagano branchi di bambini inselvatichiti e di cani rognosi. Ho percorso calle Avenida Otamendi e calle Avenida Italia. La seconda non è nemmeno asfaltata. C'è anche un "club nautico" in quel vicolo squallido: alcune barche sfondate che a stento galleggiano in un braccio morto di acqua marina. Non si trova la benché minima traccia della Chiesa di Roma, mentre è pervasiva la presenza di un gran numero di Chiese evangeliche, pentecostali e simili. “Es tiempo de volverse a Dios”, è scritto su un muro di calle French. Non lontano campeggia un grande manifesto che pubblicizza una congrega chiamata Iglesia Tiempo de Salvación y Milagros
 
Marco "Antares666" Moretti, novembre 2016

giovedì 30 giugno 2016


LA NATURA DEL CYBERSPAZIO
E L'AVVENTO DEI BORG 

Il cyberspazio incarna la più alta libertà di parola. Qualcuno potrà sentirsene offeso, altri potranno apprezzarlo, ma il contenuto di una pagina Web è difficile da censurare.
Una volta lanciato in rete entra a disposizione di centinaia di milioni di persone. Un diritto d'espressione così illimitato, con dei costi di pubblicazione così bassi, fa del Web una grandissima manifestazione di democrazia. Tutte le voci hanno pari opportunità di ascolto, o almeno così predicano tanto i costituzionalisti qualto le riviste d'affari. Se il Web fosse una rete casuale, potremmo anche essere d'accordo con loro. Ma non lo è. Il risultato più affascinante del nostro progetto di mappatura fu la scoperta di una totale assenza nel Web, di democrazia, equità e valori ugualitari. Imparammo che l'unica cosa che la topologia di questa rete permette di vedere sono il miliardo di documenti ivi contenuti.
Quando si considera il Web, la domanda fondamentale non è più se le nostre opinioni possono venire pubblicate: certo che possono e, una volta online, diventano accessibili a chiunque, in qualunque parte del mondo, con una semplice connessione Internet. Di fronte alla giungla di documenti che ci appaiono minuto per minuto, la domanda cruciale è piuttosto la seguente: se lancio un'informazione in rete, qualcuno la noterà? Per essere letti bisogna essere visibili: una banale verità che vale tanto per gli scrittori quanto per gli scienziati. Sul Web la misura della visibilità è il numero di link. Più link puntano alla vostra pagina Web, più siete visibili. Se ogni documento in rete avesse un link alla propria pagina Web in un attimo tutti saprebbero ciò che aveta da dire. Ma una pagnia Web ha in media non più di cinque-sette link che puntano ognuno a una delle migliaia e migliaia di pagine esistenti là fuori. Di conseguenza le probabilità che un documento crei un link proprio alla vostra pagina Web sono prossime allo zero.
Questa conclusione si applica perfettamente alla mia homepage, www.nd.edu/~alb. Secondo AltaVista, nel Web ci sono almento una quarantina di pagine che puntano a essa.
Francamente mi sembra persino troppo, considerato il mio limitato campo di interesse. Ma poiché il Web offre una scelta complessiva di circa un miliardo di pagine, le probabilità di scoprire la mia sono all'incirca quaranta su un miliardo. Vale a dire che, se navigate a caso giorno e notte in rete fermandovi non più di dieci secondi su ogni sito, vi occorreranno otto anni prima d'incontrare un link alla mia homepage.
Tutti abbiamo interessi, gusti e valori diversi. I link che creiamo sulla nostra pagina Web riflettono tali differenze. Stabiliamo connessioni con pagine di ogni tipo, dai siti sull'arte tribale africana ai portali di commercio elettronico. Considerando che possiamo scegliere fra oltre un miliardo di nodi, ci si aspetterebbe che la configurazione finale dei link sia abbastanza casuale, il che significherebbe il trionfo del modello Erdõs-Rényi. Un Web casuale sarebbe il massimo veicolo di uguaglianza, perché la teoria dei due studiosi garantisce un elevato grado di somiglianza tra tutti i nodi, tutti dotati all'incirca dello stesso numero di link dall'esterno.
Le nostre misurazioni, però, smentiscono queste attese. La mappa riportata dal nostro robot diede prova di un alto grado di disparità nella topologia del Web. Delle 325000 pagine esaminate nel dominio della Notre Dame University, 270000 - l'82 per cento del totale - avevano tre link dall'esterno se non meno. Mentre una ristrettissima minoranza, 42 pagine circa, ne aveva più di mille. Misurazioni successive su un campione di 203 milioni di pagine Web rilevarono uno spettro ancora più ampio: nella stragrande maggioranza - qualcosa come il 90 per cento del numero complessivo - i documenti avevano meno di dieci link dall'esterno, mentre pochissimi - non più di due o tre - ne avevano quasi un milione!
Così come nella società umana pochi individui, i connettori, conoscono un numero insolitamente ampio di persone, l'architettura del World Wide Web è dominata da pochissimi nodi altamente connessi, o hub. Questi hub, come per esempio Yahoo! o Amazon.com, sono estremamente visibili: ovunque ci si sposti, si trova sempre un link puntato verso di loro. Nella rete del Web tutti i nodi poco conosciuti, scarsamente visibili e dotati di un esiguo numero di link sono tenuti insieme da questi rari siti altamente connessi.
Gli hub sono la più netta smentita alla visione utipica di un cyberspazio ugualitario.
Certo, tutti abbiamo il diritto di mettere in rete ciò che vogliamo. Ma qualcuno lo noterà? Se il Web fosse una rete casuale, tutti avremmo la stessa opportunità di essere visti e sentiti. Collettivamente creiamo in qualche modo gli hub: sono i siti a cui tutti si collegano. Facilissimi da trovare, si possono rintracciare in qualsiasi punto della rete. Al loro confronto il resto del Web è praticamente invisibile. Per qualunque obiettivo concreto, le pagine linkate da uno o al massimo due altri documenti praticamente non esistono. Sono quasi impossibili da individuare. Persino i motori di ricerca sono maldisposti nei loro confronti e, quando viaggiano nel Web alla ricerca dei nuovi siti appena usciti, le ignorano.

Albert-László Barabási - Link, la nuova scienza delle reti
(Esilio a Mordor, 30/06/2007)

Dai tempi in cui scriveva l'autore ungherese molte cose sono cambiate. Zuckerberg è giunto, portando una nuova tirannia simile a quella dei Borg di Star Trek: la massa informe e pulsante che è Facebook ha assimilato centinaia di milioni di persone. Qualcuno dirà come al solito che questa "è fantascienza". Invece è la nuda e cruda realtà dei fatti, che non ha proprio nulla di fantastico. Ogni resistenza è inutile, l'Alveare è ormai esteso sull'intero pianeta e divora interi popoli. Sotto la pressione della mostruosità di Zuckerborg, la Rete come la conoscevamo si affloscia, perde vitalità e avvizzisce giorno dopo giorno, mentre l'Alveare si ingigantisce a dismisura. Già si parla di una Grande Estinzione che farà sparire i siti web personali e gli ultimi residui blogosferici, esiziale come la catastrofe che ha cancellato i dinosauri sul finire del Cretaceo. Quando il processo si sarà completato, esisterà un unico hub: Facebook.