sabato 23 giugno 2018

IL TRAMONTO DELL'INGLESE COME LINGUA INTERNAZIONALE

Le genti vivono immerse in una spessa coltre di illusioni. Il mito della caverna narrato da Platone spiega la miserabile esistenza degli umani, che scambiano vane ombre proiettate da sagome per la realtà delle cose. Così credono che la lingua inglese sia al suo apogeo e irradi la luce del massimo splendore sul globo terracqueo, imponendosi dovunque, lingua franca dell'intero genere umano, destinata a soppiantare ogni altro idioma. Il sistema scolastico ha molto contribuito, unitamente ai media, a forgiare questa narrazione fallace. In fondo le semplici menti degli esseri umani sono ben comprensibili. Innanzitutto credono che l'insegnamento di una lingua debba per forza di cose corrispondere alla concreta esistenza di questa lingua come fenomeno assoluto, univocamente determinato e conoscibile, che non può dare adito a incomprensioni e ad ambiguità di sorta. Milioni di persone apprendono dalla maestrina qualcosa che chiamano "inglese", così tutti sono convinti che ad ogni singola parola scritta debba corrispondere una pronuncia universalmente riconoscibile senza difficoltà alcuna. Non può esistere inganno peggiore di questo!  

La perdita di unità della lingua inglese   

Immaginate un convegno sul destino del pianeta Terra, tenutosi nella città di Belloveso. Un climatologo americano di fama internazionale esponeva la sua relazione dopo quella di una ricercatrice del Politecnico. La donna parlava in uno pseudoinglese legnoso, caratterizzato da una rotica trillata al punto da sembrare un ringhio emesso facendo vibrare l'ugola. Nelle sue intenzioni, WI ARRA doveva significare "noi siamo". Il professore venuto dagli States, un ometto paffuto e grottesco, scandiva i suoi discorsi in una lingua tanto distante da quella dell'italiana da sembrare un vulcaniano o un klingoniano. Egli non usava rotiche trillate. Nessuna rotica finale di sillaba era da lui pronunciata. In altri contesti realizzava costantemente le rotiche come approssimanti labiali, ossia come /w/. Non solo, egli pronunciava allo stesso modo la consonante /l/ come /w/ in diverse posizioni, ad esempio quando preceduta da un'occlusiva. Così la parola climate "clima", che nell'inglese della Regina suona /'klaɪmɪt/, era da lui pronunciata QUAMA /'kwama/ o QUAME /'kwame/. La locuzione climate change era pronunciata addirittura in forma ridotta che noi trascriveremmo nell'ortografia italiana come QUAN C'È /kwan'tʃɛ/, con una /ɛ/ tonica nettissima e senza traccia di consonanti finali. Allora mi chiedo, una volta di più: "Può una persona che dice WI ARRA intendersi con una persona che dice QUAN C'È anziché /'klaɪmɪt 'tʃeɪndʒ/?" Santo Dio, no! Diabole Domine! Schweinegott Hundegott! No! Non è possibile. Troppa è la distanza tra i rispettivi sistemi fonemici. Quindi la relatrice del Politecnico e il professore americano non si comprendevano affatto. La prima usava una varietà semiortografica di pseudoinglese, di chiara origine scolastica. Il secondo agiva ispirandosi a un pensiero molto comune nel mondo anglosassone: "La mia lingua la parlo come voglio, sono gli altri che devono impararla, non sono io a dovermi abbassare al loro livello." A maggior ragione, gli studenti presenti nell'aula, un branco di stoltissimi Millennial adusi a ogni genere di droga e alle gangbang spermatiche, di certo non comprendevano nemmeno l'eco di una sillaba. L'accaduto è rappresentativo di ogni incontro tra persone di diverse nazionalità. Ognuno usa il proprio pseudoinglese, fingendo di capire l'altro. Se ho imparato a comprendere diversi tipi di pseudoinglese usati da studiosi anglosassoni, non lo devo certo alla scuola: è stata soltanto una lunga e paziente pratica ad insegnarmi. Se anche un giorno dovessi tenere in pubblico un discorso in inglese, userei di certo l'inglese della Regina, che in America si studia a scuola come una lingua morta. Tanto ci sarebbe la certezza che nessuno mi capirebbe e che le parole di qualsiasi interlocutore in fondo sono prive di qualsiasi importanza. "Il convegno è finito, andiamo su Youporn", questo pensa il branco degli studenti quando l'ultimo relatore ha esposto la sua presentazione. 

