venerdì 24 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI OK

Tutti conoscono la locuzione Okay, scritta anche OK, Ok, O.K., che è sinonimo di "va bene". Si è diffusa a partire dagli Stati Uniti d'America - e su questo tutti sono d'accordo - ma pochi si domandano quale sia la sua vera origine. Eppure sono stati scritte così tante pagine sull'etimologia di OK che non si potrebbe nemmeno riuscire a contarle: si farebbe prima a pesarle. Non c'è una sola opera dell'ingegno umano che possa davvero fornire una soluzione certa di questo annoso problema. Possiamo dire che siamo di fronte a una realtà ben definibile come pantano etimologico
 
Spiegazioni acronimiche 
 
In qualche modo è sempre stato dato per scontato che OK non sia una vera e propria parola di un linguaggio naturale, bensì una sigla o un acronimo, una specie di abbreviazione composta dalle iniziali di un nominativo o di una frase. Non per niente una variante diffusa è proprio O.K., con tanto di lettere puntate che sembrano dare conferma di questa idea, così radicata nell'immaginario collettivo. Non fa qindi specie che siano state elaborati molti tentativi ad hoc per individuare il nominativo o la frase all'origine della supposta abbreviazione. 
 
Tra gli snob di Boston nel XIX secolo erano in uso due passatempi abbastanza futili: la costruzione di acronimi e le gare di ortografia umoristica (certo, a Sodoma si divertivano di più). Così è opinione comune che nei salotti qualche bostoniano durante una serata frizzante passata a ideare "comical mispellings" se ne sia uscito a scrivere oll korrect (o addirittura orl korrect, ole kurreck) anziché all correct, e da qui sarebbe derivato direttamente l'acronimo OK. Non per niente la prima attestazione di OK risale al 1939 e compare proprio sul quotidiano The Boston Post. Altri esempi di inutili creazioni dei questi cervellotici idioti di Boston sono le seguenti:  NG "no go", OFM "our first man", GT "gone to Texas", SP "small potatos". A quanto pare è stato addirittura individuato un predecessore di OK: all right, scritto comicamente oll wright, fu quindi abbreviato in OW.
 
Quando ero al liceo ero afflitto da un insopportabile genialoide, un biondino effeminato e molesto, fanatico pierangelista, convinto di avere la spiegazione definitiva di ogni cosa. Questo individuo era più irritante di una cimice dei letti. Un giorno la professoressa di inglese gli chiese se sapesse da dove ha avuto origine la locuzione OK. Lui rispose con supponenza che si trattava di una sigla formata dalle iniziali del nome di un club politico, il cosiddetto Old Kinderhook, che in occasione delle elezioni presidenziali del 1840 sosteneva il candidato democratico Martin Van Buren. Tale politicante era nato proprio a Kinderhook, nello Stato di New York, cosa che aveva dato nome al club. Il biondino odioso ne era convinto e non ammetteva dubbi: OK era proprio il nome di un club politico. Lo sosteneva con lo stesso fervore da pasdaran con cui propugnava la cosmologia del Big Bang, l'evoluzionismo di Darwin o l'origine della coscienza nella biochimica del cervello. Il contraddittorio non era previsto. Il biondino non era un essere umano, era un gelido androide. Per fortuna l'insegnante espresse dubbi su questa storiella dell'Old Kinderhook, e non gli diede soddisfazione, preferendo la teoria della derivazione di OK dalle iniziali di oll korrect
 
Il mondo accademico ritiene che le due spiegazioni appena riportate siano anche le più probabili. Quando un utente digita in Google la chiave di ricerca "OK etimologia", il motore mette in bella mostra un riquadro che riporta la storiella dell'Old Kinderhook e della candidatura di Van Buren alle presidenziali del 1840. La chiave di ricerca "OK etymology", in ingelse, fornisce un risultato simile ma più esteso e con anche un riferimento a orl korrect, postulando un'interferenza: l'abbreviazione di Old Kinderhook si sarebbe imposta sfruttando la popolarità della preesistente abbreviazione bostoniana di orl kurrect. Per molti è ragionevole che sia andata proprio così. Questo non toglie che siano state formulati molti altri tentativi di penetrare i misteri dell'OK. Sembrano tutte abbastanza stravaganti e surreali. Nella migliore delle ipotesi presuppongono storielle fabbricate a bella posta dal nulla. 

1) Greco: Ὅλα Καλά (ola kalá) "tutto bene"
Si suppone che la siglia fosse usata dagli immigranti greci nei telegrammi per limitare le spese; secondo altri sarebbe stata usata dagli insegnanti nella correzione dei compiti degli studenti; secondo altri ancora il suo uso sarebbe nato tra i marinai greci.
2) Russo: очень хорошо (očen' khorošó) "molto bene"
Si suppone che questa fosse un'esclamazione usata dagli scaricatori di porto ucraini a Odessa per segnalare che il caricamento delle merci era andato a buon fine. Ne sarebbe quindi derivata una sigla da scrivere sulle casse.  
3) Tedesco: ohne Korrektur "senza correzione" 
Si suppone che la sigla fosse usata dagli insegnanti nella correzione dei compiti; forse diffuso dalle minoranze germanofone del Texas? 
4) Tedesco: Ober Kommando "Alto Comando"
L'abbreviazione sarebbe nata tra i contingenti militari Assiani utilizzati dall'Impero Britannico per reprimere la Rivoluzione Americana. Oggi si scriverebbe piuttosto Oberkommando. Non manca chi suppone che OK stia invece per Oberst Kommandant, "colonnello in comando". La semantica è piuttosto forzata.  
5) Inglese: Order Received "ordine ricevuto", con la lettera R letta male come K.
L'errore sarebbe di lettura stato commesso un commesso nero semianalfabeta in una fattura di vendita, ma a quanto pare si tratta di una storiella inventata di sana pianta dallo storico Albigence Waldo Putnam.
6) Inglese: opposto di KO, abbreviazione di knockout.
Si presuppone l'origine della sigla nel gergo del pugilato, secondo l'idea che invertendo le lettere di una parola o di una siglia se ne invertirebbe magicamente anche il significato.
7) Inglese: cattiva lettura di 0k "zero killed", ossia "nessun ucciso"
Si tratterebbe di una specie di contrassegno usato dai militari americani per segnalare che una battaglia o una missione di combattimento si era conclusa senza nessuna perdita.
8) Inglese: Open Key "comunicazione aperta", ossia "pronto a trasmettere" 
Si presuppone l'origine della sigla nel gergo dei telegrafisti. Questa storiella sarebbe nata da un equivoco a partire da un telegramma in cui O.K. sta verosimilmente per oll korrect
9) Inglese: outer keel "chiglia esterna"
La sigla OK N° 1 sarebbe stata usata dai costruttori di navi dallo scafo di legno per contrassegnare la prima trave che doveva essere posata.
10) Inglese: King's Observatory "Osservatorio del Re" 
La siglia, a dire il vero KO, sarebbe comparsa sugli strumenti di precisione certificati dall'Osservatorio, che aveva sede a Richmond, nei pressi di Londra (la costruzione esiste ancora ma è una dimora privata). Questo KO era scritto in modo bizzarro, coi caratteri sovrapposti, tanto da essere letto erroneamente OK.   
11) Francese: au courant "al corrente", "consapevole di qualcosa" 
In una poesia dell'umorista Charles Godfrey Leland compare il personaggio di Hans Breitmann, immigrato tedesco semicolto, che avrebbe scritto male le iniziali della locuzione francese, dando origine a O.K. 
12) Latino: Omnis Korrecta (secondo altre fonti Omnes Korrecta) "tutta corretta" 
La sigla sarebbe stata usata dagli insegnanti nella correzione dei compiti degli studenti. Questa proposta di spiegazione è comparsa sul quotidiano The Vancouver Sun. I casi sono due: o l'autore non conosceva bene il latino, oppure presupponeva che la locuzione si riferisse a un sostantivo femminile sottinteso. Forse sarebbe stato meglio un neutro plurale, omnia correcta. La K si deve a una grafia fantasiosa come si è visto in altri casi simili.  
 
