venerdì 18 dicembre 2020

DUE ENIGMATICHE DENOMINAZIONI DEL CALABRONE: APONALE E CRAVUNARO ROSSO

Queste informazioni sono presenti da tempo sulla Wikipedia in italiano alla voce "Vespa crabro"
 

"Il calabrone (Vespa crabro Linnaeus, 1761), detto anche aponale o cravunaro rosso, è il più grosso vespide europeo. Nel linguaggio comune con il termine "calabrone" vengono spesso erroneamente identificati anche l'ape legnaiola (Xylocopa violacea) e il bombo terrestre (Bombus terrestris)." 
 
Quando mi sono imbattuto in questa descrizione wikipediana, sono rimasto allibito. Non mi ero mai imbattuto, da che sono al mondo, nei nomi aponale e cravunaro rosso attribuiti al calabrone (Vespa crabro). Mi sono quindi chiesto chi in concreto ne facesse uso. La prima cosa che ho fatto è stata una ricerca nei dizionari della lingua italiana a mia disposizione, in formato cartaceo o nel Web. Non ho trovato un ben nulla. Non si fa alcuna menzione dell'aponale e del cravunaro rosso nel vocabolario Zingarelli, tanto per fare un esempio, e neppure nel vocabolario Treccani, che è consultabile online. 
 
Si trova comunque qualche menzione in pochi siti del Web, il che non significa proprio nulla, dal momento che la fonte delle parole aponale e cravunaro rosso è in ultima analisi proprio Wikipedia in italiano. Riporto in questa sede quanto ho trovato. 
 
In un sito di cruciverba si ha la definizione "Insetto chiamato anche aponale". Ecco uno dei link (ne esistono diversi, ma sono tutti sostanzialmente identici): 
 

Mi sono imbattuto in numerosi siti, anche di aziende che si occupano di disinfestazione, che riprendono la definizione wikipediana. Ad esempio questo: 
 
 
"La disinfestazione calabroni a Treviso può rivelarsi indispensabile in alcuni casi, difatti questo Vespide europeo, anche chiamato cravunaro rosso o aponale, può pungere l’uomo iniettandogli un veleno potenzialmente pericoloso." 
 
E ancora: 
 
 
"La più grande delle vespe europee e nordamericane è sicuramente il calabrone, che forse conosci sotto il nome di cravunaro rosso, aponale o Vespa crabro; molto frequentemente questo insetto viene scambiato per l’ape legnaiuola o con il bombo terrestre."

Anche il famoso sito Bufale.net riporta le problematiche (e forse fantomatiche) denominazioni della Vespa crabro, prendendo per oro colato ciò che si trova su Wikipedia: 
 
 
"Innanzitutto, l’animaletto riportato nella foto non è un’ape, ma un normalissimo Calabrone Europeo, per gli amici Aponale o Cravunaro Rosso." 

Se questi nomi del calabrone fossero tanto diffusi, costituendo addirittura la norma, come mai non si riesce a trovare una fonte che ne dia una chiara spiegazione? La stessa pagina di Wikipedia in italiano non riporta alcunché di utile. 

In Wikispecies si ritrovano alcuni nomi dell'insetto in altre lingue. Informazioni ancor più dettagliate si trovano in Wikimedia Commons. 
 

 
Nessuna voce aponale o cravunaro rosso è stata trovata nel Wikizionario.  


È un grande piacere intellettuale sapere che in bavarese il calabrone è chiamato Huanaus e che in curdo è chiamato pîzang. Detto questo, siamo al punto di partenza.
 
Tentativi di spiegazione dell'enigma 
 
La prima cosa che mi viene in mente è che si tratti di definizioni provenienti da qualche lingua locale. 
 
1) CRAVUNARO ROSSO 
Si risolve subito il problema dell'origine del cravunaro rosso: è tipicamente calabrese. La forma più diffusa per indicare la Vespa crabro è carvunaru, alla lettera "carbonaio". A San Marco Argentano (provincia di Cosenza) si ha la variante gravunaru. A Savelli (provincia di Crotone) troviamo carvunaru russu, alla lettera "carbonaio rosso". Evidentemente proprio questo carvunaru russu è stato italianizzato in cravunaro rosso.  
 

 
Come si è avuto lo slittamento semantico da "carbonaio" a "calabrone"? Per via di un'evoluzione del latino cra:bro:ne(m) "calabrone", che portava alla confusione con carbo:ne(m) "carbone". Siccome a un certo punto appariva illogico chiamare "carbone" una grossa specie di vespa, si è aggiunto un suffisso agentivo, identificando l'insetto con un "carbonaio". Così carbo:na:riu(m) si è evoluto in carvunaru, gravunaru, con entrambi i significati di "carbonaio" e "calabrone". Per qualche motivazione tabuistica è stata aggiunto l'aggettivo russu, probabilmente perché sia il carbonaio che il calabrone erano connessi col Diavolo. L'insetto era ritenuto diabolico per la sua aggressività e per il suo veleno spesso mortale. Si credeva che il Diavolo all'Inferno attizzasse i carboni, li facesse ardere per rigirarvi sopra i dannati: era quindi concepito come il Carbonaio per eccellenza. Queste sono immagini tradizionali molto radicate. 
 
