domenica 9 maggio 2021

LA VERA PROTOFORMA DI CONDOM: *GUANTONE

Anni fa ci siamo occupati dell'etimologia dell'inglese condom e dei suoi derivati: francese gondon e italiano goldone. Questo è il sintetico post pubblicato all'epoca e intitolato "Esiti dialettali di condom e un cavaliere inesistente", che ripropongo all'attenzione di eventuali lettori: 
 
 
Ricordo che l'amico Watt (non so se sia ancora vivo, non si è mai più sentito) non aveva preso troppo bene il mio intervento. Non apprezzava i miei innovativi lampi di genio. Sul suo blog Etymos aveva affermato, non nascondendo un certo disagio, che il Cavalier Goldoni sarebbe esistito realmente e che si sarebbe davvero occupato di produrre condom. Riteneva che i miei contenuti fossero in qualche modo "dissacranti" nei confronti delle autorità accademiche e della loro tradizione, tutto sommato per lui indiscutibile. Eppure bisogna avere il coraggio di sfidare i luoghi comuni e i dogmi dei parrucconi! La posizione di Watt all'epoca giunse per me come un fulmine a ciel sereno. Torno ad affermare che nessun Cavalier Goldoni può essere stato all'origine della parola goldone, perché questa è senza dubbio una dissimilazione di un più antico gondon. Quante parole di aspetto fonetico tanto simile potrebbero mai essersi prodotte in modo indipendente? Non avrebbe il benché minimo senso. Chiamo Thor a testimone, che possa colpirmi con la folgore e uccidermi sul colpo se pronuncio il falso! 
 

La soluzione di un caso annoso 
 
Abbiamo risolto dopo tanto tempo l'enigma dell'origine ultima della parola condom. Si tratta di un vocabolo che è nato in Inghilterra come lontano prestito dall'italiano. La protoforma della bizzarra parola è semplicemente questa: *GUANTONE. Si tratta chiaramente di un accrescitivo di guanto, che doveva essere usato in ambito gergale. I mutamenti occorsi non sono poi così difficili da comprendere. Eccoli:

*GUANTONE > QUONDAM > CONDOM 
 
Cerco ora di ricostruire l'esatta trafila a partire da *GUÀNTON, forma adattata di *GUANTONE
 
1) Prima si è avuta una metatesi vocalica: 
 
*GUÀNTON > *GUÒNTAN 

Una cosa simile è avvenuta almeno in un caso, in tempi più recenti: l'italiano ricatto è diventato racket "organizzazione malavitosa dedita all'estorsione". Questa è la trafila: 

RICATTO > *RICKATT /'rıkæt/ > *RACKET /'rækıt/
 
Potrebbe anche trattarsi di un effetto della consonante labiovelare /gw/ sulla vocale /a/, che ne avrebbe provocato il passaggio a /ɔ/. Una cosa simile è avvenuta almeno in un caso, in tempi più recenti: il napoletano guappo è diventato wop (termine denigratorio per indicare gli immigrati italiani e le persone di discendenza italiana). Questa è la trafila:

GUAPPO > *GUAPP > WOP

Non so decidere quale delle due spiegazioni sia quella corretta, il risultato però è il medesimo.

2) Poi c'è stato un altro peculiare mutamento, che ha però colpito le consonanti: 
 
*GUÒNTAN > *QUÒNDAN 
 
La sequenza labiovelare sonora /gw/ + gruppo consonantico con occlusiva dentale sorda /nt/ è diventata la sequenza labiovelare sorda /kw/ + gruppo consonantico con occlusiva dentale sonora /nd/.
 
3) La pronuncia *QUÒNDAN è divenuta QUONDAM, perché già esisteva tale parola ed era molto comune - anche se il significato era diverso (popolarmente indicava i Morti, dal latino quondam "un tempo, una volta", passato a significare "coloro che vissero un tempo"). 
 
4) Infine la consonante labiovelare /kw/ si è semplificata in una semplice /k/ per effetto della vocale posteriore: 
 
QUONDAM > CONDOM 
 
Si tenga presente che non è una novità o un fatto eccezionale la pronuncia indistinta delle vocali atone nelle sillabe finali. 
 

Alla ricerca delle origini del guantone
 
Il condom è a tutti gli effetti un guanto e c'è ancora chi lo chiama così. Ricordo un detto trovato su un giornale porno all'epoca universitaria, "godere tanto ma con il guanto", da me non condiviso per la mia insofferenza al sesso di gomma. Il condom era un guanto anche nelle sue prime versioni, che coprivano soltanto il glande, essendo assicurate alla vita da rudimentali legacci. Poteva essere realizzato con diversi materiali. Forse un medico italiano era migrato in Albione e aveva avuto l'idea di realizzare un commercio di budelli o di vesciche di agnello. Non ho informazioni più dettagliate: anche se la mia fervida fantasia vorrebbe che il medico in questione fosse siciliano (non dimentichiamoci che Palermo ha generato Cagliostro), non ho al momento prova alcuna che mi permetta di sostanziare questa mia intuizione. Potrebbe anche darsi che all'origine ci sia uno scienziato mai emigrato, come l'illustre medico e anatomista Gabriele Falloppio (Modena, 1523 - Padova, 1562), che condusse interessanti esperimenti sulla contraccezione e sulle malattie veneree, utilizzando panni di lino, la cui efficacia è stata ben verificata con esperimenti rigorosi: i test coinvolsero più di un migliaio di uomini sani, di cui nessuno finì infettato dalla sifilide (Youssef, 1993). Una cosa singolare è che Falloppio raccomandava di indossare il condom con il prepuzio tratto in avanti a coprire il glande. Potremmo anche pensare che "Guantone" fosse un soprannome che qualcuno affibbiò proprio a Falloppio e che poi fu portato in Inghilterra tramite l'emigrazione anche di una singola persona dotata di una vasta rete sociale. Il dispositivo non era comunque una novità: era conosciuto già da Egizi, Greci e Romani (Collier, 2007; Youssef, 1993). Certo, non era molto diffuso, dal momento che si rompeva abbastanza facilmente. Persino dagli antichi Germani sapevano della sua esistenza, anche se era severamente vietato dalla religione pagana (Fischer-Fabian, 1978). La trovata intelligente di un medico italiano, sia esso Falloppio o qualcuno il cui nome ci sarà forse sconosciuto per sempre, fu quella di rilanciare un'idea vetusta migliorandola in modo notevole. Conobbe un tale successo che anziché il suo nome si tramandò quello del guantone

venerdì 7 maggio 2021

ETIMOLOGIA DI PINGUINO

Molti anni fa mi imbattei in un robusto e giovane bergamasco che sosteneva a spada tratta l'origine della parola pinguino dall'aggettivo pingue, sinonimo dotto di "grasso", "abbondante". Questa ingenua spiegazione costituiva per lui un dogma. "I pinguini si chiamano così perché sono pingui, pòta!", continuava a ripetere. Se provavo ad esporre i miei dubbi, ripeteva la frase tal quale, ma la caratteristica interiezione "pòta!" diventava un più violento "òstia!". Era permalosissimo e non voleva sentire ragioni. Ovviamente quella da lui escogitata è una falsa etimologia, come sempre accade ogni volta che una persona cerca di spiegare Omero con Omero. Essendo quel bergamasco collerico e attaccabrighe, mi astenni dall'insistere e dall'enunciare ulteriori critiche. In casi simili, lasciar cadere il discorso è sempre la strategia migliore. Purtroppo ho potuto constatare che ci sono stati e ci sono tuttora dotti sostenitori della derivazione di pinguino da pingue, come se fosse una parola italiana tratta in qualche modo dal latino dei letterati. In realtà l'italiano pinguino viene dal francese pingouin, a sua volta preso a prestito dall'inglese penguin (secondo altri dall'olandese pinguin). Il medico e naturalista inglese John Latham (1740 - 1837) fu il primo a difendere espressamente l'origine di penguin dal latino pinguis (1785). La latinizzazione forzata di ciò che appariva inspiegabile era una strategia molto ben considerata e prestigiosa nei secoli passati - anche quando non conduceva a risultati plausibili. 
 
