venerdì 27 ottobre 2017

NOTE SUL LAVORO DI BUIDE DEL REAL

Francisco Javier Buide del Real (Pontificia Università Gregoriana) è l'autore della tesi La evangelización de la Gallaecia sueva. Entre paganismo y cristianismo (ss. IV-VI). Un consistente estratto è consultabile e scaricabile al seguente url:


Questo è l'indice dell'opera (in lingua spagnola):

Introducción
Planteamiento de estudio . 5
Contenido de esta publicación . 8
1. Evangelización y conversión en un ambiente pagano . 10
1. Introducción: misión y conversión cristiana . 10
2. Algunos aspectos de la evangelización de Occidente y su aplicación a la Gallaecia . 33
2.1. Evangelización rural, villas y aristocracias . 33
2.2. Primeras comunidades, ascetismo y monacato . 49
2.3. Evangelización y grupos sociales . 54
3. El caso del priscilianismo . 57
2. Paganismo y cristianismo en la Gallaecia sueva y Martín de Braga . 69
1. El paganismo del siglo VI . 70
2. La evangelización de Braga: del estudio precedente a las obras de san Martín . 79
Conclusiones . 87
Siglas y abreviaturas . 93
Bibliografía:
Autores antiguos (fuentes) . 95
Autores modernos (estudios) . 99
Índice de la tesis . 111

Per essere un lavoro di un centinaio di pagine sulla cristianizzazione degli Svevi nella Galizia, si distingue per una peculiarità davvero degna di nota: non cita nemmeno il nome di un singolo svevo e non discute nemmeno di striscio la natura del paganesimo da cui questo popolo sarebbe stato convertito al cristianesimo. A dispetto del titolo, questo non è nella buona sostanza un lavoro sugli Svevi di Galizia e non aiuta per nulla a comprendere gli eventi storici di cui l'autore afferma di voler trattare. A quanto pare Buide del Real non ha fatto il minatore di dati, non ha scandagliato le fonti a disposizione cercando di mettere assieme qualcosa di convincente sul popolo germanico migrato nella penisola iberica. O forse la sua prospettiva è diversa dalla mia, non gli interessa minimamente quanto interessa a me, dato che è in buona sostanza un romanista: per lui tutto è centrato sulla latinità e sul mondo classico, mentre i cosiddetti "barbari" sono ridotti a un nulla senz'anima e senza nome. Fatto sta che mancano dati importanti. Si conferma il principale difetto della Scienza moderna, ammalata di articolite acuta e incapace di sintetizzare lo scibile - specie su argomenti negletti e sprofondati nell'Oblio come quello della presente tesi.

In realtà non è così difficile recuperare qualche informazione e dedurre qualcosa di utile.
Questa è una lista di sovrani degli Svevi di Galizia:

Hermeric, c. 409–438
Heremigarius, 427–429, capo in Lusitania
Rechila, 438–448
Rechiar, 448–456
Aioulf, 456–457, straniero, forse designato dai Visigoti
Maldras, 456–460, in opposizione a Framta dopo il 457
Framta, 457, in opposizione a Maldras
Richimund, 457–464, successore di Framta
Frumar, 460–464, successore di Maldras
Remismund, 464–469, riunificatore degli Svevi
Hermeneric fl. c. 485 (periodo di oscurità)
Veremund fl. 535 (periodo di oscurità)
Theodemund fl. VI secolo (periodo di oscurità)
Chararic, dopo c. 550–558/559, alcuni dubitano della sua esistenza
Ariamir, 558/559–561/566
Theodemar, 561/566–570
Miro, 570–583
Eboric, 583–584, deposto e messo in un monastero da Andeca.
Andeca, 584–585, deposto e messo in un monastero da Leovigildo.
Malaric, 585, si oppose a Leovigildo e fu sconfitto.

Si possono fare alcune utili considerazioni su questo materiale onomastico. Questi Svevi, pur mantenendo la loro lingua, tendevano a parlare anche quella dei Visigoti.  

L'etimologia di Aioulf è chiara: corrisponde al gotico *Agjawulfs "Lupo del Filo di Spada". Si trova un identico antroponimo nella tradizione anglosassone: Eggwulf, Ecgwulf. Ci è noto un vescovo di Londra che portava questo nome e che visse nell'VIII secolo. Alcuni identificano Aioulf con un certo Agiulf, che però è un antroponimo diverso: si tratta del gotico *Agiwulfs, formato a partire da agei, agis "paura". Non mi convince affatto l'ipotesi che Aioulf possa essere spurio e dovuto a una trascrizione difettosa.

Notiamo la coesistenza di -mir (gotico) con -mar (genuinamente svevo).
Il nome Ariamir ha un aspetto gotico ben chiaro: possiamo ricostruire la sua forma originale come *Harjamers, con regolare mutamento da /e:/ a /i:/.
Allo stesso modo Miro "Il Famoso" corrisponde al gotico *Merja, che mostra le stesse caratteristiche germaniche orientali, in netto contrasto con il trattamento occidentale della vocale proto-germanica /æ:/, che la ha trasformata in /a:/ già in epoca precoce, come mostrato dall'antroponimo marcomanno Ballomar (II sec.).

Il fatto che il primo concilio di Braga (561) vietasse ai membri del clero di portare i capelli raccolti nel caratteristico nodo suebo, denominato "granos" (gotico granos "trecce", nome pl. di genere femminile), è la prova che il paganesimo e i suoi costumi sopravvissero molto a lungo.

giovedì 26 ottobre 2017

NOTE SUL LAVORO DI AIKIO

Ante Aikio (Sámi University of Applied Sciences) è l'autore di diversi lavori sulla preistoria della lingua dei Saami, più noti come Lapponi. Il più notevole è a mio parere An Essay on Substrate Studies and the Origin of Saami (2004), scaricabile e consultabile al seguente url: 


Trovo che sia un ottimo articolo per la mole dei dati che riporta, peccato che difetti un po' di struttura sistematica nell'elencare e discutere i lemmi del sostrato pre-uralico nella lingua dei Saami. Sull'account dello stesso Aikio su Academia.edu si trovano anche altri suoi articoli molto utili, come ad esempio An Essay on Saami Ethnolinguistic Prehistory (2012): 


Esistono numerosi vocaboli che non hanno corrispondenza alcuna in altre lingue uraliche, o che hanno corrispondenze limitate soltanto nelle lingue uraliche finitime (finnico, carelio). Spesso cambiano da una varietà all'altra della lingua dei Saami, mostrando caratteristiche fonetiche che non si trovano affatto nel materiale uralico ereditato. I lemmi in questione sono i resti di una o più lingue pre-agricole del Paleolitico, sopravvissute fino in epoca storica e poi gradualmente scomparse.

Riporto un elenco dei lemmi Saami pre-uralici per area semantica, in prevalenza tratti dai lavori di Aikio. Dove non specificato, si tratta delle forme del Saami settentrionale. 

