sabato 10 giugno 2017

DIPARTITE 

Alle dieci e quaranta del 30 giugno 2016, nel bel mezzo dell’ultima lezione del corso di Letteratura apoftegmatica, il professor Fabbri fu colpito da un ictus cerebrale fulminante: impallidì di colpo e si accasciò al suolo senza vita. Dal pubblico di studenti presenti in aula si levò un mormorio di sgomento. I giovani esitarono ad accostarsi al vegliardo, temutissimo a causa del suo carattere dispotico. L’accademico aveva assunto al momento della caduta la posizione caratteristica dei cadaveri composti nelle bare: braccia distese lungo i fianchi, gambe diritte. Si verificò un incidente curioso e inesplicabile: un merlo, introdottosi nell’aula dal lucernario, si posò sulla fronte dell’accademico e gli beccò il naso. Dopo un quarto d’ora sopraggiunse un’ambulanza: il personale dopo aver constatato il decesso del professore decise di non rimuoverne il corpo, la cui stazza pachidermica avrebbe richiesto come minimo l’utilizzo di un paranco. Si convenne di lasciare l’ingrato compito all’impresa di pompe funebri, già allertata. Gli studenti abbandonarono speditamente l’aula. All’arrivo dei necrofori, l’ambulanza prese il largo. I portieri dell’università, individui dall’aria patibolare, furono allontanati con modi spicci. Fatto ciò, i necrofori si misero all’opera. La salma del professor Fabbri fu fatta rotolare su un materasso gonfiabile analogo a quelli utilizzati dai pompieri, che fu poi gonfiato mediante un compressore, quindi venne deposta in un feretro collocato su un carrello elevatore elettrico porta barelle, e di qui fatta scivolare nel vano dell’auto attrezzata per il trasporto. Tutto si svolse celermente e senza intoppi. La moglie, in vacanza studio a Capo Verde con un’amica, raggiunta telefonicamente dal vicerettore, lanciò grida acutissime, assordanti, placandosi solo in seguito alla promessa di una cerimonia funebre suntuosa a spese dell’ateneo. Dopo meno di un’ora, sul cortile della facoltà di Lettere calò il silenzio.

Pietro Ferrari, giugno 2016

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