 
Il pinguino e l'alca impenne 
 
Lo strano ornitonimo pinguino diventa immediatamente analizzabile quando si considera la sua vera origine dal bretone pennguenn, il cui significato letterale è "testa bianca" (penn "testa", guenn "bianco"). Anche in gallese si ha pen gwyn "testa bianca" (pen "testa", gwyn "bianco"). Mi sembra un'etimologia molto ragionevole, eppure non ha convinto tutti gli studiosi. La questione è tuttora molto dibattuta, credo per motivi semantici che ora analizzeremo. A questo punto molti si saranno posti una domanda. Perché il pinguino dovrebbe chiamarsi "testa bianca" se ha la testa nera? Perché avrebbe un nome celtico se vive in Antartide? Semplice: in origine la parola "pinguino" designava un uccello diverso da quello che conosciamo con questo nome. Si tratta dell'alca impenne (Pinguinus impennis), un uccello inabile al volo ed estinto verso la metà del XIX secolo, che viveva nelle regioni artiche e che aveva una grande macchia bianca sulla testa. I pinguini dell'Antartide appartengono a una famiglia completamente diversa, denominata Sfeniscidi (Spheniscidae, Bonaparte 1831). Gli esploratori europei notarono subito la somiglianza che i pinguini dell'emisfero australe avevano con l'alca impenne e lo designarono così col suo nome, senza curarsi affatto dei problemi tassonomici. L'alca impenne può essere definita pinguino boreale, in opposizione al pinguino australe della famiglia degli Sfeniscidi. 
 
Un tentativo di ricostruzione 
 
La forma gallica e britannica ricostruibile a partire da questi dati è senza dubbio *pennon windon "testa bianca", da *pennon "testa" e da *windon, forma neutra di *windos "bianco". Almeno nella lingua di una parte dei Celti sarebbe stata chiamata l'alca impenne ai tempi di Vercingetorige e di Cesare. La forma ibernica ricostruibile per "testa bianca" è *kwennon windon, ma non si trova nelle lingue goideliche alcuna denominazione simile dell'alca impenne. Dovrebbe essere *ceann find. In irlandese moderno l'uccello è chiamato falcóg mhór, ossia "grande uccello marino". Il termine falcóg bheag, ossia "piccolo uccello marino" indica invece la gazza marina (Alca torda, Linnaeus 1758), che tra l'altro è la specie vivente più vicina geneticamente all'alca impenne. Sembra che falcóg sia un prestito dal norreno alka (vedi nel seguito) con l'aggiunta del tipico suffisso -óg, anche se la consonante iniziale f- è al momento poco chiara. Forse questa denominazione medievale ha sostituito un precedente *ceann find.
 
Riscontri su alcuni dizionari  
 
Il vocabolario Treccani (www.treccani.it) riporta quanto segue, senza citare i dati dalle lingue celtiche (l'appartenenza dell'istituzione al filone dei romanisti è notoria): 
 
 
pinguino s. m. [dal fr. pingouin, e questo dall’oland. pinguin, di origine oscura]
 
Fustigo e stigmatizzo questo atteggiamento di negazione di tutto ciò che è al di fuori di un dizionario di latino ad uso delle scuole superiori. Quell'assurda etichetta "di etimologia oscura" è pensata apposta per negare l'esistenza di interi mondi. Va comunque riportato il fatto che in tedesco il pinguino era un tempo chiamato Fettgans, ossia "oca grassa". In olandese è stato formato il calco vetgans /ˈvɛt.xɑns/, di identico significato. Potrebbe trattarsi del calco di una falsa etimologia, a dimostrazione di quanto siano complessi questi percorsi. 

Questo è quanto riporta il dizionario etimologico Etymonline:  
 

penguin (n.)

1570s, originally used of the great auk of Newfoundland (now extinct; the last two known birds were killed in 1844); the shift in meaning to the Antarctic swimming bird (which looks something like it, observed by Drake in Magellan's Straits in 1578) is from 1580s. The word itself is of unknown origin, though it often is asserted to be from Welsh pen "head" (see pen-) + gwyn "white" (see Gwendolyn). The great auk had a large white patch between its bill and eye. The French and Breton versions of the word ultimately are from English. A similarity to Latin pinguis "fat (adj.), juicy," figuratively "dull, gross, heavy," has been noted.
 
Traduzione: 
 
Anni '70 del Cinquecento, usato in origine per la grande alca di Terranova (ora estinta; gli ultimi due esemplari sono stati uccisi nel 1844); lo slittamento semantico all'uccello nuotatore antartico (che in qualche modo gli somiglia, come osservò Drake nello Stretto di Magellano in 1578) è degli anni '80 del Cinquecento. La parola stessa è di incerta origine, nonostante sia spesso sostenuto che derivi dal gallese pen "testa" (vedi pen-) + gwyn "bianco" (vedi Gwendolyn). La grande alca aveva una grossa macchia bianca tra il becco e gli occhi. Le versioni francesi e bretoni della parola sono in ultima analisi dall'inglese. Una somiglianza col latino pinguis "grasso (agg.), succoso", in senso figurato "ottuso, grossolano, pesante", è stata notata. 
 
Dissento in modo netto dall'opinione dei compilatori di Etymonline, che sostengono l'origine inglese del bretone pennguenn. Tale proposta di derivazione non ha senso alcuno: si comprende benissimo la comune origine celtica del bretone pennguenn e del gallese pen gwyn. Forse questo sproposito si deve a un errore. Per il resto, Etymonline contiene molte informazioni interessanti sulla cronologia e sulle attestazioni. 
 
L'alca impenne in altre lingue  
 
In norreno l'alca impenne era chiamata geirfugl (gen. geirfugls, n. pl. geirfuglar), alla lettera "uccello-giavellotto" (da geirr "giavellotto", fugl "uccello"). In inglese esiste gerfowl "alca impenne", che deriva dal norreno: se in inglese vi fosse una corrispondente parola anglosassone genuina, questa suonerebbe *goarfowl. In norreno era invece chiamata alka (gen. ǫlku, n. pl. ǫlkur) la gazza marina. Anche la parola inglese auk (varianti: awk, alk) "uccello del genere degli alcidi" è giunta dal norreno, ma il percorso è poco documentato, essendo attestata per la prima volta negli anni '70 del Seicento. Secondo altri il prestito sarebbe avvenuto in epoca abbastanza recente dall'islandese moderno. In particolare notiamo che l'alca impenne è detta great auk. La protoforma germanica ricostruibile per l'ornitonimo norreno alka è *alkōn con ogni probabilità della stessa radice indoeuropea del latino olor "cigno".  
 