Sono assai numerosi i tentativi di ricondurre OK alle iniziali di qualche personaggio, reale o fantomatico, vissuto in passato. In genere si tratta di politici, ufficiali, funzionari o altre persone che si occupavano di controllare qualche tipo di merce apponendovi le proprie iniziali, di compilare elenchi o di firmare documenti. A parer mio si tratta di trovate ridicole, in ogni caso riporto quelle di cui sono venuto a conoscenza:  

i) Otto Kaiser, industriale tedesco che avrebbe apposto le proprie iniziali alla merce destinata all'imbarco, allo scopo di certificarla.
ii) Onslow e Kilbracken, parlamentari inglesi che avrebbero apposto le proprie iniziali alle proposte di legge da loro revisionate.   
iii) Orrin Kendall, produttore di biscotti e fornitore del Dipartimento di Guerra dell'Unione durante la Guerra Civile: su ogni biscotto ci sarebbero state le sue iniziali.
iv) Otis Kendall, controllore di merci nel porto di New York: su ogni cassa ispezionata avrebbe apposto le proprie iniziali.
v) Old Keokuk, capo degli Indiani Sawk, avrebbe siglato i trattati con O.K., dalle iniziali del suo nome.
 
Spiegazioni non acronimiche 
 
I Choctaw e i Chickasaw parlavano la stessa lingua. Nella lingua di questi popoli non esisteva un verbo in grado di tradurre "to be" dell'inglese (corrispondente a esse in latino). Si ovviava a questa carenza utilizzando una parola enfatica okéh, traducibile con "(è) così" o con "(è) vero", che concludeva ogni frase. La frase "l'indiano Choctaw è un buon compagno" si traduce con hattak upeh hoomah chahtah achookmah okéh (alla lettera "uomo corpo rosso Choctaw buono è così"). Il Generale Andrew Jackson abitò tra i Choctaw, quando ancora non era famoso, e deve aver sentito spesso pronunciare la parola in questione. Potrebbe quindi averla adottata come parte del proprio linguaggio colloquiale, mantenendo questo costume una volta diventato Presidente degli States. Questo è ciò che pensava William S. Wyman. Secondo un altro studioso, William H. Murray, l'origine di OK sarebbe sempre Choctaw, ma deriverebbe piuttosto da un'altra forma verbale: si hoka, traducibile con "sono io" o con "questo è ciò che ho detto". Si noterà che la forma riportata come okéh da Wyman oggi viene trascritta come okii e suona verosimilmente /o'ki:/.  
 
Nella lingua dei Lakota hoka hey significa "su, andiamo!" e traduce l'inglese "let's go!" o "let's do it". La pronuncia non è molto dissimile da quella dell'inglese americano OK e la semantica non è incompatibile. A proposito della locuzione Lakota, si menziona un singolare fraintendimento. Cavallo Pazzo (Tashunka Witko), che fu un valorosissimo condottiero degli Oglala, usava incoraggiare i suoi guerrieri con la frase "Hoka hey, oggi è un buon giorno per morire!" (in inglese "Hoka hey, today is a good day to die!"). Ebbene, negli States molti hanno creduto che la seconda parte della frase fosse proprio la traduzione di hoka hey, cosa che non corrisponde al vero. La frase originale in Lakota è "Nake nula wauŋ welo!", la cui traduzione accurata è "Sono pronto per qualunque cosa accada!" Certo, il succo del discorso è lo stesso. 
 
Nella lingua degli Wolof dell'Africa Occidentale (Senegal) waw-kay significa "sì, certo" ed è formata a partire da waw "sì" e dalla particella enfatica -kay. Le forme riportate non sono trascritte secondo l'ortografia anglosassone come potrebbe pensare a prima vista: c'è chi scrive waaw anziché waw, evidentemente la pronuncia è /wa:u/, /wa:u'kai/. La particella -kay si trova anche in axakay "sì", dove -x- è una forte aspirazione. Credo quindi che sia frutto di un fraintendimento la trascrizione "fonetica" uou-key che compare spesso nei siti web in italiano, venendo tra l'altro descritta come "Bantu". Una forma assai simile, waw-key, è considerata Bantu anche in siti web in inglese, anche se non ho potuto trovare la necessaria documentazione. Una forma simile al Wolof waw-kay si trova invece nella lingua dei Mandingo, ma con una fonetica forse più adatta a spiegare l'inglese OK: o ke "certo", "è così". Queste forme africane sarebbero state portate in America per via del traffico di schiavi. Trovo molto interessante notare che una forma kay "sì, certo", spesso scritta 'kay come se fosse derivata da un precendente okay, si trova nel linguaggio afroamericano: "Kay, massa, you just leave me, me sit here, great fish jump up into da canoe, here he be, massa, fine fish, massa; me den very grad; den me sit very still, until another great fish jump into de canoe;..." (J. F. D. Smyth, A Tour in the United States of America, 1784). 

Riporto una serie di altre proposte etimologiche non fondate su acronimi:  
 
1) Francese: aux quais "ai moli", au quai "al molo"
2) Francese: Aux Cayes "A Cayes", essendo Les Cayes una città di Haiti da cui si importava il rum. 
3) Francese: o qu'oui "certo che sì" 
4) Occitano: oc "sì". La parola sarebbe stata introdotta da coloni giunti nella Lousiana. 
5) Latino: hoc est "questo è" (usato come affermazione). La locuzione sarebbe stata diffusa a partire dal linguaggio degli studenti. 
6) Finlandese: oikea "corretto, giusto", ma anche "destro", proprio come accade nella semantica dell'inglese right. Esempio: se oli oikea vastaus "era una risposta corretta". Secondo le ricostruzioni degli uralisti questa parola deriva dal protofinnico *oikeda, a sua volta dal proto-finnopermico *wojketa
7) Scots: och aye (pron. /ox 'eɪ/, /oχ 'eɪ/) "oh sì". Non esistendo in inglese americano una consonante aspirata /x/ o /χ/ questa sarebbe stata adattata come una semplice occlusiva /k/. Nel Web in italiano la locuzione viene erroneamente attribuita al gaelico, ma si tratta di un errore. Lo scots è una lingua anglosassone come l'inglese. 

Mi sono imbattuto anche nel tentativo di ricondurre OK a una formula magica greca (di origine egiziana), ὤχ, ὤχ (okh okh), usata per scacciare le pulci. Credo che la proposta etimologica sia una pura e semplice burla.
 
Old Kinderhook e Old Kindersly  
 
C'è anche un altro O.K. negli Stati Uniti d'America, che nulla ha a che vedere con quello di cui stiamo trattando. Si tratta del famoso O.K. Corral, nei pressi di Tombston (Arizona), dove nel 1881 avvenne una sparatoria tra i fratelli Earp, sostenuti dal pistolero Doc Holliday, e la banda dei Cowboys. Questo microtoponimo deriva a quanto pare dall'abbreviazione di Old Kindersly Corral, a sua volta dal nome del primo proprietario di quel luogo desolato (corral significa "recinto"). Certo, non esiste alcuna connessione con OK "va bene", ma trovo bizzarra l'assonanza tra Old Kindersly e Old Kinderhook. Questo dimostra se non altro l'immensa diffusione della mania acronimica in tutto l'immenso territorio degli Stati Uniti, tanto da trovarsene esempi anche nelle zone più inaccessibili. 
 
Conclusioni  
 
A parer mio si salvano soltanto due ipotesi, che posso considerare decenti e abbastanza probabili: quella dell'origine dal Choctaw e quella dell'origine africana. Come terza possibilità potrei pensare al Lakota, anche se non mi convince del tutto. Il problema è che non riesco a decidere. Non possiedo tuttavia alcuna certezza definitiva. Troppo forte è il rumore di fondo. Rigetto senz'altro gli acronimi, le sigle e simili. Sfido chiunque a trovarmi uno straccio di prova materiale a favore di tali contorte fabbricazioni, tipo una trave con la scritta OK N° 1, una cassa con le iniziali di Otis Kendall, un documento militare che riporti il codice 0k e via discorrendo.

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI QUIZ

Tutti sanno che il quiz è una domanda (verbale o scritta), a cui una persona viene sottoposta per dimostrare la sua preparazione o per mettere alla prova la sua memoria. Il dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline.com fornisce la seguente glossa: "brief examination of a student on some subject". La prima attestazione nota della parola quiz con questo significato è del 1852. Reso popolarissimo nell'epoca della radio, il quiz è passato anche in italiano. In inglese la pronuncia è /kwiz/, con la sibilante finale sonora (la cosiddetta "s dolce" o "-s- di rosa"), ma in italiano ha assumendo una pronuncia ortografica /kwits/, con un'affricata sorda, come di solito avviene in casi dimili. Molti danno per scontato che quiz altro non sia che un'abbreviazione di inquisitive "curioso, indagatore, inquisitorio" o di inquisition "investigazione". Google sembra dare per scontata questa spiegazione: se un utente digita la chiave di ricerca "quiz etymology", compare un riquadro che mostra proprio questa spiegazione. Tutto sembrerebbe acclarato, piano e semplice. Non potrebbe esistere un giudizio più avventato. L'etimologia di quiz è ben lungi dall'essere lineare. Procediamo con ordine. 