Esistono numerose altre denominazioni del calabrone diffuse in Calabria. Ad esempio: vùmbaku (Centrache, prov. Cosenza), skalambruni (Polistena, prov. Reggio Calabria), lapuni (Conidoni di Briatico, prov. Vibo Valentia), vómmuku russu (Saracena, prov. Cosenza).  Non si comprende bene perché proprio il nome carvunaru russu, e non altri, abbia trovato la via per arrivare fino a un'importante pagina di Wikipedia.      

2) APONALE 
Anche se la terminazione -ale rimane al momento inspiegabile, ci sono pochi dubbi sul fatto che aponale sia un derivato di apone, accrescitivo di ape. Questa denominazione apone è molto comune e può designare diversi insetti, non solo imenotteri come il calabrone ma persino grossi ditteri come il tafano. Si trova in molti luoghi nella Penisola e in Sicilia con l'articolo determinativo agglutinato: lapone.
 
Non si pensi che nellla lingua italiana sia sconosciuto questo apone! Primo: non si devono considerare sinonimi le parole "dialetto" e "immondizia", come l'iniquo sistema scolastico italiano ha insegnato per secoli. Secondo: non si deve credere che la lingua italiana sia solo e soltanto quella insegnata dalle maestrine isteriche in quel vivaio di immondi bulli che gli stolti osano definire "istituzione"! Della presenza dell'apone in italiano mi accingo ora a portare evidenze solidissime, come ogni lettore potrà vedere. 
 
L'interessante lemma apone "fuco", è spiegato nel Dizionario della Lingua Italiana di Niccolò Tommaseo (quello che è diventato cieco a causa della sifilide): 
 

APONE. S. m. Accr. di APE. Pecchione, Ape maschio, Fuco. Non com. Ficin. Vit. san. l. 2. p. 58. (Gh.) E che desiderio sarebbe il nostro cercare che costoro (i poltroni e inerti) lungo tempo vivessero ? Certo che non sarebbe altro che nutrire i fuchi o aponi che chiamano, e non le pecchie. 
 
Il termine si trova anche in tempi più moderni, in un romanzo di Andrea Camilleri, autore la cui lingua è un immaginifico miscuglio di siciliano e italiano: 


LAPÒNE

CAMILLERI in Il birraio di Preston 1995 [= Sellerio 2000]: "si sentiva la testa che gli faceva zumzum come se fosse piena di mosche, lapi e lapòni" (p. 219). 
 
Enregistré par DEI III 2167 lapone "XIX sec., entom.; fuco; v. pis. volterr., e merid. (calabr., sic. lapuni); cfr. lapa", Piccitto II 442 lapuni " pecchione, maschio dell'ape .2. calabrone...3. vespa...5. ronzone terrestre...Anche *apuni...", cf. Rohlfs 356 lapuni, -una, lapuni carvunaru pecchione, sp. di ape grossa che ronza volando senza pungere...calabrone, vespa grossa...v. apune". Calabro-sic. lapuni < calabro-sic. apuni, apune, augmentatif de calabro-sic. apa < lat. APE(M) avec changement de classe. 
 
Nel Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (TLIO), troviamo apone come sinonimo di tafano

 
APONE

1 [Zool.] Lo stesso che tafano.

[1] Gl Senisio, Declarus, 1348 (sic.), 27r, pag. 133.32: Asilus li... musca, que boves stimulat, que vulgo dicitur tavanu... etiam dicitur qui spargit apes et mel comedit, qui vulgo dicitur apuni
 
Un riassunto dialettale 
 
Esiste l'utilissimo sito NavigAIS (Digital Atlas of Italian Dialects), che riporta un gran numero di mappe linguistiche.  


L'utente può imparare con grande facilità ad usare il sito. Le mappe sono numerate. Ogni numero corrisponde alla mappa di una parola, di cui vengono mostrate le attestazioni in un gran numero di località italiane. La mappa relativa al CALABRONE è la numero 462.  

L'aponale non lo troviamo in questa forma esatta, ma ci sono numerosi nomi come apone, apuni, apune, apona, lapuni, etc. Abbiamo scoperto che proprio in Calabria esiste una curiosa variante apunaru (Melissa, prov. Crotone). Sembra che all'origine ci sia un'ibridazione davvero bizzarra tra carvunaru e apuni, che ha dato apunaru, essendo le originali etimologie di queste parole completamente oscurate nel corso dei secoli. Forse la forma apunaru è stata adattata in italiano, dando origine proprio ad aponale, anche se ci saremmo aspettati *aponaro. La terminazione continua ad essere oscura. Questo è quanto di meglio abbiamo potuto fare.

