venerdì 4 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI TANGO

Un caso particolarmente arduo da trattare è quello dell'etimologia del nome del famosissimo ballo argentino, il tango. Le proposte sono innumerevoli, contraddittorie e poco convincenti. 

Ricordo un grossolano tentativo di spiegare la parola, che fu enunciato da un partecipante alla prima edizione del Grande Fratello, Pietro Taricone - nel frattempo deceduto. All'epoca il "gieffino" esibiva qualche rudimento di latino, vantandosi di essere un maestro di etimologie: tra le sue "perle" si riportano snob spiegato come "sine nobilitate" (ossia "senza nobiltà") e il toponimo belga Spa interpretato come "salus per aquas" (ossia "salute per mezzo delle acque"). Allo stesso modo riconduceva tango, nome del ballo argentino, al verbo latino tangere "toccare", ritenendolo una pura e semplice forma coniugata (prima persona singolare del presente indicativo, tango "io tocco"). Il suo ragionamento era questo:  quando si balla il tango si tocca la donna, la si palpa sensualmente, così la danza stessa deve per forza di cose prendere il nome da questa attività sessuale pubblica. Non a caso, il tango fu condannato dalla Chiesa Romana, in tempi in cui il tuonare di un Pontefice aveva ancora qualche importanza e poteva incutere timore in vasti strati della popolazione, un po' come il Mago di Oz. 

Passiamo ora in rassegna quanto ho potuto reperire. 

Etimologie neolatine di tango 

A dire il vero, l'origine da esiti romanzi del latino tangere "toccare" è stata più volte proposta, tuttavia non nel senso di "toccare una donna", bensì in quello di "toccare uno strumento (a corda)", ossia "suonare uno strumento", oppure in altri modi più complessi e implausibili. 
Ecco un elenco di proposte: 
1) Spagnolo tañer "suonare uno strumento". 
"Altri ritengono che il termine derivi dallo spagnolo tañer (a sua volta dal latino tangĕre), cioè suonare uno strumento." 
(estratto da: Una parola al giorno)
2) Portoghese tanger "suonare uno strumento" (corrisponde allo spagnolo tañer). 
3) Portoghese tangomão "trafficante di schiavi in Africa", "portoghese africanizzato". William W. Megenney (2003) suppone che si tratti di un composto di tanger e di mão "mano", quasi un "toccamano", attribuendo la sua prima attestazione al creolo portoghese di São Tomé descritto da Alonso de Sandoval (XVII secolo). Lo stesso Megenney la somiglianza alla parola espressiva portoghese tanglomanglo, tanglomang, tangolomango "specie di magia, stregoneria", che ne potrebbe essere una deformazione. Sono tuttavia dell'idea che tangomão sia piuttosto un adattamento dell'arabo ترجمان tarjumān "interprete"
4) Antico francese (dialetto di Normandia) tangue "tipo di ballo". La parola, attestata in epoca medievale, appartiene di certo alla descritta categoria semantica. È verosimile che fosse un ballo con accompagnamento di strumenti a corda, da cui il nome. Ovviamente non ha nulla a che fare con l'omofono tangue, tanque "concime di alghe", che è dal norreno þang "alghe".  
5) Francese tanguer "beccheggiare", "oscillare", tangage "beccheggio, movimento oscillatorio". Sono parole tipiche del gergo marinaresco, derivate dall'antico francese tengre "oscillare". Anche se ci sono dubbi, la radice dovrebbe essere dal latino tangere "toccare", con questo slittamento semantico:
"toccare" => "toccare ritmicamente" => "far oscillare" => "beccheggiare", "oscillare". Si noti però che esiste in antico frisone il verbo tangeln "oscillare", che suggerisce piuttosto un'origine germanica.
6) Spagnolo tángano "gioco che consiste nel cercare di abbattere un cilindro lanciandogli contro pezzetti di pietra, ossicini o dischi". Il gioco è anche chiamato tanga, mentre il cilindro da colpire è chiamato tango. Queste parole, tángano, tanga e tango, sono fatte derivare dal latino tangere "toccare". È il solito genio dei romanisti. Da qui è nato il mito secondo cui il tango avrebbe tratto il suo nome da un ossicino! Non si capisce secondo quale logica. 

Etimologie Romaní di tango 

1) Secondo quanto riportato da William Sayers (2013), la parola tango sarebbe di origine Romaní e deriverebbe da un precedente *tanzkó, dove -kó è un tipico suffisso agentivo. La radice della parola sarebbe un prestito dal tedesco Tanz "danza, ballo". Questa parola *tanzkó dovrebbe essere giunta  nella regione rioplatense dal Kalderash (lingua di un importante sottogruppo Rom della Romania), non dal Caló (lingua para-Romaní iberica). 
Si vede che questa derivazione è abbastanza implausibile per motivi fonetici. Non si dovrebbe avere la scomparsa di -z- nel gruppo consonantico -nzk-. In spagnolo, una simile parola avrebbe poi dato *tazco, non tango
2) Un'altra possibilità, sempre riportata in Sayers (2013), è che tango derivi dalla parola Romaní tang "stretto, compresso; costretto, forzato" (variante tango). La semantica sarebbe abbastanza ragionevole: l'uso di questo aggettivo deriverebbe dal fatto che l'uomo e la donna ballano appiccicati, avvinghiati, stretti l'uno all'altra. Anche se per altra via, senza passare attraverso il latino scolastico, si arriverebbe ancora all'idea espressa a suo tempo da Taricone. In ogni caso, sembra che questo aggettivo tang, tango non sia applicato al ballo. Ci vorrebbe il parere di uno ziganologo, anche se tutto questo convince poco. 

Etimologie arabe di tango 

1) Nell'Andalusia è in uso la parola tanguillo, che indica un tipo di danza, il flamenco. L'origine è dall'arabo taḥanjul, parola rara e difficilmente traducibile, connessa con il verbo biyitḥanjil "egli fa qualche passo di corsa seguito un gran salto". La consonante affricata araba -j- (suona come la g- di getto) sarebbe diventata un'occlusiva velare -gu- in andaluso (suona come la g- di gatto) - cosa di per sé abbastanza strana. L'ipotesi è che da questo tanguillo sia poi stato retroformato tango, essendo l'elemento -illo interpretato erroneamente come un suffisso diminutivo.
2) La parola araba طنبور ṭunbūr "strumento musicale a corde", confusa in parte con طبول ṭabūl "tamburi" (plurale di طبل ṭabl "tamburo"), ha dato l'italiano tamburo e lo spagnolo tambór. L'ipotesi diffusa è che tambór, pronunciato tambó dagli schiavi africani deportati in America Latina, sia poi diventato chissà come tangó. Quindi, per retrocessione dell'accento, questo tangó sarebbe diventato infine tango. Non mi risultano casi di sviluppo di -mb- in -ng- e sono incline a rigettare questa teoria già soltanto per la sua implausibilità a livello fonetico. La semantica è essa stessa poco soddisfacente. Si immagina che si sia avuto il passaggio da "tamburo" a "ballo al suono dei tamburi", da cui "tipo di ballo". Troviamo attestazioni di tango con significati come "spazio chiuso per feste comuni", "società di neri liberi e liberti", "luogo di riunione di dette società", che però non è affatto un derivato di tambó(r): sembra essere invece una voce di origine africana (vedi nel seguito). Si sarebbe quindi avuta la coalescenza di due parole del tutto diverse.   

Etimologie africane di tango 

Cercare in Africa possibili parole in grado di spiegare le origini del tango, si rivela un'impresa molto difficile. Ci si imbatte in problemi come la scarsa disponibilità di dati, la facilità che le informazioni siano distorte, la mancanza di ricostruzioni complete e affidabili delle protolingue. Megenney (2003) riporta alcuni dati, da me integrati con altre fonti disponibili nel Web, inclusi vocabolario on line.  