Una lingua incapace di unire

Se una lingua si frammenta in una miriade di varietà mutuamente inintelligibili o quasi, come può assolvere la funzione di lingua globale? La risposta è una sola: non può. Manca un'autorità centrale in grado di normare i fonemi e persino gli allofoni, di imporre una varietà prestigiosa che possa essere davvero comune a tutti. Lo stesso inglese della Regina ha un sistema fonetico di una grande complessità, le sue parole sono brevi e sfuggenti. Non è però un idioma condiviso, da milioni di persone è visto come preistoria, come se fosse una lingua morta del Neolitico. Comunque la si metta, non esiste una sola varietà di inglese che possa imporsi sulle altre. Non solo: non esiste una sola varietà di inglese che sia semplice. I problemi non si risolvono, si moltiplicano. Se una lingua ha fonemi che la maggior parte della popolazione non anglosassone sparsa per il globo terracqueo reputa ostici e fatica molto a distinguere, come può assolvere la funzione di lingua globale? Ancora una volta la risposta è una sola: non può.

Fraintendimenti

Posso trarre dalla mia memoria un gran numero di aneddoti in grado di illustrare ai lettori quanto sostengo. Ne riporto alcuni in questa sede. Un attempato giapponese faceva la fila all'autostazione e balbettava richieste di informazioni. La ragazza che distribuiva i biglietti lo ha indirizzato verso un pullman rosso, chiamandolo red bus. Peccato che il nipponico abbia capito bread bus, ossia "pullman del pane" o "pullman (fatto) di pane". Nonostante tutti i tentativi di spiegarsi, l'uomo insisteva, così la ragazza ha afferrato un oggetto di plastica rossa che aveva a portata di mano, scandendo con pazienza di Giobbe: "RED". A questo punto è stata compresa. Non mi è chiaro cosa possa aver ingenerato l'equivoco. Forse la rotica un po' uvulare della ragazza è stata analizzata come un nesso /br/. Se la lingua globale fosse lo spagnolo, termini come colorado o rojo non potrebbero essere fraintesi da nessuno: il loro suono sarebbe chiaro dall'Africa equatoriale alla Cina, anche tra genti che hanno rotiche diverse. Non sarebbe meglio per tutti? L'accaduto mi ha scosso: ancora adesso faccio fatica a capire come un giapponese possa trovare più logico pensare a un pullman che trasporta pane o a un pullman fatto di pane piuttosto che a un banalissimo pullman rosso. Anni fa il fraterno amico P. mi raccontò un singolare episodio che risaliva ai tempi in cui andava in vacanza negli States. Siccome tali vacanze comportavano l'obbligo di frequentazione scolastica, era facile incontrare in classe persone di mezzo mondo. Così P. era rimasto colpito da un giapponese che non riusciva ad articolare le parole più semplici, perché tentava disperatamente di ridurle ai suoni della propria lingua. Il ragazzo dell'Arcipelago aveva destato esilarazione pronunciando her house "la sua casa (di lei)" come whore house "bordello, postribolo". Non potendo pronunciare la vocale rotica di her /hə:ɹ/, la realizzava come una /ɔ:/ aperta e nettissima, collocando sulla sillaba un forte accento. Così se ne usciva con un /'hɔ:'haʊsu/ che per l'orecchio di un nativo era la casa delle puttane. Anche se house da quelle parti suonava /hɛɔs/ e non /haʊs/ come insegnato dai manuali, questa differenza non creava davvero problemi. La pietra dello scandalo era una sillaba che da pronome si trasformava in una fallofora. Sempre durante la stessa vacanza, l'insegnante, una giovane donna, rivolse una strana domanda alla scolaresca. Chiese a ciascuno cosa facesse venire in mente il termine Puritans. Quando fu il suo turno, un indostano scattò sull'attenti, esclamando: "PISS AND MORALITY!" L'insegnante rimase raggelata. Naturalmente il giovane hindu non intendeva dire che i Puritani si riunivano per fare sessioni di pissing. La parola da lui pronunciata /pɪs/ con una /ɪ/ breve e aperta, doveva invece essere /pi:s/ con una /i:/ lunga e chiusa, ossia peace "pace"