Lo stesso dizionario etimologico Etymonline spiega l'esistenza di un altro significato della parola quiz, che è documentato già nel XVIII secolo. Risale infatti al 1782 la prima attestazione di quiz col significato di "odd person", ossia "persona bizzarra", nel diario della scrittrice inglese Frances "Fanny" Burney (1752 - 1840). La stessa glossa "odd person" è riportata nel Random House Dictionary. Nel 1842 il compositore inglese Charles Dibdin scrisse quanto segue: 
 
The word Quiz is a sort of a kind of a word
That people apply to some being absurd;
One who seems, as t'were oddly your fancy to strike
In a sort of a fashion you somehow don't like
A mixture of odd, and of queer, and all that
Which one hates, just, you know, as some folks hate a cat;
A comical, whimsical, strange, droll — that is,
You know what I mean; 'tis — in short, — 'tis a quiz!
(tratto da "Etymology of Quiz") 

Un altro significato di quiz, attestato nel tardo XVIII secolo e oggi desueto, era quello di "giocattolo simile allo yo-yo" (Century Dictionary). Si pensa che in questa accezione quiz sia derivato una variante dialettale del verbo to whiz "muoversi velocemente con un sibilo". Non è impossibile, dato che in alcuni dialetti wh- ha conservato l'antico suono aspirato /hw-/. Questo suono può essere stato indurito in /kw/ da alcuni parlanti (forse bambini o minorati mentali): 
 
/hwiz/ => /kwiz/  
 
Questo mi fa venire un'idea. Se quiz "tipo di giocattolo" è dalla radice di to whiz "muoversi velocemente con un sibilo", potrebbe anche essere che quiz "individuo bizzarro" sia derivato da una simile alterazione infantile o dialettale di whims, plurale di whim "capriccio, fantasia, idea balzana": 
 
/hwimz/ => /kwiz/ 

A riprova di questo c'è il fatto che esiste un aggettivo quizzical "bizzarro, eccentrico, stravagante", senza dubbio molto simile foneticamente, morfologicamente e semanticamente a whimsical "capriccioso, impulsivo", ma anche "inusuale, strano (in un modo che può risultare fastidioso)". La stessa radice di quizzical potrebbe aver dato origine all'aggettivo quisby, attestato col senso di "strano, bizzarro" (queer, peculiar), anche se in origine aveva il senso di "meschino, miserabile, fallito" (mean, wretched, bankrupt). 
 
Mi sono imbattuto in un'ipotesi alternativa, ingegnosa quanto posticcia. Una frase latina di Orazio, vir bonus est quis? "chi è un uomo buono?", sarebbe stata trascritta male da uno studente. Il risultato, vir bonus est quiz, sarebbe stato interpretato come "l'uomo buono è un mistero", perché se si capiva benissimo il significato di vir bonus est, restava una parola residua quiz, che non compariva in nessun dizionario. Un caso simile è quello dell'italiano busillis, nato dall'errata segmentazione di in diebus illis "in quei giorni", scritto in die busillis e interpretato come "nel giorno del busillis", ossia "nel giorno del rompicapo", perché busillis non compariva in nessun dizionario. Così vir bonus est quiz sarebbe passato a significare "l'uomo buono è un individuo bizzarro"
 
L'estrema complessità di questa fabbricazione stride con l'estrema semplicità della derivazione di quiz da whims. Sono incline a considerare la questione risolta. 
 
Appurata l'origine di quiz "individuo bizzarro", dobbiamo cercare di chiarire anche la sua eventuale connessione con l'etimologia di quiz "esame di uno studente". 

Prima possibilità:
Da quiz "individuo bizzarro" si è innescata una catena di slittamenti semantici che hanno condotto infine a quiz "esame di uno studente". Considerata l'innata crudeltà degli ambienti scolastici, in cui i bulli fanno branco e sono alla perenne ricerca di qualcuno da perseguitare, si potrebbero supporre i seguenti passaggi, tutti abbastanza forzati: 

"individuo bizzarro" => "presa in giro rivolta a un individuo bizzarro" => "esame burlesco con cui si tormentava un individuo bizzarro" => "esame scherzoso" => "esame, questionario"   
 
Un'alternativa consisterebbe in una diversa catena di slittamenti semantici, a malapena più plausibili: 
 
"individuo bizzarro" => "persona incomprensibile, misteriosa" => "cosa che non si riesce a capire, mistero" => "interrogativo, domanda senza risposta" => "insieme di domande" => "esame, questionario"
 
Seconda possibilità:
La parola quiz "individuo bizzarro" non è in alcun modo connessa etimologicamente a quiz "esame di uno studente" e si tratterebbe soltanto di una coincidenza. 
 
La seconda possibilità è a mio avviso quella giusta. 
 
Una storiella ridicola 
 
Come sempre accade, anche nel caso dell'etimologia di quiz qualcuno si è preso la briga di inventare una leggenda apocrifa e meritevole soltanto di irrisione. Nel 1791 un impresario teatrale di Dublino, certo Richard Daly, avrebbe scommesso di essere in grado di diffondere per tutta la città una parola inventata e che nel giro di un paio di giorni sarebbe stata la gente a fornirle un significato. Così avrebbe incaricato il suo staff di mettersi a scrivere ovunque col gesso le lettere QUIZ, sulle porte, sulle finestre e sui muri Sia i popolani che i notabili sarebbero rimasti sorpresi nel vedere quella parola sconosciuta, presto adottata coi significati di "inganno",  "cosa strana", "mistero", "interrogativo". Mi pare superfluo aggiungere che non esiste uno straccio di prova di questo fantomatico Richard Daly - e nessuno potrà mai convincermi del contrario. La sua leggenda si sparse a causa della mala genia dei giornalisti, che cominciarono a pubblicarla nel 1835 sui loro rotoli di carta igienica (es. New York Mirror, The Mirror, The London and Paris Observer, etc.). Per quanto possa sembrare incredibile, c'è chi sostiene una storia simile a quella di Daly, ma ambientata a Londra, in cui la parola scritta coi gessi sui muri era invece QUOZ. Il gestore del sito Visual Thesaurus (www.visualthesaurus.com) sostiene che questa narrazione sarebbe attestata su diversi quotidiani addirittura nel 1789, aggiungendo che ne avrebbe parlato persino Thomas Paine nella sua opera The Rights of Man (1792). Riporto il link al sito in questione:
 

Che altro possiamo dire? Dopo QUIZ e QUOZ, adesso ci manca soltanto QUAZ!

Una spiegazione plausibile 
 
L'ipotesi più diretta e semplice è che quiz derivi dalle frasi interrogative latine quis est? "chi è?" e quid est? "cos'è?", "qual è?". Riporto alcuni esempi:
 
Quis est: 
 
Quis est iste qui venit? "Chi è questo che viene?"
Quis est ille vir? Agnoscine eum? "Chi è quell'uomo? Lo conosci?"

Quid est: 

Quid est homo? "Cos'è l'uomo?"
Quid est nomen tibi? "Come ti chiami?"
Quid est nomen huic cani? "Qual è il nome di questo cane?" 
 
La scuola è sempre stata una fabbrica di cattive pronunce delle lingue insegnate. Senza timore di essere smentito, affermo quanto segue: l'insegnamento scolastico ostacola in modo insormontabile ogni tentativo di apprendere qualsiasi lingua, moderna o antica. Con ben poche eccezioni, ogni insegnante è un capetto tirannico, un piccolo e miserabile feudatario che in concreto difende i propri interessi, protegge i bulli e trasmette informazioni distorte. Esiste una teoria secondo cui quiz sarebbe stato scritto quies e sarebbe derivato dalla domanda "qui es?", ossia "chi sei?", tradizionalmente la prima che veniva posta a un esaminando. Il punto è che in latino si deve dire "quis es?", perché il pronome interrogativo (maschile e femminile) è quis, non qui, che è il pronome relativo maschile. Questo "qui es?" è l'ennesima distorsione scolastica: chi lo ha postulato è arrivato vicino alla verità ma se l'è lasciata sfuggire. Fuochino, non fuoco.  
 
