lunedì 14 ottobre 2019


LE GUIDE DEL TRAMONTO

Aka: L'Angelo custode
Titolo originale: Childhood's End
Autore: Arthur C. Clarke 
Anno: 1953
Prima edizione italiana: 1955
Lingua originale: Inglese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Fantascienza apocalittica, fantascienza hard,
      invasione aliena
Editore: Mondadori
Edizioni italiane:
    Il Girasole - Biblioteca Economica Mondadori n° 37
    Urania (Millemondinverno) n° 467
    Classici Urania n° 53
    I Massimi della Fantascienza n°3
    "Per tutti i diavoli dell'Universo", Editoriale Corno e Club
        degli Editori
Traduzione: Giorgio Monicelli

Sinossi (da Mondourania.com): 
Per sei giorni le immense astronavi, silenziose e immobili, restarono sospese sulle metropoli della Terra. Poi vennero gli ordini, e ai terrestri non restò che obbedire. Ma per anni e anni nessuno poté vederli, gli Esseri venuti con le astronavi. Nessuno poté sapere chi erano. Per quale misteriosa ragione “Essi” non volevano essere conosciuti? Forse perché (ma nessuno lo sospettò) non volevano essere “ri-conosciuti”? Arthur C. Clarke è uno degli scrittori di fantascienza in cui risuona più intensa la nota metafisica: il suo tema è l’avventura della razza umana fra i misteriosi fondali dell’universo, l’enigma del nostro destino nello spazio. È da lì, a pensarci bene, che viene il brivido dei brividi: Clarke ce lo dimostra con questa calata dal cielo di invisibili angeli del bene o del male.

Trama:
Proprio quando un razzo parte verso lo spazio, le porte del cosmo vengono sbattute in faccia all'umanità. I Superni (in inglese Overlords, alla lettera "Super-Signori"), prendono il controllo del pianeta, in modo silenzioso, senza manifestarsi agli umani. L'unico contatto tra la specie aliena e i popoli terrestri è per molti anni il Supercontrollore Karellen, che si guarda bene dal mostrarsi al suo interlocutore, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rikki Stormgren. Passa così mezzo secolo. Allo scadere di questo periodo, arriva finalmente il Giorno del Contatto. I Superni si mostrano, rivelando di avere l'aspetto che i Cristiani attribuiscono al Diavolo:
corna, coda e ali di pipistrello. Ecco svelato il mistero della riservatezza dei visitatori alieni. Temevano di traumatizzare i terrestri e di essere ritenuti Demoni. Ha inizio quella che potrebbe sembrare un'Età dell'Oro. Unità del genere umano; un'immensa prosperità per tutti, dato che le ingenti spese militari sono ormai destinate a usi più proficui; fine di ogni conflittualità e instaurazione di una società basata sull'edonismo. Eppure qualcosa non va. Anche se pochi lo capiscono, è come se fosse stato posto termine alla Storia. Non si può sognare più nulla: il paternalismo dei Superni rende vana ogni iniziativa. Viene imposto un divieto draconiano a qualsiasi tentativo di espansione spaziale del genere umano. "Le stelle non sono per l'uomo", decretano i Superni. Jan Rodricks è uno spirito inquieto e non riesce a rassegnarsi allo stagno termodinamico che è diventata la Terra, così elabora un ingegnoso piano per nascondersi in una nave aliena e raggiungere il mondo madre dei Superni, che si trova a una quarantina di anni luce dal nostro sistema solare. Il progetto di Rodricks riesce: egli arriva a destinazione ed è testimone di molte meraviglie. C'è però un prezzo da pagare per tutto questo. Intanto, sulla Terra, un fenomeno inquietante ha cominciato a manifestarsi. Si tratta dello "sfondamento". Sempre più bambini hanno visioni di mondi lontani e precipitano in uno stato di assoluta irrealtà. Come Rodricks stesso apprende dagli stessi Superni, la spiegazione è molto semplice. Esiste un essere mostruoso, immane, simile a un Dio panteista. È la Supermente (in inglese Overmind), che estroflette i suoi tentacoli per fagocitare i viventi colpiti dallo "sfondamento", assimilandoli, facendo perdere loro ogni parvenza di individualità. Eccolo, il segreto dei Superni, che sono sotanto servi di un simile mostro galattico. Quando Rodricks viene ricondotto sulla Terra, a causa della relatività sono trascorsi molti anni. Egli è l'ultimo uomo propriamente detto sull'intero pianeta. Oltre a lui sopravvivono solo alcuni esemplari degenerati, relitti delle generazioni pre-sfondamento destinati al Nulla. Così si conclunde la vicenda terrena di quest'uomo, che a buon diritto può essere chiamato il Superstite, mentre i Superni si allontanano dal desolato globo terracqueo. La Supermente maledetta ha ormai consumato il suo fiero pasto!   

Recensione: 
Tra i primi romanzi di fantascienza che ho letto, mi ha lasciato un segno profondo. Mi piace moltissimo l'atmosfera di decadenza che ispira, quel senso di funesta inutilità di ogni agire umano in vista della consunzione escatologica. A mio parere il più bel libro che Clarke abbia mai scritto. Per questo bisognerebbe ricordarlo, più che non per 2001: Odissea nello spazio. Mentre 2001: Odissea a nello spazio parla dell'Alba dell'Uomo e di un'intelligenza cosmica benevola che favorisce la nascita della vita e della consapevolezza dovunque sia possibile, qui vediamo all'opera veri e propri becchini delle specie senzienti. Il ruolo dei Superni è quello di comparire al capezzale di un moribondo che non sospetta nulla della propria malattia, mettendosi a prepararne i funerali ancor prima che arrivi Azrael, l'Angelo della Morte. Com'è facile immaginarsi, la gente ama poco ciò che parla di Thanatos evocandone la presenza. Per questo da 2001: Odissea nello spazio è stato tratto da Kubrick il film omonimo di immenso successo, mentre Le guide del tramonto ha avuto soltanto - che io sappia - come adattamento un'oscura serie TV in tre episodi, trasmessa nel 2015 dal canale statunitense Syfy.  

Un anello temporale retroattivo

Un brivido teologico sulfureo si insinua nella narrazione. Sembra evidente che i Superni hanno l'aspetto dei Demoni. La spiegazione di tutto ciò sta in un entanglement macroscopico che lega gli ultimi istanti della specie Homo sapiens alle orribili visioni promonitrici di qualche nostro antenato in una lontana preistoria, millenni prima della Rivelazione apocalittica ricevuta da Giovanni a Patmos. I Superni lo riconoscono: siccome sono stati visti sul teatro della Fine, ne sono stati ritenuti la causa. Il Superno Rashaverak lo spiega molto bene con queste parole:

«Quando le nostre astronavi penetrarono nel vostro cielo, un secolo e mezzo fa, quello fu il primo incontro delle nostre due razze, sebbene vi avessimo studiato da lontano per secoli e millenni, naturalmente. Eppure voi ci avete riconosciuti e temuti, come sapevamo che avreste fatto. Non era precisamente un ricordo, il vostro; avevate già avuto la prova che il tempo è molto più complesso di quanto la vostra scienza abbia mai potuto prevedere. Vedete, quel ricordo non era del passato, ma del futuro: di quegli anni in cui la vostra razza avrebbe saputo che tutto era finito. Noi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, ma non era una conclusione facile da raggiungere. E poiché eravamo presenti, siamo stati identificati con la fine della vostra specie. Sì, anche se questa fine era lontana diecimila anni! È stato come se un'eco invertita fosse rimbalzata lungo il circolo chiuso del tempo, dal futuro al passato. Chiamatela così, più che una reminiscenza, una premonizione.»

L'ontologia temporale sostenuta da Clarke è eternista non tensionale, ossia B-eternista. In essa non esiste differenza concreta tra presente, passato e futuro, che sono semplici dettagli geometrici di un panorama multidimensionale. 

La dissoluzione delle religioni 

Una religione dimostra la sua vanità estrema quando la realtà dei fatti confuta la sua cosmologia, l'idea che ha del posto dell'Uomo nell'Universo. Così avviene quando i Superni finalmente si rivelano: 

C'erano mutamenti anche più profondi. Era un evo del tutto laico. Delle fedi esistite prima dell'avvento dei Superni, solo una forma puritana di buddismo, la più austera, forse, di tutte le religioni, sopravviveva ancora.  

Eppure soltanto pochi decenni prima della vicenda di Jan Rodricks, le religioni erano vive e vegete. Il principale oppositore dei Superni, Wainwright, era un ex prete: ci viene detto che dai suoi discorsi sembrava che portasse ancora la tonaca. Ci viene anche detto che una delegazione delle principali chiese del mondo aveva espresso il suo sostegno al Supercontrollore Karellen e alla sua politica. Purtroppo il romanzo non ci spiega in dettaglio il processo di estinzione di un così gran numero di fedi. Che sarà accaduto in concreto? Sarebbe bello leggere in qualche opera lettearia il racconto dell'ultimo Papa, dell'ultimo prete, dell'ultimo rabbino, dell'ultimo imam. Certo, Nietzche ci parla della Festa dell'Asino e dell'ultimo Papa. Nulla però ci vene detto sulla fine del meccanismo di successione spirituale. 

