mercoledì 20 maggio 2020

IL MISTERO DEL DODECAEDRO ROMANO

Descrizione del tipo di manufatto: 
    dodecaedro (solido con 12 facce pentagonali); 
    in rari casi è un icosaedro (solido con 20 facce triangolari).  
Nomi convenzionali del manufatto:
    dodecaedro romano, dodecaedro gallo-romano.
Materiale: bronzo, più raramente pietra. 
Caratteristiche:
    i) le facce presentano un foro circolare, più raramente ellittico; 
    ii) in alcuni casi si hanno facce senza fori, con solo decorazioni; 
    iii) le dimensioni dei fori possono essere diverse da una faccia
    all'altra;
    iv) ogni vertice presenta uno spuntone arrotondato;
    v) alcuni dodecaedri sono privi di spuntoni.
Dimensioni: da 4 a 11 cm.
Epoca: dal I al IV secolo d.C.
Numero di rinvenimenti: più di 100 (116 nel 2013).
Luoghi dei rinvenimenti: Gallia (Celtica, Belgica, Narbonese),
    Germania, Elvezia, Britannia, Pannonia. 
Luoghi con maggior numero di rinvenimenti: Gallia (Celtica,
    Belgica), Germania.
Luoghi di rinvenimenti non confermati: Italia orientale, Spagna.
Epicentro della diffusione: Renania
Rinvenimenti atipici: due icosaedri trovati in Egitto.
Rinvenimenti erratici: alcuni dodecaedri d'oro trovati nel Sud-est
    asiatico (Tailandia, Birmania).
Anno del primo rinvenimento: 1739 (Fonte: Guggenberger, 2013)  
Luogo del primo rinvenimento: Aston, Inghilterra (Fonte:
    Guggenberger, 2013) 
Nome dato dai Romani al manufatto: sconosciuto. 
Menzioni nella letteratura antica: assenti.
Raffigurazioni nell'arte antica: assenti.
Funzione del manufatto: sconosciuta.  
 
 
Ipotesi sull'uso del dodecaedro gallo-romano: 
 
1) Tipo di proiettile per i frombolieri. La forma del dodecaedro gli avrebbe garantito un impatto particolarmente distruttivo.   
     Obiezioni: 
i) Il manufatto è stato trovato spesso in ambiti non militari (ad esempio domestici);
ii) Non si capisce perché realizzare proiettili cavi, quindi più leggeri;
iii) Il metallo utilizzato sarebbe stato probabilmente il piombo, molto denso e più economico del bronzo; 
iv) Se fosse stata un'arma tanto mirabile, il suo uso non sarebbe stato limitato ad alcune parti dell'Impero.
 
2) Strumento per la fabbricazione delle armi. Secondo John Ladd, ingegnere in pensione, il dodecaedro sarebbe servito per stabilire la dimensione ideale delle armi e la loro miglior geometria, in particolare dei proiettili per le fionde. Allo scopo il dodecaedro sarebbe stato immerso in uno speciale olio, che avrebbe permesso di calcolare la deviazione della traiettoria dei proiettili.
    Obiezioni:
i) Il manufatto è stato trovato spesso in ambiti non militari (ad esempio domestici);
ii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iii) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
iv) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.  
 
3) Strumento per misurare le distanze. Secondo la professoressa Amelia Carolina Sparavigna (Politecnico di Torino), il dodecaedro sarebbe stato particolarmente utile nell'ambito dei rilevamenti militari. Secondo Giuseppe Sgubbi, archeologo dilettante, il dodecaedro sarebbe stato un telemetro, utilizzato nella centuriazione, ossia nella divisione di estensioni di terra in appezzamenti razionali. 
    Obiezioni: 
i) La scienza dell'agrimensura ha avuto la sua origine tra gli Etruschi, eppure il dodecaedro non appare tipico dell'Etruria;
ii) Le più imponenti centuriazioni sono state fatte nel bacino padano, eppure il dodecaedro non appare tipico di tale area;
iii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iv) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
v) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.  
 
4) Strumento per la calibrazione dei tubi. Il dodecaedro sarebbe stato calato nelle condutture di piombo al fine di misurarne il diametro.
    Obiezioni:
i) I fori sarebbero serviti ad assicure una corda per poter muovere il dodecaedro, ma non si spiegano i solidi con facce prive di aperture;
ii) Si deve stabilire la misura di un tubo all'atto della sua produzione, non una volta prodotto;
iii) Come gestire eventuali ostruzioni del tubo da parte del dodecaedro?  
iv) Se si trattasse di uno strumento tanto mirabile, il suo uso non sarebbe stato limitato ad alcune parti dell'Impero; 
v) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
vi) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.  
 
5) Strumento per la tessitura. Questa funzione potrebbe spiegare gli spuntoni.
   Obiezioni: 
i) Gli strumenti usati per la tessitura sono ben noti e molto diversi dal dodecaedro; 
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
iii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
 
iv) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero.

6) Strumento calendariale. Secondo questa ipotesi il dodecaedro gallo-romano sarebbe stato utilizzato per la  di solstizi ed equinozi. L'olandese Sjra Wagemans, chimico ricercatore della DSM Reseaech earcheologo dilettante, sostiene che il dodecaedro servisse a misurare l'angolo della luce solare, determinando con precisione una data specifica della primavera e dell'autunno, in connessione con importanti attività agricole.
    Obiezioni: 
i) Le tecniche calendariali dei Romani sono state prese dagli Etruschi, ma il dodecaedro non appare tipico dell'Etruria;
ii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iii) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
iv) L'ipotesi è eccessivamente cervellotica.
 
7) Tipo di candelabro. Va notato che su alcuni esemplari sono state trovate tracce di cera. I motivi della presenza di cera non sono mai stati chiariti. 
    Obiezioni:
i) I candelabri sono ben noti e molto diversi dal dodecaedro; 
ii) In molti esemplari non si hanno tracce di cera; 
iii) Non si spiegano manufatti senza fori o con fori ellittici;
iv) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali.
 
8) Peso per reti da pesca Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.
    Obiezioni: 
i) I pesi per le reti da pesca sono ben noti e hanno forme molto diverse;
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
iii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali.  
 