Conclusioni desolanti 

Wikipedia non è necessariamente una fonte cristallina di informazioni, anche se la sua utilità è indiscutibile. Si dice che un comitato vigili di continuo su ogni singola modifica, impedendo l'inserimento di dati erronei o infondati, ma nonostante ciò l'aggiunta di inconsistenze avviene a ciclo continuo. Questo perché esiste una gerarchia di wikipediani: più uno è in alto in tale gerarchia, meno vengono controllate le modifiche che apporta. Quindi può inserire ogni sorta di assurdità, anche soltanto per un gioco infantile. Se io decidessi di scrivere che la lucertola ocellata (Timon lepidus) è conosciuta anche come badalesco o dragonazzo, verrei bloccato all'istante. Se però lo facesse un wikipediano che gode di qualche credito, la modifica non sarebbe intercettata, nessuno capirebbe che è infondata, se non per puro caso, magari dopo anni. Nessuno si ricorda dell'esecrabile caso del "Conflitto Bicholim"? Una pagina su una fantomatica guerra tra nazioni dell'India e Portogallo, detta per l'appunto Bicholim, rimase consultabile per diversi anni, anche se era del tutto infondata. Allo stesso modo non mi stupirei se un giorno qualcuno definisse il lombrico (genere Lumbricus) col nome di bauscino e il lumacone nudo (Limax maximus) col nome di bauscione rosso. Qual è il pericolo? Se una guerra chiamata Bicholim è un'invenzione rozza e stupida come la merda, non è la stessa cosa dire che il calabrone è detto aponale o che la lucertola ocellata è detta badalesco. In tali casi si tratta infatti di informazioni che hanno un'apparenza verosimile, ragionevole, tutto sommato dotata di etimologie possibilissime. In altre parole, sono invenzioni furbe quanto pericolose.

martedì 15 dicembre 2020

I MISTERI DELLA LINGUA INGLESE: LA GATTINA, LA FICA E IL PUS

Tutte le persone che hanno un minimo di dimestichezza con la pornografia diffusa sul Web conoscono il significato gergale della parola pussy "fica". Quanti però ne conoscono l'origine e la corretta pronuncia? Senza dubbio non molti. 
 
La radice originale 
 
 
puss (n.1)
 
"cat," 1520s, but probably much older than the record, perhaps imitative of the hissing sound commonly used to get a cat's attention or the noise made by the cat in hissing. The same or similar sound is a conventional name for a cat in Germanic languages and as far off as Afghanistan; it is the root of the principal word for "cat" in Rumanian (pisica) and secondary words in Lithuanian (puž, word used for calling a cat), Low German (puus), Swedish dialect katte-pus, Irish puisin "a kitten," etc.

Applied to a girl or woman from c. 1600, originally in a negative sense, implying unpleasant cat-like qualities, but by mid-19c. in affectionate use.

    The little puss seems already to have airs enough to make a husband as miserable as it's a law of nature for a quiet man to be when he marries a beauty. ["George Eliot," "Adam Bede," 1859]

Children's game
puss-in-the-corner is attested by that name by 17-9.
 
Traduzione: 
 
"gatto", anni '20 del XVI secolo, ma probabilmente molto più antico delle attestazioni, forse imitativo del suono sibilante usato comunemente  per ricevere l'attenzione di un gatto, o il rumore prodotto dal gatto che sibila. Lo stesso o un simile suono è il nome convenzionale del gatto nelle lingue germaniche e fino in Afghanistan; è la radice della principale parola per "gatto" in rumeno (pisica) e di parole secondarie in lituano (puž, parola usata per chiamare un gatto), basso tedesco (puus), svedese dialettale katte-pus, irlandese puisin "gattina", etc.

Applicato a ragazze o a donne dal 1600 circa, in origine in senso negativo connesso con qualità spiacevoli dei gatti, ma verso la metà del XX secolo nell'uso affettuoso.

        Esempio: "The little puss seems already to have airs enough to make a husband as miserable as it's a law of nature for a quiet man to be when he marries a beauty."
[George Eliot, "Adam Bede", 1859]

Il nome del gioco infantile puss-in-the-corner è attestato dal 17-9. 
 
Un omofono
 
Esiste anche il termine gergale puss "faccia", che non ha nulla a che fare con puss "gatto" (si tratta di una semplice omofonia). 

puss (n.2)

"the face" (but sometimes, especially in pugilism slang, "the mouth"), especially when sour-looking or ugly, 1890, slang, from Irish
pus "lip, mouth."
 
Traduzione: 
 
"la faccia" ma talvolta, specialmente nel gergo dei pugili, "la bocca"), specie quando brutta o dall'aspetto aspro, 1890, gergale, dall'irlandese pus "labbro, bocca". 
 
Il fatidico diminutivo
 
Veniamo ora a pussy, diminutivo di puss "gatto". 
 
 
pussy (n.1)

"cat," by 1690s, a diminutive of puss (n.1), also used of a rabbit (1715). As a term of endearment for a girl or woman, from 1580s (also used of effeminate men), and applied childishly to anything soft and furry. To play pussy was World War II RAF slang for "take advantage of cloud cover, jumping from cloud to cloud to shadow a potential victim or avoid recognition." 
 