Il triste declino della Scienza 

Con buona pace dei neopositivisti pierangelisti, Clarke ci descrive un futuro di stagnazione proprio in concomitanza con l'estinzione di ogni credenza in una realtà trascendente. La fine della religione non porta al genere umano alcun beneficio concreto, anzi, porta con sé la decadenza stessa del progresso scientifico. 

Ma sebbene pochissimi, per il momento, se ne accorgessero, il declino della religione fu accompagnato dal declino della scienza. C'era una pletora di tecnologi, ma pochi erano gli originali pensatori che sapessero estendere le frontiere delle conoscenze umane. Restava la curiosità, insieme con il tempo e l'agio di potervi indulgere, ma dalle ricerche scientifiche fondamentali era stato strappato il cuore. Sembrava futile spendere un'intera esistenza alla ricerca di segreti che i Superni avevano già svelato da millenni. 

In altre parole, questa è la morte di ogni illusione di raggiungere la Conoscenza. L'anelito all'episteme diventa un puro e semplice prurito cognitivo. La parola "curiosità" usata da Clarke concentra in sé interi abissi di entropia concettuale. 

Alcune note sulla questione razziale 

Nel romanzo di Clarke, la parola "negro" ricorre in tutto quattro volte: in un caso è usata come aggettivo, poi la si trova due volte al singolare e una al plurale ("negri"). Nel testo originale abbiamo due volte "negro", una come aggettivo e una come sostantivo; inoltre ricorre una volta il plurale "negroes" e una volta la forma colloquiale "nigger". Riporto i brani in questione, perché ritengo che sia cosa molto utile (i grassetti sono miei). 

Nel primo brano si parla di "sangue negro", inoltre viene fatto il paragone tra il colore della pelle e quello del cioccolato, che di solito manda in bestia gli afroamericani più tumultuosi. Ecco la descrizione dell'ennesima compagna del poligamo Rupert Boyce:  

Soltanto un aggettivo poteva descriverla adeguatamente: sconvolgente. Anche in un mondo dove la bellezza muliebre era ormai comune, gli uomini voltavano la testa al suo passaggio. Doveva avere nelle vene, sospettò George, una discreta percentuale di sangue negro: il profilo era squisitamente greco, e i capelli lunghi, folti e morbidi. Solo la trama bruna, compatta, della pelle, la troppo usata parola "cioccolata" era l'unica che potesse definirla, rivelava la sua origine mista. 

Nel secondo brano la parola "negro" viene usata per descrivere un giovane, che viene al contempo lodato per il suo aspetto:

Alla fiamma dell'accendino - George aveva la mania di quelle anticaglie - riconobbe finalmente l'altro invitato, un giovane negro, straordinariamente bello. Gliene avevano detto il nome, ma George si era fatto un dovere di dimenticarlo subito, assieme a quelli degli altri venti sconosciuti che gli erano stati presentati.  

Il terzo brano fa un riassunto storico e ci parla di come la parola "negro" viene intesa all'epoca dei Superni.

Jan Rodricks, sebbene apprezzasse molto di rado la sua fortuna, in un'epoca precedente sarebbe stato ancora più scontento e insoddisfatto. Un secolo prima il colore della sua pelle sarebbe stato un ostacolo tremendo. Oggi, non aveva più nessun significato. Passato anche il senso di superiorità, venuto come reazione, che i negri avevano trovato nel ventunesimo secolo. La parola "negro" non era più tabù tra persone educate e veniva usata da chiunque senza il minimo impaccio. Non aveva più contenuto emotivo di quanto non ne potessero avere etichette da repubblicano o metodista, conservatore o liberale.   

Forse Clarke ha avuto scarsa capacità predittiva, non immaginando l'imporsi del politically correct, quella peste che pretende di rimuovere i problemi tramite l'eufemismo. Tuttavia in altre cose è stato profetico. Ha previsto un secolo di tumulti razziali. Per il resto, mi sembra di ravvisare qualche contraddizione. Esisterebbero ancora repubblicani, metodisti, conservatori e liberali nella realtà descritta nel testo sopra riportato? L'autore ci dice che le religioni e le nazioni erano state dissolte, sopravvivendo soltanto una setta buddhista puritana. Senza la definizione stessa degli Stati Uniti d'America, senza confini tra nazioni, non ci sarebbero chiaramente né repubblicani, né conservatori, né liberali. Le etichette evocate sarebbero dunque archeo-etichette, un po' come se uomo dei primi anni del XXI secolo fosse definito "unionista", "confederato", "giacobino", "bonapartista" o "sostenitore di Nabucodonosor"

In un altro passo si manifesta la capacità profetica di Clarke, in modo a dir poco inquietante. All'arrivo dei Superni, il Sudafrica è descritto come una nazione pervasa dalla guerra civile e avvelenata dall'odio. A seguito dell'intervento degli alieni, che oscurano il sole per mezz'ora, vengono restituiti i pieni diritti civili alla minoranza bianca. Questo veniva scritto in un'epoca in cui era in vigore l'Apartheid e in cui erano i neri a non avere diritto alcuno. Clarke è stato un profeta, perché ha visto con chiarezza il futuro del Sudafrica post-Mandela, in cui i Boeri vengono trucidati, in cui la vita di una persona di origine europea ha meno valore di un pezzo di sterco di cane sulla strada.

La lingua dei Superni 

Nulla sappiamo della lingua usata dai Superni, testimoniata soltanto da pochi nomi propri di persona, Karellen, Vindarten e Rashaverak, di cui però ignoriamo il significato. Sono riportati anche alcuni nomi di stelle o pianeti: Alphanidon, Rhamsanidon, Pharanidon, Sidenens, Hexanerax (ciascuno è seguito da un numerale, ovviamente tradotto).  Ci viene tuttavia detto che si tratta di un idioma molto complesso, come ci si può aspettare. Gli organi fonatori dei Superni sono tali da trasmettere le sequenze verbali a una velocità incredibile, molto superiore a quella caratteristica della specie umana:

Un ascoltatore umano avrebbe al massimo udito un fiotto di suoni rapidamente modulati, non molto diversi da quelli di una trasmissione in alfabeto Morse fatta a grande velocità. Sebbene fossero stati registrati molti saggi dell'idioma Superno, la loro estrema complessità sfocava qualsiasi analisi. La velocità di trasmissione garantiva l'impossibilità, da parte di qualunque interprete che avesse anche assimilato il linguaggio, di stare alla pari con i Superni in una loro normale conversazione. 

Non è a questo punto difficile comprendere che Karellen e Rashaverak sono soltanto vocalizzazioni arbitrarie, molto distanti dall'originale. Forse sono addirittura invenzioni degli stessi Superni. Immagino che il sistema fonetico della lingua aliena di esseri così diversi da noi non sia necessariamente sovrapponibile a quello di una qualsiasi lingua terrestre, nemmeno a livello elementare. 

Il Superstite 

Jan Rodricks è l'Ultimo Astronauta e l'ultimo esemplare consapevole dell'umanità. Egli è l'Ultimo Uomo. Dopo di lui non c'è altro che l'Estinzione. Proprio la sua audacia ha reso possibile il suo ruolo di testimone di Armageddon. Una condizione senza dubbio invidiabile!

Una traduzione indecente 

Navigando nella Rete, mi sono reso conto che spesso i Superni sono chiamati "Supremi". Così nella pagina di Wikipedia relativa al romanzo e anche in quella dedicata alla serie TV. La radice di "Superni" è ovviamente la stessa di "Supremi", la differenza è morfologica. Probabilmente alla base c'è stato un fraintendimento: un compilatore wikipediano o un traduttore (non ho visionato tutte le traduzioni del testo di Clarke) deve aver usato un correttore automatico, non conoscendo la parola "superno" e sostituendola così con un più comune "supremo".

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Segnalo la recensione di Flavio Alunni, pubblicata sul sito web di Andromeda Rivista di Fantascienza, e ne consiglio vivamente la lettura. 


Su Anobii si possono leggere numerosi interventi. 

Cane Fantasma ha scritto: 

"Romanzo ricco di idee, quasi un distillato di quello di buono che la fantascienza classica può offrire: incontri con razze superiori, paradossi temporali, descrizioni di mondi alieni, narrazioni catastrofiste secondo il punto di vista degli ultimi sopravvissuti, ipotesi sociologiche sull'evoluzione umana. Mi è piaciuto il modo in cui il libro svela progressivamente la reale natura dei fatti, con rivelazioni successive che scompaginano le idee che ci eravamo costruiti: così i Superni vengono visti dapprima come benevoli tutori dell'umanità, poi come oscuri esecutori di volontà superiori e infine come malinconici assistenti del genere umano nel suo balzo evolutivo finale, che essi per quanto avanzati non potranno mai compiere. La stessa forma fisica dei Superni è al centro di un vertiginoso ribaltamento di prospettiva: quando finalmente viene rivelata, la paura che genera negli uomini sembra collegata a un infelice incontro all'alba della storia umana i cui effetti si sono riverberati nei millenni successivi sotto forma di miti e leggende oscure; si scoprirá invece che la causa di tale terrore va cercata nella direzione opposta del flusso temporale… Forse ho apprezzato meno il finale "metafisico", ma rimane davvero un libro meritevole." 