1) Lingue Bantu  
- parole col significato di "riunione" 
Ai tempi della tratta degli schiavi era usata la parola tango "punto di raccolta degli schiavi", in Africa; "punto di vendita degli schiavi", nelle Americhe (José Gobello, Ricardo Rodríguez Molla). Questo vocabolo deve aver avuto origine in una lingua Bantu al momento non identificata. 
Kikongo: tango "tipo di suono di tamburo, danza e canto del Congo" (Díaz Fabelo, 1998) 
Kikongo: tanga "festa, banchetto", plurale matanga "feste, banchetti" 
- parole col significato di "sole", da cui "ora" e quindi "spazio", "tempo"
Kikongo: ntangu "sole" (sinonimo: mwini "sole") 
Kikongo (dialetto Luango): ntango "sole" (Diaz Fabelo, 1998)
Kituba: ntangu "momento", "tempo", "era" 
Lingala: ntango "tempo"
- parole indicanti una caratteristica legata al movimento 
Kikongo: tánngu "versatilità" (Megenney, 2003)  
2) Lingue non Bantu  
- Ibibio: tamgu "danzare" (Etymonline.com). 

La lingua Ibibio, parlata in Nigeria, appartiene alla famiglia Volta-Congo. Nel 2013 contava circa 4,5 milioni di locutori. La derivazione della parola tango da un verbo Ibibio sembra lineare e plausibile, tanto da essere considerata la soluzione del problema da diversi siti di grande importanza, tra cui Wiktionary. A dispetto di ciò, trovo lecito nutrire qualche dubbio e preferisco l'ipotesi della parola Bantu col significato di "riunione". 

Altre etimologie di tango 

1) Sayers (2013) riporta una proposta etimologica dal tedesco Tingel-Tangel "ballo da cabaret". Verosimilmente si tratta di una denominazione gergale di origine espressiva. 
2) Blas Matamoro (1996) propone addirittura l'origine dal vocabolo Quechua tampu che significa "luogo di riunione", "taverna" (adattato in spagnolo come tambo), menzionando quindi il tango come una danza usata nell'isola canaria di Hierro nel XIX secolo, supponendo che vi sia stata introdotta dal Sudamerica coloniale. 
3) C'è chi ha proposto che tango derivi da fandango "tipo di danza andalusa", la cui etimologia è incerta, nella migliore delle ipotesi. L'unica labile proposta a cui ho potuto accedere, è che la parola fandango abbia connessione con il portoghese fado "canzone popolare", alla lettera "fato, destino". La trovo risibile. Comunque sia, il passaggio da fandango a tango è sommamente implausibile già per motivi fonetici. 
4) Tra le più stravaganti proposte c'è quella dell'origine dal supposto nome di una città giapponese, Tango: sarebbero state le comunità nipponiche trapiantate a Cuba nel XIX secolo a inventare il ballo da cui sarebbe poi derivato il tango. Chiaramente è una ridicola storiella di etimologia popolare inventata ex post. Non ho trovato una città giapponese, bensì una provincia con tale nome. Questo riporta Wikipedia: "Tango, propriamente Tango no Kuni (丹後国), fu una provincia del Giappone, nell'area che è ora la parte settentrionale della prefettura di Kyoto, di fronte al mare del Giappone. Tango confinava con le province di Tajima, Tamba e Wakasa. In periodi diversi sia Maizuru che Miyazu furono le capitali della provincia di Tango." 

Origine onomatopeica 

Questo riporta il Vocabolario Treccani alla voce "tango":

[voce spagn., di origine sudamer. e forse di natura onomatopeica (si ritiene che abbia indicato dapprima un tipo di tamburo e poi una danza eseguita da neri al suono del tamburo)] 

Sarebbe dunque una parola fatta di aria sottile, senza alcuna reale provenienza da una qualsiasi lingua umana: soltanto il suono del tamburo reso foneticamente come "tang tang", nella regione del Río de la Plata. Come teoria mi pare abbastanza ridicola. 

Sono convinto che, con un po' di pazienza, riuscirei a raccogliere molte altre proposte etimologiche ancora più strambe! Sono convinto che non manchi chi si cimenterebbe nel costruire storielle a partire da vocaboli puramente omofoni, come lo Swahili tango "cetriolo", il Tagalog tango "cenno" e il giapponese たんご tango "parola"!

Link: 

William W. Megenney, 2003: 
https://www.jstor.org/stable/23054732

William Sayers, 2013: 
https://www.jstor.org/stable/43803264 

Conclusioni: 

Capisco bene lo scetticismo e lo sfinimento. C'è sempre chi afferma un radicale nichilismo gnoseologico imbattendosi negli infiniti e inconcludenti tentativi di trovare un'etimologia credibile al  nome del tango. Riporto addirittura il caso di un internauta che, di fronte alla teoria dell'ossicino e alla teoria dei Giapponesi, urla a gran voce: "DROGA!" Si pretendono risposte esatte, assolute, irrevocabili. Se queste non arrivano, ecco che i filologi e i linguisti si drogano! Detto questo, rimango dell'idea di un'origine Bantu e sono convinto che col tempo si potrà fare maggiore chiarezza. 

lunedì 31 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DELL'INGLESE AMERICANO PIZZAZZ 'ENERGIA', ''VIGORE'

Le parole gergali usate nell'inglese d'America sono per me fonte di continuo stupore e di sempre rinnovato interesse. Per pura e semplice serendipità, sono riuscito a scovarne una particolarmente strana:   

pizzazz 
Pronuncia: /pɪ'zæz/ 
Varianti: pizazzpizzazpazazzpazzazzpzazzbazazzbezazzbizazzbizzazz  
Uso: sostantivo 
Significato: 
  1) energia, vigore 
  2) vitalità 
  3) qualità eccitante 
Derivati: pizzazzy, pizazzy "caratterizzato da energia, vitalità, etc."; ''che esibisce energia, vitalità, etc." 
Contesto: mondo della moda 
Prima attestazione nota: 1912 
Diffusione del termine: Anni '30 del XX secolo 

Riporto alcune attestazioni per anno (i grassetti sono miei). Sono tutte prese da quotidiani ripugnanti che valgono meno della carta igienica usata! 

Brother Russel declared, bo, that his crowd had already framed it up with some of the big guys in the music world to put the kibosh on this line of junk, and that it was only a question of time before they would have such pieces as "When I Get You Alone Tonight" completely on the pizzazz
(1912) 

Pizazz, to quote the editor of the Harvard Lampoon, is an indefinable dynamic quality, the je ne sais quoi of function; as, for instance, adding Scotch puts the pizazz into a drink. Certain clothes have it, too. 
(1937) 

There's pizazz in this rust evening coat, swinging wide in back, jutting crazily over the shoulders, clasped with a cord at the throat.
(1937)

Classified as a lover with a certain pizzazz / And you might even call it razzamatazz. 
(1979)

Who says a beer can't be exciting, folks. Let me tell you something, folks, this here little can has got more oomph! More pazazz! More body than Mae West any day!
(1979) 

With his miner's helmet in one hand, a white towel in the other, [Mario] Sepúlveda began to dance. He spun with the gusto and pzazz of a huaso, a Chilean cowboy.
(2011) 

Driven by legalized gambling, many of the [Las Vegas] strip's motels had morphed into giant hotels with gambling floors and night clubs and surrounded by large parking lots. Closeness to Hollywood (with its fantasy world of entertainment bizazz) influenced strip architecture.
(2011)