9) Giocattolo per bambini. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.
    Obiezioni: 
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso: 
ii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iii) Un solido di metallo sarebbe stato poco sicuro come giocattolo: un bambino poteva ferirsi o rimanere soffocato in caso di improvvida ingestione.

 
10) Strumento musicale simile a una campanella. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni. In particolare è stata avanzata l'ipotesi che servisse come campanella per il bestiame.  
     Obiezioni: 
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
ii)
La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iii) Non si spiega la complessità del manufatto.
 
 
11) Semplice oggetto ornamentale. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.  
     Obiezioni: 
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso;  
ii)
La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iii) Non si spiega la complessità del manufatto.
 
12) Strumento per la produzione in serie dei guanti. Mi sono imbattuto in un video surreale su Youtube, che mostra un esempio pratico di utilizzo dello strumento.    
    Obiezioni: 
i) Il fatto che sia possibile produrre un guanto usando un dodecaedro non significa che questo fosse il suo scopo;
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
ii
i) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iv) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero.
 
13) Tipo di moneta. È stata avanzata l'ipotesi che il dodecaedro servisse ad indicare convenzionalmente un certo volume di denaro.
   Obiezioni:
i) L'ipotesi è contraria al principio fondante della monetazione romana, secondo cui il valore di una moneta dipende dal suo tenore di metalli nobili;
ii) Se questa convenzione monetaria fosse stata considerata utile, il suo uso sarebbe stato riscontrato in ogni parte dell'Impero; 
iii) Per quanto la produzione di un dodecaedro fosse difficile, la sua imitazione non sarebbe stata impossibile;
 
14) Strumento per scoprire la contraffazione delle monete. Secondo i fautori di questa teoria, si sarebbero potute fondere alcune monete prese a caso da un tesoro, facendone una barra. Avendo le monete autentiche un contenuto prefissato di metallo prezioso, la barra da esse ottenuta avrebbe avuto dimensioni determinabili. Se la barra non si fosse adattata ai fori del dodecaedro, si poteva dedurre la presenza di monete false.
    Obiezioni:
i) Se si trattasse di uno strumento di misura, le sue dimensioni sarebbero standardizzate, come pure la sua forma e altre caratteristiche;
ii) Uno strumento tanto mirabile non sarebbe stato limitato nel suo uso ad alcune parti dell'Impero;
iii) Non si capisce perché quasi tutti i falsari dell'Impero dovessero concentrarsi in una certa regione;
iv) Il manufatto era tesaurizzato, quindi difficilmente dotato di un uso pratico tanto importante. 

15) Un fermacarte. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni.
      Obiezioni:
i) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
ii) Gli spuntoni, non necessari, non avrebbero spiegazione soddisfaente;
iii
) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali;
iv) Non si spiega la complessità del manufatto. 
 
16) L'estremità di uno scettro. In altre parole, si tratterebbe di una specie di pomolo. Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni. 
     Obiezioni: 
i) Non si spiegano i solidi con tutte le facce piene o con fori ellittici;
ii) Non si spiega l'assenza di una particolare apertura in cui inserire l'asta dello scettro, diversa dalle altre;
iii) Non sembra essere presente alcun meccanismo per assicurare l'asta. 

17) Oggetto usato per massaggi rilassanti dopo essere stato scaldato.
Una spiegazione forse banale, che tuttavia è stata formulata, forse proprio in reazione alla natura eccessivamente contorta di altre supposizioni. 
    Obiezioni: 
i) Non si spiega la complessità del manufatto;
ii) La frequente conservazione di questo manufatto in tesori sta ad indicare che era considerato prezioso; 
iii) La produzione di un dodecaedro richiedeva grandi capacità e fatica: cosa non giustificata per scopi tanto banali. 
 
18) Tipo di amuleto o strumento magico, connesso con la sfera religiosa. Questa sembra l'unica interpretazione credibile. Approfondiamo nel seguito l'affascinante argomento.  
     Punti a favore:
i) Le tradizioni religiose e magiche sono spesso locali;
ii) Manufatti di questo genere sono
spesso considerati preziosi;
iii) In nome della magia e della religione sono spesso giustificati grandi sforzi, non commisurati all'effettiva utilità materiale;
iv) A Ginevra è stato trovato un dodecaedro anomalo in argento, senza spuntoni, con nucleo di piombo e i nomi dei dodici segni zodiacali incisi sulle facce (Fonte: Kostov, 2014). 

 
Probabilmente il mio elenco di ipotesi non è esaustivo. Credo di poter classificare come humour britannico le parole di un visitatore di un forum, che parlava del possibile uso dei dodecaedri come bigodini. A questo punto manca soltanto un buontempone che se ne esca a etichettare i dodecaedri come motivatori iperspaziali di astronavi dell'Ordine Jedi della Repubblica Galattica tornate indietro nel tempo alla ricerca dei Sith! In ogni caso un tratto accomuna quasi tutte le proposte riportate: sembrano tentativi di rispondere a un indovinello o di trovare la soluzione di un rebus. Gli oggetti studiati sono considerati come le monadi di Leibniz: sostanze puntiformi che non possono essere fisicamente influenzate da elementi esterni. Tutto ciò è a dir poco angosciante!  
 
Con buona pace del mondo accademico, non ritengo interessante né utile l'ipotesi enunciata dalla Sparavigna, per non parlare di quelle di Wagemans et alteri. Trovo inquietante che ad occuparsi della questione siano stati accademici esperti di ogni tipo di disciplina, purché priva di qualsiasi attinenza con la cultura e con la storia del mondo antico. In pratica hanno cercato da tutte le parti, ma non dove sarebbe stato ragionevole trovare una risposta. È assurdo che si arrivi ad invocare la telemetria e non si consideri minimamente l'universo filosofico e religioso in cui questi dodecaedri hanno avuto origine e diffusione. Molti archeologi dilettanti sembrano quasi avere l'atteggiamento di quelli che a scuola giocavano a fare i Romani. Eppure basta guardare qualche mappa dei rinvenimenti per confutare all'istante l'idea che il dodecaedro possa essere un'importante innovazione tecnologica in campo bellico, ingegneristico o in qualunque altro genere di uso concreto e quotidiano. Non dobbiamo sottovalutare l'immensa capacità di propagazione delle idee e della tecnica in un contesto eterogeneo e connesso come quello dell'Impero: un ritrovato utile e interessante sarebbe arrivato dovunque in tempi molto rapidi. 