1) Uccelli

állat, állap- "zigolo delle nevi"
biehkan "poiana calzata"
bovttáš "pulcinella di mare"
bupmálas "fulmaro nordico"
cagan "beccaccia di mare"
čielkkis "alca dal becco nero"
fiehta, fiehttag- "anatra tuffatrice"
giron "pernice bianca delle rocce" < *kierun
goalsi "smergo maggiore" (Mergus merganser)
guovssat "ghiandaia siberiana"
hávda "edredone"
jiesmi "giovane cigno"
láfol "piviere eurasiatico"
lidnu "gufo reale"
loađgu "gufo dalle orecchie corte"
skuolfi "gufo", spec. "gufo delle nevi"
sopmir "gabbiano" (forse Larus fuscus)

2) Pesci

beahcet "coda di pesce"
cuohppa "carne di pesce"
dápmot "trota bruna"
golis "luccio gigante"
guvža "trota di mare"
sálga "pezzo di carne di pesce" (in una zuppa)
šuorja "squalo gigante"
veaksi "pinna"
valas "salmerino rosso" (che vive nell'oceano)

3) Mammiferi marini

áidni "foca barbuta"
buovjja, buovjjag- "beluga"
deavut "foca grigia"
jeagis, jiegis "foca barbuta"
jiepma "giovane foca"
morša "tricheco"
noarvi "foca"
njuorju, njuorjju "foca"
oaidu, oaiddu "foca dagli anelli"
riehkku "foca screziata di media taglia"
roahkka "foca comune"
skávdu "foca vitulina di due o tre anni"
vieksi "giovane foca comune"

4) Mammiferi terrestri e d'acqua dolce

čearpmat "renna di un anno"
čeavrris "lontra"
čoavččis "renna femmina che ha perso il cucciolo"
čora "piccolo gregge di renne"
fuo
đ'đu "animale selvatico"
gabba "renna albina"
gákšu "lupa, orsa"
geatki "ghiottone"
gumpe "lupo"
guoksi "castoro di un anno"
guovža
"orso" (stessa radice del finnico dial. kontio)
luohpet "renna di un anno che ha figliato"
miessi "vitello di renna o di alce"
njálla "volpe artica"
nulpu "maschio della renna che ha perso le corna"
o
đgi "giovane volpe"
rotnu "renna sterile" (presente in finnico runo, forse
     passato in norreno)
ruomas "lupo"
sáhpán "topo"
vuobirs "maschio di renna di tre anni"

5) Altri animali

cuoppu "rana" (cfr. finnico sammakko)
heavdni "ragno"

6) Paesaggio e natura

ája, ádjag- "sorgente"
ádju "brughiera, landa"
á
đga "terreno erboso lungo un fiume"
balsa "mucchio di torba ghiacciata"
bákti "scoglio, roccia"
bárši "montagna isolata"
beaski "passo (tra le montagne)"
biedju "covo"
bovccis "canale laterale di un fiume"
bovdna
"collinetta in una palude"
cahca, čahca "passo stretto" (tra montagne o stagni)
ceavnnit (pl. tantum) "terreno impercorribile"
coagis "secca"
čavil, čavilg- "distesa selvaggia"
čára- "lago elevato" (conservato solo nei toponimi)
čiegar
"pascolo invernale"
čier'ri "terreno ghiaioso"
čiest- "scogliera" (conservato solo nei toponimi)
čoardá
"guado; percorso carsico"
čunu, čudno- "sabbia fine"
dievvá "collina"
fielbmá, vielmmis
"fiume piccolo ma profondo"
fieski "pascolo invernale"
gea
đgi "pietra, roccia"
geavŋŋis "grandi rapide, cascata"
giezzi "corto fiume tra due laghi"
inč- "isola esterna" (conservato solo nei toponimi)
-ir "montagna" (suffisso toponimico)
itku
"luogo ombroso"
jalvi "tratto di acqua calma tra due rapide"
jargŋa "acqua aperta di un lago"
jassa
"chiazza di neve perenne che non si scioglie in
    estate"
jeahkk- "montagna isolata" (conservato solo nei
    toponimi)
jiertá, jierta
"montagna grande e rotonda"
juggi
"depressione nel terreno"
juovva "ghiaione"
liessu "tana di una volpe"
luohkká "pendio"
lusmi, luspi "sorgente di un fiume"
maras "foresta di betulle circondata da paludi"
njárga
"promontorio, capo"
njearri "piccole rapide"
nussir
"vetta, cima di montagna in una catena
     montuosa" (conservato solo nei toponimi)
ráktu "roccia piatta" 
ráš'ša "montagna alta e sterile"
riehppi "valle impervia"
roahpi "montagna rocciosa" (in Saami settentrionale
    conservata solo nei toponimi)
roavvi
"luogo dove c'è stato un incendio boschivo"
roggi "buco, cavità; valle fluviale"
ruovddáš
"restringimento in una gola"
s
áđgá, sáđgi "brughiera"
sáll- "isola maggiore nel mare" (conservato solo nei
    toponimi)
sátku
"luogo di sbarco"
skiehč(č)- "spartiacque, displuvio" (conservato solo
    nei toponimi)
suotnju "acquitrino pianeggiante"
suovdnji "buco scavato da una renna nella neve"
    (per cercare licheni)
suovka "boschetto denso"
uffir "mucchio di rocce", "pendio roccioso"
vielti "fianco di una collina"
vuotna "fiordo"

7) Neve, ghiaccio e clima  

addjo- "coprirsi di neve"
biegga
"vento"
bihci "brina"
bul
ži "copertura di ghiaccio"
ceavvi "neve dura, compatta"
ciehka, ciehki "nuvole di tempesta"
cuokca
"ponte naturale di ghiaccio e neve" 
časttas
"piccolo cumulo di neve dura"
dálki "tempo"
dierpmis "tuono; Thor"
duollu
"brina sul suolo"
goalki "tempo calmo"
jáldu "clima fresco in estate"
liehmu
"tempo mite" (in inverno) 
muovla, muovhla "neve profonda"
njáhcu "disgelo" (in inverno)
njea
đga- "infuriare" (detto di tempesta di neve)
oakti "acquazzone"
raššu "pioggia fredda e pesante"
roavru "ghiaccio con una cavità in mezzo"
ruokŋa "mancanza di neve"
rusta "nebbia gelata"
seaŋás "neve granulare"
seavdnjat "oscurità, tenebra"
sievla- "affondare nella neve soffice"
suobbat "ponte di neve" (in Saami settentrionale
     conservata solo nei toponimi)

suonjar
"raggio di luce"
suovvi "neve umida e appiccicosa"

vahca
"neve nuova"
va
ššu "vento brinoso"
váhčči "calma doppo la tempesta"
vuožži
"acqua sul ghiaccio"

8) Flora

gálva "betulla morta"
lageš "betulla montana rachitica"
lahppu "lichene"
skier'ri "betulla nana"
sie
đga "salice" (cfr. finnico sietki)
sie
đgavaššu "boschetto di salici" 
soahki "betulla" 
suostu "albero marcio"

9) Parti del corpo (umano e animale)

alesgahcin "una piccola ramificazione posteriore
    delle corna della renna"
bákša "ghiandola aromatica" (del castoro o
     dell'ermellino)
bea
đbi "scapola"
cabbi "osso pieno di midollo della zampa anteriore
    inferiore della renna"
čagar "pene"
čoamoahas "spalla" (come taglio di carne)
čuossi "pelle sulla fronte"
čeaska "omaso"
dábba "femore"
dieigu "radio" (osso)
doggi "abomaso"
fáhkká "polpaccio" (come taglio di carne)
feavli "buco della gamba in una pelle" (dove la pelle
    della gamba è stata tagliata)
gátnis "osso sacro"
giegir "trachea"
giehppi "cavità sotto la mandibola della renna"
gieldagas "tendine d'Achille" (della renna)
ginal "pezzo di mento" (su una pelle di renna)
guoccat "pene"
morči "grande vena"
muošmi "pelle tra la coscia e le costole"
námmi "pelle sulle corna della renna"
njiehcahas "osso pieno di midollo della zampa
    posteriore inferiore della renna"
noras "osso pieno di midollo della zampa superiore
    della renna"
ohca "seno, petto"
sáhppasat "intestino tenue
seahkku "lunghi peli sullo zoccolo"
siekkis "dito soprannumerario e rudimentale del
    cane"
skuogga "fanone"
skuoggir, skuoggun, skuoggum-
"osso etmoide"
urkádeahkki
"bicipite"
válká "grasso sul collo"
vuossa "grembo, ventre materno"