Nah brov … nah brov … you see ultimately … without reason … without technique … without – pazzazz … one is sure to get, left behind …
(2012) 

I don't think bezazz was the particular specialty of my mother … That's right cement and gravel, Chicago. Nice girl I'm told … but more in the line of barns than bezazz. Of course I never really knew her.
(2013) 

As they prepare for Sunday's telling match with Newcastle, Southampton are 12th in the table and their new manager, Mauricio Pellegrino, has introduced such pizzazz that they have mustered five goals in seven league matches.
(2017) 

Per maggiori informazioni sull'origine dei futili e irritanti testi, rimando al Web: 



Proposte etimologiche:

Esistono, per così dire, due scuole di pensiero a proposito dell'etimologia di pizzazz

1) L'origine di pizzazz è dai dialetti dell'Italia Settentrionale, in cui bizzo significa "morso". La parola bizzo è di chiara etimologia longobarda, così come lo è pizza, che in origine significava "boccone" - cfr. antico alto tedesco bîʐan, pîʐan "mordere", pizzo, pizo "morso; boccone"; tedesco moderno beißen, beissen "mordere", etc. Agli inizi del XX secolo, l'uso gergale di bizzo descriveva l'aggiunta di liquore a una bevanda analcolica. Aggiungere il bizzo a qualcosa significava così "dare forza, vigore". In italiano standard potremmo tradurre la parola con "mordente". Un Cuba Libre ha mordente, mentre la semplice Coca Cola non ne ha. Questo è lo slittamento semantico ricostruibile: 

"morso" => 
"mordente", "aggiunta di un alcolico" => 
"energia", "vigore". 

Inoltre deve essere postulato un suffisso accrescitivo/peggiorativo -azzo

bizzo + -azzo = *bizzazzo 

Resta la difficoltà fonetica: sia bizzo che il suffisso -azzo hanno una consonante affricata sorda /tts/, come in cazzo e in mazzo. Non è molto plausibile un suo passaggio alla fricativa sonora /z/ che si trova in pizzazz (è la -s- di rosa). 

2) L'origine di pizzazz è dall'ebraico פזז /pa:'zaz/, che significa "essere agile, veloce" e servirebbe a descrivere l'entusiasmo. Questo è lo slittamento semantico ricostruibile: 

"essere agile, veloce" => 
"vivace", "energico" => 
"cosa vivace", "cosa energica" => 
"energia", "vigore". 

Non sussistono difficoltà fonetiche, dato che il fonema /z/ della parola ebraica è lo stesso che troviamo nella parola gergale inglese. Tuttavia sembra che la semantica sia soddisfacente. Innanzitutto, la parola ebraica פזז è un verbo, per cui si dovrebbe postulare il passaggio prima ad un aggettivo e poi a un sostantivo indicante una qualità. Inoltre la parola ebraica פזז è rara: ricorre due volte soltanto nelle Scritture e denota un tipo di abilità fisica, probabilmente l'agilità. Il Patriarca Giacobbe che le braccia di suo figlio Giuseppe erano agili (Genesi 49:24) e quando Michal vide Davide ballare ed essere agile mentre portava dentro l'Arca dell'Alleanza, lo disprezzò nel suo cuore (2 Samuele 6:16). Esiste anche un altro verbo omonimo פזז /pa:'zaz/, che ricorre soltanto una volta in 1 Re 10:18, ma con un significato del tutto dissimile (e incerto), secondo alcuni "raffinare, purificare", detto dell'oro, secondo altri "solidificare". È estremamente difficile credere che una parola biblica rara e in ogni caso di traduzione incerta possa aver dato origine a una parola gergale in inglese americano. Forse siamo di fronte a uno scherzo escogitato da un rabbino interessato sia agli studi biblici che al mondo della moda? 


Conclusioni: 

Pur apparendo molto verosimili e ragionevoli, entrambe le proposte etimologiche reperibili nel Web presentano problemi notevoli, quasi insormontabili. Questo caso difficile potrebbe rimanere irrosolto ancora per molto tempo.

sabato 29 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI MEZCAL, MESCAL 'DISTILLATO DI AGAVE'

In Messico si produce attualmente una bevanda distillata a base di succo di agave, che spesso è confusa con la tequila. Si tratta del mezcal (adattamento in italiano: mescal; talvolta scritto mescal anche in inglese). A differenza della tequila, che è prodotta distillando unicamente il succo dell'agave blu (Agave tequilana), il mezcal è prodotto a partire dal succo di più di trenta specie delle circa 200 presenti naturalmente nel territorio messicano. Quasi tutta la produzione avviene nello Stato di Oaxaca. Qui in Italia, questa bevanda è nota soprattutto per lo splendido verme che si trova sul fondo della bottiglia. Secondo alcune fonti, l'aggiunta in alcune bottiglie del tipico verme (in spagnolo gusano, in Nāhuatl ocuilin) sarebbe una trovata pubblicitaria abbastanza recente (Salzstein, 2009). In realtà si tratta di un parassita temibile, che infesta l'agave e riduce notevolmente la qualità del succo estratto. Ci sono due tipi di vermi del mezcal. Il primo è la larva del lepidottero Comadia redtenbacheri (detta gusano rojo, ossia "verme rosso"), il secondo è invece la larva del coleottero Scyphophorus acupunctatus (volgarmente chiamato picudo del agave, ossia "punteruolo dell'agave"). La prima di queste larve, che tecnicamente parlando è una tarma, è considerata più pregiata della seconda. Molti sono pronti a giurare che il verme contribuisce all'aroma della bevanda, cosa che trovo difficile da credere. Ho bevuto più volte il mezcal, mangiando anche il verme, senza riscontrare un aroma attribuibile a questa singolare aggiunta. Il sapore del distillato non è a mio avviso molto diverso da quello della tequila. 

Alcune note etimologiche:

In epoca coloniale, la parola mezcal indicava il succo fermentato di agave, così il distillato che se ne ricavava  era chiamato vino de mezcal. La stessa denominazione era attribuita alla tequila. L'etimologia è dalla lingua Nāhuatl:   

   mexcalli /meʃ'kalli/
     
1) "tipo di succo fermentato d'agave";
      2) "foglie cotte di agave" 
      Si tratta di un composto derivato dai seguenti sostantivi:
      metl /met͡ɬ/ "agave" 
      ixcalli /iʃ'kalli/ "decozione" (*) 
            dal verbo ixca "cuocere al forno" 
   Derivati: 
   mexcalmetl "tipo di agave" (da cui si estrae il mexcalli

(*) Da non confondersi con l'omofono ixcalli "finestra". 

Alcune note fonetiche: 

La consonante -x- è usata per trascrivere il suono palatale scritto -sh- in inglese (è come sc- dell'italiano scia). In genere nelle parole Nāhuatl passate in spagnolo, viene adattato in una fricativa velare scritta come -j-, più raramente come -x-. Il caso dell'esito sibilante in mezcal è un'eccezione, dovuta alla presenza della consonante velare seguente. In epoca coloniale si scriveva mexcal, plurale mexcales.  

Il Mezcal nella Settima Arte:

Famosissimo in Italia è il bandito Mezcal, quello che massacrava a sganassoni i Mormoni, pretendendo che gli servissero il vino e l'arrosto anziché le odiose minestre insipide! Evidentemente aveva tratto il soprannome dalla  sua predilezione per il distillato d'agave di Oaxaca. L'attore, il robusto Remo Capitani, definiva il suo stesso personaggio "un messicano scaciato, un zozzone bono a gnente". In realtà credo che sia una figura da rivalutare. Tutti ricorderanno il film di cui sto parlando: Lo chiamavano Trinità (1970), diretto da Enzo Barboni (pseudonimo E.B. Clucher). 