 
La risposta possibile a questo enigma è una sola: il dodecaedro è un simbolo religioso celtico, considerato romano perché trovato nel contesto archeologico dell'Impero. Già la semplice distribuzione geografica dei rinvenimenti è un forte indizio di un'origine celtica, in un contesto in cui erano intensi i contatti tra Celti e Germani. La capacità di integrazione di elementi preromani nell'Impero è stata sottovalutata in modo sistematico, così pure come la molteplicità delle culture locali. In genere, l'uso stesso della parola "romano" risente fortemente di un modo scolastico di vedere l'antichità come qualcosa di monolitico e di compatto. In quest'ottica, tutto ciò che è attestato in un qualsiasi territorio imperiale viene interpretato come se dovesse per forza di cose essere germogliato nel Lazio. Il fatto che i reperti siano tipici di una particolare area della Gallia Celtica e che manchino in altre non è poi così problematico come potrebbe pensare: le genti delle  Gallie non erano un tutt'uno compatto dai Pirenei all'Elvezia. Fatica a farsi strada, persino tra gli studiosi, il concetto di varietà

 
Filosofi e Druidi 

È risaputo e tramandato che il Sapiente Abaris giunse dall'estrema Thule per incontrare Pitagora. Giulio Cesare ci attesta l'importanza che avevano per i Druidi le dottrine pitagoriche, attribuendo ad essi la credenza nella metempsicosi. A proposito delle dottrine cosmologiche del druida Diviziaco ci viene detto che esse destarono a Roma grandissimo interesse. Tra le altre cose, il nobile Eduo affermava che l'Universo si sarebbe dissolto in una coflagrazione e che un giorno ci sarebbero stati soltanto due elementi superstiti: l'Acqua e il Fuoco. Esisteva un fortissimo legame tra il mondo celtico e quello greco, a dispetto di molte appariscenti differenze. I Druidi vietavano persino ai nobili di parlare delle origini dell'Universo e dell'essere umano. All'interno della loro congregazione erano coltivate in sommo grado la filosofia e la geometria: era come se le élites intellettuali delle Gallie e della Grecia costituissero un unico continuum. Ovviamente di queste cose nel sistema scolastico italiano non si parla.
 
Il dodecaedro regolare è uno dei cinque solidi platonici, associati agli Elementi. 

terra : cubo
fuoco : tetraedro
aria : ottaedro
acqua : icosaedro 
 
Il dodecaedro è associato all'architettura stessa dell'Universo. Ne costituisce la Quintessenza. Queste sono le parole di Platone, che fu allievo della Scuola Pitagorica: 
 
"E prima di tutto, che fuoco e terra e acqua e aria siano corpi, è chiaro ad ognuno. Ma ogni specie di corpo ha anche profondità; e la profondità è assolutamente necessario che contenga in sé la natura del piano, e una base di superficie piana si compone di triangoli." 
(Platone, Timeo, cap. XX) 
 
"E si comincerà dalla prima specie, ch’è la più semplicemente costituita: elemento di essa è il triangolo che ha l’ipotenusa  doppia  del  lato  minore.  Se  si  compongono  insieme  due siffatti triangoli secondo la diagonale, e questo si ripete tre volte, di modo che le diagonali e i lati piccoli convergano nello stesso punto, come in un centro, nasce di sei triangoli un solo triangolo equilatero: e se quattro triangoli equilateri si compongono insieme, formano per ogni tre angoli piani un angolo solido, che viene subito dopo il più ottuso degli angoli piani. E di quattro angoli siffatti si compone la prima specie solida che può dividere l’intera sfera in parti eguali e simili. La seconda poi si forma degli stessi triangoli, riuniti insieme in otto triangoli equilateri, in modo da fare un angolo solido di quattro angoli piani: e ottenuti sei angoli siffatti, il secondo corpo ha così il suo compimento. La terza specie è poi formata di centoventi triangoli solidi congiunti insieme e di dodici angoli solidi, compresi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani, ed ha venti triangoli equilateri per base. E l’uno dei due elementi, dopo aver generato queste figure, aveva cessato l’opera sua. Ma il triangolo isoscele generò la natura della quarta specie, componendosi insieme quattro triangoli isosceli, con gli angoli retti congiunti nel centro, in modo da formare un tetragono equilatero: sei di questi tetragoni equilateri commessi insieme compirono otto angoli solidi, ciascuno dei quali deriva dalla combinazione di tre angoli piani retti. E la figura del corpo risultante divenne cubica, con una base di sei tetragoni equilateri piani. Restava una quinta combinazione e il Demiurgo se ne giovò per decorare l’universo."
(Platone, Timeo, cap. XX) 
 
"E alla terra diamo la figura cubica; perché delle quattro specie la terra è la più immobile, e dei corpi il più plasmabile. Ed è sopra tutto necessario che tale sia quel corpo che ha le basi più salde. Ora dei triangoli posti da principio, è più salda naturalmente la base di quelli a lati eguali che di quelli a lati diseguali, e quanto alle figure piane, che compone ciascuna di queste specie di triangoli, il tetragono equilatero, tanto nelle parti che nel tutto, è di necessità più solidamente assiso del triangolo equilatero. Perciò conserviamo la verosimiglianza, attribuendo questa forma alla terra, e poi all’acqua la forma meno mobile delle altre, al fuoco la più mobile, e all’aria l’intermedio: e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria, e inoltre il più acuto al fuoco, il secondo per acutezza all’aria, e il terzo all’acqua." 
(Platone, Timeo, cap. XXI)
 
Sorvoliamo pure sul fatto che il Demiurgo sia spesso stato sostituito da Dio nelle traduzioni. Appare chiaro che nell'idea che accomunava Platone e i Druidi il dodecaedro era una raffigurazione del Cosmo: da questo discende un plausibile uso apotropaico del solido. Se i filosofi greci irridevano la superstizione del volgo, i Druidi se ne servivano per governare e la incentivavano attivamente. Una volta perseguitata ed eliminata la classe druidica, considerata ribelle al potere di Roma, la religione celtica sopravvisse e fu integrata nell'edificio culturale dell'Impero, nel ricco e complesso mondo che chiamiamo gallo-romano. Basti pensare a quell'eccezionale reperto che è il calendario di Coligny, redatto in gallico e risalente al II secolo d.C.  
 