La piaga delle pronunce ortografiche

Molte forme di pseudoinglese italico sono caratterizzate da veri e propri fonemi intrusivi. Il fenomeno, di per sé disdicevole e ripugnante, nasce dal fatto che gli studenti apprendono la lingua scritta a scuola, pensando che la lingua parlata sia soltanto il risultato dell'applicazione di regoline, regolette, regolucce e regolacce. Questo risultato, chiamato "pronuncia", è visto come qualcosa di secondario rispetto alla lettera. Non è altro che l'output di un software mentale che macina lettere. L'idea che la lingua parlata sia venuta prima di quella scritta è lontanissima dalle menti di questi decerebrati, che si sottomettono ai dogmi delle maestrine. Peggio ancora, essi professano queste storture in modo fideistico. Complice l'ignoranza belluina del corpo docente, questi branchi di alunni trovano che nulla sia più naturale dell'attribuire un suono a lettere mute, dando origine a moltissimi obbrobri. Così knee "ginocchio", che suona /ni:/, lo realizzeranno come KNI o addirittura come KINÌ. Famoso poi è il caso di iron "ferro", che suona /'aɪən/ e che è pronunciato AIRON dalle scolaresche italiche - come se fosse scritto EYE RAWN. Se la pronuncia ortografica è spinta, ecco che I know "io so" può suonare addirittura AI KANÒV o AI KANOVA, col pronome ben staccato e accentato quanto il verbo. Appurato che il suono trascritto col dittongo ea è spesso /i:/, molti pronunciano /i:/ tutte le parole con un dittongo ea, anche quelle in cui la vocale è una /e/ breve. Così lead "piombo" è da loro pronunciato come se fosse *LEED, e persino heavy "pesante" è pronunciato come se fosse *EEVY. A volte questo fenomeno colpisce anche parole senza dittongo grafico: devil "diavolo" è spesso pronunciato come se fosse *DEEVEEL o *DEEVAWL. Si può ben capire che i parlanti di un simile pseudoinglese non riconosceranno le parole native; allo stesso modo le loro aberrazioni non saranno riconosciute dai parlanti anglosassoni. I docenti mostrano verso tutto ciò un'incredibile tolleranza. Alcuni di loro sono convinti che lo schifo appena esposto sia "inglese" a tutti gli effetti, tanto sono asini. Altri invece sono consapevoli degli errori degli alunni, ma non hanno determinazione sufficiente per correggerli, anche perché plasmare i giovani stolti a suon di sganassoni è diventato illegale.

Il mito dell'accento

Cosa accade quando uno studente si reca in Inghilterra o in America e constata l'assoluta incomunicabilità? Semplice: dà la colpa a un mostro fantomatico che chiama "accento". La situazione classica è quella del giovane che sbandiera titoli, esami e quant'altro, ma dice di avere un "accento italianissimo" e di trovare difficile l'inglese parlato. In realtà l'accento qui non c'entra proprio nulla, dato che siamo di fronte a un problema di riconoscimento dei fonemi. Se in un dialetto del Regno Unito abbiamo una vocale /ɔ/ aperta nella parola stop, mentre in un dialetto americano abbiamo /a:/ e la pronuncia è /sta:p/, l'intonazione delle frasi non è nemmeno chiamata in causa, dal momento che la difficoltà è che nelle due parlate alcune parole sono realizzate usando due fonemi tra loro dissimili. Se io conosco la pronuncia /stɔp/ e mi trovo ad ascoltare un parlante che usa /sta:p/, può mancarmi la possibilità di identificare la parola nei suoi discorsi. Me la immaginerei addirittura scritta *STARP e non ne capirei la natura. C'è tuttavia di peggio. Su Quora in inglese, l'utente brasiliano Ygor Coelho ha scritto quanto segue (la traduzione è mia): «Non solo l'inglese è parlato molto velocemente dalla maggior parte dei parlanti, ma è anche una lingua con un uso molto intenso del sanddhi (connessioni di suoni tra le parole), che spesso cambia o porta via qualcosa dalla sillaba immediatamente precedente. Il risultato è che l'inglese parlato, della strada, è spesso estremamente difficile da distinguere parola per parola. Diventa tutto un unico, molto lungo borbottio, molte sillabe connesse l'una all'altra, e tui spesso non hai abbastanza tempo per pensare "vediamo, questa parola finisce qui, quest'altra inizia là", in modo tale da decodificare le frasi. Oltre a questo, le variazioni dialettali, specialmente nella pronuncia delle vocali, possono essere molto vaste in inglese, accrescendo ulteriormente la difficoltà di decodificare parola per parola una lunga sequenza di parole.» 