Altre specie vegetali: 

Anche se non so bene spiegarmi il motivo, è invalso l'uso di chiamare mescal un vegetale che non ha nulla a che fare con l'agave e con i suoi prodotti: è il peyote (nome scientifico Lophophora williamsii; Nāhuatl peyōtl), un piccolo cactus carnoso e senza spine, notissimo per le sue proprietà psicoattive. Da questa bizzarra pianta succulenta prende il nome la mescalina (inglese mescaline, mescalinmezcalin; nome scientifico 3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina), che è l'alcaloide psichedelico in essa contenuto. Si devono evitare le confusioni: la bevanda distillata dal succo di agave non ha proprietà allucinogene!

Esiste anche un altro omofono: è il mescal, nome di una pianta della famiglia delle Fabacee (nome scientifico Dermatophyllum secundiflorum), molto comune nel Messico e in alcuni territori degli Stati Uniti (Nuovo Messico, Texas). Si presenta come un arbusto o albero sempreverde, alto da 1 a 15 metri, con fiori azzurrognoli tendenti al violetto, profumati. Ha foglie pennate, coriacee e glabre, lunghe da 6 a 15 centimetri.  I suoi semi, arancioni e sgargianti, hanno elevato valore ornamentale. Il suo legno, rossiccio, ha scarso valore commerciale. Cresce molto lentamente e predilige i luoghi solatii. È una pianta mellifera, da cui le api bottinano nettare e producono miele; è velenosa in tutte le sue parti. Si segnala l'uso dei suoi semi come intossicanti presso le popolazioni native. Si tratta di una pratica assai rischiosa. Infatti anche il consumo di un singolo seme può essere sufficiente ad uccidere un adulto, dato che oltre al principio psicoattivo allucinogeno è contenuto un alcaloide fortemente tossico, la citosina. Proprio da questa consuetudine di intossicarsi con i semi del mescal hanno preso il loro nome gli Apache Mescaleros. Attualmente questi semi sono stati soppiantati dal peyote come "sostanza ricreativa". 
Nomi scientifici alternativi: 

  Agastianis secundiflora (Ortega) Raf. 
  Broussonetia secundiflora Ortega
  Calia erythrosperma Terán & Berland 
  Calia secundiflora (Ortega) Yakovlev
  Calia secundiflora f. xanthosperma (Rehder) Yakovlev 
  Calia secundiflora subsp. albofoliolata Yakovlev
  Cladrastis secundiflora (Ortega) Raf. 
  Dermatophyllum speciosum Scheele 
  Sophora secundiflora (Ortega) Lag. ex DC. 
  Sophora secundiflora f. xanthosperma Rehder 
  Sophora speciosa (Scheele) Benth. 
  Virgilia secundiflora (Ortega) Cav. 

ETIMOLOGIA DI TEQUILA

La parola tequila "tipo di distillato di agave" è tradizionalmente associata al toponimo Tequila, nome di una cittadina nello Stato di Jalisco. In quel luogo si processa il succo dell'agave blu (nome scientifico: Agave tequilana), producendo così la famosissima bevanda superalcolica. Il nome scientifico della pianta è ovviamente recente, essendo l'epiteto "tequilana" formato proprio a partire dal nome del distillato. 
Il toponimo Tequila viene in genere derivato dal Nāhuatl Tequitlān /te'kit͡ɬa:n/ "Luogo di (duro) lavoro", a sua volta da tequitl /'tekit͡ɬ/ "lavoro" con il tipico suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/ (che non ha esistenza come parola indipendente). Il nome dello Stato di Jalisco trae origine dal Nāhuatl Xālīxco, composto da xālli "sabbia" e da īxtli "occhio; faccia", donde "superficie". Quindi significa "Luogo di superficie sabbiosa". 

Sono convinto che la realtà sia più complessa di come viene descritta. Deve essere avvenuto un incrocio tra due voci simili. Oggigiorno, gli studiosi della lingua Nāhuatl sono inclini a ritenere il toponimo Tequila come un derivato di Tequillān "Luogo delle erbe delle pietre", un regolare composto di tetl /tet͡ɬ/ "pietra", quilitl /'kilit͡ɬ/ "erba (commestibile)" e del suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/, che potremmo tradurre con "luogo di", con assimilazione di -tl- in -l- a causa della consonante liquida precedente. Si cita nel Web l'esistenza di una tribù selvaggia della regione, il cui nome sarebbe stato Tiquili. Purtroppo non sono stato in grado di trovare conferma dell'esistenza dell'etnonimo in questione. Potrebbe anche essersi avuta un'etimologia popolare, con interpretazione fallace in chiave Nāhuatl di una parola non Nāhuatl e di origine sconosciuta. 

Personalmente sono convinto che il nome del liquore debba essere stato fin dall'inizio una parola del lessico comune, di origine non toponomastica, derivante dal Nāhuatl tequitlān /te'kit͡ɬa:n/ "officina, laboratorio artigianale", a sua volta derivato da tequitl /'tekit͡ɬ/ "lavoro" con il tipico suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/. Questo è stato il naturale slittamento semantico: 

officina, laboratorio artigianale =>
liquore prodotto in un laboratorio artigianale => 
liquore artigianale => 
tequila

Purtroppo la mia personale opinione non ha potere risolutore. A complicare le cose, c'è sempre la possibilità che il toponimo Tequila sia stato in origine proprio un plurale/collettivo del sostantivo comune tequitlān "officina, laboratorio artigianale", così chiamato per le attività di produzione del distillato. Quindi non sarebbe la tequila a trarre il suo nome dal toponimo Tequila, bensì l'inverso. Per chiarire una volta per tutte quale sia la corretta etimologia Nāhuatl, sarebbe necessario cercare nei documenti coloniali, la cui consultazione non è però assolutamente facile. La confusione deve essersi imposta tra la popolazione ispanofona quando la lingua dell'Impero Azteco ha cominciato ad essere dimenticata. Sarebbe molto utile fare un'indagine linguistica sul nome della tequila nelle lingue di ceppo Nāhuatl che sono ancora parlate in Messico da oltre un milione e mezzo di persone (purtroppo una piccola parte della popolazione totale del Paese).  

Per comprendere meglio la situazione, trovo che sia necessario citare qualcosa sul contesto coloniale. 

Ai tempi dell'Impero Azteco, esistevano leggi draconiane che vietavano l'ubriachezza. Le punizioni aumentavano in modo congravescente al crescere del rango sociale. Gli schiavi e i contadini se la cavavano con una specie di gogna, essendo esposti al pubblico ludibrio col cranio rasato; i nobili erano condannati a morte e veniva organizzata una specie di pantomina: si fingeva di perdonare il reo, facendogli festa e gettandogli al collo una ghirlanda di fiori, che però nascondeva una garrota con cui lo si strangolava! 
Quando la gloriosa città di Mēxihco-Tenōchtitlan cadde nelle mani degli Spagnoli dopo un furioso assedio, ne erano rimasti quasi soltanto ruderi. I nuovi padroni la fecero ricostruire secondo i loro canoni architettonici. Nacque così e si sviluppò quella che oggi è conosciuta come Ciudad de Mexico. La massa della popolazione nativa, sottomessa alla Corona di Spagna e al Cattolicesimo Romano, continuò a parlare il Nāhuatl, che fu lingua ufficiale e amministrativa del Vicereame della Nuova Spagna. Ci fu un bizzarro sincretismo tra pratiche indigene, come la produzione di bevanda fermentata dal succo di agave (octli poliuhqui "succo d'agave troppo fermentato", da cui pulque) e la tecnologia importata della distillazione, da cui ebbe origine un liquore superalcolico, molto potente. In un simile contesto, l'alcolismo conobbe uno sviluppo prodigioso. Questa deve essere considerata un'innovazione culturale di somma importanza!  