A Song for Simeon ha scritto: 

"Childhood's end è un romanzo di fantascienza con poca scienza e tantissima malinconia. Niente battaglie spaziali e dissertazioni sul funzionamento della propulsione supraluminale: solo un coro della necessità, come nelle tragedie greche. è la storia di due specie segnate dal destino, prigioniere nei rispettivi ruoli in nome di un ordine universale: gli Overlord, con la loro dedizione quieta, la vacuità emotiva, la rassegnazione di intelligenze titaniche senza null'altro da indagare; e gli umani, placidamente arresi alla pace prima dell'estinzione, sullo sfondo di un universo che tende agli assoluti, una mietitura ontologica delle differenze. Un libro escatologico, in larga parte, ma scritto con uno stile asciutto che sfiora l'inevitabilità: gran parte della sua bellezza è nel non-detto, come avviene in un certo Lovecraft, ma senza angoscia e soprassalto. Solo l'annullamento di fronte all'altro-da-noi, immenso." 

Non tutti sono entusiasti. Molti di loro sono fantascientisti classici, materialisti, fissati col feticismo del gingillo tecnologico, assolutamente incapaci di guardare oltre l'ennesima astronave e l'ennesimo robot. Soprattutto si nota che lettori di questo tipo insorgono contro quella che chiamano "deriva metafisica"

Ad esempio Timendum ha scritto: 

"Sarà il mio gusto personale, ma la deriva metafisica e filosofica che prende il libro e con cui si conclude, non mi è piaciuta per nulla. Peccato" 

C'era da aspettarselo. In fondo lo stesso concetto di filosofia è considerato superstizione dai neopositivisti pierangelisti. Mod ha idee simili a quelle espresse da Timendum: 

"Personaggi piatti, infodump lunghissimi e noiosissimi, niente sense of wonder. Per non parlare della forma fisica degli alieni: una boiata... Non so, forse l'ho letto con superficialità e mi è sfuggito qualcosa."  

Ne sono sempre più convinto. Il primo cancro della Fantascienza è costituito proprio da certi fantascientisti! 

sabato 12 ottobre 2019


QUARTO: UCCIDI IL PADRE E LA MADRE 

Titolo originale: A Generation Removed 
Autore: Gary K. Wolf 
Anno: 1977
Lingua originale: Inglese

Tipologia: Romanzo
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Distopia, sociale, conflitto generazionale

Edizione italiana: 10/6/1079
Editore: Mondadori
Collana: Urania settimanale - I romanzi, n. 787
Numero pagine: 192 
Traduzione: Vittorio Curtoni
Codice ASIN: B00A8N1QZ2
Codice ISBN-10: A000008268 


Sinossi (da Mondourania.com):
Dal 13 al 19 in numeri cardinali inglesi finiscono per teen (thirteen, fourteen, ecc.) e di qui viene la parola teen-ager, che designa il gruppo migliore, più attivo, più impegnato e responsabile dell'umanità. Dopo i teen-agers vengono coloro che pur non essendo più nei loro teens, sono ancora nei loro twenties, non hanno cioè superato i 29 anni, e vanno quindi considerati, se non più con totale ammirazione, perlomeno con profondo rispetto. A entrambi questi gruppi si applica logicamente, la Carta dei Diritti dell'Uomo, mentre ai due gruppi successivi (per gli individui cioè che sono nei loro thirties e nei loro forties) si applica quella dei Doveri. Ma dopo il 49°, massimo 55° anno di età? Che fare di questi gerryes (dal greco geron, vecchio) improduttivi e rompiballe? Quale carta applicargli se non quella del Forno Crematorio? 


Trama:
Herschel Lichter è un poliziotto che si avvicina alla sua età di dismissione dal servizio. La sua carriera è stata inversa rispetto a quanto siamo abituati a pensare: da giovane ha ricoperto un importante incarico di investigatore, ma col passar degli anni le sue mansioni sono diventate sempre più burocratiche e umilianti. In altre parole è stato rimosso dal servizio attivo per essere messo davanto a un computer a inserire dati in schedari informatici. Gli Stati Uniti d'America sono una distopia che ricorda per certi versi la Cambogia di Pol Pot, in cui i ministri e i giudici erano bambini o adolescenti, crudelissimi e privi di qualsiasi empatia. Il diretto superiore di Lichter, noto semplicemente come Capitano (i giovanissimi notabili possono scegliersi il nominativo), è un panzone ripugnante, un ragazzino bulimico dal carattere collerico e tirannico. Qual è il futuro che aspetta chi si avvicina alla fine della propria vita lavorativa? Qualcosa di assai avvilente. Ormai a Lichter mancano pochi anni prima di essere dichiarato un gerry e di perdere ogni diritto umano e civile. Ecco che accade qualcosa di inatteso e in apparenza improbabile: l'attempato poliziotto viene richiamato in servizio attivo per infiltrarsi in un'organizzazione clandestina di gerryes, l'EDA (Esercito Degli Anziani, infelice traduzione dell'originale OPA, ossia Old People Army), che rappresenta una spina nel fianco delle autorità giovaniliste. Lichter, che non è uno stupido, comprende che la sua sola possibilità è la militanza attiva nell'EDA. Non si capisce infatti perché mai un agente dovrebbe continuare a servire uno Stato che gli dà come unica possibilità l'essere infornato in un crematorio alla prima analisi medica sballata. Chiunque si sarebbe potuto aspettare un esito di questo genere, tranne quel coglione di Capitano - che nel frattempo si viene a trovare in una situazione sempre più precaria: avvicinandosi ai vent'anni di età, ossia maturando, la sua autorità pian piano passa al suo secondo in comando, il pestilenziale Falange. Questo essere ripugnante e brutale nutre verso i gerryes un odio assoluto e l'unica cosa che desidera è il loro annientamento. Nel frattempo Lichter riesce ad avvicinarsi ai vertici dell'EDA. A guidare l'organizzazione è un prete cattolico combattivo ma piuttosto antipatico, il segaligno Ed Gilroy. Il secondo in comando è Bo-Blue Bonnera, un gigantesco ex giocatore di football con le mani rese immense come quelle del Gianni Nazionale da iniezioni di silicone polarizzato, che le fanno somigliare a poderosi simbionti di xenomorfo, a facehuggers: non riesce nemmeno a srotolare la carta igienica e necessita di costante assistenza per la pulizia del deretano. Estelle Hopkins è una grannie ancora molto libidinosa, una pasionaria che gestisce una grande bidonville dove i gerryes perseguitati trovano il loro rifugio. Ha un debole per Herschel e gli si concede. Il susseguirsi degli eventi è precipitoso, difficile concentrarlo in poche righe. Le pressioni della polizia di Chicago si fanno insostenibili, così la dirigenza dell'EDA organizza l'esodo degli abitanti della bidonville verso il confine del Canada, nazione tollerante che non sopprime gli anziani. Con l'aiuto di Herschel, tutti i gerryes vengono caricati su una flotta di pullman che sfreccia verso il Settentrione. Non mancano i colpi di scena, tra strepitare incessante di poliziotti isterici e infinite ondate di suspense. Tutto converge verso un drammatico assedio, non diverso da quello di Alamo, in cui l'eroico David Crockett oppose resistenza strenua alle truppe di Satana, pardon, di Santana.
Ben pochi riusciranno a salvarsi dalla carneficina, grazie all'aiuto di volontari canadesi. L'ingenuo finale, in una caduta di stile che rasenta il crasso francesismo, vede Herschel insoddisfatto della sia vita da esule e intenzionato a fare ritorno in patria per fomentare la Rivoluzione - come se un fuggiasco scampato a un incendio morisse dal desiderio di tornare tra le fiamme che quasi lo hanno ucciso. La lotta dell'EDA, com'è ovvio, viene paragonata alla Resistenza contro il Nazifascismo. Le ultime pagine sono riempite di massici assortimenti di pasticcini retorici. L'anacronismo impera, la teologia civica del Male Metastorico permea ogni cosa: gli USA e il Canada finiscono soffocati da un insidioso precursore del politically correct

L'autore: 
Gary K. Wolf, nato nel 1941 a Earlville, Illinois, deve la sua fama soprattutto al romanzo giallo Who Censored Roger Rabbit? (1981), da cui è stato tratto il film Chi ha incastrato Roger Rabbit? (Who Framed Roger Rabbit?, Robert Zemeckis, 1988). Proprio per via di quello squallido film (da me ribattezzato Chi ha castrato Roger Rabbit?) nel 1989 ha vinto il Premio Hugo per la miglior rappresentazione drammatica. Fedele della Chiesa di Roma, è noto per essere amico dell'arcivescovo John J. Myers di Newark, dimessosi nel 2016 per via dell'accusa di aver permesso a preti pedofili di continuare il proprio lavoro nella diocesi di Peoria. Un'ombra non da poco, mi pare. Tutto questo fa sì che lo stesso Wolf, per proprietà transitiva, non mi sia poi particolarmente simpatico.