10) Strumenti e tecnologia  

beađŋŋis "posto per il piede sullo sci" (radice
    presente in finnico e in carelio)
bielbi "freccia"
fierbmi
"rete da pesca"
joddu "fila di reti da pesca" (radice presente in
    finnico, in carelio e in Veps)
lávvu "tenda"
liehkku "tavola superiore sul retro di uno scivolo"
njuor
šu "fuoco campale" (cfr. finnico nuotio)
puornâ
"cassa per le provviste di cibo" (solo in Inari
    Saami)
sabet "sci" (presente anche in finnico: sivakka)
sáibma "rete per pesci piccoli"
sátnja "rete da pesca smagliata"

11) Società

nisu "donna"
olmmoš "uomo, persona"
sássa "futura sposa, sposina, nuora"
šiehttat "fare un accordo"

12) Altro

alit "blu, azzurro"
allat
"alto, elevato"
atnit "usare"
bálgat "muoversi senza requie" (detto di renne)
bivvat "scaldare"
boahtit
"venire"
čáhppat
"nero"
čiekčat "dare un calcio"

čuovga
"luce"; "senso della vista" 

dielku "macchia"
fápmu "forza"
láhppit "perdere"
livvut "giacere, riposarsi" (detto di renne)
nagir "sonno"
njolgi "trotto di renna"
nuorra "giovane" (cfr. finnico nuori)
ravgat "cadere, collassare"
uhcci
"piccolo"
viske "giallo" (proto-Saami) 

Per completare il lavoro e renderlo davvero sistematico, bisogna scandagliare a fondo un utilissimo vocabolario Saami, basato sul lavoro di Lehtiranta, che si trova online al seguente indirizzo: 


Sono fornite le variazioni in tutte le forme regionali della lingua, con i parenti nelle altre lingue uraliche, dove ci sono. Quando si trovano forme di origine non indoeuropea presenti solo in Saami, si è identificato un lemma del sostrato - con buona pace dei chierici traditori denominati "antisostratisti".

Le parole pre-uraliche sono state prese a prestito nello stesso periodo in cui sono avvenuti i prestiti dal proto-scandinavo (si è ipotizzato dall'inizio dell'Era Volgare fino al 500 d.C.). Hanno infatti subìto successive mutazioni fonetiche che sono ben identificabili. Le forme originali avevano quindi un suono molto diverso. Solo per fare un esempio il Saami guovža "orso" e il carelio kontie "orso" risalgono entrambi alla protoforma ricostruita *kuomče: (resta da capire l'origine del dittongo, che non pare essersi originato da una vocale). In molti casi i mutamenti /a/ < /e:/ e /uo/ < /a:/ sono ben ricostruibili in quanto si trovano anche in parole di origine proto-germanica e norrena, cosa che permette di compiere la datazione dei vocaboli. Ad esempio il proto-germanico *langan- "uno degli stomaci dei bovini" (norreno langi) è stato preso a prestito in Saami, divenendo luogge "intestino retto".

Mi sembra che le informazioni raccolte siano cospicue. A questo punto il compito più arduo è capire quali siano le parentele più prossime di questo materiale paleolitico.

martedì 24 ottobre 2017


IL SETTIMO SIGILLO

Titolo originale: Det sjunde inseglet
Lingua originale: Svedese
Paese di produzione: Svezia
Anno: 1957
Durata: 96 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1,37 : 1
Genere: surreale, epico, drammatico
Regia: Ingmar Bergman
Soggetto: Ingmar Bergman (dal suo dramma Pittura
   su legno
)
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Produttore: Allan Ekelund
Casa di produzione: Svensk Filmindustri (SF)
Fotografia: Gunnar Fischer
Montaggio: Lennart Wallén
Musiche: Erik Nordgren
Scenografia: P.A. Lundgren
Costumi: Manne Lindholm
Trucco: Nils Nittel
Interpreti e personaggi   
    Max von Sydow: Antonius Block, il cavaliere
    Gunnar Björnstrand: Jöns, lo scudiero
    Bengt Ekerot: la Morte
    Nils Poppe: Jof
    Bibi Andersson: Mia
    Inga Gill: Lisa
    Maud Hansson: strega
    Inga Landgré: Karin Block
    Gunnel Lindblom: giovane che segue lo scudiero
    Bertil Anderberg: Raval
    Anders Ek: monaco
    Åke Fridell: Plog, il fabbro
    Gunnar Olsson: Albertus Pictor
    Erik Strandmark: Jonas Skat
Doppiatori italiani   
    Emilio Cigoli: Antonius Block, il cavaliere
    Pino Locchi: Jöns, lo scudiero
    Bruno Persa: la Morte
    Gianfranco Bellini: Jof
    Maria Pia Di Meo: Mia
    Vittoria Febbi: strega
    Lydia Simoneschi: Karin Block
    Renato Turi: Raval
    Ferruccio Amendola: il monaco
    Giorgio Capecchi: Plog, il fabbro
    Manlio Busoni: Jonas Skat
    Gualtiero De Angelis: predicatore
Titoli internazionali:  
  Germania: Das siebente Siegel
  Francia: Le septième sceau
  Regno Unito, USA, Australia: The Seventh Seal
  Danimarca: Det syvende segl
  Finlandia: Seitsemäs sinetti
  Grecia:
I evdomi sfragida
  Spagna, Messico: El séptimo sello
  Portogallo, Brasile: O Sétimo Selo 
  Polonia: Siódma pieczęć

Premi:    
   1) Festival di Cannes 1957: Premio Speciale della Giuria (ex aequo con I dannati di Varsavia di Andrzej Wajda)
    2) Seminci 1960: Lábaro de oro
    3) Nastro d'Argento 1961: regista del miglior film straniero
   4) Cinema Writers Circle Awards 1962 (Spagna): migliore film straniero
    5) Fotogramas de Plata 1962 (Spagna): migliore attore straniero (Max von Sydow)

Trama:

Danimarca, XIV secolo. Un'epoca calamitosa. La peste infuria, mietendo innumerevoli vite, tanto che le genti pensano che sia giunta la Fine dei Tempi. Alcuni si abbandonano ai bagordi, sperando di poter godere dei frutti della vita anche soltanto un gorno in più, mentre altri si uniscono ai Flagellanti e si sottopongono a pratiche di mortificazione cruenta nella speranza di ottenere la Salvezza. In questo desolante scenario, fa il suo ritorno dalla Terra Santa il cavaliere crociato Antonius Block, sempre accompagnato dal suo fedele scudiero Jöns. Subito si accorge di una figura che lo segue. Senza tanti preamboli, questo compagno di viaggio si presenta al Cavaliere: è la Morte, che è venuta a prenderlo. Antonius Block cerca di giocare d'astuzia per prendere tempo, così sfida la Morte a una partita a scacchi. La Morte acconsente. L'incontro di scacchi avviene in modo discontinuo, a più riprese, man mano che la narrazione si sviluppa. Nel corso del loro vagabondare per la Danimarca, in direzione di Elsinore (Helsingør), il Cavaliere e il suo fido scudiero si imbatteranno in numerosi personaggi stravaganti. Tra questi spiccano l'attore Jof e sua moglie Mia, che vivono nel loro carrozzone in condizioni di povertà estrema col loro figlioletto Mikael. Proprio questa fragile famigliola, che sembra estranea al mondo in rovina che la circonda, restituirà ad Antonius la speranza e forse anche un barlume di fede: egli intratterrà la Morte nella partita il tempo sufficiente per permettere ai saltimbanchi di allontanarsi e di sfuggire alla predazione. Quindi, raggiunto il suo castello avito, ritroverà la moglie e insieme ai suoi compagni si abbandonerà al destino incombente senza opporre resistenza.       