martedì 25 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI PUNCH 'TIPO DI BEVANDA ALCOLICA'

La parola inglese punch "tipo di bevanda alcolica" ha le sue origini nel subcontinente indiano: deriva dal numerale Hindi पाँच pānc "cinque" (pronuncia /pɑ̃ːtʃ/), per via dei suoi cinque ingredienti originali: un distillato alcolico (in genere rum o arrack), acqua, succo di limone, zucchero, spezie. Il numerale Hindi è a sua volta di origine sanscrita ed eminentemente indoeuropea: sanscrito पञ्चन् páñcan "cinque", a sua volta da IE *penkwe
Se questa derivazione fosse confermata al di là di ogni dubbio, saremmo di fronte a un caso davvero molto interessante di numerale che ha dato origine a un sostantivo concreto, diventato poi una parola viaggiante (Wanderwort) o prestito culturale esteso su vastissimi territori. Ecco alcuni esiti in varie lingue: 

=> Tedesco: Punsch 
   => Ungherese: puncs
   => Russo: пунш (punš
   => Lettone: punšs 
=> Olandese: punch; punspons (obsoleto) 
   => Inglese: punce (obsoleto) 
=> Francese: punch /pɔ̃ʃ/ 
=> Italiano: punch (1); ponce, poncio (obsoleto) 
=> Spagnolo: ponche, punch
=> Catalano: ponx
=> Portoghese: poncha, ponche 
=> Galiziano: ponche
=> Irlandese: puins 
   => Inglese: pince (obsoleto) 
=> Gallese: pwnsh 
=> Polacco: poncz 
=> Giapponese: ポン酢 (ponzu) (2)
=> Giapponese: パンチ (panchi) (3) 
=> Coreano: 펀치 (peonchi)

(1) Ricordo che la sussiegosa Mary Poppins pronunciava la parola con una vocale -o-: /pɔntʃ/. Oggi la pronuncia standard è /pantʃ/. La variante ponce è usata a livello locale (es. a Livorno, in Abruzzo).
(2) Il termine giapponese ponzu, indicante un tipo particolare di punch, è tornato in inglese per effetto boomerang!
(3) Il giapponese ha due forme distinte, ponzu e panchi, perché sono state prese a prestito in tempi e contesti differenti, sviluppandosi così in maniera indipendente. 


Altri tentativi etimologici:

Va detto che esistono studiosi scettici a proposito dell'etimologia di punch dalla lingua Hindi. La sintesi di queste critiche, abbastanza serrate, è contenuta nel dizionario etimologico Etymonline.com. Nel seguito ne riporto la traduzione, che considero sommamente utile. 

(n.2)

La spiegazione risale a "A New Account of East India and Persia, in Eight Letters" (1698) di John Fryer, ma i lessicografi hanno da tempo notato difficoltà fonetiche e storiche. Non c'è prova di una bevanda chiamata panch in India, o altrove, prima della parola inglese; e si sa ora che la parola inglese era in uso prima che gli inglesi diventassero commercianti regolari con le Indie o tentassero insediamenti in India.

Miscele simili al punch a cinque ingredienti, a base di vino, venivano bevute in Europa fin dal Medioevo. Gli alcolici distillati divennero comuni in Inghilterra solo nel XVII secolo, quando divenne comune anche la bevanda punch. Nel 1650 il punch venne chiamato "una bevanda indiana". Assomiglia molto alla bevanda mediorientale sherbet (sorbetto), che differiva solo per essere analcolica; ma l'associazione potrebbe essere stata con il commercio della Compagnia delle Indie Orientali che rendeva gli ingredienti esotici della bevanda accessibili in Inghilterra. Nelle fonti del XVII secolo è spesso associato alle Indie Occidentali: 

"[T]here is a pernicious sort of Drink in great Reputation and Use amongst them [our Country-men, viz. in Iamaica, Barbadoes and the Leward Islands], call'd, PVNCH , [...] This sort of beloved Liquor is made of Brandy or Run, Sugar, Water, Lime-Iuice, and sometimes Ginger or Nutmegs: Now here are four or five Ingredients, all of as different Natures as Light is from Darkness, and all great Extreams in their kind, except only the Water."
[Thomas Tryon, "The planter's speech to his neighbours & country-men of Pennsylvania, East & West Jersey and to all such as have transported themselves into new-colonies for the sake of a quiet retired life." 1684.] 

Traduzione: 

"C'è una sorta di bevanda perniciosa di grande reputazione e uso tra loro [i nostri connazionali, vale a dire in Giamaica, Barbados e Isole Leward], chiamato, PVNCH, [...] Questo tipo di amato liquore è fatto di brandy o rum, zucchero, acqua, succo di lime e talvolta zenzero o noce moscata: ora qui ci sono quattro o cinque ingredienti, tutti di nature tanto diverse quanto la Luce lo è dall'Oscurità, e tutti grandi Estremi nel loro genere, tranne soltanto l'Acqua."  

L'inglese punch è attestato per la prima volta nel termine punch pot (scritto paunche pot), e il riferimento potrebbe essere a una bevanda servita da un particolare tipo di recipiente piuttosto che a una particolare ricetta di bevanda. L'ortografia più vecchia suggerisce una possibile connessione o influenza da parte di paunch ("pancia"). Un collegamento proposto con puncheon ("barile per sapone o liquore") è notato nell'Oxford English Dictionary: "il nome [...] potrebbe essere stato un abbreviazione marinara di puncheon, come quello che i marinai avrebbero cercato per la loro razione di liquore." Ma il primo utilizzo non suggerisce l'origine nautica. 

Un puncheon o poncheon (attestato intorno al 1400) era anche il nome di un'unità di misura per vino o liquore di circa 70 galloni, più dell'uso quotidiano di una famiglia, ma la storia registra ciotole da punch di dimensioni considerevoli destinate a servire grandi riunioni, che potrebbe collegarlo alla nave. Confronta anche le varianti dialettali del francese medio del poncheon, come pochon, con i significati che includevano: una tazza o un bicchiere, un grande mestolo per la zuppa e una sorta di padella o casseruola a tre piedi. 

Un'interpretazione fuorviante:  

Sono rimasto allibito quando sul sito Dersut ho petto quanto segue, in un articolo sul liquore detto ponce alla livornese:  

"Gli inglesi con il loro “punch” a base di 5 ingredienti (punch = “pugno”, “cinque”) – , zucchero, acquavite, limone e cannella – ispirarono la nascita del ponce alla livornese in cui il tè veniva sostituito con del caffè concentrato." 

L'articolista fa confusione tra la parola inglese punch "colpo dato con un pugno" e il numerale Hindi pānc "cinque". In altre parole, afferma che in inglese esista la parola punch "cinque"! Ovviamente si tratta di un'omofonia: punch "colpo dato con un pugno" ha tutt'altra origine, derivando dal medio inglese punchen, bunchen, bonchen "dare un pugno, sferrare un colpo", "battere", di etimologia oscura.  