In Italia la scuola insegna a pronunciare quis est come se fosse scritto QUI SÈST, con un fortissimo accento su SÈST, e a pronunciare quid est come se fosse scritto QUI DÈST, con un fortissimo accento su DÈST. Gli studenti anglosassoni invece realizzano le forme interrogative latine in modo diverso e più realistico, ponendo l'accento sul pronome anziché sul verbo, e contraendo il più possibile la sillaba atona. Il problema è che la sibilante -s- di quis finisce col diventare sonora, come la -s- di rosa. Così ecco che pronunciano quis est come /'kwɪzest/  e quid est suona /'kwɪdest/. Orbene, /'kwɪzest/ e /'kwɪdest/ si riducono prima a /'kwɪzəst/ e a /'kwɪdəst/ rispettivamente. A questo punto entrambe le forme si contraggono ulteriormente diventando /kwɪzt/ e quindi /kwɪz/. Ecco spiegato l'arcano. Nel linguaggio scolastico quis est iste deve essere diventato *quiz iste e quid est nomen deve essere diventato *quiz nomen. A mio parere questa è la spiegazione, ultima e definitiva, del mistero del quiz
 
Forme contratte in latino 
 
Troviamo che nella lingua di Roma esistevano già forme contratte, anche se la pronuncia era diversa da quella degli studenti anglosassoni: 
 
quist < qui est
Plauto: Estne hic parasitus, missus quist in Cariam?
Plauto: Homini amico quist amicus ita ut nomen possidet / nisi deos ei nil praestare 
 
quist < quis est 
Plauto: Quist qui nostris tam proterve foribus facit iniuriam?

quidst < quid est  
Terenzio: Quidst mihi quod malim quam quod hinc intelligo evenire?
 
In particolare la forma quidst, la cui pronuncia somiglia davvero tanto a quella dell'italiano quiz, è guardata con tale obbrobrio dagli editori da essere stata ricostruita come quid est anche se così non sta nel verso. Ci si accorge che le stesse opere di Plauto mostrano talvolta goffe ricostruzioni editoriali, con quist qui riportato come quis est qui. Non stiamo parlando di autori tardi della decadenza, faccio notare. Le forme contratte sono una realtà, anche se nei licei italiani questo dato di fatto viene ignorato bellamente.

mercoledì 22 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI ZOMBIE

Sono ossessionato dagli zombie! Non riesco quasi a pensare ad altro, forse perché io stesso sto lentamente trasformandomi in un morto vivente, sprofondato come sono nella mia reclusione da hikikomori. Nulla di più naturale quindi di un'accurata indagine etimologica sulle origini della parola zombie. Spero che fornirà interessanti spunti di riflessione agli eventuali lettori del mio spazio virtuale. 
 
Alcune false etimologie 
 
In inglese la parola zombie è stata documentata per la prima volta nel 1819 dal poeta romantico inglese Roberth Southey (1774 - 1843), in una storia brasiliana. Tuttavia non ci sono dubbi che il centro di diffusione del fatidico vocabolo sia l'isola di Haiti, nel cui creolo è attestato come zonbi
Come spesso accade, i romanisti cercano di ricondurre qualsiasi parola a un'origine romanza. Per quanto possa apparire assurdo, ci hanno provato anche con zombie. Queste sono le due banali teorie romanistiche in cui mi sono imbattuto: 
1) zombie deriverebbe dal francese les ombres "le ombre";
2) zombie deriverebbe  dallo spagnolo sombra "ombra".
Sia la parola francese ombre che quella spagnola sombra derivano in ultima analisi dal latino umbra (la forma spagnola viene da un composto castigliano antico con so "giù", naturale evoluzione del latino sub). Tutti questi balbettamenti sono meritevoli di irrisione e di scherno.  
 
La vera origine africana della parola   

In realtà la parola zombie proviene da una lingua di ceppo bantu dell'Africa Occidentale. La forma più adatta sembra essere il Kikongo zumbi "feticcio". In Kimbundu nzumbi significa "spettro" e più precisamente indica un fantasma che rientra nel mondo dei vivi per tormentarli. In altre lingue del Congo, sempre dello stesso tipo, abbiamo nzambi "divinità", vumbi, mvumbi "ritornante, cadavere che mantiene in sé lo spirito". Il significato originale doveva essere quello di "divinità". Questa è la catena di slittamenti semantici da me postulata: 
 
"divinità, simulacro" => "spirito di un morto" => "corpo che ha in sé lo spirito del morto" => "ritornante, morto vivente"
 
Il tentativo di ricostruzione di una protoforma deve tener conto dell'alternanza tra z- (zumbi, nzambi, etc.) e v- (vumbi, mvumbi), che conduce a una fricativa interdentale sonora dh- /ð/, la stessa che troviamo nell'inglese the, this, etc. Così ricostruisco *ndhuwambi "divinità, simulacro".  
 
Zumbi, lo Spartaco del Brasile 

A questo punto si comprende bene il significato del nome di Zumbi (1655 - 1695), l'ultimo leader del Quilombo di Palmares, in Brasile. Il Quilombo di Palmares era uno stato fondato nel 1600 da schiavi fuggiti dalle piantagioni di zucchero e rifugiatisi nella foresta. Era formato da un certo numero di villaggi fortificati, detti mocambo, e crebbe fino a controllare un'area vasta quanto quella del Portogallo. Zumbi nacque libero proprio a Palmares, ma fu catturato e venduto come schiavo a un prete. Apparteneva al lignaggio dei sovrani del Congo. A quindici anni fuggì e riuscì a ritornare tra la sua gente. Divenne un valoroso guerriero e un abile stratega. Dieci anni dopo il suo ritorno sottrasse il potere allo zio Ganga Zumba, che aveva accettato di sottomettersi al governatore portoghese in cambio di una promessa di libertà per le genti del Quilombo. Dopo 15 anni di fierissima resistenza, Zumbi venne catturato e infine decapitato. La sua testa fu esposta come monito, col pene reciso e collocato in bocca. Il governatore Caetano de Melo e Castro intendeva con questo terrorizzare i neri, dando un'evidente smentita di una strana superstizione che voleva Zumbi immortale. Ora posso dimostrare che questa superstizione aveva il suo fondamento nell'onomastica. Siccome Zumbi significa "divinità, feticcio, spirito", era già soltanto per questo creduto immortale. Gli schiavi in Brasile mantenevano le loro lingue africane ancora nel XVII secolo, come prova il fatto che Zumbi, rapito da piccolo, dovette imparare il portoghese, che non conosceva. Così si dice tuttora in Brasile di questo Spartaco, infaticabile difensore degli oppressi: "Eis o Espírito", ossia "Questo è lo Spirito". Non a caso: si tratta proprio della traduzione in portoghese del nome Zumbi

La zuvembie o zombie femmina
 
Pochi sanno che esiste anche la parola zuvembie "zombie femmina". In realtà è stata introdotta di recente, risalendo a un racconto di Robert E. Howard, Pidgeons from Hell (tradotto in italiano come I colombi dell'inferno), pubblicato postumo nel 1938 su Weird Tales. Howard, il creatore del celeberrimo personaggio di Conan il barbaro, non era esattamente un filologo. Mi domando come possa aver dato vita a una forma che conferma la mia ricostruzione protolinguistica. Bisognerebbe accertare se l'autore fantasy abbia preso la parola da qualche lingua africana o se abbia alterato capricciosamente zombie spinto dal proprio estro creativo. Purtroppo allo stato attuale delle conoscenze non mi è possibile approfondire la questione. Negli anni '70 la Marvel Comics sostituì con zuvembie la parola zombie, proibita dall'asfissiante censura buonista della Comics Code Authority, perché ritenuta "traumatizzante". In questa operazione si è persa l'originaria natura femminile della zuvembie, il cui nome è stato attribuito abusivamente anche a morti viventi resuscitati da cadaveri di maschi. Del resto, la Marvel non è proprio definibile come "Fronte della Cultura"
 
Un remoto prestito neolitico?  
 
Non può sfuggirmi la somiglianza che il nome dello zombie ha con la ricostruzione di una protoforma nordcaucasica, opera di Sergei Starostin, della Scuola di Mosca. Riporto in questa sede i dati, tratti dal database The Tower of Babel (starling.rinet.ru):    
 
Proto-Nord Caucasico: *ǝ̄mbi "dio, divinità" 
 
  Proto-Nakh: *c̣ēbV "divinità"
    Ceceno: c̣ū "divinità pagana"
    Ingush: c̣uw "prete"
    Batsbi: c̣ijb "idolo, dio"

  Proto-Avaro-Andi: *c̣:VbV "divinità" > "grazia"
    Àvaro: c̣:ob "misericordia, grazia"  
    Andi: c̣:ob "dio"

  Lak: c̣imi "grazia, misericordia, pietà"

  Proto-Dargwa: c̣um "pietà"
    Akusha: c̣um "pietà"

    N.B. I significati di "misericordia" e simili devono essersi formati a causa del passaggio all'Islam, che attribuisce a Dio gli epiteti "Misericordioso, Compassionevole". A parer mio non si può far risalire questa semantica alla fase di protolingua nord caucasica, come fa Starostin.
 