Traduzione: 
 
"gatto", verso gli anni '90 del XVII secolo, diminutivo di puss (n.1), usato anche per indicare un coniglio (1715). Come termine di affetto per una ragazza o una donna, dagli anni '80 del XVI secolo (usato anche per uomini effeminati) e applicato in modo infantile a qualsiasi cosa morbida e pelosa. Nel gergo della RAF durante la Seconda Guerra Mondiale to play pussy significava "sfruttare la copertura nuvolosa, saltare da una nuvola all'altra per mettere in ombra una potenziale vittima o evitare la ricognizione."
 
pussy (n.2)

slang for "female pudenda," by 1879, but probably older; perhaps from Old Norse puss "pocket, pouch" (compare Low German puse "vulva"), or perhaps instead from the cat word (see pussy (n.1)) on the notion of "soft, warm, furry thing;" compare French le chat, which also has a double meaning, feline and genital. Earlier uses are difficult to distinguish from pussy (n.1), e.g.:

    The word pussie is now used of a woman [Philip Stubbes, "The Anatomie of Abuses," 1583]

And songs such as "Puss in a Corner" (1690, attributed to D'Urfey) clearly play on the double sense of the word for ribald effect. But the absence of
pussy in Grose and other early slang works argues against the vaginal sense being generally known before late 19c., as does its frequent use as a term of endearment in mainstream literature, as in:

    "What do you think, pussy?" said her father to Eva. [Harriet Beecher Stowe, "Uncle Tom's Cabin," 1852]

Pussy-whipped "hen-pecked" is attested by 1956 (Middle English had cunt-beaten "impotent," in reference to a man, mid-15c.).
 
Traduzione: 
 
gergale per "genitali femminili", verso il 1879, ma probabilmente più antoco; forse dal norreno puss "tasca, borsa" (confronta il basso tedesco puse "vulva"), o forse invece dalla parola per "gatto" (vedi pussy (n.1)) che esprime la nozione di "cosa morbida, calda e pelosa"; confronta il francese le chat, che pure ha un doppio significato, di felino e di genitali femminili. Gli usi più antichi sono difficili da distinguere da quelli di pussy (n.1).

        Esempio: "The word pussie is now used of a woman."
[Philip Stubbes, "The Anatomie of Abuses," 1583]

Canzoni come "Puss in a Corner" (1690, attribuita a D'Urfey) chiaramente giocano sul doppio senso della parola per un effetto lascivo. Tuttavia l'assenza di pussy in Grose e nei primi lavori sugli slang è un'argomentazione contro la generale conoscenza del senso vaginale prima del tardo XIX secolo, così come il suo uso frequente come termine di affetto nella letteratura tradizionale.

        Esempio: "What do you think, pussy?" said her father to Eva.
[Harriet Beecher Stowe, "Uncle Tom's Cabin," 1852]

Pussy-whipped "dominato dalla moglie" è attestato dal 1956 (il medio inglese aveva cunt-beaten "impotente", riferito a uomo, metà del XV secolo). 
 
Onomatopea o prestito dal norreno? 
 
Sono incline a ritenere che pussy "fica" abbia avuto origine da uno slittamento semantico di pussy "gatto, gattina". Non convince l'ipotesi di una derivazione dal norreno puss "tasca, borsa" che, avendo una consonante /p/ iniziale, difficilmente sarà un vocabolo nativo. 
 
Un'interessante questione fonetica 

La pronuncia di puss "gatto" è /pʊs/. La pronuncia di pussy "gattina; fica" è /'pʊsɪ/. Nell'inglese scolastico italiano l'approssimazione è /pus/, /'pus(s)i/. Si nota che in altre parole di uso molto frequente si ha una simile pronuncia, quando la vocale u è preceduta da un'occlusiva labiale p o b
 
bush /bʊʃ/ "bosco"
to push /pʊʃ/ "spingere"
to put /pʊt/ "mettere"  
 
Non è una regola senza eccezioni, e in altre parole in contesti simili la vocale u trascrive invece il suono /ʌ/, che nell'inglese scolastico italiano è approssimato a una chiara /a/
 
but /bʌt/ "ma"   
pronuncia scolastica italiana: /bat/ 

bus /bʌs/ "autobus"   
pronuncia scolastica italiana: /bas/.

pus /pʌs/ "pus"   
pronuncia scolastica italiana: /pas/
 
Proprio quest'ultima parola, pus, è particolarmente interessante, in quanto forma con puss "gatto" una coppia minima: 
 
pus /pʌs/ "pus" : puss /pʊs/ "gatto" 
pronuncia scolastica italiana: /pas/ "pus" : /pus/ "gatto".

Si noterà che pus /pʌs/ è un anglolatinismo, ossia una parola giunta in inglese dal latino, la cui pronuncia è quella accademica inglese. Anche bus è un anglolatinismo, anche se il suo percorso di origine è più complesso (è un'insensata abbreviazione di omnibus). Possiamo dire che in linea di massima gli anglolatinismi si distinguono dai vocaboli di origine nativa o francese per il fatto di avere /ʌ/ preceduta da /p/ e /b/, anziché /ʊ/.  
 
Alcune note sul pus 
 
Ho evidenziato una bizzarria meritevole di analisi più approfondita. Esiste un ben poco vocabolo scritto pussy, che non significa però "fica".  


pus (n.)

yellowish-white inflammatory exudation, consisting of white blood cells, etc., produced by suppuration, late 14c., from Latin pus "pus, matter from a sore;" figuratively "bitterness, malice" (related to puter "rotten" and putere "to stink"), from PIE *pu- (2) "to rot, decay" (source also of Sanskrit puyati "rots, stinks," putih "stinking, foul, rotten;" Greek puon "discharge from a sore," pythein "to cause to rot;" Lithuanian pūvu, pūti "to rot;" Gothic fuls, Old English ful "foul"), perhaps originally echoic of a natural exclamation of disgust.