Conclusioni: 

Nonostante le obiezioni, molto interessanti e dettagliate, riportate da Etymonline.com, resto favorevole all'idea che il nome della bevanda sia derivato dal numerale indiano. Non è necessario che nelle lingue dell'India esistesse già nel XVII secolo una parola panch (o simili) designante una bevanda alcolica composita. È sufficiente che tale parola sia stata utilizzata in modo gergale in un contesto britannico in India (si noterà che la Compagnia Inglese delle Indie Orientali nacque il 31 dicembre 1600). Questa possibilità non può essere esclusa a priori. Così è altrettanto possibile che il termine, formatosi nelle Indie Orientali, si sia radicato molto presto nelle Indie Occidentali. Non dimentichiamoci che i traffici erano intensi e muovevano non soltanto immense quantità di merci, ma anche idee. Era un'epoca interessante, pullulante di sorprendenti connessioni tra paesi lontanissimi.

venerdì 21 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI COCKNEY 'NATIVO DI LONDRA', 'DIALETTO DI LONDRA'

La prima volta che mi capitò di udire la parola "Cockney" mi trovavo a Londra durante una vacanza estiva con la scuola. Mi giunse voce che nella capitale fosse parlato un dialetto incomprensibile a chi conoscesse soltanto l'inglese standard. La cosa destò subito il mio interesse, ma non potei accedere a informazioni utili. All'inizio riuscii soltanto a sapere che i tassisti londinesi si esprimevano correntemente in questo idioma, cosa che metteva in qualche difficoltà gli stranieri.  Poi, un anno fui ospitato da una famiglia che abitava a Saltdean, nell'East Sussex, ma che era originaria di Londra. L'uomo, un robusto macellaio, era di madrelingua Cockney. Mi disse alcune parole, che trovai stravaganti e impenetrabili. 
A questo punto bisogna porsi una domanda: qual è l'origine della parola Cockney? Passiamo in rassegna i dati disponibili.  

Cockney 
uso: sostantivo 
forma plurale: Cockneys 
significato: 
1) londinese nato a portata d'orecchio delle campane di St Mary-le-Bow 
2) abitante o nativo di parti dell'East End di London 
3) londinese di classe operaia (slang) 
4) dialetto londinese

cockney 
uso: sostantivo 
forma plurale: cockneys 
significato: 
1) variante di Cockney (vedi sopra)
2) persona effeminata; bambino viziato (obsoleto) 
   - sinonimi: sissy, pansy, nancy 

Cockney 
uso: aggettivo 
significato: 
1) dell'East End di Londra
2) di Londra in generale 
3) di o relativo a persone dell'East End o al loro stile di linguaggio. 


Il sostantivo e aggettivo Cockney deriva dal medio inglese cokeney, cokenay "uovo malformato", alla lettera "uovo di gallo". In origine era detto di uomini malaticci, fragili o poco virili. La glossa inglese è infatti “a spoiled child; a milksop, an effeminate man”, ossia "bambino viziato; persona debole, uomo effeminato". Il mistero, soltanto apparente, è presto svelato. Quando si sventra un gallo o un pollo, al suo interno si trovano facilmente i suoi testicoli, che sono un'autentica prelibatezza. Nei secoli passati non era facile avere nozioni sensate di anatomia degli uccelli, così i testicoli del gallo potevano essere facilmente ritenuti uova non pienamente sviluppate - anche perché confondibili nell'aspetto con le ovaie delle galline. Ricordo che da bambino chiamavano quei testicoli "le uova del gallo" o "le uova del pollo". È del tutto naturale passare dalla designazione di un "uovo non ben sviluppato" a un "bambino non ben sviluppato" e simili, e lo era a maggior ragione in un'epoca in cui non esisteva il politically correct a bloccare ogni pensiero.  
La prima attestazione della parola Cockney come etnonimo risale al 1600 e si trova nell'opera di Samuel Rowland The Letting of Humours Blood in the Head-Vaine, dove compare nella locuzione "a Bowe-bell Cockney". Questo è un riferimento al tradizionale quanto stravagante criterio per l'identificazione di un vero Cockney: nel suo luogo di nascita si dovevano sentire le campane della chiesa di St Mary-le-Bow.  

Veniamo ora al medio inglese cokeney, cokenay, vocabolo oltremodo interessante. In medio inglese esisteva la declinazione, anche se le terminazioni si erano molto usurate rispetto a quelle dell'antico inglese (anglosassone). 
Questa è la declinazione delle parole coke "gallo", ey "uovo", che corrispondono rispettivamente all'inglese moderno cock e egg

coke "gallo" 
genitivo: coken 
dativo/accusativo: coken 

plurale: 
coken "galli" 
genitivo: coken
dativo/accusativo: 
coken 

ey "uovo" 
genitivo: eyes 
dativo: eye 
acusativo: ey 

plurale: 
eyren "uova" 
genitivo: eyren
dativo/accusativo: eyren 

Come si può ben vedere, il cosiddetto "genitivo sassone" non era ancora un universale marchio agglutinante come nella lingua moderna. 

Note etimologiche: 

Per quanto riguarda l'etimologia di coke "gallo", risale all'antico inglese cocc, a sua volta prestito dal francese antico coc "gallo", con ogni probabilità di origine onomatopeica, cfr. francese moderno coq. Il norreno deve aver preso kokkr "gallo; uccello maschio" dall'antico inglese o direttamente dall'antico francese.
È stata ricostruita una protoforma germanica *kukkaz "gallo; uccello maschio", che però mi sembra aver poco fondamento. Non è certo tra le più solide. Rimando ad altra sede per una trattazione più approfondita delle origini del nome francese del gallo.  

In inglese moderno, l'uovo è chiamato egg, come tutti ben sanno. Ebbene, è un prestito dal norreno egg "uovo" (plurale egg "uova"), entrato in inglese a partire dai dialetti del Nord, quelli parlati in territori che avevano avuto la maggior influenza da parte dei Vichinghi (Danesi, Norvegesi). Questo scandinavismo, occorso ben oltre la fine dell'Epoca Vichinga, si è molto diffuso nell'Inghilterra meridionale, favorito dal fatto che ey "uovo" era diventato quasi omofono di eye "occhio" (anche se la declinazione era diversa: plurale eyen "occhi", etc.). 
La protoforma germanica ricostruibile è *ajjan "uovo". 

Altri tentativi etimologici:  

1) Medio inglese Cockaigne "Paese della Cuccagna", celeberrimo nome di una terra immaginaria di abbondanza estrema, popolarissima nei racconti di epoca medievale. Il Paese della Cuccagna è descritto tra gli altri da Boccaccio nel Decamerone: ricordo nitidamente la sua narrazione, dominata da enormi montagne di lasagne calde e di formaggio parmigiano grattugiato. Nell'immaginario dei contadini, Londra sarebbe stata la terra dell'abbondanza, una specie di Paese della Cuccagna, da cui sarebbe derivato il nome dei suoi abitanti. Resta il fatto che, in tal caso, l'aspetto morfologico di Cockney non si spiegherebbe facilmente. Forse da una metatesi gergale in cui il dittongo è migrato nella sillaba finale? Non si tiene poi conto dal fatto che in origine l'epiteto Cockney era riferito a un'area ristrettissima. 
Sia l'inglese Cockaigne (varianti: Cocagne, Cocaigne, Cockayne) che l'italiano cuccagna derivano dall'antico francese cocagne, in ultima analisi dal protogermanico *kōkōn "torta". Un'omofonia bizzarra: in inglese moderno Cockaigne suona in modo identico a cocaine "cocaina".  

2) Medio inglese cokeren "coccolare" (glossa inglese: to pamper, coddle; inglese moderno to cocker). Possibili paralleli di questo verbo sono il gallese cocru "indulgere; accarezzare" e il francese coqueliner "vezzeggiare"; "imitare il canto del gallo"; "correre dietro alle ragazze", "fare la corte". In ultima istanza, credo plausibile che dal francese antico sia derivata la forma del medio inglese, e da questa sia a sua volta derivata quella del gallese. Si deve trattare di una derivazione dell'antico francese coc "gallo" (moderno coq), ma l'aspetto morfologico di Cockney non si spiegherebbe in alcun modo.  