In basco l'alca impenne era chiamata arponaz. A quanto risulta, il vocabolo è oggi del tutto estinto, come la specie animale a cui si riferisce. Le fonti riportano che il suo significato letterale è "becco a lancia". Le attestazioni sono scarse. Nonostante questa scarsità di dati, vediamo subito che arponaz non può essere una parola non può essere genuinamente basca. Deriva senza dubbio da arpoi "arpione", prestito dal francese harpon, da confrontarsi col latino harpagōne(m) - anche se non è esclusa un'origine germanica. Il secondo elemento, -naz, dovrebbe essere dal latino nāsus "naso, becco". Teniamo conto del fatto che il Web è avarissimo di informazioni, nonostante le masse acefale ne decantino l'onniscienza e l'onnipotenza. Dal basco il vocabolo arponaz sarebbe poi giunto in francese antico per effetto boomerang, divenendo apponatz. La voce in questione è oggi scomparsa, ma si nota l'esistenza di un vocabolo simile, apponat /apo'na/, il cui significato è però "pulcinella di mare" (Fratercula arctica, Linnaeus 1758).  

Conclusioni 
 
Sono e resto convinto che l'ornitonimo pinguino sia puramente celtico, che non abbia nulla a che vedere con l'aggettivo pingue e che un'importante memoria storica di un passato dimenticato.

mercoledì 5 maggio 2021

LA SOLUZIONE DEL MISTERO DELL'UOMO DI TAURED

Questi sono gli eventi leggendari, per come ci sono riportati dalle fonti disponibili. Siamo nel 1954, in Giappone. Un uomo occidentale barbuto e vestito con abiti eleganti ha fatto la sua comparsa nell'aeroporto Haneda, a Tokyo. Passato alla dogana, ha dichiarato di provenire da un paese chiamato Taured e di essere giunto in Giappone per la terza volta. I documenti dell'uomo sembravano validi, ma nessuno tra i funzionari doganali conosceva una nazione con quel nome bizzarro. Il viaggiatore rispondeva al nome di Jenansfer Berhodrick e parlava molte lingue, anche se il francese sembrava essere quella conosciuta meglio. Così gli hanno portato un mappamondo, chiedendogli di indicare la sua nazione. Senza esitare, lui ha indicato il Principato di Andorra ma è rimasto molto sorpreso quando ha saputo che era chiamato con quel nome, che non aveva mai sentito prima. Ha assicurato che la nazione di Taured sarebbe esistita da mille anni. È stato anche appurato che il supposto tauredano aveva con sé denaro di molte nazioni realmente esistenti, prova dei suoi continui viaggi internazionali. A questo punto i doganieri hanno pensato che quell'individuo incongruo fosse una spia, così hanno deciso di trattenerlo in un albergo per la notte, in attesa di poter compiere approfonditi accertamenti. La stanza si trovava al quindicesimo piano dell'albergo e aveva soltanto un ingresso, senza finestre né balcone. Due guardie sono state incaricate di piantonare quell'alloggio. Eppure la mattina seguente la stanza è stata trovata sgombra, senza il suo occupante e senza alcun bagaglio che dimostrasse la sua esistenza. Sembrava essere svanito nel Nulla! Persino i documenti, che erano stati trattenuti in dogana, erano scomparsi! Davvero inquietante! La notizia della misteriosa sparizione del supposto tauredano si è molto diffusa tramite i media, divenendo la fonte di svariate teorie complottiste. Di fronte alla natura inspiegabile dei fatti descritti, molti lettori hanno creduto che l'Uomo di Taured fosse giunto da un universo parallelo, da un'altra linea temporale. In altre parole, sarebbe stato un viaggiatore interdimensionale o qualcosa di simile. Per questo motivo si è guadagnato l'epiteto di "Uomo venuto da un altro mondo". 
 
 
Pronuncia di Taured 
 
Credo che sia un punto molto importante. La pronuncia del toponimo Taured, a quanto ho potuto accertare tramite ricerche nel Web, è /'tɔ:red/ o /tɔ:'red/. Il dittongo -au- è soltanto grafico, la sua pronuncia è una vocale /ɔ:/ lunga e aperta.

Un'implausibile ipotesi
 
Il toponimo Taured mi è subito parso un nome di origine celtica e sono partito in quarta ricostruendone il significato e l'etimologia. Va detto che avevo attribuito a Taured la pronuncia /'tau̯red/, pensando che la trascrizione si fondasse sull'ortografia spagnola o catalana. Questa è la trafila da me escogitata:

Taured < *Tarwedom < *Tarwo-pedom "Suolo del Toro".
 
La variante Torda, che pure si trova (il viaggiatore si è chiesto perché "Torda" sia stata rimpiazzata da "Andorra"), a prima vista mi è sembrata il risultato di un antico neutro plurale. In realtà è più semplice pensare che sia il frutto del tentativo di un agente di trascrivere il nome della nazione sconosciuta. Eppure non si può prescindere dal fatto che la lingua madre dell'Uomo di Taured era il francese. In francese erano redatti i suoi documenti. Pur essendo multilingue, questo individuo enigmatico non si esprimeva in un idioma non identificabile. Quindi ne ho dedotto che l'ipotetico celtico tauredano si doveva essere estinto da tempo. Mi sono poi accorto che la vera spiegazione del toponimo Taured è tutt'altra, così ho abbandonato di colpo le mie elucubrazioni. 
 
La natura incoerente della linea temporale 

Avendo ipotizzato una lingua celtica tauredana, mi ero posto il problema del punto di divergenza da cui sarebbe scaturita la linea temporale in questione. Non lo sono riuscito a individuare, nonostante  gli sforzi compiuti, così ne ho dedotto che il corso fosse onirostorico più che ucronico. Tanto più che le altre nazioni del mondo dell'Uomo di Taured erano indistinguibili (si suppone anche per la loro storia) da quelle del nostro mondo. Un'anomalia non di poco conto, se ne converrà. Esisteva persino un'azienda che è presente anche nel nostro corso storico, tal quale, segno che non si può trattare di una questione di punto di divergenza, ma di diversa disposizione degli elementi esistenti ab origine
 
Problemi nella definizione di Multiverso

L'esistenza di mondi con queste caratteristiche dimostrerebbe che gli universi paralleli non nascono da divergenze a partire da un universo comune o Multiverso, come voleva Hugh Everett III. Nascerebbero invece da blocchi di componenti rimescolate. Sarebbero come tanti racconti con inserite varianti arbitrarie: simili tra loro ma al contempo dissimili, come orride sfingi. Se questo fosse dimostrato, sarebbe più verosimile l'idea di Hawking, che ammette l'esistenza di universi paralleli, ma nega che possano essere in numero così alto come era stato in precedenza stimato. Purtroppo al presente non esiste alcuna possibilità di verificare alcuna ipotesi servendosi del metodo scientifico. Non sono cose misurabili e non è possibile renderle tali, con buona pace di Galileo.  
 