Hurritico: ažammi "immagine, figura" (ossia "idolo") 

La forma hurritica, che doveva avere una consonante sonora /ʒ/ e in cui -mm- doveva risalire a un precedente -mb-, è particolarmente simile alle forme africane. 

Questa è la mia ipotesi: da qualche lingua parlata nell'Europa del Neolitico, il nome del feticcio e del morto vivente è stato importato in Africa. La cosa non è poi così assurda come potrebbe sembrare a prima vista: è stata dimostrata l'esistenza di movimenti demici dall'Europa all'Africa, che hanno portato un'enorme quantità di materiale genetico europeo tra le genti africane, anche nelle aree più impervie. Si è potuto appurare che le genti neolitiche che hanno compiuto queste migrazioni, con ogni probabilità sotto la pressione di popoli indoeuropei, erano geneticamente simili agli odierni Sardi. Nel Web si trova molto materiale per approfondimenti. Riporto a titolo di esempio questo link:
 
 
Infine appongo una mia personale considerazione, con fede assoluta e incrollabile: GLI ZOMBIE ESISTONO!! 

lunedì 20 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI GIZMO 'COSO, AGGEGGIO'

L'inglese d'America ha generato un numero immenso di parole che non hanno alcun riscontro nell'inglese britannico, a meno che non vi siano penetrate come prestiti. Tra queste peculiarità lessicali possiamo annoverare senza dubbio gizmo "coso, aggeggio, oggetto di cui non si conosce il nome". La consonante iniziale è un'occlusiva velare (la cosiddetta "g dura"). La -z- è sonora e suona come la -s- nella parola "rosa". La trascrizione fonetica IPA è /'ɡɪzmoʊ/ o /'gizməʊ/. Si trova anche la variante ortografica gismo, ma la pronuncia è identica. Questo vocabolo bizzarro ci è familiare perché è stato usato come nome di una simpatica creatura vista nel film Gremlins di Joe Dante (1984): il mogwai, un esserino che sembra una via di mezzo tra un omuncolo e un ghiro con orecchie di pipistrello, dal manto pezzato. Il mogwai ispira tenerezza, ma non è affatto innocuo: è una pericolosa forma di vita che si riproduce per abiogenesi. Perché è stato chiamato proprio Gizmo? Perché il moccioso che gli ha dato il nome, non sapendo cosa fosse, non ha trovato di meglio per definirlo. In pratica, quasi qualsiasi cosa che non si sa come chiamare è passibile di essere etichettata come gizmo. Esistono altri sinonimi come thingum, thingumy, thingamajig, thingamabob, whatchamacallit (< what you may call it), whatchamacallum (< what you may call me), whatsis (< what is it?), doodad (< do it dad), doohickey (< do a hickey), gimmick (< give me a hack) e simili. Non va poi dimenticato il celeberrimo gadget "congegno", anch'esso di etimologia incertissima. Sono tutte opere del fervido ingegno dello Zio Sam: simili stravaganze sarebbero inconcepibili nel paese di Jimmy Savile. Si converrà che la parola gizmo è di grandissima utilità. Infatti è molto usata dai marinai e dai meccanici, la cui vita sarebbe ben dura senza un gran numero di attrezzi difficilmente definibili, che spesso risolvono problemi di non poco conto e che sono tutti conosciuti come gizmos. La prima attestazione documentabile dello stravagante vocabolo in analisi risale al 1945, l'ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale.
 
Un'audace proposta etimologica 
 
In ebraico geshem (גֶּשֶׁם) significa "corpo" (attestato 5 volte nelle Scritture); esiste anche una variante gishmā (גִּשְׁמָא) "corpo", che è in realtà un prestito dall'aramaico. La forma possessiva di terza persona maschile di geshem sarebbe proprio gishmō (גִּשְׁמוֹ) "il suo corpo", "il corpo di lui". Non sono sicuro se sia attestata nella letteratura rabbinica, ma la sua formazione è ineccepibile. La parola in questione non va confusa con l'omofono geshem (גֶּשֶׁם) "pioggia", pl. geshāmīm (גְּשָׁמִים). Ebbene, sono più che convinto della fondatezza di questa etimologia. Il corrispondente arabo di questa parola è jism "corpo", la cui consonante affricata iniziale è un naturale sviluppo dell'antica occlusiva. A partire da questi dati si può quindi ricostruire una forma protosemitica *gišmu "corpo". La domanda che sorge a questo punto è la seguente: com'è possibile che una forma protosemitica possa manifestarsi a distanza di millenni nell'inglese d'America nel 1945? 
 
Le possibilità a questo punto sono tre: 

1) Dall'ebraico geshem si è arrivati a gismo, gizmo tramite un suffisso espressivo -o, che ricorre anche in altre formazioni nell'inglese d'America. Basti citare ratso "sudicio", derivato da rats "ratti" con l'aggiunta di -o, oppure weirdo "soprannaturale", accrescitivo di weird.
2) Dalla forma possessiva ebraica gishmō "il corpo di lui" si è arrivati direttamente a gismo, gizmo, senza alcuna necessità di adattamenti morfologici. 
3) Dalla variante gishmā si è arrivati direttamente a gismo, gizmo, senza la necessità di postulare una forma possessiva. Del resto non è raro trovare pronunce ashkenazite della vocale lunga /a:/ realizzata come /o:/
 
La semantica sarebbe perfetta (corpo => oggetto => coso), l'unica difficoltà fonetica starebbe nella consonante sibilante: dovremmo infatti postulare il passaggio da -sh- a -s- e quindi alla sonora -z- a causa del contatto con -m-, in una lingua come l'inglese, che notoriamente non presenta alcuna difficoltà nella pronuncia di -sh-. Una criticità di non poco conto. A mio avviso l'ostacolo non è tuttavia insormontabile come potrebbe sembrare a prima vista. Il tramite potrebbe essere la pronuncia difettosa di qualche studente. Spesso le stravaganze più impensabili fermentano proprio negli ambienti universitari, che sono calderoni di tossine in perenne ebollizione.
 
Esistono altre ipotesi: in fondo una parola come gizmo non può passare inosservata. Sulla piattaforma di aggregazione Reddit.com mi sono imbattuto nell'utente Subpleiades, che fornisce la seguente spiegazione, frutto del suo ingegno e formulata sempre nell'ambito semitico: 
 
"gizmo is a corruption of the Maltese word "x'jismu" meaning "what's its name". It is used when the person momentarily cannot recall the name of a thing that they are referring to at the moment. It was picked up by the British when they were stationed in Malta and they integrated it into the English language. Also there are plenty of Maltese persons who had emigrated to Canada and the USA and they could have integrated the word."  
 
Pochi in Italia sanno che negli States vivono molti cittadini di origine maltese, la cui lingua d'origine è un dialetto dell'arabo. Tra questi possiamo menzionare anche un esponente politico, il democratico Pete Buttigieg (pron. /'butədʒɛdʒ/), il cui cognome significa alla lettera "Quello dei Polli". L'equivalente arabo della frase maltese x'jismu è ما هو اسمها  ma hu aismuha "qual è il suo nome?", che sembra un antenato un po' improbabile per il nostro gizmo
 
I romanisti non sono soddisfatti, com'è ovvio aspettarsi, da queste teorie semitizzanti, così frugano a fondo nel loro vocabolari alla ricerca di qualche appiglio. Favoleggiano dunque di una forma spagnola gisma, variante non ben spiegata di chisme "pettegolezzo; aggeggio; cosa di cui non si ricorda il nome", a sua volta ritenuto un diretto derivato dal latino cīmex "cimice, insetto" (gen. cīmicis). Si noterà che il latino c- davanti a vocale anteriore non diventa ch- in spagnolo: la derivazione non mi sembra ben fondata. La catena di slittamenti semantici sarebbe in ogni caso la seguente: 
 
cimice, insetto => essere di cui si ignora il nome => coso, oggetto => aggeggio  
 
Attualmente sembra prevalere l'opinione di quei linguisti inclini a scoraggiare con ogni mezzo la ricerca etimologica. L'idea di base è questa: parole come gizmo non hanno realmente un'origine, essendo piuttosto creazioni capricciose di singoli individui (in genere studenti degeneri), nate senza un perché e poi diffuse a macchia d'olio attraverso le reti sociali - universitarie ed extrauniversitarie. Si tratterebbe in altre parole di creazioni che potremmo definire "made of thin air", ossia "fatte di aria sottile", generate dall'intervento di folletti o di simili spiritelli. Se devo essere franco, a me tutto ciò non soddisfa affatto. Trovo ripugnante questo concetto secondo cui certe parole sarebbero prive di etimologia - pur riconoscendo il ruolo dell'univerisità e della goliardia nella formazione di neologismi. Neologismo che però devono avere un motivo e un fondamento, evidente a tutti o criptico, esoterico. Resto a cullarmi nei miei sogni e sostengo a spada tratta la derivazione di gizmo dal protosemitico!