Conclusioni: 

Sono dell'idea che l'etimologia corretta di Cockney sia proprio quella che lo fa derivare dal medio inglese cokeney "uovo di gallo". Rende conto meglio di ogni altra dell'aspetto della parola; la trovo soddisfacente anche per quanto riguarda la semantica. Le cose dovettero andare così: in un'area ristrettissima di Londra a un certo punto ci fu grande abbondanza e ricchezza, così le famiglie viziarono i figli, volendo risparmiare loro le durezze della vita. Questi bambini coccolati, crescendo persone deboli e malaticce. I ragazzi divennero effeminati e sodomiti passivi, che andavano in giro a cercare gli stalloni. Le ragazze divennero spitinfie schifiltose e  tirosissime, crudeli puttanelle. Per il resto, non si può dire molto sul preciso contesto storico in cui prese piede questo processo di trasformazione antropologica. 

lunedì 17 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI YANKEE

Tutti conoscono bene la parola Yankee "Americano", "Statunitense" (plurale Yankees). Spesso si trova sui muri la scritta "Yankees go home!", ossia "Americani tornatevene a casa!", manifestazione di una diffusa insofferenza. Si noterà che in origine Yankee si riferiva soltanto agli abitanti del New England. Negli Stati del Sud, è tuttora considerato un termine dispregiativo nei confronti delle genti del Nord (i Nordisti). Esiste anche la forma abbreviata Yank (plurale Yanks). 
La situazione può essere riassunta in questo breve componimento:  

To Foreigners, a Yankee is an American.
To Americans, a Yankee is a Northerner.
To Northerners, a Yankee is an Easterner.
To Easterners, a Yankee is a New Englander.
To New Englanders, a Yankee is a Vermonter.
And in Vermont, a Yankee is somebody who eats pie for breakfast.  
(Elwyn Brooks White)

Traduzione: 

Per gli americani, uno yankee è un nordista.
Per i nordisti, uno yankee è un orientale.
Per gli orientali, uno yankee è un abitante del New England.
Per gli abitanti del New England, uno Yankee è un abitante del Vermont.
E nel Vermont, uno yankee è qualcuno che mangia torta salata a colazione.

Possiamo aggiungere che per un abitante della Louisiana, uno yankee è un individuo discendente da anglo-americani, in contrapposizione ai discendenti di franco-americani. Appurato ciò, qual è l'origine di questa bizzarra parola? Esistono diverse opinioni sull'argomento, che è considerato controverso.   

L'etimologia più diffusa, e proprio per questo altamente sospetta, è quella che fa risalire Yankee al nome proprio olandese Janke, alla lettera "Giovannino", "Gianni", diminutivo di Jan "Giovanni". Quando ero un moccioso, alle scuole medie avevo un compagno di classe, a dire il vero mitissimo, il cui cognome era Jäneke. Era figlio di un imprenditore tedesco, che non gli aveva insegnato la propria lingua materna. Venni poi a sapere che la città di origine della sua famiglia era Amburgo. L'etimologia del cognome, che si pronuncia /'jεnəkə/ (ma egli stesso aveva adottato la pronuncia ortografica /'janeke/), è la stessa di quella dell'ipocoristico olandese Janke "Giovannino", "Gianni". 

Incapaci di comprendere l'esistenza del suffisso diminutivo -ke in una lingua diversa dalla loro, alcuni hanno escogitato uno stratagemma che a detta loro avrebbe spiegato meglio la sillaba finale di Yankee: si sono inventati una derivazione dall'olandese Jan Kees, ritenuta una variante di Jan Kaas, ossia "Gianni Formaggio". Questo perché spesso i nomi di scherno attribuiti a uomini di nazionalità ostili traevano origine dal cibo preferito. Così Jean Farine era il francese tipico, alla lettera "Gianni Farina", mentre l'inglese tipico era etichettato come Jack Pudding, ossia "Gianni Budino". In modo simile, moltissimi italiani si sono visti appioppare dai francesi il nomignolo Macaroni, ossia "maccheroni, spaghetti". Per i tedeschi, specie per quelli di simpatie neonaziste, un italiano è descritto con la parola Spaghetti-freßer, ossia "divoratore di spaghetti" (si noterà che il verbo freßenfressen "mangiare, divorare" è usato per riferirsi ad animali). Tuttavia, va detto che nemmeno i figli della Germania sono stati immuni dalla derisione e dallo scherno più grossolano: spesso si sono sentiti chiamare Hanswurst, ossia "Gianni Salsiccia"! 
Per cercare di far fronte alla ridicola ipotesi di "Gianni Formaggio", nel vasto Web è saltata fuori anche l'interpretazione di Kees come ipocoristico di Cornelius, nome che in effetti era abbastanza comune in Olanda. Tempo fa mi sono imbattuto in qualcuno, ancor più ottuso, che è giunto a ipotizzare che Jan e Kees fossero i nomi di due fratelli, inventandosi ex post un mito. Non sono più riuscito, per somma fortuna, a trovare traccia di un simile scempio! Infine, c'è anche chi vorrebbe ricondurre le radici di Yankee al bucaniere olandese Jan Willems (morto nel 1688), noto anche come Janke o Yankey Willems.  

Il bibliotecario, editore e musicologo americano Oscar Sonneck (1873 - 1928), nella sua opera Report on "The Star-Spangled Banner", "Hail Columbia", "America", "Yankee Doodle" (1909), ha confutato una falsa etimologia romanzata secondo cui la parola sarebbe provenuta da una tribù che si faceva chiamare Yankoos, il cui nome avrebbe significato "Invincibili". La risibile storiella affermava che gli abitanti del New England avevano sconfitto questa tribù dopo una sanguinosa battaglia; i restanti indiani Yankoos avrebbero trasferito il loro nome ai vincitori. Sonneck ha notato che diversi scrittori americani dal 1775 avevano ripetuto questa narrazione come un fatto, nonostante fosse piena zeppa di lacune. Secondo Sonneck, non è mai stata tradizione di nessuna tribù indiana trasferire il proprio nome ad altri popoli, né alcun colono aveva mai adottato un nome indiano per descrivere se stesso. Sonneck ne conclude che non è mai esistita una tribù chiamata Yankoos

Il Dizionario Merriam Webster considera le origini della parola Yankee nel modo più deprimente: ETIMOLOGIA SCONOSCIUTA. Esiste una leggenda abbastanza diffusa, secondo cui la parola Yankee deriverebbe dal Cherokee eankke "codardo" o "schiavo". All'origine di questo pacchetto memetico ci sarebbe l'ufficiale britannico Thomas Anburey.  Per contro, sembra che William Gordon abbia dichiarato che la stessa parola avrebbe avuto il significato opposto: "eccellente". Il condizionale, come al solito, è d'obbligo. Resta il fatto che nella lingua dei nobilissimi Cherokee tale vocabolo non si trova, né col senso di "codardo", né con quello di "eccellente". In altre parole, è una fabbricazione, nemmeno tanto ingegnosa!   

Il bandolo della matassa

Non esiste un motivo chiaro che spieghi il successo di trovate tanto grossolane, radicatissime persino in ambito accademico. Anche se la specie umana si sta avviando rapidamente alla demenza più completa, persistono comunque alcune scintille di Scienza e di Verità, che è mio dovere indefettibile evidenziare a pubblica edificazione. 