L'ipotesi del crononauta 
 
Non poteva mancare la storiella del viaggiatore proveniente dal futuro. Secondo questa idea, tanto cara alle genti della Terra dei Liberi, l'Uomo di Taured sarebbe giunto nel 1954 dal nostro stesso pianeta partendo da un'epoca che per noi è il futuro, servendosi di una macchina del tempo. Secondo questa spiegazione, Andorra nel futuro sarebbe chiamata Taured o Torda. L'evoluzione fonetica non è impossibile: 
 
Andorra => 
Andorda => 
Antorda => 
Torda, Taured /'to:red/ 
 
Tre sono i mutamenti fondamentali: 
1) il passaggio dalla rotica forte -rr- a -rd-
2) il passaggio da -nd- a -nt- (desonorizzazione); 
3) la caduta della sillaba iniziale an-
 
Ci sono tuttavia alcuni problemi che non posso tacere.  

1) L'Uomo di Taured non riconosce l'antico nome Andorra, lo considera totalmente diverso. La cosa mi sembra improbabile, a meno che a Taured lo studio della storia non fosse un tabù. Sarebbe come se un lombardo non sapesse riconoscere il nome dei Longobardi (Langobardi), oppure come se un francese non sapesse riconoscere il nome dei Franchi. 
2) Se il nome di Andorra si fosse evoluto in Torda / Taured, anche le lingue nel loro insieme sarebbero molto cambiate e non sarebbero state identificabili dai doganieri. Il francese stesso si sarebbe evoluto in una lingua per noi non facilmente riconoscibile.  
 
Oltre al fatto che i viaggi nel passato non sono possibili, i problemi di cui sopra paiono un forte indizio dell'assurdità dell'ipotesi crononautica. Sarebbe più facile pensare che Torda / Taured sia soltanto il francese terre d'Andorre male udito e peggio interpretato dai funzionari nipponici, ma questa possibilità appare inverosimile se si considera che il viaggiatore non avrebbe a sua volta riconosciuto il nome di Andorra pronunciato dai suoi interlocutori. Senza contare il nome della nazione che sarebbe stato scritto sul passaporto. 

 
L'enigma spiegato:
il caso di John Zegrus
 

Infine sono riuscito a trovare in Rete la verità sull'Uomo di Taured. Una verità di una banalità disarmante. Tutto è nato, in maniera molto prosaica, da un paio di stupidissimi refusi e da qualche fraintendimento. Un utente di Reddit, u/NatanaelAntonioli, ha pubblicato nel 2019 un post su un episodio di cronaca da cui si è sviluppato il mito dell'Uomo di Taured. Un altro utente dello stesso social, u/taraiochi, è riuscito a recuperare articoli giapponesi sull'accaduto. 
 
 
John Allen Kuchar Zegrus (trascritto in giapponese come  ジョン・アレン・カッチャー・ジーグラス, Jon Aren Kacchā Jīgurasu) è il nome di un uomo realmente vissuto, che nel 1960 fu detenuto in Giappone per falsificazione di documenti. Procediamo con ordine. Nell'ottobre del 1959, un uomo di 36 anni registrato come John Allen Kuchar Zegrus entrò in Giappone con la sua moglie coreana. Tre mesi dopo fu arrestato dalla polizia di Marunouchi (un distretto commerciale di Tokyo) perché sospettato di aver compiuto una frode d'identità. Il caso fu seguito dal capo dell'Ufficio di pubblica sicurezza del Dipartimento della Polizia metropolitana di Tokyo, Atsuyuki Sassa - da non confondersi con l'omonimo sceneggiatore cinematografico. Il passaporto del detenuto riportava timbri dell'ambasciata giapponese in diverse nazioni asiatiche, eppure fu giudicato contraffatto. Furono riscontrate anche altre irregolarità. John Zegrus sosteneva di essere nato negli Stati Uniti e di essersi trasferito nel Regno Unito passando per la Cecoslovacchia e per la Germania. La biografia da lui dichiarata aveva dell'incredibile. Durante la Seconda guerra mondiale sarebbe stato un pilota della British Air Force catturato dalla Wehrmacht. Finita la guerra sarebbe migrato in America Latina per poi diventare una spia degli Stati Uniti in Sud Corea. Avrebbe fatto il pilota in Tailandia e in Vietnam, quindi sarebbe stato un agente segreto della Repubblica Araba Unita. La sua presenza in Giappone la giustificava proprio come una missione di reclutamento di volontari per la Repubblica Araba Unita. Dopo aver contattato chi di dovere nei paesi menzionati dal prigioniero, fu stabilito che tutto ciò che aveva raccontato non aveva alcun fondamento. I sigilli del suo passaporto erano stati fabbricati. Il 10 agosto 1960, la Corte Distrettuale di Tokyo condannò John Zegrus a un anno di carcere. Di lì a poco l'uomo cercò di suicidarsi tagliandosi le vene con un coccio di vetro. Una volta rilasciato, fu deportato a Hong Kong, mentre sua moglie fu deportata in Sud Corea. 
 
Distorsioni giornalistiche  
 
Il 15 agosto 1960, soltanto 5 giorni dopo il rilascio di John Zegrus, la sua storia appave sul quotidiano americano The Province. Il problema è che nell'articolo, intitolato "Man with his own country", vi erano diverse distorsioni. Secondo i giornalisti, John Zegrus sarebbe stato un cittadino naturalizzato dell'Etiopia e un agente dell'intelligence del Colonnello Nasser. Sul suo passaporto si sarebbe trovata la seguente descrizione: "rilasciato a Tamanrasset, la capitale di Taured a sud del Sahara" (originale: "issued at Tamanrasset, the capital of Taured south of the Sahara"). Si vede facilmente cos'è accaduto: 

1) Tuareg è stato scritto Tuared a causa dell'azione del demone Titivillus, Signore dei Refusi; 
2) Tuared ha subìto una metatesi divenendo Taured
 
A partire 1964 il caso è stato citato nei libri di Jacques Bergier. Secondo la sua versione della storia, un individuo di Tuared (errato per Tuareg), un paese dell'Africa orientale che "si estendeva dalla Mauritania al Sudan e comprendeva gran parte dell'Algeria", sarebbe stato arrestato nel 1954 in Giappone durante un controllo dei passaporti, finendo rinchiuso in un ospedale psichiatrico quando fu rivelato che era venuto a "comprare armi per la vera legione araba". Il paese a cui questa storia allude è la Repubblica Araba Unita, che in realtà comprendeva la moderna Siria e l'Egitto. Nel 1981, la storia è stata menzionata in un libro, The Directory of Possibilities, di Colin Wilson e John Grant, con Tuareg scritto di nuovo in modo errato come Taured. La storia della scomparsa dell'Uomo di Taured dalla camera d'albergo è stata inventata di sana pianta. Si trovano nel Web immagini del supposto documento dell'Uomo di Taured, col cognome Jenansfer, il nome di battesimo Berhodrick, la scritta in inglese "United Kingdom of Taured" e la città di origine denominata Infopolis: sono falsi clamorosi. In teoria Berhodrick dovrebbe essere il cognome e Jenansfer il nome di battesimo. Secondo alcuni utenti di Wikipedia, Berhodrick Jenansfer sarebbe invece uno pseudonimo di John Zegrus; questa informazione è stata cancellata ma risulta ancora nella cache. Come si vede, la confusione è notevole.
 