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI JAZZ

Assai numerose sono le parole dell'inglese d'America ormai popolari ovunque, diffuse in modo pervasivo sull'intero globo terracqueo. Eppure sono spesso di origine a dir poco incerta. Un caso singolare e particolarmente significativo è jazz. Come tutti sanno, questo termine di origine gergale indica un genere musicale ben preciso, che reputo a dir poco irritante. Ricordo ancora che negli ultimi anni dello scorso secolo ero afflitto sul lavoro da un individuo molesto, un capoccia che amava il jazz alla follia: per soffrire di un atroce mal di testa mi bastava essere costretto ad ascoltare quelli che il tirannello definiva "accordi sublimi". Era come se cercassi con ogni mezzo di non fare entrare in me quei suoni incalzanti e senza costrutto: mi sentivo come se un gigante mi avesse scoperchiato il cranio e stesse pizzicando le meningi con le pinzette per unghie. Non dimenticherò mai quelle spaventose emicranie. Credo che il Caporale di Braunau avesse sullo stramaledetto jazz opinioni più miti delle mie! Ciò non toglie che io nutra una gran curiosità sulle origini ultime di tutte le parole, anche di quelle che descrivono le realtà più vili e orribili, come ad esempio le larve di mosca carnaria e gli strumenti di tortura. Non sarà certo il jazz a scoraggiarmi!

Come sempre accade, sono state elaborate numerose false etimologie nel tentativo di spiegare ciò che è difficilmente spiegabile. È necessario innanzitutto passarle in rassegna, corredandole di note e considerazioni varie.  

Le mie prime ricerche etimologiche hanno condotto a un significato gergale osceno della parola jazz, traducibile con "coito, copula, scopata". Oggi questa accezione si è andata perdendo, ma nondimeno è ben attestata: jazz era un tempo utilizzato come sinonimo di "sexual intercourse". A detta dei sostenitori della proposta in esame, il termine sessuale sarebbe nato nei bordelli di New Orleans agli inizi del XX secolo, passando poi ad assumere connotati musicali in ambienti afroamericani. Un jazz informe e grossolano sarebbe stato usato come accompagnamento sonoro delle prodezze sessuali delle prostitute e degli energumeni che a loro si univano! In realtà questa tesi è destituita di ogni fondamento. La parola jazz riferita a una specie di "musica" non è attestata con sicurezza prima del 1915 e si hanno prove che fosse in uso a Chicago prima ancora che a New Orleans. All'inizio erano diffuse, accanto all'ortografia standard che tutti conosciamo, forme non standard come jas, jass, jaz, jasz e addiruttura jascz.  
 
Sono state proposte due etimologie che presuppongono la "negrizzazione fonetica" di parole europee, ossia la trasformazione delle consonanti sorde in consonanti sonore sulla bocca dei parlanti afroamericani. Proprio come accade nelle imitazioni grottesche dell'italiano attribuite alle genti dell'Africa Nera, in cui stare diventa sdare; sparare diventa sbarare; tutto diventa duddo, etc. 
1) La prima di queste proposte presuppone che il francese chasse "caccia" sia diventato jazz. Il mutamento postulato è in sostanza il seguente: /ʃas/ => /dʒæz/. Il significato gergale è quello di "impeto sessuale", "insistenza erotica", "avance". In altre parole, chasse denoterebbe quello stato di frenesia in cui un uomo si ritrova con il membro virile eretto fino a scoppiare, facendo di tutto perché la sua carne crescente venga a contatto con la pelle di una femmina.
Nota: il francese chasse deriva dal latino volgare *captia, formato da *captiāre, derivato a sua volta da capere "prendere" - proprio come l'italiano caccia
2) La seconda proposta "negrizzante" parte dal gaelico teas "calore", che sarebbe stato distorto dai Mandingo fino a diventare jazz. Il mutamento postulato è in sostanza il seguente: /tʃas/ => /dʒæz/. Il significato gergale è quello di "foia", "ardore sessuale", "attacco di libidine". In altre parole, teas denoterebbe lo stato di furia in cui un uomo si ritrova con il membro virile eretto fino a scoppiare, facendo di tutto perché la sua carne crescente venga a contatto con la pelle di una femmina.
Nota: il gaelico teas deriva dal protoceltico *texsus, a sua volta da un precedente *tepstus, la cui radice è la stessa del latino tepidus "tiepido" e tepēre "essere tiepido". 

Non soltanto sono molto scettico sulla "negrizzazione fonetica", ma la ritengo un tratto caricaturale inventato in contesti che nutrivano insofferenza e disgusto verso i Mandingo. Direi che è poco credibile un naturale sviluppo di una simile pronuncia distorta. I problemi non si limitano a questo. Non soltanto ci sarebbe da chiedersi, tanto per fare un esempio, come abbia fatto una parola gaelica ad avere tanto successo da imporsi a New Orleans o a Chicago: la maggior criticità è che la parola jazz sembra aver fatto la sua comparsa tra americani bianchi in contesti che con la musica e con i bordelli hanno ben poco a che vedere, come vedremo tra breve. 
 
Altre proposte etimologiche si fondano sulla retroformazione a partire da antroponimi più complessi. 
1) La parola jazz sarebbe stata retroformata a partire dal nome proprio femminile Jezebel, che a cavallo del XIX-XX secolo sarebbe stato particolarmente frequente tra le prostitute, a cui la tradizione popolare lo associava spesso e volentieri. Il nome Jezebel è infatti una reminiscenza biblica: fu portato dalla moglie del Re Achab, che fu una donna dissoluta e una fiera persecutrice della religione di Geova. Si tratta di un nome cananeo e teoforico, con l'elemento -bel che sta per Baal. In ebraico è אִיזֶבֶל (Izével). Il significato originale è "Dove è il Principe". Il suo esito più comune è Isabel, Isabella, la cui etimologia non era però più compresa quando fu reintrodotta la forma Jezebel
2) La parola jazz sarebbe stata retroformata a partire dal nome proprio femminile Jasmine, alla lettera "Gelsomino" (dall'arabo يَاسَمِين‎ yāsamīn), forse con allusione al profumo che secondo la leggenda sarebbe stato tradizionale tra le prostitute che lavoravano nel quartiere a luci rosse di New Orleans. Qualcuno ha persino suggerito che Jasmine fosse semplicemente un ipocoristico di Jezebel, ma la cosa non appare molto credibile. Non si capisce bene come un simile mutamento possa essersi prodotto spontaneamente.  
3) La parola jazz sarebbe stata retroformata a partire dall'enigmatico appellativo jazzbo, sulla cui origine fervono le discussioni. Secondo alcuni dal nome Jezebel di cui sopra sarebbe derivata nel XIX la parola jazzbelle "prostituta", a cui fu data una falsa etimologia per assonanza col francese belle "bella". Così essendo beau la forma maschile dell'aggettivo, si formò la parola jazzbeau "lenone, pappone" (pl. jazzbeaux, jazzbeauxz). Attualmente jazzbo è usato col senso di "musicista jazz", "fan del jazz", ma anche "individuo, tizio" (specie se riferito a uomo anziano); il volgo crede che sia derivato  da jazz boy. Altri attribuiscono l'origine del soprannome alla figura di Jazbo Brown (anche scritto Jasbo), un semi-leggendario musicista nero che secondo lo scrittore DuBose Heyward (1885 - 1940) avrebbe percorse il Mississippi strimpellando, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, per poi finire nei cabaret di Chicago. La menzione di DuBose è del 1924. Ricordiamo infine il disc jockey Albert Richard "Jazzbo" Collins, detto Al "Jazzbo" o Al "Jazzbeaux". Essendo nato nel 1919 non può certo essere stato lui ad aver dato origine a jazzbo, né tantomeno ad aver dato al jazz il suo nome: sarà piuttosto l'inverso. Tra l'altro nacque a Rochester, nello Stato di New York, non nel Profondo Sud. 