Recensione: 

Questo vibrante e immortale capolavoro apocalittico è la trasposizione in pellicola della pièce teatrale Trämålning, ossia Pittura su legno, dello stesso Bergman (1955). Il regista svedese ebbe l'ispirazone di trasformare in pellicola il dramma mentre ascoltava i Carmina Burana di Carl Orff. Il produttore, Allan Ekelund, sulle prime non volle saperne, forse perché pensava che il film sarebbe stato un clamoroso fiasco. Si mostrò più accomodante solo quando Sorrisi di una notte d'estate trionfò a Cannes. Pensate un po' che sarebbe successo se Ekelund avesse insistito con la sua ostilità al progetto e se Bergman non fosse riuscito a reperire le risorse necessarie: il genere umano avrebbe perso per sempre qualcosa di unico! 


Il Cavaliere rappresenta il tipico modello di uomo del Medioevo, scisso e conteso tra Bene e Male. Tuttavia in lui si è fatto strada qualcosa di completamente nuovo: il dubbio. Come un tarlo, questo dubbio esistenziale mina l'intero edificio cosmologico del personaggio, minacciando di provocarne il crollo. Egli ha visto tali e tanti orrori durante la crociata e l'imperversare della peste, da non avere più la granitica certezza dell'esistenza di Dio. Cerca in ogni modo di salvare la propria fede, perché se Dio non esistesse, tutto sarebbe un immenso vuoto senza senso alcuno. Tale è la sua disperazione che spera di ottenere lumi dalla Morte. Non riuscendo ad averne, si spinge anche più in là nella sua ricerca angosciosa. Quando una giovane strega sta per essere condotta al rogo dai soldati, il Cavaliere si avvicina con prudenza a lei e la interroga, chiedendole di poter parlare col Diavolo per chiedergli informazioni su Dio e sulla vita oltre la morte. Subito scoprirà che la donna è semplicemente folle e febbricitante, che nessuna delle parole da lei pronunciate ha alcun senso. Il Diavolo, che la strega afferma essere presente, rimane invisibile agli occhi del cavaliere. Il conflitto interiore di Antonius Block può essere visto come una metafora del XIV secolo, periodo cruciale in cui hanno cominciato a manifestarsi gravi inquietudini spirituali, la cui conseguenza è stata una prima crepa nell'edificio della Cristianità.    


Lo Scudiero, a differenza del Cavaliere, è sostanzialmente un uomo moderno e pragmatico. Nichilista, materialista e ateo, non crede alla Weltanschauung dell'uomo medievale. Tutto ciò che ha visto lo ha indurito. Del resto, tutte le argomentazioni sulla religione sullo Spirito non avevano su di lui alcuna presa già prima della partenza per la Terra Santa. Non gli difetta un certo acume, dato che riesce a smascherare gli inganni dei religiosi. Così ritrova il teologo Raval che ha indotto il Cavaliere ad arruolarsi e a partecipare alla crociata: lo riconosce e lo vede trasformato in un volgare ladro dedito allo sciacallaggio. Incontra un pittore e lo trova intento a dipingere una danza macabra, così si mette a discutere con lui, esprimendo i suoi dubbi su tale opera, colpevole a sua detta di spingere ancor più la gente disperata tra le braccia dei preti. L'artista, nichilista come il suo interlocutore, fa notare di rimando che quel dipinto rappresenta la realtà delle cose e che ognuno è libero di trarne le conclusioni che vuole. Sempre arguto, Jöns fa notare a una donzella che potrebbe violentarla ma che l'atto lo stancherebbe troppo. Nessuna Asia Argento-Giovanna d'Arco in vista in Danimarca, quindi la libertà di battuta è sacrosanta.


La Morte non fornisce alcuna informazione. È un immane buco nero concettuale, che tutto inghiotte senza restituire nulla. Se Stephen Hawking teorizza la possibilità di fuga di qualche radiazione e di informazione da un buco nero nato dal collasso di una stella, allora dobbiamo pensare che la Morte antropomorfa incontrata dal cavaliere sia ancora più nera di un buco nero. Pirandello sosteneva l'impossibilità di penetrare i misteri della nostra condizione a partire dalla nostra visuale: "Non possiamo comprendere la vita, se in qualche modo non ci spieghiamo la morte. Il criterio direttivo delle nostre azioni, il filo per uscir da questo labirinto, il lume insomma deve venirci di là, dalla morte." Eppure quando la Morte sentenzia e dialoga col Cavaliere, non le sfugge alcuna affermazione che possa fare chiarezza. "Forse è così, forse non esiste", afferma parlando di Dio, come se non potesse definire altrimenti il problema, lasciando l'interlocutore annichilito ma capace di proferire una grande verità: "Allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo che dovrà morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza." E ancora in un altro luogo del film essa afferma di non sapere alcunché: "Non mi serve sapere." La cosa ha una sua logica. Infatti alla Morte non serve conoscere. Essa arriva per ghermire la sua preda, non per discutere.

 

Il Guitto ha un'indole sognante ed è spesso colto da visioni allucinatorie, che tuttavia gli consentono talvolta di vedere cose che agli altri sfuggono. La moglie Mia lo schernisce, perché sa che egli ha l'abitudine di mentire e di parlare in modo iperbolico. Resta il fatto che non tutte le visioni del bizzarro saltimbanco sono del tutto vane. Se non possiamo credere che la Vergine Maria si sia davvero mostrata a lui nell'atto di incedere col Bambinello zampettante, verso la fine delle sequenze qualcosa cambia. Soltanto Jof è in grado di vedere la Morte che gioca a scacchi col Cavaliere, mentre gli altri credono che l'uomo conduca una partita solitaria. Il guitto, che riesce a percepire la presenza di Thanatos con gli occhi di carne, alla fine ne scorge la triste figura salire su un colle con il Cavaliere, lo Scudiero e tutti gli altri in fila, che procedono in una danza macabra verso la soglia da cui non c'è ritorno, verso l'annientamento. 


La partita a scacchi tra il Cavaliere e la Morte è stata ispirata a Ingmar Bergman da un affresco di Albertus Pictor nella chiesa di Täby. Senza dubbio è in assoluto uno dei motivi più potenti di tutta la storia del cinema. Moltissimi hanno ben presente le figure del Cavaliere e della Morte seduti davanti alla scacchiera, anche se poi non tutti hanno visto il film. In altre parole, queste immagini sono state scorporate dal loro contesto per diventare organismi memetici indipendenti e capaci di agire. Antonius Block crede fermamente di poter resistere alla Morte, di essere in grado, tramite l'intelletto, di ingannarla. Man mano che la battaglia procede, egli finisce logorato e commette piccoli errori che si accumulano, portando alla perdita della regina. Quando il mantello urta i pezzi, la Morte li dispone a modo suo con l'inganno e l'esito è segnato. La critica cattolica è avvezza a vedere nella fatidica partita la vittoria della fede su Thanatos, ma anche se così fosse si tratterebbe di una vittoria di Pirro. Sarebbe utile sapere cosa ne pensava lo stesso Bergman, che non era credente. Interessante la disamina di un wikipediano: "Nella analisi del film si legge che il cavaliere possiede la fede che però è oscurata al dubbio... Cosa sbagliata a mio avviso. Il film tratta della morte-silenzio di Dio, tematica molto legata al materialismo. Di questo sentimento si fa foriero Block e si può facilmente intuire come sia materialista, ancora più di quanto lo sia il suo scudiero, dalla scena, ad esempio in qui (sic) egli si confessa alla morte, chiedendo il perche (sic) appunto della non visibilità di Dio, volendo vederlo, conoscerlo a tutti i costi, poichè lo reputa una sostanza fisica da poter ipoteticamente uccidere. Invece lo scudiero, a mio avviso, rappresenta il raziocino (sic) puro, non contaminato da sentimenti di alcun tipo, cosa che può essere facilmente confondibile con il materialismo più rozzo." 