L'ascesa dello spagnolo

L'utente Alfonso Garcia, sempre su Quora, ricorda che lo spagnolo è usato dal 15% dei cittadini dell'Unione Europea, per un totale di circa 75 milioni di persone. Inoltre cita altri dati molto interessanti: 

1) Lo spagnolo è parlato da 55 milioni di persone negli USA; 
2) Lo spagnolo è obbligatorio in alcune scuole cinesi. Il Governo studia di renderlo obbligatorio in tutte le scuole. Lo stesso accade nelle Filippine; 
3) Lo spagnolo è la lingua straniera più importante nel futuro del Regno Unito, come sostenuto da un nuovo studio del British Council;
4) La popolarità dello spagnolo sta crescendo in Africa. È parlato da circa 10 milioni di persone in tale continente (Marocco, Sahara, Isole Canarie, Guinea Equatoriale, etc.);
5) Lo spagnolo è la seconda lingua in Antartide, dopo l'inglese. Ci sono stazioni di ricerca di Argentina, Cile, Spagna, Perù, Uruguay, etc.
6) È parlato da circa mezzo milione di persone in Oceania (minoranze in Australia, Nuova Zelanda, Isola di Pasqua, Hawaii, Guam, etc.);
7) È parlato da 575 milioni di persone in tutto il mondo. Inoltre, il portogese è parlato da 250 milioni di persone, e l'italiano da 75 milioni di persone. Così tu puoi capire, con diversi gradi di comprensione, circa 900 milioni di persone; 
8) In Duolingo, lo spagnolo è studiato da 145 milioni di persone. Molto più del francese, del tedesco o del cinese;
9) Infine è la seconda lingua più usata su Facebook e su Twitter. 

Che dire? Se davvero la Cina dovesse rendere obbligatorio lo studio dello spagnolo in tutte le sue scuole, l'ispanofonia diverrebbe una marea inarrestabile, un vero e proprio tsunami. Anche perché i cinesi le lingue le imparano davvero.

8 commenti:

Albedo ha detto...

 “ Vi è un solo modo per imparare con sicurezza la pronuncia inglese, e consiste nell’ apprendere la pronuncia di ogni singolo vocabolo, allo stesso modo che se ne impara l’ortografia ed il significato. Le irregolarità, le eccezioni ed i contrasti che si riscontrano nella fonetica inglese sono tanti che solo più tardi, quando ormai si conosca per pratica la pronuncia di centinaia di parole, le regole, cioè la constatazione di uniformità ed analogie, riescono di qualche utilità.” Da Alessandro Polo, Grammatica metodica della Lingua inglese, Editrice Canova, Treviso, 1948 

Albedo ha detto...

 Mi ricordo che tempo fa mi aveva colpito il commento che ho sopra riportato. Sembra che l'alfabeto latino sia semplicemente insufficiente, come quantità di segni, a rappresentare i numerosi fonemi della lingua inglese. E' come se l'inglese scritto e l'iinglese parlato viaggiassero su binari diversi e questo farà si che non si possa affermare un'autorità centrale in grado di omogeneizzare l'uso della lingua a livello planetario

Antares666 ha detto...

Bentrovato, carissimo Albedo! Grazie dell'intervento. Ormai la scrittura dell'inglese non è più davvero alfabetica. Anche a costo di apparire provocatorio, dirò che deve essere considerata una scrittura geroglifica. Le parole sono come ideogrammi, le lettere non svolgono più la funzione di trascrivere i fonemi. Le varietà dell'inglese parlato divergeranno tra loro a tal punto che daranno origine a un nuovo gruppo di lingue la cui ascendenza comune sarà persino difficile dimostrare - posto che il genere umano vivrà abbastanza a lungo.

Albedo ha detto...

 Andando OT, nel caso iin cui tu lo abbia letto, volevo chiederti un parere su Ancillary Justice di Ann Leckie, premio Nebula 2013. 

Antares666 ha detto...

Purtroppo non l'ho letto. Quando avrò rimediato alla mancanza, pubblicherò di certo una recensione.

Albedo ha detto...

 Nemmeno io, ma vorrei ordinarlo in libreria

J.M.R. ha detto...

 Ciao! Ecco il vero metodo per pronunciare l'inglese, secondo lo scrittore Alfred d'Almbert nel libro "Flânnerie parisienne aux États Unis". Ad esempio, la parola "flirtation": 
«On prononce "fleutechione". Cela ne doit pas vous étonner, pour peu que vous ayez la moindre notion de la langue anglaise. Cet idiome, dont le but final parait être le contre-sens, ne comporte qu'une énonciation vocale diametralement opposée a la valeur des lettres dont se composent les mots ; si vous voulez prononcer juste, dites le contraire de ce que vous voyez écrit.»
Ecco com'é facile l'inglese!
Un abbraccio e buona estate.

Antares666 ha detto...

Bentrovato, carissimo J.M.R.! Ti ringrazio dell'utilissimo intervento. In effetti quello da te suggerito sarebbe un ottimo metodo: traslitterare ogni singola parola permetterebbe di evitare errori grossolani e funesti, visto che il sistema scolastico non abbandonerà mai l'idea di partire dalla lingua scritta.
Ricambio l'abbraccio, buona estate anche a te!