Recensione: 
Senza dubbio è un romanzo importante e abbastanza inusuale. A quanto mi risulta, ha avuto un'unica edizione italiana. Naturalmente potrei sbagliarmi, questo è quanto deduco da ciò che sono riuscito a reperire nel vasto Web. Anche se non manca qualche incoerenza narrativa, possiamo affermare che quest'opera di Gary Wolf descrive una delle distopie più disturbanti dello scorso secolo. Certo, alcuni lettori rilevano un'ingenuità di fondo: i giovani sono tutti descritti come bestie feroci e mostri sadici, mentre i vecchi sono tutti buoni e nobili come per incanto. Eppure i vecchi non sono una razza a sé: come già è stato spiegato al nobile Principe Siddharta Gautama, è destino di ogni giovane diventare un vecchio attraverso un naturale e ineluttabile processo di decadenza. Proprio questo pare un limite non da poco all'odio antigeriatrico. Un giovane che alimenta nei confronti degli anziani un odio simile a quello che ha causato la morte di moltissimi Israeliti nei pogrom e nei campi di sterminio, non può ignorare che giungerà il giorno in cui subirà a sua volta lo stesso odio con tutte le sue conseguenze. A rigor di logica nessuno potrebbe sottrarsi a questa terribile verità. Il punto è che spesso la logica fallisce e la realtà stessa viene percepita in modo tutt'altro che lucido, per via di qualche inganno della mente. Ai nostri giorni sono assai numerosi i millennials che sognano lo sterminio dei boomers. I giovani senza speranze per il futuro ritengono che i boomers abbiano la colpa di tutti i mali del mondo, quindi pensano che sarebbe una buona cosa ucciderli a sprangate o gassarli. Questo perché i millennials sono convinti che il problema si estinguerà con i boomers, così come Hitler sosteneva che l'antisemitismo sarebbe scomparso con la soppressione dell'ultimo ebreo. In altre parole, questi millennials non credono di finire a loro volta minacciati dai più giovani, che li vedranno come pericolosi parassiti sociali - proprio come essi ora vedono i boomers. Non è quindi possibile escludere a priori che in un futuro non troppo lontano si innescheranno feedback in grado di portare a spaventosi massacri di vecchi. Il XX secolo fu caratterizzato prima dalla lotta razziale e dalla lotta di classe, poi dalla lotta di genere, quella simpatica cosa che ha reso i rapporti tra uomo e donna come Alien contro Predator. Non è difficile fare una profezia: il XXI secolo sarà il tempo in cui esploderà in tutte le sue tragiche conseguenze la lotta tra generazioni, di cui pure si sono registrati i prodromi nelle rivolte del '68.

Origini della distopia antigeriatrica wolfiana 

A quanto ho potuto appurare, sembra che il papista Wolf abbia concepito il suo mondo, dominato dall'odio verso i vecchi, a partire dalla semplice osservazione della realtà in cui viveva da ragazzo. In pratica tutto si riduceva a capelloni contro brontosauri, ma non era difficile immaginarsi un ribaltamento sociale in cui i rivoltosi avrebbero schiacciato i loro oppressori. Come ci ricorda un personaggio del romanzo, in un'epoca non lontana era in vigore una ferrea gerontocrazia, in cui i giovani non contavano nulla e non avevano nessuno spazio. Anzi, accadeva che i vecchi, che controllavano le istituzioni, mandassero i giovani a morire in guerra. 

Cattiva gestione di un'idea geniale 

La coerenza logica dell'impianto narrativo è tutto sommato abbastanza fragile. A Chicago l'odio verso i gerryes giunge a livelli genocidari, di vero e proprio eliminazionismo. Eppure sappiamo che esistono intere aree urbane popolate da gerryes - e anche abbastanza affollate. Esistono meccanismi sociali come le visite mediche da superare e centri per l'eutanasia (i centri Euta, nella versione originale Euth), ove operano energumeni capaci di compiere spedizioni devastanti e di terminare all'istante chi non è in regola. Sono descritte in più occasioni autentiche cremazioni di massa, con infornate di decine di vecchi in una apposita camera di combustione. Eppure gli anziani si accumulano senza sosta, a un ritmo quasi impossibile da computare, come se nascessero dal Nulla o per generazione spontanea. La verosimiglianza demografica non sembra esistere. Dati i presupposti di un odio tanto feroce, resta da capire perché le autorità giovaniliste delle aree metropolitane non provvedano all'eliminazione automatica di chi ha raggiunto il limite di età. In un paesino rurale, il sindaco afferma di aver risolto il problema dei gerryes sopprimendoli all'istante, facendoli passare per il camino. Se Wolf avesse descritto una nazione che uccide in automatico gli ultracinquantenni, non avrebbe avuto più niente da narrare. Ecco spiegata la debolezza concettuale dell'opera. Il sospetto è che l'opera originale potesse anche essere migliore e che le sue imperfezioni siano almeno in parte da attribuirsi ai famigerati tagli di Urania! Non dobbiamo mai dimenticarcelo: nello scorso secolo Urania era una specie di versione moderna del letto di Procuste. Le esigenze del formato tascabile erano tiranniche, così tutto ciò che era giudicato inessenziale veniva amputato!

Una pessima traduzione

Ormai un po' d'inglese lo conosciamo tutti. Non parlo della lingua del Beowulf, che rimane per pochi eletti e che già masticavo prima che esplodessero le ultime ondate di meschine polemiche postmoderniste. La mia fede in Urania, già messa a dura prova, si trasforma in iconoclastia. Che necessità c'era, ditemi, o redattori meritevoli di damnatio memoriae, che necessità c'era di accettare la traduzione di OPA (Old People Army) con un'abominevole EDA, per giunta spiegato come Esercito Degli Anziani? Da quando in qua una miserabile preposizione ha pieno diritto di dare la propria lettera iniziale in un fottuto acronimo? L'inglese WHO (Wolrd Health Organization) è stato reso in italiano con OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), non con un fantomatico *OMDS. Se prendete una preposizione e la trasformate in una parola piena, usandola per ricavarne un'iniziale in una sigla già di per sé depracabile, siete soltanto incompetenti. Fate schifo! 

Il Genocidio Democratico 

Ne vado scrivendo da anni. Ho ripetuto la mia intuizione su Facebook e altrove nella Rete, martellando senza sosta. Gli orridi fatti che accadranno, in qualche modo sono stati preconizzati dal romanzo di Wolf, anche se la genesi dell'Olocausto a venire avrà come punto di partenza la bieca materialità di questo cosmo e delle leggi fisiche che lo governano. 

"Si stanno preparando le basi del Genocidio Democratico. Lo chiamo così perché sarà il primo ad avvenire in pieno regime di democrazia, senza cambiare di un iota le leggi delle nazioni. Macinerà milioni di anziani e di malati, che saranno terminati con un apposito kit e cremati. Le ceneri saranno gettate direttamente nell'immondizia." 
(16 aprile 2018, Facebook)

"ll Genocidio Democratico sta prendendo forma. Il crollo dei sistemi sanitari porterà all'eliminazione dei "non assistibili". Si arriverà al punto che basterà essere infelici, obesi o diabetici per essere terminati. I numeri saranno spaventosi. Ci saranno decine di milioni di morti in tutta Europa, e non c'è nulla al mondo che lo possa evitare."
(20 giugno 2015, Facebook)


"Così, sotto il sole radioso di questa Democrazia, milioni di cittadini verranno terminati e smaltiti nei forni crematori. Quando il sistema sanitario crollerà e il numero di malati di cancro crescerà a dismisura, quando ci saranno milioni di persone con problemi neurologici gravi, allora praticheranno l'eutanasia di massa. Masse di cadaveri finiranno nelle tramogge degli inceneritori di rifiuti urbani e nei forni rotanti dei cementifici. Le ceneri saranno gettate via come immondizia, perché non ci saranno risorse per fare altro. Senza che nulla cambi nell'ordinamento delle nazioni, tutto questo diverrà realtà. Sarà la forza stessa dei fatti ad agire, irriducibile a qualsiasi categoria mentale umana. La macchina dello sterminio non discriminerà nessuno: macinerà tutti senza distinzioni." 
(31 gennaio 2015, blog di Iobloggo, estinto) 

Eppure non è servito a nulla parlarne: nessuno ascolta. 

Altre recensioni e reazioni nel Web

Non sembra che quest'opera di Wolf abbia lasciato un gran segno in Italia. Ho trovato qualche recensione su Anobii.

Stanis ha scritto, con un certo scetticismo:

"Questo romanzo ha una trama talmente assurda che va ascritto alle opere surreali più che alla fantascienza. Senza considerare poi la bassa qualità della scrittura e della caratterizzazione (i personaggi, tagliati con l'accetta, sono nettamente demarcati fra buoni e cattivi - i primi eroici e virtuosi, i secondi covo di ogni vizio ed eccesso). Davvero non capisco come lo si possa considerare un'opera rilevante."

L'intervento di Pinnegialle è lungo e complesso intervento. Ne riporto alcuni passi.

"In Italia, ha fatto discutere la dichiarazione di Beppe Grillo, il guru del movimento cinque stelle, che diceva di togliere il diritto di voto agli ultrasettantenni perché - a suo dire - questi sono giunti oramai alla fine della loro esistenza e non voterebbero con la ragionevolezza di volere costruire un mondo migliore per il tempo futuro. Dichiarazioni come sempre di carattere "folkloristico" (a voler essere buoni) e che dimostrano la totale mancanza di cultura sociale da parte del personaggio, che adotta schemi di pensiero esclusivi e vuoti sul piano della analisi complessiva della società."