Etimologia di dodecaedro e di icosaedro 
 
Il latino tardo dōdecahedrum deriva dal greco δωδεκάεδρον (dōdekáedron), che è un composto di δώδεκα (dōdeka) "dodici" e di ἕδρα (hédra) "faccia di un solido" (alla lettera "base, posto a sedere", dalla radice indoeuropea *sed- "sedere, sedersi").
Il latino tardo īcosahedrum deriva dal greco εἰκοσάεδρον (eikosaedron), che è un composto di
εἴκοσι (eíkosi) "venti (20)" e di ἕδρα (hédra) "faccia di un solido" (alla lettera "base, posto a sedere", dalla radice indoeuropea *sed- "sedere, sedersi")
Posso constatare che in italiano la pronuncia è dodecaèdro, icosaèdro, ma se dovessimo stare all'accentazione latina e a quella greca (che in questo caso concordano) dovremmo pronunciare *dodecàedro, *icosàedro.  
 
Tentativi di ricostruzione dei nomi celtici 
 
Cerchiamo ora di risalire al nome celtico del dodecaedro e dell'icosaedro. È un esercizio interessante, visto che la lingua gallica sopravvisse per tutta l'epoca imperiale. Nelle lingue celtiche medievali e moderne esiste una parola il cui significato letterale è "faccia, superficie": 
 
Antico irlandese: enech "faccia" 
Medio gallese: wyneb "faccia, superficie"
Gallese moderno: wyneb "faccia, superficie; guancia" 
Cornico: enep "faccia, superficie, pagina"
Bretone: eneb "faccia"

In tutte queste lingue il genere della parola in questione è maschile. Il dittongo wy- in gallese è un regolare prodotto della vocale lungua ē-, la cui quantità non è dovuta a ragioni etimologiche. Crediamo che sia
una ragionevole traduzione del greco hédra "faccia di un solido". 
 
La protoforma gallica e britannica ricostruibile è *ENEPOS, da un precedente protoceltico *ENEKWOS. Wikipedia propone una ricostruzione *ENĪKWOS, la cui vocale lunga -Ī- non è tuttavia compatibile col vocalismo osservato, in particolare nelle lingue britanniche. Ecco quindi le nostre ricostruzioni dei nomi druidici del dodecaedro e dell'icosaedro:  
 
Gallico, britannico: *DUŌDECAMENEPON "dodecaedro" 
Gallico: *UŌCONTENEPON  "icosaedro"
Britannico: *UICANTENEPON "icosaedro" 
 
Questi composti sono di genere neutro, in modo analogo a quanto accade in greco.

lunedì 18 maggio 2020

IL MISTERO DELL'OSFAGARTA

Anni fa mi sono imbattuto nel bizzarro portale dell'Istituto Italiano di Coproterapia (ICC) di Roma, ospitato su Blogspot. "La coproterapia è una disciplina naturale che consiste nell'immersione del corpo in una vasca di feci umane calde, o nella loro somministrazione per bocca" (cit.). In un post dell'ICC, che ora sembra essere irreperibile, si parlava di coprofagia in relazione alla scienza gastronomica e si descriveva la pajata romana come una preparazione culinaria fecale. Cosa abbastanza sensata, vista anche l'autorevole opinione di Alberto Sordi, che nel film Il marchese del Grillo (Mario Monicelli, 1981), definiva i rigatoni con la pajata in un modo abbastanza crudo: "merda". In buona sostanza si tratta di intestino tenue di vitello da latte, non privato del chimo (che è il latte digerito) e da usarsi per fare una salsa con cui condire la pasta. È ben nota la scena in cui il Sor Marchese inizia a questa conoscenza misterica la splendida francesina, Olimpia. 
 
 
 
Orbene, accanto alla pajata il blog menzionava un altro piatto di origine fecale, ben più enigmatico. Il suo nome è OSFAGARTA. Secondo le scarne spiegazioni che erano fornite, l'osfagarta sarebbe in tutto e per tutto simile alla pajata, ma preparata con intestino di agnello anziché di vitello. Nel blog non erano indicate fonti convincenti, né alcuna nota etimologica dello stravagante vocabolo. Si accennava soltanto a un certo professor A. Veneziano, che avrebbe condotto uno specifico studio sull'interessante materia gastronomica. Il nome A. potrebbe stare per Alberto, Aldo, Adolfo, Agostino e via discorrendo. Non si ha informazione alcuna sul nominativo completo. A conti fatti, in Google non è emerso proprio un bel nulla su questo fantomatico studioso. Dopo una lunga ricerca, sono riuscito a ritrovare il testo che cercavo, servendomi della Macchina del Tempo di Internet (Wayback Machine). Non l'ho trovato nel blog dell'ICC, ma in un sito di Altervista che lo menzionava. Riporto il reperto: 
 
 
"La paiata e l’osfagarta  (ci ricorda A. Veneziano N.d.r.)  sono solo alcuni dei molteplici piatti a base uro-fecale tipici della cucina Italiana.  Nella nostra alimentazione (continua A. Veneziano N.d.r.)  ci sono sempre stati dei piatti con ingredienti  uro-fecali. Il problema è che nella maggior parte dei casi il “donatore” non è umano, cioè le feci provengono da animali di allevamento. Il che comporta il rischio di contrarre malattie di origine bovina (nel caso della paiata) e ovina (l’osfagarta) e riduce al minimo le proprietà benefiche dell’assunzione." 
 
L'autore del testo, humanfailure, si augura quindi l'introduzione di piatti a base di sterco umano!