La nazione di Taured nella Wiki Fandom 
 
Esiste un Wiki dedicato alle nazioni fittizie, la Fake Countries Wikia, in cui si trova anche una pagina dedicata a Taured.  
 
 
Sono forniti numerosi dettagli di varia natura su Taured, incluse note sulla storia e sulla lingua, denominata Tauredish, che non è romanza e neppure classificabile, come accade a molte conlang ucroniche. C'è persino la foto del Capo di Stato, una donna chiamata Valentina Font-Perez, che dal somatismo sembra una filippina. Il punto è che tutte le informazioni contenute nel sito in questa pagina su Taured hanno l'aria di essere pure e semplici invenzioni ex post. Secondo questa narrazione fantastica, la nazione di Taured avrebbe avuto la sua indipendenza nel 1000 d.C. e avrebbe tratto origine dalla parola taure "valle" - che tuttavia non ha alcun fondamento. La locuzione Uniferesi Britanik deoi Taured è tradotta con "The United Kingdom of Taured". Questa è la nota dell'autore: 
 
"NOTE: This is based off of a book, but I'm adding enough original info for it to not be entirely from the story. The book is "The man from Taured." I didn't make the book, have any affiliation with it, or anything. I just want to see what a sorta Wikipedia like page would be like. Also, I understand that this is not a fictional country in the real sense, rather an unsolved mystery."   
 
Traduzione: 
 
"NOTA: Ciò è basato su un libro, ma sto aggiungendo abbastanza informazioni originali perché non sia interamente derivato dal racconto. Il libro è "The Man from Taured" ("L'uomo di Taured"). Non ho scritto il libro, non ho alcuna affiliazione con esso o altro. Voglio solo vedere come sarebbe una specie di pagina simile a Wikipedia. Inoltre, capisco che questo non è un paese immaginario nel vero senso della parola, è piuttosto un mistero irrisolto ".  
 
 
Con ogni probabilità il libro a cui allude l'autore del Wiki è stato scritto da Bryan W. Alaspa: The Man from Taured (2015). Si ispira liberamente alla leggenda metropolitana originata dalla vicenda di John Zegrus; non sembra nemmeno essere ambientato in Giappone. Questa è la pagina relativa all'opera su Amazon: 
 
 
Sinossi (tradotta): 
 
"Uno strano uomo si avvicina allo sportello doganale dell'aeroporto internazionale O'Hare. Porta passaporto, patente di guida, documenti, tutto sembra legittimo. C'è solo una cosa che spinge l'agente doganale a lanciare l'allarme: il passaporto e la licenza provengono da un paese che non esiste e non è mai esistito. Poi sparisce. Noble Randle, che lavora per la Homeland Security, viene chiamato per indagare. La soluzione, calcola, deve essere qualcosa di semplice. Quello che non sa è che la sua vita sta per cambiare, che ha un'abilità davvero unica e che il destino di questo universo e di migliaia di altri è nelle sue mani. I muri tra dimensioni e universi paralleli stanno crollando. Dietro c'è un male antico quanto il tempo stesso. Un male che vuole divorare ogni altro universo e ottenere il controllo totale su tutto e tutti. The Man from Taured è una storia che spazia dall'horror, all'azione, al mistero e alla suspense. Un racconto epico che si chiede: c'è di più in questo mondo di quanto sappiamo? Ci sono altri universi, altre dimensioni, proprio nelle vicinanze? Forse a un soffio di distanza. Dallo scrittore di suspense, horror e gialli Bryan W. Alaspa arriva un racconto che attraversa generazioni e dimensioni. Una storia che metterà alla prova la tua percezione della realtà stessa e ti terrà sveglio fino a tarda notte, timoroso di rispondere al bussare alla porta. Chi è L'UOMO DI TAURED?" 
 
 
Esiste però anche un altro romanzo intitolato The Man from Taured, scritto da Jeremy Bates (2020). Questa è la pagina relativa all'opera su GoodReads:  
 
 
Sinossi (tradotta):  
 
"Sei mai stati a Taured? No? In effetti non ne hai mai sentito parlare? Bene, nemmeno il resto del mondo, quando nel luglio del 2020 un uomo d'affari europeo si presenta all'aeroporto internazionale di Tokyo affermando non solo di provenire dal paese inesistente, ma producendo un passaporto legittimo.
Quello che segue è un racconto a rotta di collo pieno di mistero, intrighi e azione che vi farà girare le pagine ben oltre l'ora di andare a letto."

domenica 2 maggio 2021

IL DECLINO DELLA FOGLIA E L'INTRODUZIONE DEI MACCHERONI A NAPOLI

Al liceo lessi alcuni interessantissimi brani sul testo di storia usato nella scuola che frequentavo: Storia Moderna, di Gabriele De Rosa, edizioni Minerva Italica, 1982. L'ho recuperato, traendolo dalla polvere di un luogo ctonio pieno di cose vecchie, l'ho sfogliato e ho trovato con inaspettata facilità ciò che cercavo. A pagina 253 si parla della dieta di Napoli, che nel corso del XVII secolo subisce un drastico cambiamento. Li riporto senz'altro in questa sede, perché penso che siano di grande utilità.
 
Si impoverisce la dieta alimentare

"È vero che nel corso del Settecento la popolazione di Napoli crebbe notevolmente: nonostante la peste del 1656 e la carestia del 1764, essa salì da 240 mila abitanti ai primi del Seicento ai 437 mila abitanti alla fine del Settecento. Era la città più popolosa d'Italia. Ma questa crescita demografica non corrispondeva a uno sviluppo dell'industria e del commercio della città; essa era il risultato dell'abbandono della terra da parte dei contadini, che non sopportavano più le misere condizioni di vita a cui erano sottoposti da parte dei baroni e dei grandi feudatari. Del resto, questa abnorme crescita demografica di Napoli ha un riscontro nell'impoverimento della dieta alimentare. Tra il XV e il XVI secolo il consumo base dei napoletani era costituito dalla "foglia", che era una sottospecie del cavolo, da carne, da pesce secco o salato, da formaggi, frutta e vino. Con il XVII secolo si ricominciò a mangiare meno carne."  
 
E ancora:

"In realtà - scrive Giovanni Aliberti - da un tipo di dieta basata su glucidi (pane e vino), protidi (carne e derivati) e lipidi (grassi vegetali e animali) (...) si passa ad un regime dietetico fondato principalmente sui carbo-idrati, cioè sulla pasta alimenate, cibo senza dubbio più nutriente rispetto alla cellulosa ed all'acqua contenute nella tradizionale "foglia", ma insufficiente ad assicurare quella quantità necessaria di sostanze proteiche che sono indispensabili all'equilibrio biologico e che solo la carne più dare. Fenomeno, d'altronde, che non riguarda solo Napoli, ma presso che tutta l'area napoletana i cui abitanti, proprio a partire dal Cinquecento, rifluiscono ad un livello alimentare, sia quantitativo che qualitativo, nettamente peggiore rispetto al secolo precedente. Dal secolo XVII in poi, dunque, il consumo della "foglia" cede sempre più a quello dei maccheroni, che diventano la base dell'alimentazione napoletana sia come massa alimentare che come nutrimento vero e proprio." 
 