Anacronismi veri e presunti  

Alcuni sostengono che il Pittore fosse in realtà proprio Albertus Pictor, ma questo è impossibile: l'artista nacque intorno al 1440 a Immenhausen in Assia (Germania) e morì intorno al 1507 in Svezia - a quanto pare le date precise non si conoscono - quindi la sua vicenda terrena si svolse un secolo dopo i fatti narrati nel film. Questo errore è probabilmente dovuto anche al fatto che molti credono che Il settimo sigillo sia ambientato in Svezia, paese in cui Albertus Pictor fu attivo, mentre in realtà si svolge in Danimarca. La rappresentazione della danza macabra è documentata a partire dal XV secolo, ma essendo stata ispirata dalla Peste Nera del 1348 è ben possibile che sia più antica e che i primi dipinti di questo genere siano andati perduti. Non sono quindi sicuro che il tema sia anacronistico. I Flagellanti sono documentati in Danimarca già nel 1339 e non costituiscono un elemento incongruo. Numerose voci si sono levate per definire anacronismo la condanna al rogo della strega, ma questo non è di certo vero. Anche se la persecuzione sistematica delle streghe inizia nel XV secolo, è molto probabile che se ne dessero casi anche nei secoli precedenti, soprattutto in occasione di sciagure collettive. Non va dimenticato che la condanna al rogo delle streghe era già presente in epoca pagana. Nel mito finisce arsa viva Angrboða, lasciando tra le ceneri ardenti il cuore ancora palpitante, poi ingurgitato da Loki. Gli autori antichi ci tramandano che era costume tra i Celti ricercare le donne autrici di malefici e bruciarle vive. Il vero anacronismo, che a quanto vedo sembra sia sfuggito ai critici, è proprio la crociata. In concreto, a quale delle crociate si fa riferimento? Il film deve svolgersi intorno al 1350, perché in quel periodo la peste fece la sua comparsa in Danimarca, giungendo nel giro di poco tempo fino alla terra dei Lapponi. Quindi non si può trattare nemmeno della decima crociata (1271-1272). All'epoca in cui la grande epidemia di peste si diffuse in Europa, gli stati crociati di Oltremare erano da tempo estinti: San Giovanni d'Acri cadde nel 1291. Forse si allude alla cosiddetta crociata alessandrina del 1365? Inutile nascondere che gli eventi non collimano.       

Il settimo sigillo e il paganesimo

Non si deve dimenticare che le vicende narrate dal film si svolgono soltanto pochi secoli dopo l'affermazione della religione cristiana in Scandinavia. Di certo l'antico paganesimo non era così distante come potrebbe sembrare ai moderni. Ne è la prova l'importanza estrema dei portenti, chiamati rund in norreno (da non confondersi con l'omonima parola delle moderne lingue scandinave, rund "rotondo"). Turbamenti dell'ordine naturale sono descritti con forti accenti precristiani: 

«A Farjestad tutti parlavano di sinistri presagi e di altre orribili cose. Due cavalli si erano mangiati l'un l'altro di notte, e nel cimitero si erano scoperte le tombe, e i resti di cadaveri si erano sparsi dappertutto. Ieri pomeriggio sono stati visti quattro soli nel cielo.»

Sarebbe un errore credere che questo materiale abbia sic et simpliciter radici bibliche: all'Apocalisse si sovrappongono reminiscenze più antiche, incorporate nel complesso edificio della fede popolare. Pochi sanno che notevoli resti del paganesimo sono riusciti a perdurare in quelle terre settentrionali persino oltre la Riforma.

Citazioni: 

«Quando l'Agnello aperse il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz'ora, e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe.»
(Apocalisse 8,I)

«Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io... io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.»
(Il Cavaliere)

«Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura. Per la mia indifferenza verso il prossimo mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie.»
(Il Cavaliere)

«Ma perché, perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse, e preghiere sussurrate, e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi?»
(Il Cavaliere)

«Per dieci anni siamo stati laggiù lasciando che le serpi ci mordessero, le mosche ci divorassero, le fiere ci dilaniassero, gli infedeli ci accoppassero, il vino ci avvelenasse, le donne ci infettassero, le piaghe ci dissanguassero e tutto perché? Hah... per la gloria del Signore...»
(Lo Scudiero)

«In queste tenebre dove tu affermi di essere, dove noi presumibilmente siamo... in queste tenebre non troverai nessuno che ascolti le tue grida o si commuova della tua sofferenza. Asciuga le tue lacrime e specchiati nella tua stessa indifferenza...»
(Lo Scudiero)

«Scimmie tanto simili all'uomo da essere stupide quanto lui.»
(Lo Scudiero)

«In alto siede l'Onnipotente così lontano che è sempre assente, mentre il Diavolo suo fratello lo trovi anche al cancello.»
(Lo Scudiero)

«Mia! Li vedo, Mia! Li vedo! Laggiù contro quelle nuvole scure. Sono tutti assieme. Il fabbro e Lisa, il cavaliere e Raval e Jöns e Skat. E la morte austera li invita a danzare. Vuole che si tengano per mano e che danzino in una lunga fila. In testa a tutti è la morte, con la falce e la clessidra. E Skat è l'ultimo e ha la lira sotto il braccio. Danzano solenni, allontanandosi lentamente nel chiarore dell'alba, verso un altro mondo ignoto, mentre la pioggia lava e quieta i loro volti e terge le loro guance dal sale delle lacrime.»
(Il Guitto)

Dialogo tra lo Scudiero e il Pittore:
- Che cosa dipingi?
- La danza della morte.
- E quella è la morte?
- Sì, che prima o dopo danza con tutti.
- Che argomento triste hai scelto...
- Voglio ricordare alla gente che tutti quanti dobbiamo morire.
- Non servirà a rallegrarla...
- E chi ha detto che ho intenzione di rallegrare la gente? Che guardino e piangano.
- Aaah, invece di guardare chiuderanno gli occhi...
- E io ti dico che li apriranno... Un teschio, spesso interessa molto di più di una donna nuda.
- Se li spaventi però...
- ...Li fai pensare
- E se pensano...
- ...Si spaventano ancora di più.

lunedì 23 ottobre 2017


LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI

Titolo originale: Night of the Living Dead
Titoli alternativi: Night of the Flesh Eaters; Night of
    Anubis 
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1968
Durata: 96 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1.37:1
Genere: Orrore
Regia: George A. Romero
Soggetto: John A. Russo, George A. Romero
Sceneggiatura: John A. Russo, George A. Romero
Produttore: Karl Hardman, Russell Streiner
Fotografia: George A. Romero, Joseph Unitas
Montaggio: John A. Russo, George A. Romero
Effetti speciali: Tony Pantanello, Regis Survinski
Musiche: AA.VV., Karl Hardman, Marilyn Eastman, George
     A. Romero
Trucco: Bruce Capristo, Karl Hardman
Interpreti e personaggi   
    Duane Jones: Ben
    Judith O'Dea: Barbara
    Karl Hardman: Harry Cooper
    Marilyn Eastman: Helen Cooper
    Keith Wayne: Tom
    Judith Ridley: Judy
    Kyra Schon: Karen Cooper
    Charles Craig: radiocronista
    S. William Hinzman: zombie del cimitero
    George Kosana: sceriffo McClelland
    Russell Streiner: Johnny
    Bill Cardille: cronista
Doppiatori italiani   
    Giancarlo Maestri: Ben
    Ada Maria Serra Zanetti: Barbara
    Carlo Sabatini: Harry Cooper
    Adriana De Roberto: Helen Cooper
    Sergio Di Stefano: Tom
    Rino Bolognesi: Radiocronista
    Emilio Cigoli: Radiocronista
    Pierangelo Civera: Johnny
Premi: National Film Registry (1999)