Traduzione: 
 
essudato infiammatorio bianco-giallastro, che consiste di globuli bianchi, etc., prodotto dalla suppurazione, tardo XIV secolo, dal latino pus "pus, materia da una piaga"; in senso figurato "amarezza; malizia" (correlato a puter "marcio" e putere "puzzare"), dal proto-indoeuropeo *pu- (2) "marcire, decomporsi" (da cui anche il sanscrito puyati "marcisce, puzza", putih "fetido, marcio"; greco puon "spurgare da una piaga", pythein "far marcire"; lituano pūvu, pūti "marcire"; gotico fuls, antico inglese ful "marcio"), forse in origine un'onomatopea di una naturale esclamazione di disgusto. 
 

pussy (adj.)

"full of pus," from pus (n.) + -y (2). In this sense Middle English had pushi (mid-15c.), from a variant of pus.
 
Traduzione: 
 
"pieno di pus," da pus (n.) + -y (2). In questo senso l'inglese medio ha pushi (metà XVI secolo), da una variante di pus
 
È certamente notevole l'origine indoeuropea ricostruibile per la parola pus. Questo esempio mostra come un'onomatopea già presente nella protolingua abbia dato origine a numerose parole nelle lingue discendenti, tramite l'aggiunta di vari suffissi. L'antica natura onomatopeica emerge chiaramente dal confronto delle forme documentate. Ancora oggi esistono onomatopee simili, che si sono originate in maniera indipendente nel corso dei secoli: basti pensare all'esclamazione di disgusto pfui /pfʊɪ̯/, /fʊɪ̯/ "che schifo!".

Mortificanti conclusioni 

La pussy è un oggetto del desiderio maschile. Ma come la mettiamo con una pussy pussy, ossia con una fica purulenta? A dispetto della ripetizione, peraltro soltanto grafica, la locuzione pussy pussy /pʌsɪ 'pʊsɪ/ è ineccepibile. È ben formata grammaticalmente e sensata anche dal punto di vista semantico. C'è una forma di vaginite, provocata dal Trichomonas, che provoca fetidissime perdite giallo-verdastre di pus, le cui esalazioni smorzerebbero anche l'ardore del satanasso più incandescente e itifallico! Il Trichomonas è un protozoo, ma esistono anche vaginiti batteriche, che causano la pullulazione della flora anaerobia e spaventosi lezzi. Un test diagnostico permette di individuare i batteri responsabili di questa malattia penosa quanto ripugnante, e ha un nome assai evocativo: è il cosiddetto fishy odour test. La pussy pussy non è una bella cosa. Gli odori purulenti che ne derivano sono addirittura usati per addestrare i cani adibiti alla ricerca dei cadaveri!   

sabato 12 dicembre 2020

ALCUNE NOTE SULLA PRONUNCIA DI MASS MEDIA O IL FALLIMENTO DEI LATINISTI

Ricordo ancora la sfuriata del professore di storia, P. B., il cui cognome denotava una chiara discendenza bizantina, quando un alunno, certo A., pronunciò la locuzione mass media come /mas 'midja/. Il bilioso docente eruppe in una crisi di sputacchi e con voce da donnicciola isterica emise alte urla lacerando l'aere, affermando che media è latino e che quindi bisogna dire /mas 'medja/. A dire il vero gli è sfuggito un piccolo particolare. La parola mass non è latina. Viene dal latino massa, certamente, ma passando prima attraverso l'antico francese masse "mucchio, gran quantità", poi attraverso la genuina usura fonetica del volgo anglosassone, cosa che ha comportato la perdita della vocale finale. Al massimo potremmo considerare l'inglese mass soltanto una parola anglolatina, ossia una parola anglosassone derivata dal latino. Per quanto riguarda media, è chiaramente un plurale di medium, traducibile con "mezzo", inteso come "tramite". Si tratta di un aggettivo neutro sostantivato. Una costruzione artificiosa come mass media non è affatto latina, ma ibrida, o sarebbe qualcosa come un inesistente MASSAE MEDIA. La locuzione anglolatina è stata importata tal quale in italiano dall'inglese (può essere definita come forestierismo sociologico), quindi è assolutamente corretto - con buona pace dell'insegnante - affermare che /mas 'midja/ è una pronuncia sostanzialmente accettabile. Anzi, se dovessimo fare le pulci la pronuncia corretta sarebbe /mæs 'mi:dɪə/. Nessuno può essere tacciato di ignoranza della lingua latina per il fatto che pronuncia in modo conforme alla fonologia dell'inglese d'America una locuzione anglolatina importata dall'America e profondamente manipolata, lontana anni luce da Cesare e da Cicerone! Non si vuole accettare la pronuncia anglolatina? Benissimo, si può pronunciare media come /'medja/, rifiutando di dire /'midja/, a patto di obliterare quell'insensato mass, che nel contesto non sarebbe affatto coerente. Possiamo così dire "i media" o meglio ancora "i mezzi di massa" (che sarebbe un calco) anziché "i mass media". Non avremmo comunque ristabilito il buon uso del latino, come mosterò con argomenti solidissimi nel seguito. Possiamo già fin d'ora dire che quel professore di storia era un coglione e che tutta questa conoscenza del mondo classico non l'aveva. Ormai sarà morto. Direi che è la sola cosa positiva che ha fatto.    