Sono riuscito a recuperare informazioni sul testo di Giovanni Aliberti: Economia e società a Napoli dal Cinquecento al Settecento, Editori meridionali riuniti, 1974 (428 pagine).   

 
Riporto ora il link a un prezioso articolo di Luciano Pignataro, Da mangiafoglie a mangiamaccheroni, storia della straordinaria netamorfosi partenopea. Il testo è una vera e propria miniera di informazioni! Vi si trovano anche diverse citazioni letterarie oltremodo interessanti.


Fino agli inizi del XVII secolo il territorio urbano di Napoli era ricchissimo di orti. La produzione di vegetali commestibili era prospera. Per questo motivo i Napoletani erano soprannominati "mangifoglie". Quando nel corso dei decenni si ebbe nella città un abnorme incremento demografico, non era più possibile mantenere l'alimentazione tradizionale. Serviva una nuova fonte di sostentamento, atta a mantenere le necessità di una grande massa di gente. Non si poteva trattare di un prodotto deperibile. Doveva conservarsi bene ed essere facilmente trasportabile. In Sicilia l'uso della pasta secca aveva una tradizione che risaliva agli Arabi e le cui prime attestazioni risalgono addirittura al X e al XI secolo. Per questo motivo i Siciliani erano soprannominati "mangiamaccheroni". I maccheroni erano conosciuti anche a Napoli già nel XVI secolo e anche prima, ma erano un alimento tipico degli aristocratici, di uso limitato, da condirsi con zucchero e cannella. Negli anni '30 del XVII secolo a Napoli fu inventato il torchio con trafila per la produzione automatica dei maccheroni, che era chiamato 'ngegno (con diverse varianti ortografiche come 'ncegne, 'nciegno; deriva dal latino ingenium). Questo macchinario fu determinante per il cambiamento delle abitudini alimentari dei Partenopei. Nell'area napoletana il metodo di produzione prevedeva l'uso dei piedi per lavorare l'impasto nella sua fase iniziale, non diversamente da quanto avveniva nell'Egitto dei Faraoni nel processamento della pasta di pane usata per la fermentazione della birra. Le condizioni igieniche, per essere eufemistici, non dovevano essere delle migliori. Questo sistema di impasto coi piedi, incredibile a dirsi, arrivò fino alla prima metà del XIX secolo. Grazie alla fortuna del torchio con trafila, agli inizi del XVIII secolo si era ormai completata la trasformazione dei "mangiafoglie" in "mangiamaccheroni": il nomignolo un tempo dato ai Siciliani era ora tipico dei Napoletani. Nel frattempo si era del tutto perso il gusto per i cibi agrodolci: le ricette più antiche di paste zuccherate e aromatizzate con cannella erano scomparse in favore del condimento con formaggio e solo in seguito, a partire dalla fine del XVII secolo, anche con pomodoro (è l'origine della famosa pummarola 'ncoppa, la prima ricetta con questo ingrediente è del 1692). I Lazzaroni erano grandi divoratori di maccheroni, che mangiavano tipicamente con le mani, sollevandone una gran massa con un gesto particolare e lasciandoseli cadere in bocca. Erano comuni in questo contesto le malattie a trasmissione oro-fecale, dato che non vi era la costumanza di detergersi le mani dopo essersi puliti il deretano. I contagi da Escherichia coli imperavano e le infestazioni da ascaridi non dovevano essere rare! Il famigerato colera sarebbe venuto soltanto in seguito, nel corso del XIX secolo.
 
Le conseguenze dell'input sull'output 
 
Al cambiamento dell'alimentazione dovette fare riscontro un cambiamento nella produzione fecale e nelle proprietà organolettiche degli escrementi espulsi, ma di questo nessuno studioso si occupa. Ritengo che sia un male. Le feci prodotte dai mangiatori di foglia dovevano essere eubiotiche e poco fetide. Le feci prodotte dai mangiatori di maccheroni divennero senza dubbio disbiotiche e graveolenti, spesso caratterizzate da fenomeni fermentativi e putrefattivi che provocavano la comparsa di lezzi infernali. A quei tempi le genti non avevano nemmeno la più vaga idea di cosa fosse la celiachia, che pur doveva essere presente. Chi ne era affetto andava incontro a una vita infernale, con terribili conseguenze a cui non poteva in alcun modo porre rimedio. Si andava dall'osteoporosi alla necrosi intestinale e al coma. Possiamo dire che il passaggio dalla foglia ai maccheroni fu un sacrificio al Moloch della sovrappopolazione, che a fronte di pochi effetti positivi dovette provocare la rovina di non poche vite.   

Il ciclo infinito del cibo e della merda 
 
Non è possibile separare completamente quello che mangiamo da quello che defechiamo. Bisognerà farsene una ragione: le mani che portano il cibo alla bocca sono le stesse che rimuovono gli escrementi dallo sfintere anale, pur con vari aiuti. Nella nostra epoca si usa la carta igienica, in tempi meno fortunati si ricorreva a strumenti più rudimentali, come ad esempio panni, pietre lisce o muschio. In ogni caso resta sempre qualcosa della pasta marrone asportata con gran fatica. In ogni boccone di cibo che mangiamo si trovano sempre particelle fecali, seppur minuscole al punto di essere invisibili ad occhio nudo. Anche se la maggior parte delle persone non ne è consapevole, ogni pasto è un atto di coprofagia! 

venerdì 30 aprile 2021

DUE LEGGENDE PSEUDOLONGOBARDE SULL'ORIGINE DELLA COLOMBA PASQUALE

Si conoscono con una certa precisione i dettagli della nascita della colomba pasquale: risale al 1930 e a inventarla è stata la ditta milanese Motta. In quell'anno ci fu una grande abbondanza e avanzò molta pasta madre, che non poté essere utilizzata per la produzione del panettone natalizio. Così il pubblicitario Dino Villani, impiegato alla Motta, propose la geniale idea di utilizzare la pasta madre per la produzione di un nuovo dolciume in occasione della Pasqua, apportando qualche semplice cambiamento alla ricetta. Le principali innovazioni furono queste: la forma che imitava quella di un pingue volatile, il rivestimento di glassa di amaretto e mandorle, l'assenza di uva sultanina, l'abbondanza di scorze d'arancia candite. I macchinari rimasero gli stessi che già avevano prodotto il panettone a Natale, così il risparmio sarebbe stato notevole. La colomba nacque come dolce riciclato e il suo successo fu strepitoso.  