Per quanto io detesti vivamente Grillo, i grillini e i loro deliri, devo dire che un riferimento augusto per le controverse dichiarazioni succitate purtroppo esiste. Gli Etruschi ritenevano che superata una certa età nessuno potesse fare qualcosa di valido, così le persone anziane si dovevano astenere dal compiere sacrifici e dall'occuparsi delle cose della religione: ogni loro atto era considerato vano. Per maggiori dettagli si veda ad esempio Facchetti, 2000.

giovedì 10 ottobre 2019

ETIMOLOGIA DI LANZICHENECCO

Molti navigatori cercano informazioni sull'origine del glorioso nome dei Lanzichenecchi, eroici fanti germanici, così mi sono deciso ad approfondire l'argomento. La parola lanzichenecco deriva direttamente dal tedesco Landsknecht, che significa letteralmente "servo della terra" o "servo del paese".

Il primo membro del composto è Land "terra; paese":

nom./acc. Land
   das Land "la terra; il paese"
gen. Landes, Lands
   des Landes, des Lands "della terra; del paese"
dat. Land, Lande
   dem Land, dem Lande "alla terra, al paese"
Al giorno d'oggi il dativo Lande è inusuale. In neotedesco (XXI sec.) persino il genitivo tende a cadere in disuso e ad essere sostituito dalla preposizione von.

nom./acc. pl. Länder, Lande "terre; paesi" 
   die Länder, die Lande "le terre; i paesi"
gen. pl. Länder, Lande 
   der Länder, der Lande "delle terre; dei paesi"
dat. pl. Ländern, Landen 
   den L
ändern, den Landen "alle terre; ai paesi"
Le forme con la rotica e l'Umlaut (Länder, Ländern) sono quelle correnti. Le forme senza rotica e con vocale tonica immutata (Lande, Landen) sono poetiche e rare. 

Il secondo membro del composto è Knecht "servo, servitore":  

nom./acc. Knecht 
    der Knecht "il servo"  
gen. Knechtes, Knechts
   des Knechtes, des Knechts "del servo"
dat. Knecht, Knechte
   dem Knecht, dem Knechte "al servo"
Al giorno d'oggi il dativo Knechte è inusuale. Sulla decadenza del genitivo nel linguaggio moderno già si è parlato sopra.   

nom./acc. pl. Knechte "servi"
   die Knechte "i servi"
gen. pl. Knechte
   der Knechte "dei servi"
dat. pl. Knechten
   den Knechten "ai servi 


https://i.postimg.cc/tJfNqTL0/Landsknecht.jpg

A questo punto occorre precisare che ogni lanzichenecco chiamava Heimat "Patria" la propria città di origine. Così, a titolo di esempio, per un lanzichenecco nativo di Norimberga, il termine Patria designava proprio la città di Norimberga. Mancava del tutto il concetto di Nazione Tedesca nella sua accezione moderna. Un concetto tanto caro ai Romantici, che non esitarono ad applicarlo retroattivamente, attribuendo a Georg von Frundsberg lo stesso sentire di un patriota del regno di Federico II di Prussia o del Reich di Guglielmo I di Germania. I Lanzichenecchi erano mercenari e spesso militarono al soldo del Sacro Romano Impero Germanico, ma se ne trovavano un po' dovunque. A questo punto tutto parrebbe molto semplice e lineare: ogni problema è risolto. Invece cose non stanno proprio così. Sussistono difficoltà semantiche ed etimologiche non indifferenti, tanto che c'è chi afferma che l'etimologia della parola Landsknecht è incerta

Innanzitutto si deve confutare un'opinione che è particolarmente comune tra gli studiosi italiani, convinti che il nome Landsknecht derivi da Lanze "lancia" (dall'antico francese lance), avendo dunque il significato di "servitore con la lancia" o di "servo della lancia". Secondo questa interpretazione, i Lanzichenecchi si sarebbero formati a partire dagli scudieri medievali. Vediamo che già per ragioni di morfologia non è possibile sostenere questa proposta etimologica. Procediamo con ordine.

Questa è la declinazione di Lanze "lancia":  

nom./acc. Lanze 
   die Lanze "la lancia"
gen./dat. Lanze
   der Lanze "della lancia"; "alla lancia"


nom./acc. pl. Lanzen
    die Lanzen "le lance
gen./dat. pl. Lanzen
    der Lanzen "delle lance"
    den Lanzen "alle lance" 


In alcune varietà come il lussemburghese si ha Lanz, senza vocale finale. Tuttavia vediamo che come primo elemento di composti questo sostantivo assume la forma Lanzen-. Ecco alcuni esempi:   

Lanzenfarn "tipo di felce" (Polystichum lonchitis)
Lanzenfisch "pesce del genere Alepisaurus"
Lanzenschaft "asta della lancia"


Vero è che la grafia più comune di Landsknecht era Lanzknecht, ma questo perché Lanz era un modo per scrivere quello che oggi è scritto come Lands. L'ortografia non era esattamente quella moderna ed era abbastanza instabile. Di una forma *Lanzenknecht non mi risulta esserci traccia alcuna. Invece sappiamo che la prima forma ad essere attestata è Lantknecht, senza alcuna traccia della sibilante -s- (detta Fugen-s dai grammatici). La parola Lantknecht compare verso il 1470 per descrivere un tipo di fanti mercenari tedeschi nell'esercito di Carlo il Temerario, duca di Borgogna; il corpo dei Lanzichenecchi venne ufficialmente istituito dall'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo nel 1487. A complicare le cose, nel corso del XV secolo la parola Lantknecht era già usata ma significava "balivo; ufficiale giudiziario, usciere di tribunale". Queste evidenze bastano ad escludere fermamente la derivazione da Lanze "lancia" e a provare in modo solido la derivazione da Land "terra; paese". Inoltre, tecnicamente parlando, i Lanzichenecchi non usavano la lancia, bensì la picca, che in tedesco è chiamata Spieß (in ortografia moderna Spiess). La lancia era l'arma dei cavalieri, non dei fanti, che erano picchieri e alabardieri. 

Appurato che le lance non c'entrano nulla e che la falsa etimologia da Lanze è solo un'invenzione dei perfidi romanisti, molti si continuano a domandare perché mai il lanzichenecco fosse chiamato "servo della terra" o "servo del paese". A quanto mi è dato di capire, si sono create due fazioni. Da una parte c'è chi traduce alla lettera con "servo della gleba", sostenendo che i fanti germanici siano sorti da un processo di emancipazione sociale che ha portato i contadini di condizione più bassa a disertare la terra e la zappa, cercando fortuna come soldati di ventura. Dall'altra parte c'è invece chi sostiene che i fanti germanici si siano formati a partire dalla piccola nobiltà rurale: i figli cadetti lasciati senza eredità avrebbero cercato fortuna come soldati di ventura. Quest'ultima ipotesi mi sembra la più verosimile e sono incline a sostenerla. Oltre al fatto che Land non traduce "gleba", la condizione dei servi della gleba è detta in tedesco Leibeigenschaft. La gleba compare soltanto in italiano: in francese basta dire servage "servitù della gleba", in spagnolo si ha servidumbre, in inglese sefdom, etc. Ancora una volta gli accademici italiani tendono ad estendere all'universo mondo le loro categorie anguste, senza ulteriori riflessioni. Sono comunque necessari studi approfonditi per dare una risposta definitiva al problema tutt'altro che facile dell'origine ultima dei Lanzichencchi. Tali studi esulano dallo scopo di questo articolo, che già potrebbe essere considerato troppo prolisso così. 

Sviluppi in altre lingue

In italiano la parola Lanzknecht ha dato lanzichenecco, con le varianti lanzichenetto, lanzighenetto e lanzo. In Toscana i Lanzi, alabardieri tedeschi, servirono a lungo come guardie del corpo del Granduca, fino all'estinzione della stirpe medicea nel 1737 con la morte di Gian Gastone de' Medici: il corpo fu sciolto nell'anno successivo da Francesco III Stefano di Lorena. Erano proverbiali per la loro scarsa igiene, tanto che si diceva "essere sucidico come un lanzo", "avere le unghie incolte come quelle di un lanzo". Si comprende che il suono della parola tedesca era arduo per i suoi accumuli di consonanti. Non essendo etimologicamente chiaro alle genti della Penisola, fu adattato come fu possibile. Chiaramente la forma risultante era comunque sentita come pesante e difficile, così venne in uso la forma abbreviata lanzo.

Dai Lanzichenecchi prese quindi nome un'arma particolare, una spada massiccia da fanteria che in tedesco è detta Katzbalger (alla lettera "pelliccia di gatto"), mentre in italiano è chiamata lanzichenetta o lanzighenetto. La stessa origine ha il nome di un gioco d'azzardo, che è chiamato tuttora lanzichenecco o più comunemente zecchinetta (variante rara zecchinetto). Com'è ovvio, zecchinetta è un'abbreviazione di un precedente lanzichenetta, anche se ai moderni richiama alla mente soprattutto lo zecchino, cosa che può aver favorito questo esito fonetico. Wikipedia riporta nella pagina italiana dedicata alla zecchinetta le denominazioni lasqueneet e lanzeneck, che non mi riesce bene di collocare. In tedesco è attestato Lanzeneck col significato di "filo della lama della lancia" (da Lanze "lancia" + Ecke "margine, bordo"), che non c'entra nulla, mentre la zecchinetta è chiamata Landsknecht proprio come il lanzichenecco. Sembra invece che lanzenech indicasse il lanzichenecco in lombardo. Per il resto, lasqueneet parrebbe una forma inglese, ma non se ne trova traccia (vedi sotto). Sarò grato a chi potrà fornirmi maggiori chiarimenti. 