Cerchiamo ora di capire quant'è profonda la manipolazione della lingua latina compiuta dai giornalisti (vil razza dannata) che hanno dato vita all'orrida locuzione mass media (in inglese scritto anche mass-media). Ai tempi di Cesare e di Cicerone non si aveva la benché minima contezza dell'esistenza di qualcosa di simile ai mezzi di comunicazione di massa. Almeno, non sul piano lessicale. Questo è il significato della parola medium (sostantivo neutro, plurale media) nella nobilissima lingua dell'Urbe: 

Questo è riportato sul Dizionario Latino Olivetti: 
 

medium (medium, medii)
sostantivo neutro II declinazione


1 il mezzo, il centro
2 via di mezzo, compromesso
3 condizione neutrale o indifferente
4 luogo accessibile, visibile, pubblico

Riporto alcune locuzioni, modi di dire, esempi, estratti dal Dizionario Olivetti:

e medio o de medio "dalla quotidianità", "dalla scena", "di mezzo"; 
 
aliquid in medium profero "esporre qualche cosa";
 
aliquid de medio removeo "far sparire qualcosa"; 
 
aliquem de medio tollo o aliquem e medio tollo "far sparire qualcuno"; 
 
in medio foro "nel mezzo della piazza"; 
 
in medium venio "presentarsi"; 
 
in medio relinquo "lasciare in sospeso"; 
 
de medio recedo "farsi da parte, togliersi di mezzo";  
 
in mediis hostibus "tra i nemici";
 
agminis medium "il centro dello schieramento" 
 

ad Varum media scriptitabat "andava scrivendo a Varo parole ambigue"
 
ad media Gallorum protendor "arrivare in mezzo ai Galli" 
 
rem in medium voco "sottoporre al giudizio pubblico" 
 
aliquem ex media morte eripio "strappare qualcuno al luogo della morte" 
 
aliquem medio sub aequore mergo "far affogare qualcuno in mezzo al mare" 
 
Aesope, in medio sole quid tu lumine? "Esopo, porti il lume in pieno giorno?" 
 
assurgentes quidam ex strage media cruenti "certuni sollevandosi sanguinanti dalla massa di cadaveri che li circondavano" 
 
arsit Atrides medio in triumpho vergine rapta "l'Atride, nel mezzo della vittoria, s'innamorò della vergine (da lui) rapita" 
 
candidus taurus, signatus tenui media inter cornua nigro "un toro candido, segnato in mezzo alle corna di un po' di nero".  
 
Enumerare simili esempi e impararli a memoria è il metodo che suggerisco ai metallari per imparare il latino ed evitare di produrre locuzioni aberranti. Inutile indurli a ragionare sulla morfologia latina. 
 
Non troviamo la benché minima traccia di medium come "mezzo di comunicazione": come tutti possono vedere, si tratta di un neologismo!  
 
Veniamo ora a massa: 
 
 
massa  [massă], massae
sostantivo femminile I declinazione 
 
1 massa, ammasso, mucchio, blocco
2 massa di metallo 
 
In particolare il significato di "massa, ammasso" fa riferimento spesso a una massa di pasta lievitata, mentre il significato di "massa di metallo" spesso è applicato all'oro o a un mucchio monete. Per maggiori dettagli rimando al dizionario online di Lewis & Short:
 
 
Non possiamo fare a meno di notare che già in Agostino d'Ippona (354 d.C. - 430 d.C.) occorre un notissimo esempio della parola "massa" col significato di "folla, moltitudine di persone". Si tratta della locuzione massa damnationis "massa di dannazione", ossia "moltitudine destinata alla dannazione eterna". 
 
Seguiamo ora, passo dopo passo, il processo che ha portato in inglese alla formazione della locuzione mass media.
 
 
mass-media (n.)

singular mass-medium, "means of communication that reach large numbers of people," 1923; see mass (n.1) + media (n.). 
 
Traduzione: 
 
Singolare mass-media, "mezzo di comunicazione che raggiunge un grande numero di persone", 1923; vedi mass (n.1) + media (n.).
 
 
media (n.)

"newspapers, radio, TV, etc." 1927, perhaps abstracted from mass-media (1923, a technical term in advertising); plural of medium (n.) as "intermediate agency," a sense attested in English from c. 1600. Also see -a (2). 
 
Traduzione:  

"Giornali, radio, TV, etc.", 1927, forse astratto da mass-media (1923, termine tecnico nella pubblicità); plurale di medium (n.) nel senso di "agenzia intermediaria", attestato in inglese dal 1600 circa. Vedi anche -a (2).
 
 
medium (n.)

1580s, "a middle ground, quality, or degree; that which holds a middle place or position," from Latin medium "the middle, midst, center; interval," noun use of neuter of adjective medius "in the middle, between; from the middle" (from PIE root *medhyo- "middle").