"Feci e urina devono quindi provenire da un “donatore” umano. Per chi non lo sapesse ricordiamo che è vietata la vendita di escrementi di origine umana (non a caso si usa il termine “donatore”)." 

Tutta la faccenda ha l'aria di essere un fake. Tuttavia si ricorda che anche un fake deve avere un'origine, non può essere scaturito dal Nulla. 
 
All'inizio avevo pensato a una contrazione del latino ovis "pecora", al genitivo, con la consonante finale fossilizzata. Anche se os- per ovis sembrava verosimile dal punto di vista tecnico, la cosa mi è subito sembrata assurda, irreale, così mi sono destato dalla fantasia. La seconda parte del composto resisterebbe ad ogni tentativo di analisi. Come dare un senso a -fagarta? La formazione non si spiega in alcun modo, la terminazione -arta permane oscurissima e priva di paralleli. Siamo di fronte a una parola impenetrabile. Non si riesce a trovare nessuna informazione che ci possa permettere di far penetrare un po' di luce in tenebre tanto fitte. In tutto il Web, prima che mi occupassi della questione, non esistevano altre menzioni della parola. Non si è trovata alcuna citazione utile in Google Books o nei forum.

Ho persino provato con un sito di anagrammi. Questi sono i risultati della ricerca:
 
Target = osfagarta
[sfata fasta] [gora agro]
[strafa sfrata] ago
[stara sarta rasta] foga
grafo asta
[targa grata] sofa
[targa grata] fa so
[targa grata] sa fo
[sfato fasto] [gara agra]
[gastro argots] afa
[gasato agosta] fra
sagrato fa
forata gas
[sorga sargo] [fata afta]
[trago targo grato argot] fa sa
[sagra ragas] fato
sfoga [tara rata atra]
[sfara farsa] [toga gota]
[gara agra] sta fo
[gara agra] sto fa
saga tra fo
[tara rata atra] gas fo
foga tra sa
[gora agro] sta fa
[toga gota] fra sa
[atro arto] gas fa
fra ago sta
 

Non se ne cava nulla. Vano è stato anche un tentativo di ricorrere a Quora, il social in cui tutti possono porre domande su qualsiasi argomento, ottenendo risposte che qualche volta possono essere sensate. Proprio come in Facebook, gli utenti facevano una ricerca, si imbattevano nella menzione dell'osfagarta sul blog dell'Istituto Italiano di Coproterapia e in Altervista, dando per scontato che l'informazione fosse fidedigna e riproponendola ad infinitum.
 
L'amico Marco Ajello propendeva per un'origine sarda, cosa che anche a me in un primo momento pareva abbastanza verosimile. Questa è la sua interessante considerazione:
 
"Forse in Sardegna... guarda lì che fine ha fatto la parola ovis." 
 
E ancora: 
 
"ovis come genitivo mi sa che sia la strada più percorribile... anche se poi i mutamenti son singolari."
 
Così gli avevo risposto: 
 
"Forse è davvero così, ma non ho trovato traccia del misterioso vocabolo nel dizionario online di Rubattu; inoltre la presenza di un nesso /sf/ è ostica. Il sardo ama già poco il suono /f/. Un problema terribile è il silenzio dei motori di ricerca: non restituiscono nemmeno una menzione del vocabolo oltre a quella descritta. Come mai? Non si dovrebbe trovare un sito con frasi del tipo "sono andato a mangiarmi l'osfagarta", etc. Nulla. Com'è possibile che una forma così singolare, se davvero esistente su suolo italico, non abbia mai attirato l'attenzione degli studiosi? Se invece è una parola di una lingua non romanza, dovrebbe comunque trovarsene traccia da qualche parte.
 
E ancora: 
 
"Si potrebbe fare un esperimento antropologico. Girare per le osterie di Roma ordinando un piatto di osfagarta. Immagino l'espressione turbata e irosa dei pingui tavernieri. Deve essere un ambiente difficile. Ricordo che anni fa sono entrato in una pizzeria. Tutti si rivolgevano a me in inglese. Quando ho detto loro di essere di Milano, mi hanno guardato straniti come se avessi detto di venire da Betelgeuse!"
 
Va detto che all'epoca non era nemmeno indicizzata da Google la domanda che avevo fatto su Quora. Questa dunque è la seconda teoria formulata da Marco Ajello:  
 
"Altre ipotesi: un articolo? Oppure osfag- è proprio il nome dell'intestino dell'animale. O una qualche preposizione (come eso-fago)." 
 
In effetti, la cosa appariva più convincente di una contorta derivazione da ovis. In altre parole l'osfagarta sarebbe quello che in italiano chiameremmo *ESOFAGATA. Anche se non conosco nessun esito romanzo del latino oesophagus (dal greco oisophágos, formato da oísein "portare" e da phageîn "mangiare"), non sarebbe impossibile l'evoluzione volgare della parola in *OSFAGU, da cui si giungerebbe a un derivato collettivo *OSFAGATA. La semantica non crea troppi problemi: non dobbiamo credere che i parlanti di una forma di protoromanzo avessero la conoscenza dei moderni medici. Uno slittamento di significato da "esofago" a "primo tratto dell'intestino tenue" non dovrebbe dare grosse difficoltà. La ritrazione dell'accento, da esòphagus a *òsfagu non è impossibile: in fondo conosciamo un italiano antico stàrlogo, variante di astròlogo. Già, tutto questo sembra molto chiaro. Il termine greco oisophagos è attestato già in Aristotele; la forma latina sembra molto più tarda. In inglese compare oesophagus nel XIV secolo; in italiano compare esofago nel XV secolo. Non sono affatto sicuro che sia possibile postularne l'esistenza in protoromanzo. Si dovrebbe pensare che la nostra *ESOFAGATA sia ben più recente. Permane poi un problema di non poco conto: come spiegare la consonante rotica in OSFAGARTA
 
Anche su Quora un utente mi aveva risposto sostenendo la diretta derivazione di esofago (Juan Luis Pedrosa: "magari la parola de partenza sia "esofago"?"). Ormai mi ero quasi convinto. In un modo o nell'altro si doveva trattare di una derivazione abbastanza recente di *ESOFAGATA e al diavolo la rotica di troppo! Come un moscone nel cervello, qualcosa di subliminale mi infastidiva e ogni tanto riemergeva dal pelo dell'autocoscienza, allertandomi. 
 