 
Falsi storici e memetica virale 
 
Tutto sembra chiaro e tracciabile. Eppure anche su qualcosa di tanto recente si sono diffusi racconti che hanno tutta l'aria di essere stati inventati ad arte, creati per conferire alla preparazione dolciaria una tradizione solida e una grande antichità. Anche se non ho alcuna prova al riguardo, non escludo che tutto sia partito dalla stessa Motta, forse addirittura dalla fantasia di Dino Villani, come trovata pubblicitaria. 
 
1) La leggenda della colomba di Alboino 
 
Questo pacchetto memetico è relativo alla pretesa origine della colomba pasquale ai tempi di Re Alboino "Amico degli Elfi" (circa 530 - 572), figlio di Audoino "Amico della Ricchezza". Riporto alcuni testi reperiti nel Web. 
 
Testo 1: è tratto dal sito Pavia e dintorni (www.paviaedintorni.it):
 

"Nel 572, quando Alboino entrò in Pavia, dopo tre anni di estenuante assedio durante i quali più volte minacciò di radere al suolo la città dopo averla conquistata, il suo leggendario cavallo stramazzò al suolo, proprio all'altezza dell’attuale via Alboino, dove allora esisteva porta San Giovanni.
Un fornaio, per placare l'ira furente del Re, gli si avvicinò e gli offrì un dolce fumante , profumato, appena sfornato dicendo:
"Sire, domani è la Santa Pasqua e le dono questo dolce che ha la forma di una colomba che è il simbolo della pace, la prego di risparmiare e rispettare la città ".
Il cavallo, come per miracolo, si drizzò completamente rianimato ed il Re proseguì il suo percorso.
Il giorno seguente Alboino doveva incassare quanto imposto alla città: denaro, gioielli e 12 fanciulle.
La prima di queste, interpellata, disse il suo nome: "Mi chiamo Colomba, sono la figlia del vecchio fornaio e - indicando le altre undici fanciulle - anche queste sono colombe al servizio del Re".
Alboino, addolcito dalle parole e dal ricordo del dono ricevuto, fece grazia e liberò le belle ragazze pavesi."

 
Testo 2: è tratto dal sito Sogni d'Oro (www.sognidoro.net):
 
 
"Questa leggenda risale all’epoca medioevale, quando re Alboino calò in Italia con le sue orde barbariche per assalire Pavia.
Dopo un assedio durato tre anni, alla vigilia della Pasqua, riuscì ad entrare in città. Come gesto di sottomissione dai cittadini riceve vari regali, fra i quali anche dodici meravigliose fanciulle.
Fu allora che un vecchio artigiano si presentò al re donandogli un dolce a forma di colomba, quale tributo di pace. Questo dolce era così invitante che costrinse il re alla promessa di pace e di rispettare sempre le colombe, simbolo di questa delizia.
Quando il re interpellò le fanciulle donategli scoprì che il loro nome rispondeva a quello di Colomba. Alboino comprese il raggiro che gli era stato giocato, ma rispettò lo stesso la promessa fatta e liberò le fanciulle."
 
 
2) La leggenda della colomba di Teodolinda e San Colombano  
 
Questo pacchetto memetico è relativo alla pretesa origine della colomba ai tempi della Regina Teodolinda "Tiglio del Popolo"  (circa 570 - 627) e di suo marito, il Re Agilulfo "Lupo Spaventoso" (morto nel 616).  

Testo 1: è tratto dal sito Pavia e dintorni (www.paviaedintorni.it): 
 

"Narra la leggenda che, intorno al 614, il santo abate irlandese San Colombano, dalla Svizzera passò in Brianza e poi a Pavia, città scelta come capitale dai Longobardi.
La cattolica longobarda Regina Teodolinda, in accordo con il re Agilulfo, donò a Colombano il luogo di Bobbio, con la chiesa di San Pietro e un quadrilatero di quattro miglia per lato.
Secondo la loro tradizione, Colombano e i suoi monaci, restaurarono la chiesa e costruirono all'intorno modeste abitazioni per tutti loro.
Al termine dei lavori Colombano, in periodo prepasquale, si recò a Pavia con i suoi monaci per ringraziare la Regina della importante donazione ricevuta.
Al suo arrivo in città fu ricevuto con santi onori dalla popolazione pavese e invitato ad un sontuoso pranzo dalla stessa Regina Teodolinda, naturalmente con tutti i suoi monaci.
Gli furono servite numerose vivande vegetali e farinacee e anche molta selvaggina rosolata e arrostita.
Colombano ed i suoi monaci, benchè non fosse di venerdì, giorno consigliato con cibi magri, rifiutarono quelle carni troppo grasse e ricche servite in un periodo di precetto quale quello pasquale.
La Regina Teodolinda si offese non capendo il motivo del rifiuto, ma l’abate superò con diplomazia l’incresciosa situazione affermando che essi avrebbero consumato le carni solo dopo averle benedette.
San Colombano alzò la mano destra in segno di croce ed ecco, le pietanze carnacee si trasformarono in candide colombe di pane bianco molto addolcito e zuccherato.
Colombano e i suoi monaci mangiarono abbondantemente le squisite colombe unitamente alla Regina Teodolinda che considerò il pasto come una benedizione divina pensando alle colombe che festeggiarono l'ingresso di Alboino a Pavia."

Testo 2: è tratto dal sito Il Golosario (www.ilgolosario.it): 
 

"Una leggenda vuole che la tradizione della colomba pasquale sia legata a Colombano, santo abate irlandese, e alla regina longobarda Teodolinda. Si narra che la regina favorì la predicazione del santo e che attorno al 612 i sovrani longobardi lo invitarono coi suoi monaci a un sontuoso pranzo. Fu servita molta selvaggina rosolata, ma Colombano e i suoi rifiutarono quelle carni troppo ricche in periodo quaresimale; Colombano però, per non offendere la regina Teodolinda affermò che avrebbero consumato le carni solo dopo averle benedette, quindi alzò la mano destra in segno di croce e le pietanze si trasformarono in candide colombe di pane. Il prodigio colpì molto la regina che comprese la santità dell’abate e decise di donare il territorio di Bobbio dove nacque l’Abbazia di San Colombano. La colomba bianca è anche il simbolo iconografico del Santo ed è sempre raffigurata sulla sua spalla."
 
Testo 3: riportiamo infine un link a un documento che si trova sul sito San Colombano (www.saintcolumban.eu), liberamente accessibile e scaricabile: 
 
 
Ebbene, queste sono soltanto leggende fatte di aria sottile. Non hanno nessuna documentazione che ne dimostri la fondatezza, oltre al fatto rilevante che sono tra loro contraddittorie: o la colomba pasquale ha avuto origine ai tempi di Alboino o ha avuto origine ai tempi di Teodolinda. Non è possibile che siano entrambe vere, però possono benissimo essere entrambe false.  

Un sano scetticismo

Con una certa saggezza, la Wikipedia in lombardo riporta quanto segue: 
 
 
"La Colomba de Pasqua a l'è un dolz inventad de la Motta a Milan al principi del '900, inscì de podé doperà l'impast del Panaton anca foeura del period del Denedal, e che poeu el s'è spantegad in tuta l'Italia. La legenda la cunta su che 'sto dolz chi el gh'habia origin ai temp di Lombard antigh, adritura del Re Alboin, ma a bon cunt a l'è apena una legenda." 