Interessante è un'altra proposta etimologica, che fa derivare jazz dal verbo francese jaser (varianti jazer, gaser) "gracchiare, fare rumore; spettegolare". L'origine ultima della parola è considerata "onomatopeica" dai romanisti, che la associano a gazouiller "cinguettare (detto di uccellini)", "fare il ruttino (detto di bambini)". In ogni caso la prima attestazione nota di jaser risale al XVI secolo. Il verbo francese rende conto di un particolare significato di jazz, ossia "cosa insensata". La frase di uso corrente "stop talking jazz" significa "smettila di dire cose senza senso", ossia "smettila di dire stronzate". Lo slittamento semantico occorso non è difficile da indovinare:
 
"gracidio, rumore" => "discorso incomprensibile" => "cosa senza senso, stronzata"
 
Esiste anche un altro senso di jaser, che è quello di "copulare". Secondo alcuni le attestazioni di questo significato risalgono alla fine del XIX secolo, ma già nel XVII si trova un testo in cui è riportata la frase "Tu as les genoux chauds, tu veux jaser", ossia "Tu hai le ginocchia calde, tu vuoi scopare" (La Comédie des proverbs). A quanto pare lo slittamento semantico si è prodotto così: 
 
"gracchiare, fare rumore" => "emettere gemiti di orgasmo" => "fare sesso, copulare" 
 
Così si capisce anche perché jazz abbia anche il significato di "copula". Dunque si spiega tutto? Il problema etimologico è stato finalmente risolto? Nemmeno per idea.
 
Forza, coraggio, vitalità... e sborra! 
 
In Italia ben pochi sanno che in origine la parola jazz era un termine sportivo in uso nel linguaggio del baseball. Questo avveniva in California, a San Franciso e a Los Angeles, prima ancora che si concretizzasse la sua diffusione in ambito musicale a New Orleans e a Chicago. La parola è glossata dall'OED (Oxford English Dictionary) come "energy, excitement, 'pep'; restlessness; animation, excitability" (pep "energia, vitalità" deriva da pepper "pepe").  Ecco le attestazioni, sempre tratte dall'OED; ho evidenziato le occorrenze di jazz in grassetto.
 
1912 
Ben's Jazz Curve... ‘I got a new curve this year... I call it the Jazz ball because it wobbles and you simply can't do anything with it.’ 
(Los Angeles Times 2 Apr. iii. 2/1) 

1912
Henderson cut the outside corner with a fast curve also for one strike. Benny calls this his ‘jass’ ball.
(Los Angeles Times 2 Apr. iii. 3/1) 

1913
What is the ‘jazz’? Why it's a little of that ‘old life’, the ‘gin-i-ker’, the ‘pep’, otherwise known as the enthusiasalum.
(Bulletin (San Francisco) 6 Mar. 16) 

1915
This spirit of heartiness is carried to the bleachers... It puts fight into the team, ‘jazz’ into the rooting section, and has helped win games for Stanford and Washington.
(Daily Californian 13 Oct. 4/3)
 
È datata addirittura al 1860 la prima attestazione credibile di una parola gergale che può essere il genuino antenato di jazz, riportata nell'Historical Dictionary of American Slang, pubblicato dalla Random House nel 1979. La voce in questione è jasm "energia, vitalità, forza, vigore". Si capisce subito che si tratta di una variante di jism, gism "energia, forza, vigore", che lo stesso dizionario data addittura al 1842 (glossa originale "spirit; energy; spunk"). Ai nostri giorno la parola jism, con diverse varianti ortografiche, ha aquisito il significato di "liquido seminale, sperma". Il Cassel's Dictionary of Slang riporta le seguenti: gism, gissum, gizm, gizzum, jissum, jizzum. Esiste anche un'altra variante, jizz, che in italiano possiamo rendere con "sborra" e che in cui ci si imbatte spessissimo nei siti pornografici (esempi di uso: "milf eating jizz", "sexybrunette swallows jizz", "jizz on body", etc.). Questo è lo slittamento semantico che la parola jasm / jism ha subìto: 
 
"energia, forza, vigore" => "virilità" => "sperma, sborra"  
 
La cosa non deve sorprendere. La parola gergale spunk significa "vigore, forza", ma è attestata anche col senso di "sborra". Nella canzone Friggin' in the Riggin' dei Sex Pistols, anche nota come Good Ship Venus, si evoca un mare di materiale genetico eiettato nel corso di frenetiche attività masturbatorie reciproche:

"We sunk in junk in a sea of spunk caused by mutual masturbation" 
 
All'università avevo imparato il testo a memoria il testo della canzone, seppur in forma lievemente distorta. Canticchiarla serviva a resistere alle letali lezioni di analisi matematica!  
 
Se si indaga, si scopre che anche jazz può essere usato col senso di "sborra", proprio come jizz, jism. Si potrebbe pensare che in origine il jazz fosse inteso come "musica da eiaculazione", "musica da sborra", oppure "musica informe e caotica come una sborrata". Si noterà che il pianista e compositore Eubie Blake (1887 - 1983), quando fu intervistato da una donna per il progetto Oral History of American Music dell'Università di Yale, si rifiutò di menzionare la parola "jazz" perché la considerava volgare: nella sua mente evocava un mare di sperma!    

A questo punto sorge una legittima domanda: qual è l'origine di jasm / jism? Ecco che si ritorna all'Africa Nera! Queste sono alcune parole africane interessanti: 
 
Mandingo: jasi "comportarsi in modo strano"
Wolof: yees "comportarsi in modo strano"
Temne: yas "essere vivace"
Kikongo: dinza "forza vitale; eiaculazione, eiaculare" 
 
A mio avviso esiste una parola che potrebbe risolvere il problema alla radice e farci comprendere meglio la filogenesi di questi termini:  

Arabo: جسم jism "corpo"
 
Questa sarebbe la catena di slittamenti semantici occorsi in Kikongo e in America: 

"corpo" => "corporatura, complessione" => "forza, vigore" => "virilità" => "eiaculazione" => "sperma, sborra" 
 
Questa sarebbe la catena di slittamenti semantici occorsi in Mandingo e in Wolof: 
 
"corpo"  => "corporatura, complessione" => "forza, vigore" => "spirito, demone" => "essere posseduto da un demone" => "comportarsi in modo strano"

La parola araba, di chiara origine semitica (cfr. ebraico גֶּשֶׁם geshem "corpo", con g- occlusiva), potrebbe essere stata presa in prestito da varie lingue africane, dando origine ai vocaboli riportati in precedenza. Non sono un esperto di lingue dell'Africa Nera, comunque mi azzardo ad ipotizzare qualche ricostruzione: 

Arabo jism => Kikongo jinza
Questi sarebbero i passaggi:
jism => *jisma => *jizma = *jimza => *jinza => dinza 

Arabo jism => Mandingo jasi, Temne yas, Wolof yees 
Questi sarebbero i passaggi: 
jism => *jesm => *jæsm => jasi 
Probabilmente il Temne e lo Wolof, non disponendo all'epoca del prestito di un'affricata j /dz/, l'hanno sostituita con un'approssimante y /j/

Se qualche esperto smentirà le mie ipotesi come ingenue, cervellotiche, improbabili e in buona sostanza false, che ben venga: la Scienza cresce soltanto tramite il contraddittorio.
 