L'amica Fabiana Cilotti ha scoperto una bizzarra assonanza nel nome del fiume Osfago, citato da Tito Livio, chiedendosi dove si trova questo corso d'acqua. Questa è la citazione in latino: "Movere itaque ex Pluvina Romani, et ad Osphagum flumen posuerunt castra". Così rispondevo: "Il fiume Osphagus è in Macedonia. Bizzarramente il correttore automatico di Google cerca di convertirne il nome in Esophagus."
 
A distanza di tempo, ho riletto l'intera conversazione su Facebook (un thread piuttosto caotico) e la mia attenzione è caduta su una proposta etimologica alternativa, sempre formulata da Marco Ajello: 
 
"Penso anche a "oxen" (buoi) inglese". 
 
Non ero stato particolarmente entusiasta di questa ipotesi ingegnosa, tanto che avevo risposto così:

"Però l'intestino usato è ovino, non bovino. Inoltre resta in ogni caso un residuo -fagarta che sfugge ad ogni analisi, come se provenisse da una lingua di Vega o di Altair." 
 
Adesso credo che potrebbe essere verosimile. Il residuo -fagarta potrebbe benissimo essere nient'altro che l'inglese faggot, fagot, un derivato diretto dell'italiano fagotto. Attualmente negli Stati Uniti d'America, questa parola indica soprattutto un omosessuale passivo, proprio a causa del riferimento gergale all'intestino, usato come cavità sessuale. Qualche pastore protestante ha come motto "God hates faggots", o qualcosa del genere. Esistono poi significati diversi di questa parola, come "fascina di legna da ardere", ma la cosa è irrilevante, trattandosi di sviluppi secondari. Trovo invece di un estremo interesse, il fatto che in Scozia la parola faggot sia usata per indicare una preparazione gastronomica fatta con lo stomaco di animali macellati. Si potrebbe dunque azzardare un percorso etimologico e semantico credibile. Presuppongo un composto OX FAGGOT, alla lettera "fagotto di bue", usato da qualche italo-americano per indicare la pajata romana. La pronuncia di questo OX FAGGOT in broccolino (gergo italo-americano di Brooklyn) sarebbe qualcosa come OSFAGAATA. L'ipercorrezione in OSFAGARTA, dati i problemi di pronuncia delle consonanti rotiche in inglese, sarebbe plausibilissima. Un oste romano che in una taverna avesse udito OX FAGGOT pronunciato come OSFAGAATA, OSFAGARTA, ne avrebbe tratto il vocabolo. Questo deve essere accaduto a Roma quando la pajata di vitello era proibita per via dell'epidemia di encefalopatia spongiforme di Creuzfeldt-Jacob (volgarmente detta "morbo della vacca pazza"). A causa di questo inconveniente poco piacevole, il taverniere romano serviva ai clienti un succedaneo della pajata, ottenuta da intestino di agnello. Si potrebbe anche pensare che il taverniere in questione fosse originario della Sardegna: nell'isola esiste la tradizione di produrre un formaggio a partire dal latte semidigerito dagli agnelli, estraendolo dal loro stomaco durante la macellazione. Il visitatore americano, probabilmente di Brooklyn, non si era avveduto della cosa, pensando di mangiare rigatoni con la pajata di bovino. Così ha chiamato il piatto OSFAGARTA e in qualche modo la cosa è finita su Internet.

sabato 16 maggio 2020


EVVIVA RANUCCIO II FARNESE,
IL DUCA DELLA MERDA!

Ranuccio II Farnese (Cortemaggiore, 1630 - Parma, 1694) è stato il sesto duca di Parma e Piacenza dal 1646 fino alla morte, oltre che il settimo e ultimo duca di Castro fino al 1649, anno di estinzione del ducato. Era figlio maggiore di Odoardo I Farnese e di Margherita de' Medici. Successe al padre nel 1646, governando per due anni con la reggenza della madre e dello zio, il cardinale Francesco Maria Farnese. Rifiutò un'offerta matrimoniale molto vantaggiosa: la Francia gli aveva offerto la mano di una nipote del cardinale Giulio Mazzarino, con una dote di 500.000 scudi. Il problema è che la giovane non era di rango principesco. Il ducato di Parma e Piacenza si mantenne neutrale nella lotta tra Francia e Spagna, anche se dall'attraversamento delle truppe di entrambe le nazioni derivò un gran nocumento agli abitanti.

Nel 1649 si innescò una catena di eventi che portò all'estinzione del ducato di Castro, situato nella Maremma laziale. Papa Innocenzo X accusò Ranuccio di aver commissionato l'omicidio del vescovo Cristoforo Giarda, dell'ordine dei Barnabiti. Si scatenò quindi una guerra. Le truppe pontificie espugnarono Castro, portandovi devastazione. L'esercito di Ranuccio, guidato da Jacopo Gaufrido, fu disfatto presso Bologna. Anni dopo, nel 1657, il Duca cercò di riscattare Castro, ma dovette rinunciarvi, non avendo il denaro necessario. Papa Alessandro VII, subentrato a Innocenzo X, decise di incamerare il ducato in via definitiva, ma Ranuccio riuscì comunque a far inserire una clausola che gli garantiva altri 8 anni di tempo per il riscatto. Quando ebbe messo insieme la somma dovuta, nel 1666, il suo pagamento fu rifiutato e Castro rientrò nel Patrimonium Sancti Petri

Ranuccio si sposò tre volte. Il primo matrimonio, celebrato nel 1659, fu con Margherita Violante di Savoia, che morì precocemente. La donna, che univa una devozione intensa all'amore per la caccia alla volpe, morì di parto nel 1663 e non ebbe discendenza. Il secondo matrimonio, celebrato nel 1664 fu con la cugina Isabella d'Este, figlia di Francesco I d'Este, duca di Modena e Reggio. Anche lei morì di parto nel 1666, ma riuscì a procreare un figlio maschio e due figlie femmine. Il terzo matrimonio, celebrato nel 1668, fu con Maria d'Este. Con lei il Duca ebbe molti figli, ma soltanto due maschi e una femmina arrivarono all'età adulta. 