Many of the secondary senses are via the notion of "intervening substance through which a force or quality is conveyed" (1590s) and "intermediate agency, channel of communication" (c. 1600). From the former, via application to air, etc., comes the sense of "one's environment or conditions" (1865). From the latter comes the sense of "a print publication" (1795) which later grew into the meaning in media.

In spiritualism, "person who conveys spiritual messages," by 1853. In painting, in reference to oil, watercolor, etc., by 1854. The notion is "liquid with which pigments are ground or mixed to give them desired fluidity." Happy medium is the "golden mean," Horace's aurea mediocritas. 
 
Traduzione:  
 
Anni 1580, "una via di mezzo, detto di qualità o grado; ciò che detiene un posto o una posizione intermedia", dal latino medium "la metà, il mezzo, centro, intervallo", uso nominale del neutro dell'aggettivo medius "nel mezzo, in mezzo; dal mezzo" (dalla raddice PIE *medhyo- "mezzo"). 
 
Molti dei significati secondari sono derivati tramite la nozione di "sostanza intermedia attraverso la quale viene convogliata una forza o una qualità" (1590) e "agenzia intermediaria, canale di comunicazione" (circa 1600). Dal primo, attraverso l'applicazione all'aria, ecc., deriva il senso del "proprio ambiente o condizioni" (1865). Da quest'ultimo deriva il senso di "pubblicazione a mezzo stampa" (1795) che in seguito è cresciuto nel significato nei media
 
Nello spiritismo, "persona che trasmette messaggi spirituali", attestato nel 1853. Nella pittura, in riferimento a olio, acquerello, etc., attestato nel 1854. L'idea è "liquido con cui i pigmenti vengono macinati o mescolati per dare loro la fluidità desiderata". Happy medium è il "giusto compromesso", l'aurea mediocritas di Orazio. 

Polemiche e derivati aberranti 

In italiano la parola media nell'accezione di "mezzi di comunicazione" è considerata maschile (cosa abbastanza ovvia, non esistendo che pochi residui di neutro). A rigor di logica si dovrebbe usare media unicamente al plurale. Invece si trova media, di genere maschile, anche al singolare. Numerosi sono coloro che dicono "un media", cosa che evito come la peste. Al singolare dovrebbe dirsi *medium "mezzo di comunicazione", ma quest'uso non si trova (quindi metto l'asterisco). La storia della parola latina medium ha conosciuto problemi sia morfologici che semantici. In italiano si usa l'anglolatinismo medium solo nel senso di "persona che trasmette messaggi spirituali". In questo caso, il plurale è invariato, medium. Mi è capitato addirittura di trovare un testo in cui compariva più volte un deprecabile mediums. Nonostante medium sia pronunciato in inglese /'mi:dɪəm/, in italiano si utilizza soltanto con la pronuncia latina scolastica, /'medjum/. Queste interessanti discrepanze sono dovute al fatto che sono state diverse le circostanze dei due prestiti, medium e mass media: tempi diversi e modi diversi. La parola medium è giunta probabilmente tramite la lingua scritta, mentre la locuzione mass media è giunta ben più tardi tramite la lingua parlata della TV.  

L'italiano ha accolto medium nell'accezione spiritica dandogli alcuni improbabili derivati come medianico e medianità. In modo simile, anche se in altro contesto, ha accolto (mass) media derivandone il grottesco aggettivo mediatico e l'ancora più implausibile massmediatico. Ricordo ancora quando sentii per la prima volta parlare dello "sfavillante nulla massmediatico" e del "circo massmediatico". Durante una sessione di zapping mi apparve a pieno schermo il faccione di Berlusconi, immobile, con la voce di Fede che commentava: "Qui si invoca l'aberrante teorema della responsabilità soggettiva". Non ricordo quale fosse il contesto. Subito dopo la gigantografia berlusconiana scomparve e il cronista cambiò argomento, parlando per l'appunto dello "sfavillante nulla massmediatico". Questi dettagli grotteschi mi sono rimasti impressi. 
 
Gli anglismi e diversi anglolatinismi hanno la pronuncia inglese scolastica italica, ma in molti casi anche la pronuncia italianizzata (potremmo dire ortografica o semi-ortografica). Questa opposizionie è neutralizzata nei derivati, che hanno invece la sola pronuncia italianizzata. In genere questo fenomeno è causato dallo spostamento dell'accento. Ecco alcuni esempi: 
 
media /'midja/ ~ /'medja/
mediatico /me'djatiko/ 
 
mass media /mas 'midja/
massmediatico /masme'djatiko/
 
handicap /'ɛndikap/ ~ /'andikap/
handicappato /andikap'pato/ 
 
manager /'mɛnedʒer/ ~ /'manadʒer/
manageriale /manadʒe'rjale/ 
 
random /'rɛndom/ ~ /'random/
randomizzare /randomid'dzare/
 
supporter /sap'porter/
supportare /suppor'tare/ 

Come si può vedere, l'assimilazione dei derivati è completa. Nel gergo informatico esistono numerose eccezioni: 
 
download /da(u)n'lod/
downloadare /da(u)nlo'dare/
 
upload /ap'lod/
uploadare /aplo'dare/
 
unzip /an'dzip/
unzippare /andzip'pare/ 
 
Tutte queste dinamiche connesse con i prestiti sono di una complessità incredibile, ma sfuggono quasi del tutto alla consapevolezza dei parlanti. 
 