Trama: 

Barbara e Johnny Blair stanno viaggiando in auto nelle campagne della Pennsylvania, dirigendosi al cimitero in cui è sepolto loro padre per deporre fiori sulla sua tomba: si tratta della loro visita annuale al defunto genitore. A un certo punto, mentre si trovano tra le tombe, Barbara è attaccata da un uomo alto e dai movimenti impacciati, dotato di forza sovrumana. Johnny cerca di difendere la sorella, ma viene gettato contro una lapide e finisce ucciso. La donna fugge a gambe levate e riesce a raggiungere l'auto, che però a un certo punto si schianta. Segue una corsa precipitosa fino a un casolare. Il telefono è isolato e al piano di sopra la proprietaria giace morta, ormai in avanzato stato di putrefazione, col cranio fracassato. A un certo punto entra in scena Ben, un robusto mandingo che con grande coraggio combatte contro i morti viventi che in numero sempre maggiore cercano di entrare nell'abitazione. Mentre Barbara gradualmente perde il contatto con la realtà, Ben organizza la resistenza contro gli assedianti, inchiodando tavole di legno alle finestre. Appena l'afroamericano scopre che i mostri temono il fuoco, ha l'idea di usare del combustibile per incendiarli e compie una sortita con una torcia dopo aver spinto fuori una poltrona in fiamme. Nella casa ci sono altre persone che vi hanno cercato un riparo: una coppia di fidanzati e i coniugi Cooper con la figlioletta, che risulterà malata a causa del morso di una creatura cadaverica. La televisione della casa funziona e trasmette notizie sull'accaduto: una sonda esplorativa di ritorno da Venere ha irradiato la Terra, contaminandola e dando origine a un'epidemia apocalittica che colpisce i morti rianimandoli. I cadaveri il cui cervello non è danneggiato risorgono ineluttabilmente, aprono gli occhi e sono presi da un'irrefrenabile bramosia cannibalica. Mordendo un vivo lo trasformano in un loro simile e possono essere uccisi soltanto col fuoco o lesionando loro il cervello. Ecco perché Ben è riuscito ad abbatterne un certo numero colpendoli con una spranga, mentre i colpi di fucile nel petto non li fanno neanche barcollare. I tentativi di rompere l'assedio finiscono in tragedia. I fidanzati finiscono bruciati vivi mentre tentano di fuggire con un furgone; la bambina, che già stava banchettando con le carni del padre da poco spirato, uccide la madre in modo crudelissimo. Barbara si ritrova davanti il fratello redivivo. L'orrore procede in crescendo, verso il finale annichilente.         

   

Recensione: 

Questo film, pietra miliare del cinema horror, deve essere a pieno titolo ascritto anche al genere fantascientifico. Molti si stupiranno di questa classificazione, essendo abituati a separare nettamente l'horror dalla Science Fiction. A costoro faccio notare una cosa: il fattore scatenante che porta all'Apocalisse degli Zombie è una sonda che torna da Venere riversando sulla Terra una quantità immane di radiazioni di origine sconosciuta. Mentre Rabid di Cronenberg (1977), che trae ispirazione dall'opera di Romero, può essere classificato come fantamedicina, Night of the Living Dead è della stessa natura de Il villaggio dei dannati di Wolf Rilla (1960), tratto dal romanzo fantascientifico I figli dell'invasione di John Wyndham (1957). Questo romanzo a sua volta presenta analogie con Il giorno dei trifidi (1951), sempre di John Wyndham, in cui compare la stessa idea di una catastrofe importata sulla Terra dallo spazio esterno. A mio avviso questo paragone regge, anche se Il giorno dei trifidi appartiene propriamente alla fantabotanica, dato che la specie invasiva è un mostruoso vegetale. La comparsa improvvisa degli zombie nel film di Romero, dei bambini mutanti nel film di Rilla e dei trifidi nel romanzo di Wyndham ha cause molto simili, per quanto la Scienza si dimostri incapace di sondarle e di fornirne una descrizione pienamente razionale.


L'ultimo uomo sulla Terra

La genesi del capolavoro di Romero è complessa. Il romanzo da cui deriva il tema del Superstite, l'ultimo uomo sulla Terra assediato da mostri, è I Am Legend (Io sono leggenda aka I vampiri) di Richard Matheson, pubblicato per la prima volta nel 1954. Si tratta di un robusto horror fantascientifico fondato su un'idea innovativa e geniale. Se le classiche storie di vampiri immaginano un non morto immerso in un mondo di esseri umani, qui avviene un'inversione: un essere umano costretto a sopravvivere in un mondo di non morti, con tutto quello che ne consegue. Proprio come nel film Rabid di Cronenberg, in I Am Legend un agente patogeno, per la precisione un batterio, trasforma tutti gli umani infettati in vampiri, diffondendosi a macchia d'olio. Nel romanzo di Matheson il morbo finisce con l'estendersi all'intero pianeta risparmiando soltanto un uomo, Robert Neville. Oltre che nel film di Romero, il tema di I Am Legend è stato trasposto più volte in pellicola: The Last Man on Earth di Ubaldo Ragona e Sidney Salkow (1964), The Omega Man di Boris Sagal (1971) e I Am Legend di Francis Lawrence (2007).   


Zombie, politica e cannibalismo

Molti critici hanno cercato di proiettare sugli zombie le proprie categorie mentali e politiche, vedendoli come metafore dei sovietici o dei Viet Cong. Per la verità a quell'epoca non c'era una sola cosa sotto il cielo d'America che non fosse interpretata in funzione della guerra fredda o del conflitto in Vietnam. Siccome le febbri politiche ardevano con incredibile virulenza, contagiando tutto e tutti, ci sarebbe semmai da pensare di paragonare tale patologia mentale all'epidemia zombificante descritta da Romero. Per altri il film sarebbe una critica della libera ed eccessiva circolazione delle armi tra i cittadini americani, ma questa idea non mi sembra troppo furba, dato che proprio le armi hanno parato il culo ai pochi superstiti della Zombie Apocalypse, che altrimenti non avrebbero potuto salvarsi. La spiegazione più probabile del capolavoro di Romero è anche la più lampante: si tratta di un'opera sul cannibalismo, che sonnecchia in molti umani aspettando di emergere al momento opportuno. Le analogie più forti sono col mito di Wendigo. Secondo la tradizione degli indiani Algonchini, una persona che violando il tabù si nutre di carne umana, è destinato a trasformarsi in un mostro umanoide e antropofago chiamato per l'appunto wendigo o windigo (derivato dal proto-algonchino *wi·nteko·wa "che ha l'aspetto di un gufo") A questo demone si attribuisce il potere di trasmettere la sua condizione tramite morso, analogamente a quanto accade con i vampiri.      