Interessanti adattamenti si trovano anche in altre lingue. In francese Lanzknecht diede origine a lansquenet "lanzichenecco", che poi passò anche in inglese. Nella sola accezione di zecchinetta, in inglese esiste poi un adattamento popolare ormai desueto, lambskinnet, la cui ortografia si deve con tutta probabilità a falsa etimologia (per quanto semanticamente insensata) a partire da lambskin "pelle d'agnello". In inglese la zecchinetta è oggi chiamata lansquenet o lansquenette. In spagnolo Lanzknecht ha dato lansquenete "lanzichenecco", ma ho in sospetto che il prestito sia avvenuto tramite mediazione francese.

ETIMOLOGIA DELL'INGLESE AMERICANO CAUCUS 'RIUNIONE POLITICA'

La parola caucus è diffusa negli Stati Uniti d'America col senso di "riunione privata di capi di partito o votanti locali". Talvolta la si sente anche nei media italiani, in riferimento alle riunioni politiche statunitensi, ad esempio nel corso di commenti sulle campagne elettorali dei candidati repubblicani e democratici. Tutti i cronisti che mi è capitato di sentire pronunciano /'kaukus/, come se fosse una parola latina. Questa origine della parola dalla lingua di Roma viene di solito data per scontata. Ma è davvero così? 

Innanzitutto direi che sia il caso di menzionare un fatto sorprendente: nella Terra dei Coraggiosi caucus si pronuncia /'kɔ:kəs/ o addirittura /'ka:kəs/. Qualcuno dirà che gli anglosassoni non si sono mostrati teneri con la pronuncia del latino nel corso della loro storia. Non per niente la pronuncia accademica del latino è davvero singolare e bizzarra.


Il plurale di caucus è caucuses o caucusses. Esistono derivati bizzarri come caucusdom "il mondo dei caucus" e caucusgoer "frequentatore di caucus" - oltre a precaucus "precendente il caucus" e postcaucus "dopo il caucus". Il verbo to caucus significa "partecipare a un caucus" e "trattare in un caucus" (III persona sing. caucuses o caucusses; passato semplice e participio passato caucused o caucussed, participio presente caucusing o caucussing). Ormai si parla di caucus anche in Canada, in Israele, in Pakistan, in Sud Africa e persino in Zimbabwe. Per contro, il Regno Unito sembra opporre resistenza all'uso del vocabolo.  



Questo riferisce John Pickering nel suo lavoro "A Vocabulary, or Collection of Words and Phrases Which Have Been Supposed to be Peculiar to the United States of America" (Boston, 1816):  

CAUCUS. This noun is used throughout the United States, as a cant term for those meetings, which are held by the different political parties, for the purpose of agreeing upon candidates for office, or concerting any measure, which they intend to carry at the subsequent public, or town meetings. 

Traduzione: 

"Questo nome è usato negli Stati Uniti come termine gergale per quelle riunioni che sono tenute dai diversi partiti politici allo scopo di accordarsi sui candidati per l'ufficio, o per organizzare qualsiasi misura che essi intendono portare alle successive riunioni pubbliche o cittadine." 

Lo stesso Pickering cercò in modo assurdo e grottesco di ricondurre caucus a caulker, termine tecnico indicante un operaio che infilava della stoppa (oakum) nelle fessure degli scafi delle navi per renderle stagne e impedire il formarsi di falle. 

William Gordon, nel suo lavoro "History, Rise, Progress, and Establishment of the Independence of the United States of America" (Londra, 1788), riporta quanto segue:  

The word caucus, and its derivative caucusing, are often used in Boston. The last answers much to what we stile parliamenteering or electioneering. All my repeated applications to different gentlemen have not furnished me with a satisfactory account of the origin of caucus. It seems to mean, a number of persons, whether more or less, met together to consult upon adopting and prosecuting some scheme of policy, for carrying a favorite point.

Traduzione:

"La parola caucus e il suo derivato caucusing sono spesso usate a Boston. Quest'ultimo risponde molto a ciò che definiamo prendere parte attiva negli affari parlamentari o elettorali. Tutte le mie ripetute richieste a diversi signori non mi hanno fornito un resoconto soddisfacente dell'origine del caucus. Sembra significare che un certo numero di persone, più o meno, si sono incontrate per consultarsi sull'adozione e il perseguimento di una linea politica, per attuare il punto preferito di un programma." 

Stupisce la reticenza di Gordon. Non è difficile immaginare che nella fiorente e massonica cittadina di Boston sia sorto qualche dotto galantuomo a ipotizzare che il caucus abbia preso questo nome da una fantomatica ciotola (latino caucus "specie di coppa, tazza", a sua volta dal greco καῦκος, kaukos), che sarebbe stata usata dagli astanti per i più svariati scopi. Colossali libagioni? Computo delle presenze? Recipiente per la raccolta dei voti? Non è dato sapere. Pur essendo il vocabolo attestato a partire dagli anni '60 del XVIII secolo, non si riesce a trovare alcuna documentazione attendibile. Anche le allusioni a un Caucus Club proprio in quegli anni sembrano non sostanziarsi in alcun documento concreto. A tal punto si è giunti, che alcuni nella stessa America si chiedono se il plurale di caucus non dovrebbe essere *cauci anziché caucus(s)es, dando per scontato che si tratti di latino! 

La verità è che a continuare a insistere col latino e col greco degli universitari non si ottiene nulla. L'origine genuina di caucus è amerindiana. Per l'esattezza la parola proviene da una lingua algonchina un tempo parlata in Virginia, in cui caucauasu significa "consigliere; veterano" (glossa inglese: "counselor, elder, advisor"; "one who advises"). Cosa buffa, esiste nell'inglese americano anche un altro vocabolo derivato dalla stessa identica forma algonchina, ma seguendo un diverso percorso di evoluzione fonetica: cockarouse "persona influente". Orbene, questo cockarouse è identico a caucus, che poteva a quanto pare essere anche usato come un nome collettivo col significato di "riunione di capi tribali" (ossia "insieme di consiglieri").  La derivazione di caucus dall'algonchino caucauasu è stata per la prima volta sostenuta dall'esperto americanista J. H. Trumbull nel 1872, eppure è a parer mio ancora valida. Nel Web si cita spesso anche la variante cawaassough, a volte caw-cawaassough, che potrebbe essere semplicemente una diversa trascrizione di caucauasu. Al momento non sono riuscito a reperire materiale per la ricostruzione della forma proto-algonchina e per la sua analisi morfologica.



Concludiamo questo trattatello riportando qualcosa che ha dell'incredibile. Nel 1943 un demente encefalitico in preda al delirio ha indirizzato una lettera al giornale American Speech, affermando che caucus sarebbe un acronimo derivato dai nomi di sei politicanti: Cooper, Adams, Urann, Coulson, Urann II e Symmes. Simile immondizia concettuale va considerata meritevole soltanto di irrisione e scherno!

martedì 8 ottobre 2019

ETIMOLOGIA E PRONUNCIA DI QUECHUA

La parola quechua indica la lingua ufficiale dell'Impero Inca (Tawantinsuyu), e ciascuna delle lingue che ne sono derivate, parlate attualmente da quasi 10 milioni di persone su un vastissimo territorio che include aree della Colombia meridionale (dipartimento di Nariño) e dell'Ecuador, il Perù e la Bolivia, fino alla regione di Santiago del Estero in Argentina e alla provincia di El Loa in Cile. Per estensione, la parola in questione è usata per designare ogni popolo che parla una lingua di origine incaica. Molti navigatori italici si domandano quale sia la corretta pronuncia di quechua, dato che sembrano trovare grande difficoltà a comprenderla a partire dalla sua ortografia, che è ispanica. Ebbene, si deve pronunciare /'ketʃwa/. Accento sulla prima sillaba, la prima consonante è una /k/ come la c nella parola cosa (qu è solo un artificio ispanico per trascrivere il suono davanti alle vocali e e i), la -ch- ha un suono palatale come la c nella parola cena. Per rendere comprensibili le cose a chiunque, basti dire che la -ch- di quechua ha lo stesso suono che ha nel nome del Che Guevara - che a quanto pare tutti pronunciano in modo corretto. Un tempo si usava un obbrorioso e fuorviante adattamento all'ortografia italiana: checiua. Una simile trascrizione può ingenerare gravi distorsioni e deve essere evitata.

Orbene, quechua è l'adattamento di qhichwa "valle temperata". La traduzione usuale è "valle di montagna", in spagnolo "valle de la sierra", "quebrada". Una traduzione più tecnica è "altezza andina compresa tra i 2.300 e i 3.500 metri". La pronuncia varia a seconda delle lingue quechua: quella originale ha una consonante iniziale particolarmente ardua, un'occlusiva uvulare aspirata /qh/. Questa consonante ha alterato il suono della vocale /i/ in molte varietà della lingua, facendolo diventare [e]. Nell'originale lingua incaica i fonemi vocalici sono soltanto tre, /a/, /i/, /u/; la vocale [e] è un allofono di /i/, la vocale [o] è un allofono di /u/. In altre parole, si può prevedere dal contesto dove si deve pronunciare [e] e dove [i], dove si deve pronunciare [o] e dove [u]. Si registrano forme come /qiswa/, /qiʃwa/, /qhiʃwa/, /qheswa/, /qeʃwa/, etc. 