Mortificanti conclusioni  

In Italia a scuola non si imparano le lingue: si imparano simulacri distorti di lingue. Immagino che sia lo stesso anche altrove, in ogni caso mi limito a parlare della realtà che conosco. Il sistema scolastico italiano non permette la formazione del benché minimo senso critico. Si evidenzia la natura fallimentare dell'insegnamento della lingua latina. Con tutti questi latinisti, possibile che nessuno abbia potuto distinguere tra un anglolatinismo distorto e un autentica eredità dell'antica Lingua dell'Urbe?

giovedì 10 dicembre 2020

ALCUNE NOTE SULLA PRONUNCIA DI SUMMIT O IL FALLIMENTO DEI LATINISTI

So che la mia affermazione desterà un immenso scalpore nel popolo del Web. La parola inglese summit "incontro al vertice" non è affatto un latinismo e la sua pronuncia corretta è /'sʌmɪt/, adattata in inglese scolastico italico come /'sam(m)it/. Veniamo ai fatti. Il vocabolo in analisi deriva dall'antico francese somete, a sua volta da som "cima, sommità", che è la naturale evoluzione romanza del latino summum "sommità, il punto più alto" (sostantivo di genere neutro dall'aggettivo summus "sommo, il più alto"). Non ha avuto origine dal latino dei letterati, bensì dal latino volgare che ha dato anche la parola italiana sommo, il cui vocalismo si è evoluto nel modo consueto: la vocale breve /u/ tonica del latino è diventata regolarmente una /o/ chiusa. Non si può quindi pretendere, adducendo la sua lontana origine latina, che la parola summit debba essere pronunciata secondo le regole del latino scolastico come /*'summit/

Veniamo ora al materiale etimologico reperibile in modo assai facile nel vasto Web. Materiale autorevole, non estratti di siti complottisti o di altra spazzatura memetica.
 
Questo è riportato sul Dizionario Latino Olivetti: 
 
 
summum  [summum], summi
sostantivo neutro II declinazione
 
1 sommità, il punto più alto
2 (di liquido) superficie
3 (in senso figurato) il punto più elevato, sommo grado
4 (al plurale) estremità del corpo
5 (al plurale) potere supremo; comando
6 (in senso figurato) perfezione
7 GRAMMATICA superlativo 

 
Questo è riportato sul dizionario etimologico Etymonline.com
 

summit (n.)

c. 1400, "highest point, peak," from Old French somete "summit, top," diminutive of som, sum "highest part, top of a hill," from Latin summum, neuter of noun use of summus "highest," related to super "over" (from PIE root *uper "over"). The meaning "meeting of heads of state" (1950) is from Winston Churchill's metaphor of "a parley at the summit."
 
Traduzione per gli anglofobi non anglofoni: 
 
Circa 1400, "punto più alto, picco", dal francese antico somete "sommità, cima", diminutivo di som, sum "parte più alta, cima di una collina", dal latino summum, neutro dell'uso nominale di summus "il più alto", connesso a super "sopra" (dalla radice proto-indoeuropea *uper "sopra"). Il significato di "riunione di capi di stato" (1950) deriva dalla metafora di Winston Churchill "a parley at the summit" ("un colloquio al vertice"). 
 
A questo punto, tutto dovrebbe essere perfettamente chiaro a chiunque. Siamo partiti dall'inizio, dal latino classico, seguendo poi gli sviluppi semantici nell'antico francese e nell'inglese, arrivando fino ai nostri giorni.

Mortificanti conclusioni
 
Come si può vedere, il fallimento del sistema scolastico italiano è clamoroso. La scuola italica ha forgiato legioni di falsi latinisti, poveri di conoscenza e ricchissimi di arroganza. Al danno si aggiunge la beffa. Possibile che nessuno di questi latinisti si sia reso conto di questo inghippo? Certo, Internet rende tutti maestri (o mostri): è più facile affidarsi alle vignette memetiche o scatenare una tempesta di merda su Quora che controllare in un vocabolario. 

Non esiste una parola *summit in latino. Come pensano che dovrebbe essere la flessione di questo fantomatico sostantivo? Declinerebbero *summit, genitivo *summitis, dativo *summiti, accusativo *summitem, ablativo *summite? O forse per loro è un neutro con l'accusativo *summit? La vocale del suffisso -it- è per loro breve o lunga? Pronuncerebbero queste forme flesse *sùmmitis, *sùmmiti, etc., oppure *summìtis, *summìti, etc.? Per loro Giulio Cesare avrebbe potuto scrivere in un suo commentario una mostruosità come in *summite magno
 
Nessuno comprende che qualcosa non va?! No, purtroppo non ci arriva nessuno. Non ci arrivano coloro che affermano di conoscere il latino, che se ne vantano. Non ci arrivano coloro che amano giocare a fare gli antichi Romani. Danno tutto per scontato e non si interrogano su nulla. In quest'epoca, in cui comandano i robot, l'intelligenza della specie umana è in disgregazione.