Zombie e razzismo

La scelta di un attore afroamericano nel ruolo del protagonista è un fatto ben singolare per l'epoca. Quando Romero era in viaggio verso New York per portare una copia stampata del film, apprese dalla radio la notizia dell'omicidio di Martin Luther King. Il regista temette subito che alla sua opera sarebbe stato dato un significato politico che egli non aveva inteso. In un'occasione ebbe a dire di aver optato per Duane Jones semplicemente perché il suo provino era risultato il più convincente. Quali che fossero le sue intenzioni, il film venne a simboleggiare l'inveterata e mai risolta questione razziale in America. Resta inoltre da notare un fatto singolare. Lo sceriffo con i suoi uomini hanno tutta l'aria di essere membri del Ku Klux Klan, ben riconoscibili dall'atteggiamento e dalla postura. Si vede che lo sceriffo si accorge senza dubbio che il mandingo asserragliato nella casa colonica è armato di fucile, quindi è assolutamente certo che non può essere uno zombie, dal momento che i morti viventi non sono in grado di usare armi da fuoco. Ecco che lo sceriffo fa un cenno appena percettibile a un suo uomo, che immediatamente fa fuoco con grande precisione, abbattendo il nero. Si nota anche la ferocia con cui gli uomini dello sceriffo infieriscono sul cadavere di Ben, trascinandolo con ganci come se fosse la carcassa di una fiera, per poi bruciarlo assieme ai resti sanguinolenti di un gran numero di zombie.


Zombie e femminismo radicale  

Il film destò la reazione furiosa delle convulsionarie della setta femminista, che si scagliarono contro il modo in cui erano stati dipinti i personaggi del gentil sesso. A detta delle seguaci della velleitaria castratrice Mary Daly, una donna non può essere mostrata debole e remissiva, perché questo significherebbe forzarla nelle categorie della società patriarcale. L'idea che una donna privata del fratello in circostanze tragiche e assaltata da cadaveri semoventi possa legittimamente essere terrorizzata, non sfiora nemmeno di striscio queste virago isteriche. Vorrei proprio come andrebbe a finire se qualcuna di loro fosse presa e immersa in un potente macchiario capace di simulare tramite realtà virtuale la narrazione di Night of the Living Dead. Inveirebbero ancora davanti agli zombie o tremerebbero di terrore come chiunque altro?

Le incongruenze degli zombie a colori

Per finire parliamo delle colorizzazioni, a mio parere scandalose. Sono convinto che il film di Romero abbia senso soltanto in bianco e nero: l'assenza di colore serve a descrivere bene una realtà che sprofonda nell'Ade e in cui non esiste nemmeno il concetto di speranza. Nel 1986 gli Hal Roach Studios rilasciarono una versione colorizzata in cui i morti viventi hanno la pelle di un color verde malato. Nel 1997 ci fu una nuova colorizzazione, questa volta ad opera della compagnia Anchor Bay Entertainment, in cui la pelle degli zombi era grigiastra. Questo crea una difficoltà narrativa. All'inizio del film, Johnny Blair mette in guardia la sorella Barbara, che ha visto uno zombie venire verso di lei. Entrambi pensano che sia un essere umano, un qualunque signore giunto lì in visita ai defunti, tant'è che Johnny dice a Barbara di non disturbarlo. Se il colore della pelle del cadavere deambulante fosse stato anomalo, ad esempio verdastro o grigio pallido, Johnny non avrebbe pronunciato quella frase stupida e la stessa Barbara si sarebbe accorta del pericolo all'istante, prima di subire l'attacco. Il regista non può aver trascurato la questione, dato che all'inizio era partito con l'idea di realizare un film a colori, per poi desistere a causa di difficoltà economiche. Forse aveva in mente un colorito pallido ma non tanto anomalo da permettere l'immediato riconoscimento degli zombie.

domenica 22 ottobre 2017


L'ESPERIMENTO DEL DOTTOR K.

Titolo originale: The Fly
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 1958
Durata: 90 min
Rapporto: 2.35 : 1
Genere: Orrore, fantascienza
Regia: Kurt Neumann
Soggetto: George Langelaan
Sceneggiatura: James Clavell
Produttore: Kurt Neumann,
    Robert L. Lippert (non accreditato)
Casa di produzione: Twentieth Century Fox Film
    Corporation
Fotografia: Karl Struss
Montaggio: Merrill G. White
Effetti speciali: James B. Gordon
Musiche: Paul Sawtell
Scenografia: Theobold Holsopple, Lyle R. Wheeler,
    Eli Benneche, Walter M. Scott (arredamenti)
Costumi: Adele Balkan
Charles Le Maire, executive wardrobe designer
Trucco: Ben Nye
Interpreti e personaggi   
    Vincent Price: François Delambre
    David Hedison: André Delambre
    Patricia Owens: Hélène Delambre
    Herbert Marshall: Ispettore Charas
    Kathleen Freeman: Emma
    Betty Lou Gerson: l'infermiera Anderson
    Charles Herbert: Philippe Delambre
    Charles Tannen: medico
Doppiatori italiani   
    Emilio Cigoli: François
    Sergio Fantoni: André
    Dhia Cristiani: Hélène
    Gualtiero De Angelis: Ispettore Charas

Trama:  

A Montreal, lo scienziato André Delambre viene trovato morto sotto una pressa idraulica, di notte, in circostanze misteriose. Il suo cadavere ha il cranio e un braccio ridotti in poltiglia sanguinolenta dal macchinario. La moglie di André, Hélène, viene trovata da un guardiano notturno sul luogo del delitto. Subito la donna confessa di essere responsabile dell'omicidio, prima al cognato François e poi anche all'Ispettore Charas. Tuttavia si rifiuta ostinatamente di spiegare i motivi della sua azione. Con molta pazienza, il fratello della vittima cerca di convincere la donna a parlare servendosi di un astuto stratagemma. A un certo punto nota che lei è ossessionata dalle mosche e che in particolare parla di una mosca con la testa bianca. Quando François le dice, mentendo, di avere quella mosca in suo possesso, Hélène accetta di parlare e comincia a raccontargli un racconto che ha dell'assurdo. André aveva inventato un macchinario in grado di disintegrare qualsiasi oggetto in atomi, per inviarli a un secondo macchinario identico che li reintegrava. La sua scoperta era un sistema di teletrasporto, anche se nel film la parola non viene mai menzionata. I primi esperimenti comportavano la disintegrazione-reintegrazione di oggetti inanimati. Davanti agli occhi della scettica Hélène, lo scienziato aveva trasferito una ciotola. Tuttavia l'esito dell'operazione non era stato soddisfacente per un semplice motivo: la scritta MADE IN JAPAN sul fondo della ciotola si presentava invertita specularmente. Una cosa piuttosto imbarazzante, risolta pasticciando complessi ammassi di formule fantamatematiche. Anche il primo tentativo di trasferire un essere vivente era stato fallimentare: assieme alla ciotola, André aveva messo una gattina, riuscendo a reintegrare l'oggetto inanimato ma disperdendo l'animale in un'invisibile nuvola di atomi. Con altre manipolazioni del formulario, finalmente era riuscito il trasferimento di un porcellino d'India, giunto incolume a destinazione nella cabina ricevente. Galvanizzato da questo successo e contro ogni senno, il marito di Hélène aveva deciso di sperimentare la sua invenzione su se stesso, con esiti catastrofici a causa di una mosca che era riuscita a infilarsi nella cabina di trasmissione. Il risultato: uno scambio di membra tra i due esseri. André aveva avuto la testa e un braccio della mosca, mentre la mosca aveva avuto la testa e un braccio dello studioso. Dopo vani e angoscianti tentativi di ritrovare la mosca aberrante per trasferirla assieme all'uomo-mosca e riottenere i corpi originari, André è stato preso dallo sconforto e ha distrutto i suoi macchinari, pregando la moglie di aiutarlo a suicidarsi. Qui finisce la narrazione di Hélène, la cui situazione non è certo rosea. Per salvarla dal manicomio, l'unica fievolissima speranza è proprio il rinvenimento dell'ibrido mosca-uomo...  