Non essendo riuscito a riscattare il feudo di Castro, nel 1682 Ranuccio riuscì ad acquistare il principato di Bardi e Compiano. Nel 1691 il ducato fu invaso dalle truppe imperiali, che vi imperversarono con violenze, saccheggi e stupri, gravando per giunta sulla popolazione indifesa. Nel 1964 il Duca morì all'improvviso. Il decesso viene attribuito a una complicanza della sua obesità. Il suo regno, pur essendo afflitto da numerose criticità, non ebbe un bilancio del tutto negativo. Ranuccio si è segnalato per il suo mecenatismo e per il suo amore per la cultura in tutte le sue forme: fu collezionista di libri rari e amante della musica. Si diede da fare per apportare migliorie e per accrescere la prosperità delle terre che governava, anche se fu costretto a spese ingenti per mantenere una corte parassitaria. Fece coniare una moneta d'argento del valore di 40 soldi, detta quarantana o quarantano

Ranuccio II e la coprofagia

Abbiamo esposto in estrema sintesi quanto ci dice la storia monumentale, quella fatta di battaglie, trattati, date. Frugando nel vasto Web, mi sono imbattuto in qualcosa che ha destato subito la mia curiosità: un articolo di un blog di WordPress in cui si parla della coprofagia di Ranuccio II Farnese! Il Duca di Parma e Piacenza sarebbe stato un ghiottissimo trangugiatore di escrementi umani e persino animali. Purtroppo a un'attenta analisi sorge il sospetto che il documento sia un semplice pacchetto memetico fatto di informazione degenerata. In parole povere, potrebbe trattarsi di un fake, per quanto originale. Passiamo a discuterlo in dettaglio. 
 
Il blog si intitola Piazenza - Leggende & Misteri Piacentini e ha avuto vita effimera, dal novembre 2007 al gennaio 2008. Può quindi definirsi un portale estinto. Due sono gli autori che hanno pubblicato i testi: Sabanaumann e Raputt.


Anche se questi link dovessero in futuro "rompersi", e Piazenza scomparisse dal Web, spero che questa mia testimonianza rimarrà visibile a tutti. Certo, non depone molto a favore della serietà del blog la presenza di un articolo, pubblicato in due parti, che identifica il cardinale Ersilio Tonini con un agente segreto del KGB, con nome in codice Vakulincuk. Sarebbe però un grave errore sottovalutare la goliardia, nelle cui trovate stravaganti talvolta si nascondono cose di estremo interesse. 

Questi sono i tag surreali apposti all'articolo che sitamo analizzando:  

1500
afta epizootica 
copra
coprofagia 
Gianni Morandi
merda
Mozart
Parma
Ranuccio II Farnese
volley 

Alcuni sono incongruenti: 1500 non ha senso, visto che Ranuccio è vissuto nel '600; si capisce che copra è un'abbreviazione di coprofagia, quindi la sua aggiunta è superflua (in realtà la copra è la polpa di cocco essiccata). L'afta epizootica è una malattia che colpisce i bovini e non è tipica degli umani coprofagi. Non esiste un filo conduttore che unisca coprofagi vissuti in epoche diverse e in luoghi diversi: sarebbe come accomunare persone diverse perché hanno i capelli rossi o i porri. Sarò limitato, ma volley mi sembra incomprensibile in questo contesto. 

Il castello della merda di cavallo 
 
Nel luogo chiamato Bardi, il sovrano di Parma e Piacenza avrebbe fatto costruire una piscina, che a detta del blogger Sabanaumann veniva riempita di feci equine e usata da Ranuccio per prolungate immersioni escrementizie. Proprio da questo malsano costume avrebbe tratto origine un oscuro detto, supposto essere tuttora in uso: "Bardi, Bardi, castel ed merda ad cavai<i>", ossia "Bardi, Bardi, castello di merda di cavalli". Non ho potuto trovare alcuna prova sulla sua esistenza e tutto sembra indicare che è soltanto il parto di una fantasia. L'esistenza di una particolare razza equina locale, il cavallo Bardigiano, non costituisce di per sé una prova, neanche se si dimostrasse che tali animali sono grandi smerdatori. Si fa poi allusione a ricerche archeologiche, forse fantomatiche, volte a individuare la sunnominata piscina fecale. Sarei felice di poter contattare nativi di Bardi per cercare riscontri sul bizzarro detto e più in generale se nella memoria popolare esistono tracce del ricordo della figura del famoso Duca di Parma. Aggiungiamo qualche considerazione sull'etimologia del toponimo Bardi, che sta per Longobardi: quel luogo deve aver ricevuto il suo nome perché l'identità etnica e nazionale dei Longobardi vi perdurò più a lungo che altrove.    

Costituzioni merdose  

Uno degli atti più importanto di Ranuccio sarebbe stata la promulgazione di un editto noto come "Sulle cortesi e nobili genti che affollano il patrio suolo". Anche in questo caso il condizionale è d'obbligo, perché non si riesce a risalire al testo. Il documento è descritto da Sabanaumann come un insieme di regole di convivenza civica, qualcosa di molto simile ai regolamenti comunali dei nostri tempi. Si vuole che nell'ultimo foglio, in corrispondenza della firma del Duca e del suo sigillo, sia presente una chiazza brunastra, che a un'analisi accurata si sarebbe rivelata composta da materia fecale. Si ipotizza dunque, non sena ingegno e mirabile fantasia, che Ranuccio sia stato sorpreso con le mani grondanti di pastone intestinale e costretto a firmare così, all'istante, senza potersi ripulire. È un vero peccato che la Settima Arte perda il suo tempo in stupidissimi remake e non attinga a questo materiale... a piene mani!     

Esperimenti di cucina fecale 
 
Si riportano diverse citazioni piuttosto fantasiose quanto prive di qualsiasi riscontro. Certo, non voglio dire che se una cosa non si trova in Google debba essere inesistente, ma si converrà che la ricerca potrebbero incontrare ostacoli insormontabili. Questo è un estratto dalla fonte blogosferica:  
 
"Numerosi cronisti che vissero a corte, hanno costellato i loro resoconti con riferimenti curiosi riguardo al sovrano, spesso con parole che per il tempo suonavano enigmatiche e di non facile comprensione. Come se volessero far filtrare un messaggio per i posteri."
 