Questa è la declinazione di qhichwa "valle temperata":

Nominativo: qhichwa
    pl. qhichwakuna "valli temperate" 
Accusativo: qhichwata "valle temperata"
    pl. qhichwakunata "valli temperate"
Dativo: qhichwaman "alla valle temperata"
    pl. qhichwakunaman "alle valli temperate"
Genitivo: qhichwap (qhichwaq)* "della valle temperata"
    pl. qhichwakunap (qhichwakunaq) "delle valli temperate"
Locativo: qhichwapi "nella valle temperata"
    pl. qhichwakunapi "nelle valli temperate"
Terminativo: qhichwakama "fino alla valle temperata"
    pl. qhichwakunama "fino alle valli temperate"
Ablativo: qhichwamanta "dalla valle temperata"
    pl. qhichwakunamanta "dalle valli temperate"
Strumentale: qhichwawan "con la valle temperata"
   pl. qhichwakunawan "con le valli temperate"
Comitativo: qhichwantin "assieme alla valle temperata"

   pl. qhichwakunantin "assieme alle valli temperate"
Abessivo: qhichwannaq "senza la valle temperata"

   pl. qhichwakunannaq "senza le valli temperate"
Comparativo: qhichwahina "come la valle temperata"
   pl. qhichwakunahina "come le valli temperate"
Causativo: qhichwarayku "a causa della valle temperata"
   pl. qhichwakunarayku "a causa delle valli temperate"
Benefattivo: qhichwapaq "per la valle temperata"
   pl. qhichwakunapaq "per le valli temperate"
Associativo: qhichwapura "tra le valli temperate"
   pl. qhichwakunapura "tra le valli temperate"
Distributivo: qhichwanka "valle temperata per ognuno"
   pl. qhichwakunanka "valli temperate per ognuno"
Esclusivo: qhichwalla "solo la valle temperata"
   pl. qhichwakunalla "solo le valli temperate"


*I genitivi in -q anziché in -p sono tipici della lingua di Cuzco.

Ci sono poi le forme possessive, a loro volta declinate, ma elencarle in questa sede sarebbe troppo lungo.

L'uso del vocabolo qhichwa per indicare la lingua incaica è ben documentato e non si deve a un'errata interpretazione ispanica. Ecco un esempio: 

Ñuqanchik qhichwata rimachanchik "stiamo parlando in quechua" 

Queste locuzioni sono degne di nota: 

qhichwa runa "uomo di lingua quechua"
qhichwa simi "lingua quechua"


Va detto che in genere è sufficiente dire runa "uomo" per indicare l'uomo di lingua quechua, in contrapposizione a wiraqhucha "uomo di lingua spagnola". La lingua stessa è chiamata runa simi (scritto anche runasimi), ossia "lingua dell'uomo": simi significa "lingua", (sia organo della bocca che linguaggio). Per contro, la parola runa è passata nello spagnolo andino colloquiale per indicare un "campesino indio", con accezione profondamente spregiativa, ad esempio in frasi come "es un verdadero runa", etc. 

Sappiamo che gli Incas stessi, ossia i regnanti dell'antico Perù, chiamavano la propria lingua qhapaq simi o qhapaq runasimi, ossia "lingua nobile". C'è chi traduce con "lingua imperiale", da cui discende in via diretta la nozione che così fosse denominata la lingua ufficiale del Tawantinsuyu. Ciò ha ingenerato molti equivoci. Infatti ho il fondato sospetto che con questa locuzione gli Incas non indicassero la lingua a noi nota come quechua, bensì la propria particolare lingua segreta, ignota al volgo e del tutto diversa da quella corrente. Alcuni credono che questa lingua segreta fosse il puquina, una lingua andina isolata e oggi verosimilmente estinta; ritengo del tutto inattendibile questa opinione. 


Il primo uso della parola quechua per indicare la lingua incaica risale al XVI secolo, per l'esattezza al 1540: si trova nella grammatica di Pedro de Aparicio. Non si può quindi nemmeno dire che si tratti di un'innovazione recente e artificiosa. 

Confutazione di un'etimologia alternativa 

Molti autori riportano una diversa etimologia per quechua, facendone risalire l'origine al vocabolo trascritto come kkechuwa e glossato con "ladrone, predone" (in inglese "plunderer, robber"). La parola, che non è usata nelle attuali lingue del ceppo quechua, deve essere un antico derivato del verbo qichuy "sottrarre, rubare, espropriare", trascritto come quechuy, kkechuy, etc. Così possiamo ricostruire kkechuwa come *qichuwa "ladro", anche se il suffisso -wa mi risulta piuttosto oscuro. Si noterà che l'accento deve collocarsi sulla seconda sillaba, ossia sulla vocale -u- (*qi-chù-wa), in netta opposizione con quanto visto per qhichwa "valle temperata", che ha l'accento sulla prima sillaba, ossia sulla vocale -i- (qhì-chwa). Ho notato che nel quechua degli Wanka (Perù meridionale) si dice qitruy "sottrarre, rubare", e questo ci permette di capire che la protoforma aveva una consonante originale -tr-, una retroflessa che si pronunciava come nel siciliano quattru, poi confusa con -ch-. Nella stessa lingua locale si ha qitrwa "valle temperata", con il medesimo fonema. Così possiamo ricostruire con sicurezza il seguente quadro per il proto-quechua: 

    *qhitrwa "valle temperata"
    *qitruy "sottrarre, rubare"


Appare chiaro che sono due radici totalmente distinte, che mostrano qualche somiglianza soltanto per omofonia. 

La wikipediana Mary Tania ha scritto quanto segue: 

    It is important to know that the word "Quechua" or "Qheswa" is not the real name of the language of the Incas. The proper title to their language given by the Incas was "Qhapaq Runasimi", "The Great Language of the people" (Qhapaq = great, Runa = People, Simi = language). The word Quechua was given by Dominican priest Pedro Aparicio in the times of the conquest in 1540 misundestanding the meaning. The root of the word 'quechua' means, taken away by force,"quechuanchis" were called the Spaniards by the Incas an expression that means all together, killers, thiefs.

    Quechuy = means, expropiar, robar by force.
    Quechuypa = is a verb wich it means = the action of stealing.


Ebbene: tutto ciò è viziato da gravi distorsioni. Ovviamente il fatto che gli Spagnoli fossero chiamati "ladroni" non desta scalpore; la confusione tra "ladroni" e "zona temperata" non attecchisce in chi ha qualche rudimento della lingua incaica e ne comprende la fonetica. Ecco qual è il funesto effetto del Web sulle Scienze: non solo ne rallenta lo sviluppo, ma lo ostacola nei modi più subdoli. Costringe gli studiosi a reinventare ogni volta la ruota. Ripropone costantemente etimologie errate e concetti superati. Diffonde assurdità di ogni genere, obbligando ogni volta a combattere contro chi le sostiene a spada tratta. Distorce ogni cosa, impedendo di formarsi opinioni chiare.

ETIMOLOGIA E PRONUNCIA DI ZUCKERBERG

Tutto noi conosciamo Mark Zuckerberg. Entrato di prepotenza nelle nostre vite, ne ha preso il completo controllo. Scandaglia le nostre menti in tempo reale tramite meccanismi di captazione telepatica e ha acquisito su tutti noi un potere superiore a quello esercitato da qualsiasi dittatore del passato. Molti però si pongono una domanda che potrà sembrare futile. Come si deve pronunciare il cognome Zuckerberg? Anche a costo di essere impopolare, affermo e affermerò sempre una sacrosanta verità. I cognomi ashkenaziti sono in gran parte composti formati a partire da parole della lingua tedesca, quindi appartengono ipso facto alla lingua tedesca. Mi si dirà che si tratta di adattamenti dallo yiddish. Benissimo, ricordo che lo yiddish è una lingua eminentemente germanica, per la precisione una varietà dell'alto tedesco. Reputo pertanto una aberrazione insopportabile qualsiasi pronuncia ortografica anglosassone di questi cognomi - e di ogni cognome tedesco in generale, quale che sia la sua origine. Tutti sappiamo che Frankenstein si deve pronunciare /'fɹaŋkǝnʃtaɪn/ e non /'fɹaŋkǝnsti:n/ (come se fosse scritto Fronkensteen) o addirittura /'fɹæŋkǝnstɪn/ (come se fosse scritto Frankenstin). Spero che lo abbiano imparato anche nella Terra dei Liberi, visto che l'acuto Mel Brooks ha pensato di insegnarlo a quella progenie incolta tramite il suo film Frankenstein Junior (1974). Allo stesso modo Zuckerberg è e sarà sempre da pronunciarsi /'tsʊkəɹbɛɹg/, non /'zʌkəɹbəɹg/ o simili, come invece fanno negli Stati Uniti d'America e in altre nazioni di lingua inglese. La prima sillaba del cognome ha una vocale -u- (persino la vocale /u/ italiana è un'approssimazione migliore di quella usata dagli anglosassoni!) e inizia con una consonante affricata sorda /ts/, come quella che si trova nelle parole italiane razzismo, tazza e cozza. Non ha la consonante fricativa sonora /z/, come quella che si trova nelle parole italiane rosa, cosa e casa, che in tedesco si trova anche in posizione iniziale in parole come Sonne "sole", Saft "succo", sein "essere" e Sieg "vittoria". Trovo assolutamente deprecabile e priva di senso l'abbreviazione Zuck, pronunciata /zʌk/ e oggi tanto popolare, dato che oscura completamente l'etimologia del cognome. Anche se gli Stati Uniti d'America hanno fatto una bandiera dell'ignoranza e dell'incapacità di comprendere l'etimologia dei nomi, bastano poche nozioni di tedesco per sapere cosa significa il cognome del plenipotenziario di Satana sulla Terra: Montagna di Zucchero. Non è un concetto troppo arduo. Né mi sembra impossibile memorizzare parole semplici come Zucker "zucchero" e Berg "montagna". Seguendolo, si comprende che questi cognomi sono trasparenti, ossia traducibili. Così come Zuckerberg significa "Montagna di Zucchero", possiamo tradutte all'istante moltissimi cognomi ashkenaziti: Weinstein "Pietra del Vino", Goldberg "Montagna d'Oro", Goldblum "Fiore d'Oro", Goldstaub "Polvere d'Oro", Goldstein "Pietra d'Oro", Goldschmiedt "Orafo", Rosenberg "Montagna della Rosa", Schwartzkopf "Testa Nera", etc. Perché queste ovvietà vengono bellamente ignorate?