Un grottesco adattamento in italiano 

In tempi di autarchia, ci fu l'adattamento italiano in giazzo (forse con la -zz- sonora come in mezzo, ma non è certo). Questo forestierismo cadde in disuso con la fine del regime mussoliniano. Venute ad esaurirsi le esigenze di una lingua "dura e pura", si impose quindi il barbarismo jazz, in genere pronunciato /dʒets/ [dʒɛts]. Anche il derivato jazzista è pronunciato con la -zz- sorda (come in pizza); la vocale atona -a- è realizzata come /e/: /dʒet'tsista/. Questo è sorprendente, dal momento che in genere la vocale /æ/ inglese è resa con /e/ [ɛ] quando è tonica, con /a/ quando si viene a trovare in una sillaba atona a causa di un suffisso che porta l'accento (ad esempio handicap /'endicap/, ma handicappato /andicap'pato/). Tra i Millennials e i Centennials ben pochi sanno che Romano Mussolini (1927 - 2006), terzo figlio maschio di Benito, fu un famoso jazzista nel dopoguerra. Ho provato a far partire un suo video su Youtube e ho dovuto chiuderlo dopo pochi istanti: quegli strimpellamenti mi hanno aggredito con una violenza inaudita, come chiodi cacciati a viva forza nell'encefalo! 

sabato 18 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI COCKTAIL

Molti anni fa mi sono imbattuto in una spiegazione folkloristica di una parola a tutti ben nota: cocktail "miscela di liquori e di altri ingredienti". Erano ancora i tempi pre-Internet, quando le uniche pubblicazioni erano cartacee. Secondo l'articolista, il cui testo non sono riuscito a ritrovare, durante la Rivoluzione Americana sarebbe accaduto quanto segue: un comandante ribelle antibritannico, giunto a una taverna con la sua compagnia, avrebbe fatto richiesta all'oste di abbondanti strumenti d'ebbrezza per la serata. Il problema è che non c'era una quantità sufficiente di alcun liquore per soddisfare la sete degli ardenti patrioti americani. Venne in mente a una simpatica servetta di mescolare liquori diversi per produrre una bevanda fortissima, in grado di stendere anche il combattente più rude. Così fu fatto. Nel corso del festino, un vero successo, un patriota reso un po' troppo esuberante dalla bevanda appena inventata, saltò su un tavolo e cominciò a ballare in modo frenetico come una danzatrice di flamenco, mettendosi una coda di gallo posticcia proprio sul deretano infiammato, esibendola a mo' di trofeo ed urlando: "Viva il cocktail!" (ossia la "viva la coda di gallo"). I presenti avrebbero equivocato, credendo che cocktail ("coda di gallo") fosse proprio il nome della bevanda usata per ubriacarsi. Presto mi sono accorto che l'intera storiella grottesca era stata fabbricata ex post per spiegare una parola problematica, come avviene assai spesso. 
 
Consultando il dizionario etimologico inglese più famoso del Web, Etymonline.com, ho potuto constatare che esistono anche altre spiegazioni aneddotiche del termine cocktail. Ciascuna di queste false etimologie è stata fabbricata artatamente in qualche imprecisato momento del XIX o addirittura del XX secolo. 
 
 
cocktail (n.) 
 
"bevanda americana fredda, forte, stimolante," prima attestazione nel 1806; H.L. Mencken elenca sette versioni della sua origine, forse la più durevole la riconduce al francese coquetier "portauovo" (XV secolo; in inglese cocktay). A New Orleans, circa nel 1795, Antoine Amédée Peychaud, un farmacista (e inventore degli amari Peychaud) teneva riunioni sociali massoniche nella sua farmacia, dove mescolava brandy distillati  ai suoi amari, servendoli in portauova. Secondo questa teoria, la bevanda avrebbe preso il nome dal recipiente. 
 
Ayto ("Diner's Dictionary") fa derivare la parola da cocktail "cavallo con la coda tagliata" (un taglio corto, che la fa strare un po' alzata come la cresta di un gallo) perché un simile metodo di acconciare la coda era usato con i cavalli ordinari, la parola venne ad essere estesa a un "cavallo di pedigree misto" (non un purosangue) nell'Ottocento, e ciò, si suppone, fu esteso alla bevanda in base alla nozione di "adulterazione, mistura." 
 
Prima domanda:
Il cocktail è mai stato bevuto usando come bicchiere un portauovo, nel corso di una riunione massonica? 
 
Seconda domanda:
Esiste davvero la prova dell'uso di un'acconciatura della coda equina chiamata proprio cocktail e di tutti gli slittamenti semantici necessari per passare infine al significato di "bevanda mista"
 
Risposta alle due domande:
Se si indagasse, si scoprirebbe che la documentazione è inesistente, come in un'infinità di casi simili. La procedura è ora della fine sempre la stessa: mettere assieme elementi narrativi al fine di chiarire qualcosa, dar loro forma e sostanza fino a farli diventare vere e proprie teorie, quando in realtà si tratta soltanto di favole fabbricate ex post. Il caso del portauovo usato per trangugiare misture alcoliche durante le riunioni massoniche in una farmacia non è poi molto diverso da quello del patriota rubizzo che esibiva una coda di gallo mentre ballava sui tavoli. A questo punto sarebbe il caso di dubitare dei dizionari etimologici che non seguono il metodo scientifico e che accolgono con tanta facilità pure e semplici illazioni.

Un'altra spiegazione, di per sé più convincente di quelle sopra riportate e più economica dal punto di vista logico, suppone questo: cock "gallo; cazzo" era un termine colloquiale usato per indicare la spina per il drenaggio (anche per via della somiglianza fallica). Nel XIX secolo, i liquori erano distribuiti al volgo più grossolano utilizzando un simile dispositivo innovativo, chiamato anche spigot o tap. Quando il fusto stava per finire, spesso il liquore veniva ad essere di qualità molto scadente e torbido. Così i vari residui dei fusti quasi esauriti (ossia le "code", tails) venivano mescolati tra loro e venduti a prezzo minore rispetto alle bevande pure - anche perché le proprietà organolettiche potevano essere deludenti. Sorprende constatare che questa proposta etimologica ha anche un nome ben preciso in inglese: The Dregs Theory, ossia "la Teoria della Feccia". Tuttavia sembra che agli inizi del XIX secolo il cocktail non fosse necessariamente una bevanda spiritosa: solo più tardi avrebbe cominciato a includere almeno un liquore. Non manca chi tenta addirittura di ricondurre l'origine della celebre bevanda al mondo latinoamericano, affermando che cocktail deriverebbe in buona sostanza dallo spagnolo cola de gallo e inventandosi storie di fantasiosi miscugli di liquori e di succhi di frutta esotica, amalgamati usando una lunga piuma caudale di qualche sgargiante gallinaceo. Potremmo andare avanti così all'infinito e non ne verremmo mai a capo. Troppo intenso è il rumore di fondo! L'entropia divora ogni cosa, l'indeterminazione oscura tutti i segnali che provengono a noi dal passato, rendendoli inutili. Anche cose a noi tutti ben note e abituali, non trovano una spiegazione soddisfacente, come se fossero più antiche dei Faraoni dell'Egitto. Si noterà che per paradosso è molto più facile comprendere quanto scritto nei papiri del Paese del Nilo o nelle tavolette d'argilla essiccata di Sumer.   

Fantomatici adattamenti e trovate autarchiche 

A rigor di logica, in italiano cocktail sarebbe dovuto diventare *coccotello (vocalizzando le sillabe chiuse) oppure *cotte (abolendo la consonante finale e assimilando il gruppo consonantico mediano). Ciò tuttavia non accadde, anche se entrambe le soluzioni sarebbero state perfettamente logiche. La prima avrebbe avuto più probabilità di successo, mentre la seconda sarebbe stata svantaggiata perché troppo simile foneticamente a voci del verbo cuocere. A quanto ne so, nessuno percorse la via dell'adattamento fonetico: abbondarono invece le formazioni autarchiche. La più nota è senza dubbio polibibita, una creazione neologistica del Futurismo, movimento geniale e poliedrico la cui influenza culturale è stata immensa. Furono creatori di fantasiose polibibite Filippo Tommaso Marinetti, Fillia, Enrico Prampolini, Cinzio Barosi, Angelo Giachini, Paolo Alcide Saladin, Fortunato Depero e il dottor Vernazza (fonte: www.cocchi.it). Non va in ogni caso nascosto che questo neologismo è di per sé abbastanza grottesco, col tipico prefisso di origine greca poli- "molto" (< πολυ-) aggiunto alla parola bibita, che in ultima analisi è un crudo latinismo: nella lingua passata per la genuina usura del volgo bibit è diventato beve; bibere è diventato bere. Ancora nei primi anni '80 qualcuno propose il neologismo piulliquore, finendo deriso e paragonato a quel soldato giapponese isolato su un atollo del Pacifico, che ancora continuava a combattere gli intrusi decenni dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Un'altra proposta ispirata dall'autarchia linguistica, non meno problematica, è bibita arlecchina. L'allusione è all'aspetto multicolore e sgargiante del costume di Arlecchino, il notorio truffaldino mascherato giunto da un'impervia valle di Bergamo a meravigliare il mondo con le sue astuzie. Che commozione se penso al mio costume di Arlecchino indossato alle elementari, che ho a lungo conservato gelosamente - il che non ha impedito che finisse trafugato da una stramaledetta fattucchiera del Vampiristan!