Traduzione in italiano: 

"La colomba di Pasqua è un dolce inventato dalla Motta a Milano all'inizio del '900, così da poter usare l'impasto del panettone anche fuori dal periodo natalizio, e che poi si è diffuso in tutt'Italia. La leggenda racconta che questo dolce abbia origine ai tempi degli antichi Longobardi, addirittura del Re Alboino, ma dopotutto è soltanto una leggenda." 
 
Le genti di Lombardia non sono certo note per la natura sofisticata delle loro argomentazioni intellettuali: tutto si riduce a poche frasi stringate, ma spesso alquanto efficaci ed annichilenti. 

Problemi di continuità 

Se le due leggende avessero il loro fondamento in un testo di qualche autore, si saprebbe. Chi le sostiene userebbe infatti queste fonti per giustificare la propria narrazione. Come mai questo non viene fatto? Semplice: perché non ci sono fonti di alcun genere. In altre parole, non si può dimostrare la trasmissione senza soluzione di continuià delle due leggende attraverso i secoli. 
Sarebbe necessario ricercare nei ricettari anteriori al XX secolo l'esistenza di qualche preparazione dolciaria pasquale a forma di colomba usata nel Milanese. Il fatto che nessuna ricetta di questo tipo sia citata come fonte dai sostenitori delle leggende riportate è un fortissimo indizio del fatto che non esista nulla su cui fondarsi. In altre parole, non si può dimostrare la trasmissione senza soluzione di continuità attraverso i secoli della ricetta di un pane pasquale dolcificato.    

Elementi di incongruenza interna 

Le due leggende riportate non mostrano una conoscenza adeguata del mondo dei Longobardi e di quello dei loro sudditi all'epoca di Alboino. Siamo ai grotteschi livelli di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (Mario Monicelli, 1984), un film delirante e improbabile con Ugo Tognazzi nella parte di Bertoldo, Lello Arena nella parte di Re Alboino (non scorderò mai il suo ghigno!), Maurizio Nichetti nella parte di un Bertoldino fulvo dall'intelletto gracilissimo. Questi sono i miei commenti:  

1) Re Alboino era pagano e sostanzialmente non interessato alle dispute religiose. Non fu mai battezzato, come suo padre Audoino. Credeva che un uomo dovesse essere misurato soltanto col metro del valore sul campo di battaglia. Certamente conosceva il Crisianesimo e per motivi politici sostenne la Chiesa Ariana. Tuttavia non perseguitò mai la Chiesa Cattolica. La sua prima moglie era Clodosvinta, figlia del Re dei Franchi Clotario I, ed era cattolica. A quei tempi i matrimoni tra donne cattoliche e uomini pagani era particolarmente incentivati dal clero, nella speranza di poter ottenere conversioni. Queste disposizioni si applicavano in special quando il pagano era un sovrano. Clodosvinta tuttavia morì senza aver ottenuto il suo scopo, non riuscendo ad allontanare il marito dal paganesimo e dalla Chiesa Ariana. Fatta questa premessa, l'ideatore della leggenda della colomba pasquale di Alboino è partito dal presupposto che esistesse una situazione religiosa uniforme in tutto il Regno Longobardo, tra i nobili come tra i sudditi, essendo per lui scontato che l'unico culto fosse quello cattolico. Riteneva anche che fosse uniforme la situazione linguistica, che Alboino intendesse alla perfezione il latino volgare di un fornaio pavese e riuscisse a farsi da lui intendere con naturalezza. La cosa non è affatto scontata. Non dimentichiamoci che il latino volgare era divenuto incomprensibile tra località lontane: se anche Alboino avesse conosciuto una qualche forma di latino per necessità politiche, non gli sarebbe stato di giovamento alcuno per comunicare con un popolano di Pavia. Difficilmente il volgo pavese avrebbe inteso la lingua germanica dei Longobardi. A quale Santa Pasqua si riferiva il fornaio? A quella cattolica o a quella ariana? Essendo il suo culto quello di Godan, il Re Alboino sarebbe stato più sensibile al simbolismo del corvo, legato alla bellicosità e alla saggezza, che a quello della colomba. Un antico germano non apprezzava affatto la pace e cercava modi per rischiare la propria vita in grandi imprese, acquisendo così gloria imperitura.
 
2) La Regina Teodolinda era notoriamente cattolica, conosceva bene i monaci e sapeva senza alcun dubbio che bisognava informarsi sulle loro necessità alimentari quando si pensava di invitarne qualcuno a pranzo o a cena. I monaci irlandesi in particolare erano noti ovunque per avere regole di vita molto severe, fondate su un'ascesi rigorosa. Nessuno si sarebbe sognato di offrire loro della selvaggina rosolata, il cibo meno monastico che si possa immaginare! Trovo ridicola anche la narrazione dei monaci irlandesi che si ingozzano con pane zuccherato, per giunta anacronistico: all'epoca in Langobardia lo zucchero non lo aveva nessuno, nemmeno la corte reale. Veniamo ora a San Colombano (circa 540 - 615). Il suo nome originale irlandese era Colum Bán "Colomba Bianca", latinizzato in Columbanus. Fu un energico evangelizzatore, uomo coltissimo, abile diplomatico e gran viaggiatore, che attraversò l'Europa fondando molte abbazie, tra cui quella di Bobbio. Questi erano i dieci capitoli della Regula monachorum da lui istituita: obbedienza, silenzio, digiuno, disprezzo dei beni terreni, ripudio della vanità, castità, preghiera, discrezione, mortificazione di superbia e orgoglio, buon esempio. San Colombano non era Frate Trippa! Era un uomo di cui avere rispetto. Emergono anche altre contraddizioni. Ci furono gravi controversie tra San Colombano e Roma riguardo al calcolo della data della Pasqua. A quale Pasqua fa riferimento la leggenda? A quella calcolata da San Colombano o a quella calcolata secondo la tradizione di Roma? Mi sembra evidente che l'ideatore della leggenda della colomba pasquale di Teodolinda e di San Colombano ignorasse tutte queste cose e proiettasse nel passato un'immagine distorta del monachesimo irlandese. 
 
Un pacchetto memetico scadente
 
Si segnala infine un'altra leggenda, ancor più farlocca, che colloca l'invenzione della colomba pasquale durante la battaglia di Legnano, nel 1176, che finì la sconfitta di Federico Barbarossa da parte dei Comuni della Lega Lombarda. Durante l’attacco due colombe bianche si sarebbero fermate sulle insegne della Lega: l'accaduto, interpretato come buon augurio, avrebbe ispirato la preparazione di dolci bianchi a forma di colomba. 

Conclusioni

Il Web ha alterato la nostra percezione della realtà, rendendola offuscata e crepuscolare, dando enorme diffusione a quelle che sono pure e semplici assurdità. Riuscire a discernere il Vero dal Falso è sempre più difficile. L'Intelligenza Artificiale (meglio definibile come Idiozia Artificiale) affosserà senza dubbio questo mio contributo, bollandolo come "scarsamente originale" e "senza valore aggiunto", solo perché cito alcune fonti perché i lettori possano confrontarle e analizzarle. Me ne frego e continuo per la mia strada!