Recensione: 

In genere si ritiene che The Fly di Cronenberg (1986) sia semplicemente un remake del film di Neumann, mentre in realtà si fonda su un concetto molto diverso, riflesso della radicale diversità dei tempi. Mentre Cronenberg è introspettivo e si concentra sulla graduale alterazione del genoma di Seth Brundle, Neumann non attribuisce alcuna reale importanza ai singoli personaggi e ci mostra soprattutto dei fatti concreti e improvvisi. Quando ho visto il film del '58 per la prima volta, ho temuto che il risultato dell'ibridazione tra uomo e mosca mi sarebbe stata nascosta fino alla fine delle sequenze, tale è il ricorso alla discutibile tecnica dell'off-camera, che consiste nel nascondere gli eventi critici. Non vediamo l'attimo in cui la mosca entra nella cabina trasmittente. Non vediamo la catastrofica interazione del dittero con il corpo dello scienziato, anche perché gli effetti speciali dei tardi anni cinquanta non permettevano di gestire una situazione simile. Lo spettatore viene esasperato da un André Delambre muto con la testa coperta da un rudimentale cappuccio nero, che stranamente gli permette di vedere. Poi, finalmente, il cappuccio viene rimosso e si riesce a vedere un uomo dalla gigantesca testa di mosca, rappresentata come un globo nero peloso con due grossi occhi iridescenti.   


Stranamente, lo scienziato perde la capacità di proferire verbo a causa dell'apparato buccale ereditato dall'insetto, ma non perde affatto il suo cervello, che continua a concepire idee e a vedere le cose dalla visuale di un essere umano. Questo mostruoso uomo-mosca riesce a intendere le parole della moglie, a provare sentimenti per lei e conservare la perfetta conoscenza della lingua scritta: per comunicare si serve di un gessetto e di una lavagna, oppure di una macchina da scrivere. Solo a un certo punto, quando sorge la determinazione suicidaria, l'ibrido confessa alla moglie che i suoi pensieri stanno mutando. Tutto ciò pone qualche problema. In teoria, l'uomo-mosca avrebbe dovuto ereditare dalla mosca anche il sistema nervoso centrale, il che avrebbe comportato l'impossibilità di qualsiasi comunicazione con esseri umani. Non sembra esserci una reale commistione tra il genoma della mosca e quello dell'uomo: la trasformazione sembra invece comportare il trasferimento di parti del corpo generando una sorta di chimera, in cui certi tessuti hanno genoma pienamente umano e altri invece hanno soltanto il corredo cromosomico dell'insetto. Possiamo notare l'immenso cambiamento della prospettiva dal 1958 al 1986, frutto del progresso della nostra comprensione degli acidi nucleici e dei loro meccanismi di replicazione.     


A prima vista potremmo scorgere marcate somiglianze tra la figura di André Delambre e quella del più famoso dottor Victor Frankenstein di Ginevra. Non sono tuttavia convinto che il paragone possa reggere. Frankenstein, il novello Prometeo, era tormentato e manipolava cadaveri. Il suo essere era innervato da una spaventosa tensione e ogni aspetto della sua vita ci è descritto come tragico, oscuro come l'abisso di tenebra eterna da cui ha tratto la sua creatura senz'anima. Per contro, il prometeismo di Delambre è elementare e di un'ingenuità assoluta: è l'erede diretto di quel positivismo che pretendeva di arrivare a spegnere e accendere il sole come se fosse una lampadina. Lo scienziato è innamorato della Natura e professa questo suo sentimento alla moglie, che ne rimane estasiata. Egli è convinto che il genere umano potrà servirsi della sua invenzione per trasferire viveri ai bisognosi a costo quasi nullo, risolvendo così il problema della fame nel mondo e dell'indigenza - senza sospettare minimamente la realtà dei fatti. Solo per fare un esempio, non riesce a comprendere che la fame nel mondo non è il prodotto della mancanza di risorse, ma dell'eccesso di nascite. André Delambre è accecato dall'Ignoranza, che lo porterà alla catastrofe. In realtà è soltanto un praticone che procede per tentativi senza conoscere nulla delle leggi fisiche e senza domandarsi nulla sui problemi filosofici insiti nel processo di disintegrazione - che è morte a tutti gli effetti. Nel film si scorgono venature di biolatria cattolica, come nella sentenza "Sarebbe buffo se ogni vita non fosse sacra". Il dilemma avrebbe dovuto sorgere già al primo teletrasporto di un vivente, in questo caso di un felino. Un'altra sentenza, pronunciata da François, è "La ricerca della verità è il lavoro più importante, ma anche il più pericoloso", in cui alcuni critici hanno scorto un'amara venatura di diffidenza moralistica e religiosa nei confronti della Scienza. Certamente c'è del vero nella frase, soprattutto se la ricerca non ha una solida base teorica e il ricercatore si pone qualche domanda soltanto a disastro avvenuto.  


Memorabile la scena finale della mosca con volto e braccio umano intrappolata nella ragnatela di un grosso ragno, che cala su di lei per divorarla: le stridule urla dell'infelice creatura ibrida attirano l'attenzione dell'Ispettore Charas, che ne rimane sconvolto. Queste sono sequenze di una tale genio da far meritare al film l'immortalità. Il dilemma morale è il seguente: se la povera Hélène ha ucciso un uomo con la testa di mosca, l'ufficiale di polizia ha ucciso una mosca con la testa d'uomo. Sono dunque entrambi colpevoli di omicidio, allo stesso identico modo. Questa considerazione porta Charas a restituire alla donna la libertà. A questo punto si può passare ad argomenti più ameni. In una scena vediamo il pasto di François Delambre con il figlio di André. Egli ha davanti a sé una bottiglia di vino rosso. Al bambino viene dato un bicchiere della bevanda inebriante, appena diluita con una piccola quantità d'acqua. Al giorno d'oggi non sarebbe più possibile mostrare in un film qualcosa di simile. La diversa sensibilità dei nostri tempi rispetto a quelli di Neumann è evidente anche nella vicenda del teletrasporto della gatta di Hélène. Se al giorno d'oggi un uomo provocasse la dispersione in atomi di un animale d'affezione della propria moglie, questa si vendicherebbe atrocemente su di lui, come minimo pugnalandolo fino a provocarne la morte. Le urla stridule di lei si sentirebbero da Montreal fino a Ushuaia, e i giudici la manderebbero senza dubbio assolta, "perché il fatto non costituisce reato". Poi andrebbe in giro a dire che il vero cognome del marito era Weinstein. 

André Delambre e Franz Kafka

Nella massima parte dei paesi del mondo, credo anche in Abkhazia, il titolo del film di Neumann è la traduzione letterale dall'inglese. In Italia no. Noi facciamo le cose in modo completamente diverso e non senza originalità. Anziché tradurre un banalissimo "The Fly", abbiamo preferito evocare un inesistente Dottor K., che nella pellicola non compare mai. Naturalmente l'iniziale K. sta per Kafka, per via del famosissimo racconto La metamorfosi, il cui protagonista si sveglia da un sonno inquieto e si ritrova trasformato in un gigantesco e orrido insetto ("fand er sich in seinem Bett zu einem ungeheuren Ungeziefer verwandelt."). Si noterà che il protagonista del racconto si chiama Gregor Samsa, il cui cognome non inizia affatto con K. come quello dell'autore. Tuttavia nell'immaginario collettivo, sembra che l'insetto stesso - tradizionalmente considerato uno scarafaggio - sia designato con il nome "Kafka". Forse è una riprova del fatto che in Italia si dice tanto di divorare centinaia di libri e non se ne legge attentamente nemmeno uno.