Qualcuno mi dirà che persino lo stesso Mark Zuckerberg pronuncia in modo anglizzato il proprio cognome come /'zʌkəɹbəɹg/, favorendo tra i suoi dipendenti l'abbreviazione /zʌk/ e andando volentieri contro la fonetica stessa della lingua tedesca. La cosa è irrilevante. La natura di una lingua non cambia per l'arbitrio di uomini tirannici. Altri mi diranno che è un fatto politico: moltissimi Ashkenaziti hanno favorito l'anglizzazione della pronuncia dei loro cognomi per reazione contro il Reich. Ciò è una pura e semplice assurdità: la lingua tedesca non è un'invenzione di Adolf Hitler e della NSDAP! Una persona che deturpa il proprio cognome, quale ne sia il motivo, si fa servitrice della Menzogna. Lo stesso Mel Brooks ha fatto allusione a questa tendenza: il discendente di Victor Frankenstein pronunciava stizzosamente il proprio cognome come Frankenstin a causa di un senso di vergogna, per dissociarsi da un passato per cui provava un'invincibile ripugnanza. Riacquistato l'orgoglio dell'appartenenza ai propri Padri, ecco che lo scienziato ripudiava Frankenstin per tornare a farsi chiamare Frankenstein. Perché Mark Zuckerberg non fa lo stesso? Per una lingua non c'è maledizione peggiore dell'ortografia storica, generatrice di storture e di errori a non finire. A questo punto, alterazione per alterazione, pronuncerò il cognome Zuckerberg in un nuovo modo, inedito: Zuckerborg. La logica soggiacente è chiara. Se una persona ha un account su Facebook, significa che è stata assimilata. Ogni resistenza è futile.

domenica 6 ottobre 2019

ALCUNE NOTE SULLA LOCUZIONE 'FAR VEDERE I SORCI VERDI'


Ero poco più che un moccioso quando sentii per la prima volta la locuzione "far vedere i sorci verdi". Mia madre (R.I.P.) stava parlando a un'amica di problemi scolastici e di una insegnante terribile. Credo che la belva umana di cui si discorreva insegnasse matematica: nel mio immaginario tale ostica materia era una vera punizione da Inferno di Dante! Così mia madre disse che la docente vessava e perseguitava i poveri scolari. "Gli fa vedere i sorci verdi!", commentò. Subito si destò in me la curiosità di sapere perché si dicesse così. Raffazzonai prontamente una spiegazione. Com'è ovvio le parole erano più rozze, ma la sostanza era più o meno questa: "Quando un'insegnante-aguzzina tiene sotto pressione un alunno, quello va in uno stato di estrema confusione, al punto da sviluppare una vera e propria febbre; a questo punto, incalzato da continue domande e rimproveri, minacciato da urla, brutti voti e infiniti ricatti, la povera vittima ha le allucinazioni, come quando la temperatura sale troppo, oltre i 40 °C, tanto da vedere guizzi di luce verde ai margini del campo visivo." Ecco spiegati i sorci verdi. Non era poi tanto male. Al giorno d'oggi qui in Lombardia uno scolaro non saprebbe nemmeno dire cosa sono i sorci. Sembra che sorcio sia una parola ormai uscita dal vocabolario della lingua italiana, al massimo considerata un termine dialettale romano quasi sconosciuto al di fuori dell'Urbe. Perché un giovane della Generazione Z capisca di cosa si sta parlando, sarebbe necessaria la traduzione sorcio = topo


Ecco, con grande stupore, che qualche anno dopo lessi su un libro l'origine attribuita alla locuzione "far vedere i sorci verdi", a cui sono attribuiti molteplici significati, da "provocare un estremo spavento" a "fare una sorpresa non molto gradita". Fui molto sorpreso da quanto appresi, perché mi sembrava qualcosa di controintuitivo. Stando all'opinione corrente degli accademici, gli amabili roditori non c'entrerebbero nulla con le allucinazioni indotte dalle vessazioni scolastiche o da altro! "Sorci Verdi" era infatti la denominazione della 205a Squadriglia da bombardamento della Regia Aeronautica, appartenente al 41° Gruppo BT (Bombardamento Terrestre) del 12° Stormo inquadrato nella III Squadra aerea. Piuttosto complicato, non è vero? Proprio per questo nel linguaggio comune si diceva Squadriglia "Sorci Verdi" per spirito di sintesi.

Correva l'Anno del Signore 1937, mese di marzo, nel pieno del Ventennio fascista che tante polemiche continua a suscitare a babbo morto da più di settant'anni. Guerra civile spagnola. Il sottotenente Aurelio Pozzi avrebbe udito un sottufficiale, romano de Roma, sbottare: "Domani annamo su Barcellona e je famo vede li sorci verdi!" Preso dall'ispirazione, lo stesso Pozzi avrebbe quindi disegnato i tre fatidici topi color menta, ritti sulle zampe posteriori. Due degli allegri animaletti erano intenti a conversare, mente l'altro dava loro le spalle; tutti e tre avevano un'espressione allegra. L'effigie fu dipinta dapprima sulla fusoliera dell'aereo del Pozzi, un trimotore Savoia-Marchetti S.M. 79, poi il suo uso fu esteso all'intera squadriglia, divenendo ben presto sinonimo di terrore e di devastazione, ma anche di strepitosi successi nelle competizioni. Nell'agosto del 1937 il capitano Bruno Mussolini, figlio di Benito, conquistò i primi tre posti nella gara aerea Istres-Damasco-Parigi, diffondendo la fama dei Sorci Verdi nel mondo intero. Sembra che in quell'occasione lo stesso Duce abbia esclamato: "Abbiamo fatto vedere i sorci verdi al mondo intero!" Ignorando l'aneddoto su Aurelio Pozzi e sul suo sottufficiale romano, alcuni attribuiscono l'origine del modo di dire proprio all'esclamazione mussoliniana - sulla cui origine sembrano però non interrogarsi. Questo è a mio avviso un controsenso, dato che i sorci verdi erano già l'emblema degli otto aerei della 205a Squadriglia portati alla vittoria dal capitano Bruno Mussolini. Il 7 settembre 1937 il generale Giuseppe Valle stabiliva con apposita nota che "il distintivo dei Sorci Verdi [con i tre topi in posizione eretta] contrassegnante i velivoli che parteciparono alla gara aerea internazionale Istres-Damasco-Parigi venga adottato come distintivo ufficiale del 12º Stormo B.T."

Benissimo. Appurati questi fatti sui famigerati "Sorci Verdi", resta una domanda profonda che i romanisti non considerano - a quanto pare per incompetenza e ignoranza essenziale. Perché diamine il sottufficiale romano avrebbe detto quanto disse? Senza questa domanda, tutto il ragionamento fatto dagli etimologi della Crusca è un mero circolo vizioso. Ebbene, il sottufficale romano usò i sorci verdi come allegoria di un estremo spavento per un motivo semplicissimo. La locuzione "je famo vede li sorci verdi" esisteva già! Non deriva dal simbolo della 2o5a Squadriglia da bombardamento, semmai è l'esatto contrario! È proprio il simbolo della 205a Squadriglia da bombardamento che deriva dalla locuzione. Questo perché si trattava di un modo di dire che doveva esistere già da tempo ed essere ben radicato a Roma. Le imprese belliche e sportive dei "Sorci Verdi" lo hanno semplicemente reso popolare dovunque. Quando tentai per la prima volta di dare un senso a questi benedetti roditori, non avevo quindi tutti i torti! 

Cosa possiamo dedurre da quanto esposto? Una cosa su tutte: forse non è infondato il sospetto che persino tra gli accademici siano ben rappresentati i coglioni!