Si passa quindi a nominare i cronisti suddetti, con i rispettivi contributi. Essi sono tre: Francesco Antinori, Giovannone Potestì detto Busello (immagino per via del suo ano integro, mai rotto da sodomia) e Cassandro Zilioli. Alcuni commenti, che ritengo doverosi: 
 
1) Il mite Francesco Antinori avrebbe definito Ranuccio con parole moderate ma comunque poco lusinghiere: "Il Duca sturlissimo". Per chi non lo sapesse, nell'italiano antico esisteva l'aggettivo sturlo "ottuso, di intelletto tardo". In toscano si traduce con "grullo". Francesco di Vannozzo (XIV sec.) ha nelle sue Rime: "Chi sa mal darlo sa ben peggi[o] durlo; / tal va con ferle che già seppe farlo / e provò Carlo già tratte de curlo, / unde sei sturlo se non lassi starlo." 
2) A prestar fede a Giovannone Potestì detto Busello, Ranuccio sarebbe stato "Il Sovran che feci di tutti sue fea". La parafrasi non è poi difficile. Il verbo è fea "faceva". Così si deve tradurre in italiano moderno con "Il Sovrano che faceva sue le feci di tutti". Si rimarca l'assoluta promiscuità della coprofagia ranuccesca: ce lo immaginiamo mentre prende la merda a badilate, da chiunque la deponga, portandosela alla bocca e masticandola con frenesia. 
3) A un certo Cassandro Zilioli viene attribuita una frase sconcertante sul Duca: "Se marron la cena non parea, sua non la volea". Non credo sia necessaria la parafrasi. In ogni caso, per facilitare eventuali lettori non abituati all'italiano antico, spiego le forme verbali: parea "pareva", ossia "sembrava"; volea "voleva". Di questi tempi si direbbe così: "Se la cena non sembrava marrone, non voleva mangiarla"
 
Il livello di questo italiano antico è certamente abbastanza elevato, specie se confrontato con i maccheronismi del Brancaleone di Monicelli o di Feudalesimo e Libertà (che effettua addirittura perigliose mescolanze col latino fatto e finito). Purtroppo non ho notizia di cronisti o altri uomini illustri che rispondano ai nominativi di, Giovannone Potestì e Cassandro Zilioli. Peccato. Va però detto che un Niccolò Francesco Antinori (1633 - 1722) fu senatore e segretario di stato proprio a Parma, nel 1698, quando il Duca era morto da qualche anno. Se le frasi coprolaliche sopra riportate fossero autentiche, dovremmo dedurne che il buon Ranuccio faceva usare lo sterco in complesse preparazioni culinarie a lui specificamente destinate. E pensare che già la mia fantasia si era messa a galoppare. Sono persino riuscito, servendomi dei pochissimi elementi disponibili, a ricostruire due di queste ricette: la merda alla parmigiana e i tortellini ripieni di escrementi, conditi con ragù fecale. Sappiamo infatti che i tortellini sono comparsi proprio alla corte di Ranuccio II Farnese, basta fare due più due e si arriva a quattro. Per quanto riguarda la merda alla parmigiana, la mente va subito alla famosa scena in cui l'ispettore Nico Giraldi, interpretato dal mitico Tomas Milian, costringeva Bombolo a cibarsi di feci e infieriva dopo aver steso sugli stronzi una cucchiaiata di formaggio grattugiato. Bombolo abbozzava una timida protesta: "Sempre merda è!" Al che l'ineffabile Ispettore: "Sì, ma è merda alla parmigiana!" Come non collegare tutto ciò al nobile Ranuccio, Duca di Parma? 

L'importanza scientifica della coprofagia

Se anche l'intera faccenda della coprofagia ranuccesca dovesse rivelarsi interamente posticcia e fabbricata ad arte da alcuni blogger, resta un dato di fatto: sono esistite ed esistono tuttora persone dotate di un sistema immunitario molto peculiare, che permette loro di resistere ai patogeni fecali. Andrebbero condotti studi clinici rigorosi su questi individui. Eppure ciò non avviene. Non solo: la tendenza del mondo scientifico è quella di negare alla radice l'esistenza stessa del fenomeno. Per colpa del cieco moralismo di accademici ottusi, la Scienza perde molte opportunità di migliorare la condizione umana. 
 
Conclusioni 
 
Mentre si può documentare bene la coprofagia di Wolfgang Amadeus Mozart, il caso di Ranuccio II Farnese necessita di ulteriori e ardui studi. Allo stato attuale delle cose, la questione rimane indeterminabile. Resta la speranza che il futuro possa portare prove sostanziali e ci permetta di capire meglio anche le pagine più oscure della Storia. La spiegazione potrebbe trovarsi in una tradizione di campanilismo, in cui possono essersi preservate, seppur in forma vaga e distorta, antiche narrazioni. La cosa non dovrebbe soprendere: anni fa mi un amico mi raccontò di essersi imbattuto in alcuni vecchi toscani che litigavano in modo accanito per via della battaglia di Montaperti.
 
Etimologia del nome Ranuccio 

Tra i romanisti è diffusa la convinzione che l'antroponimo Ranuccio (con la variante Ranuzio) sia un ipocoristico di Rinaldo, in pratica una forma abbreviata di Rinalduccio. In realtà esiste un'etnimologia più probabile e diretta, dalle radici protogermaniche *raγina- "consiglio; decisione" e *nutja- "utile" (antico alto tedesco nuzzi "utile", tedesco moderno nütze). Possiamo così ricostruire una forma longobarda *RAHINNUZZI, il cui naturale esito è proprio Ranuzio, ipercorretto poi in Ranuccio. In antico alto tedesco si ha Regin- come primo elemento di nomi propri: la radice non è sopravvissuta in forma indipendente. Si noti la metafonesi palatale, a differenza di quanto accade in longobardo.