Nel lontano 1994, Claudio R. Salvucci ha scritto quanto segue (i grassetti sono miei): 


Regarding the etymology of "yankee", someone mentioned that it was a term for the Dutch, which is confirmed in some dictionaries. 
However, there are quite a few 19th century scholars who derive it from an Algonquian (Lenape) attempt to pronounce "English" (The actual Algonquian form given is "Yengwe", later anglicized to "Yankee". I don't know if modern etymological studies have disproved this, but so goes the theory in the 1800's (i think by Rev. John Heckewelder) 

Traduzione: 

Per quanto riguarda l'etimologia di "yankee", qualcuno ha detto che era un termine olandese, cosa che è confermata in alcuni dizionari. 
Tuttavia, ci sono parecchi studiosi del XIX secolo che lo fanno derivare da un tentativo algonchino (Lenape) di pronunciare "English" (l'attuale forma algonchina data è "Yengwe", successivamente anglicizzato in "Yankee". Non so se moderno gli studi etimologici hanno smentito questo, ma così va la teoria nell'800 (penso dal Rev. John Heckewelder) 

Non sono riuscito a reperire altri messaggi di questo interessantissimo thread. Sono però convinto che il Reverendo John Gottlied Ernestus Heckewelder (1743 - 1823) avesse ragione da vendere! Nella buona sostanza, lo Yankee è proprio l'Inglese passato attraverso alla genuina usura fonetica del volgo tra gli Algonchini. 

English => Yeng(w)e => Yankee

1) English è stato assimilato come Yengwe in algonchino; 
2) Yeng(w)e è tornato in inglese americano ed è stato assimilato come Yankee

Questo è un caso lampante di effetto boomerang

“Yengees. This name they now exclusively applied to the people of New England, who, indeed, appeared to have adopted it, and were, as they still are, generally through the country called Yankees, which is evidently the same name with a trifling alteration.” 
(Rev. John Heckewelder) 

Traduzione: 

“Yengees. Questo nome ora lo applicavano esclusivamente al popolo del New England, che, in effetti, sembrava averlo adottato, e si trovavano, come lo sono ancora, generalmente attraverso il paese chiamato Yankees, che evidentemente è lo stesso nome con una piccola alterazione.” 

James Fenimore Cooper (1789 - 1851) è pienamente d'accordo con Heckewelder. Sia ne L'uccisore di daini (Deerslayer: or The First Warpath, 1841) che nel più noto L'ultimo dei Mohicani (Last of the Mohicans, 1826), usa il termine "Yengee" per riferirsi ai coloni inglesi. Sarebbe quindi ora di mandare finalmente al macero tutte le stronzate su Gianni Formaggio et similia! 

giovedì 13 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI HIPPIE, HIPPY E HIPSTER

Con la parola hippie, scritta anche hippy, si indicano gli appartenenti a un movimento giovanile sorto negli Stati Uniti d'America negli anni '60 dello scorso secolo. Questa controcultura era caratterizzata contestazione non violenta del capitalismo e del consumismo, dall'opposizione alla guerra e dalla predicazione di un modo di vivere comunitario fondato sull'amore libero e sull'uso di sostanze psicoattive. Detti anche figli dei fiori (in inglese flower children), gli hippies avevano un abbigliamento tipico. I maschi portavano i capelli lunghi: per questo in Italia erano spesso soprannominati "capelloni". Un'altra designazione era freak, che in slang significa "persona stravagante" (alla lettera "scherzo della Natura"). Da freak è derivata in italiano la parola fricchettone. Nell'inglese corrente, il bonobo (Pan paniscus) è chiamato hippie chimp, alla lettera "scimpanzé hippie", a causa dei suoi costumi sessuali estremamente disinibiti. A questo punto bisogna porsi una domanda: qual è l'origine della parola hippie

Passiamo in rassegna i dati. 

hippie 
variante: hippy 
uso: sostantivo 
forma plurale: hippies 
significato: 
1) "nonconformista" (pacifista, comunitario, etc.) 
2) "persona dall'aspetto trasandato" (slang moderno)
3) 
"persona fortemente interessata alle ultime tendenze o mode" (obsoleto) 
prima attestazione nota, col significato 3): 1953 (*)
prima attestazione nota, col significato 1): circa 1965 

(*) Secondo alcuni era il 1952 (Ruark, 1998).

hippie 
variante: hippy 
uso: aggettivo 
significato: 
1) "che riguarda gli hippies", "degli hippies
2) "che non si conforma agli standard accettati" (slang moderno) 


Il più antico significato con cui la parola hippie è attestata, quello connesso con mode e tendenze, rimanda a un altro vocabolo simile:  

hipster 
variante: hepster (obsoleta) 
uso: sostantivo 
forma plurale: hipsters 
significato: 
1) "persona fortemente interessata alle ultime tendenze o mode" 
     - sinonimo: trendite 
2) "persona amante del jazz" 
     - sinonimo: white negro, white nigger (**) 
3) "membro della controcultura bohemianista" 
Nota: 
Il suffisso -ster è tipico di formazioni come gangster "bandito" (da gang "banda", "cricca"), songster "cantante" (da song "canzone"), youngster "giovanotto" (da young "giovane"). L'origine di questo elemento è chiaramente indoeuropea. 
(**) 
Questa denominazione ha anche altri significati e può essere problematica. In genere, un white nigger (wigger, whigger, whigga) è una persona bianca che adotta atteggiamenti e modi di fare tipici degli afroamericani. Tuttavia l'epiteto è stato anche appioppato a immigrati italiani, irlandesi o polacchi, con intenti razzisti e discriminatori. 

(Significati 1, 2, 3)

L'inglesista italiano medio si fermerebbe qui. Ritengo tuttavia che sia necessario procedere, dato che il suffisso 
-ster deve pur essere aggiunto a una radice dotata di senso compiuto. Si profilano, da parte dell'ingenuo, due possibilità implausibili di identificare la radice in questione. Esistono infatti due parole tra loro omofone,
hip "anca", "fianco" e hip "frutto della rosa". Entrambe sono di origine protogermanica: per la prima cfr. tedesco Hüfte "anca", gotico hups "anca" (< *χupiz); per la seconda cfr. antico inglese hēope "frutto della rosa", tedesco Hiefe "rosa canina" (< *χeupōn). 
Penso che sia sufficiente un intelletto rudimentale per capire che nessuna di queste due parole omofone è un'opzione possibile, già soltanto per elementari motivi di semantica. 
Riportiamo alcune ulteriori voci omonime, che non devono indurre in confusione, dal momento che derivano che derivano da hip "anca, fianco": 

i) hipster "tipo di contrabbandiere di alcol illegale" (durante il Proibizionismo), per via delle fiasche piatte legate ai fianchi;
ii) hipster "tipo di mutande larghe"; 
iii) hipster "ballerino", "ballerina" (anni '30, obsoleto)
iv) hippy "che ha i fianchi larghi" 
v) hip "tossicomane" (pl. hips), per via della caratteristica tendenza degli oppiomani a coricarsi su un fianco. 

Abbiamo un'interessante voce gergale diffusa negli anni '40 e '50 dello scorso secolo, sicuramente collegata in qualche modo a hipster "fan del jazz":  

hepcat 
uso: sostantivo 
forma plurale: hepcats 
significato: 
1) "musicista jazz o swing"  
2) "persona amante della musica jazz o swing" 
Nota: 
Non sembra esistere alcuna variante *hipcat. La cosa è assai strana.  


Ecco finalmente il bandolo della matassa. In ultima analisi, le parole hippie (hippy), hipster e hepcat derivano tutte da un aggettivo molto peculiare: 

hip 
variante: hep 
uso: aggettivo 
significato: 
1) consapevole, informato, aggiornato 
2) vigile, attento 
3) trendy, alla moda 

Può anche essere usato come verbo: to hip "informare", "rendere conoscibile" (terza persona singolare del presente semplice: hips; participio presente: hipping; passato semplice e participio passato: hipped). 

(Etimologia 3)

Questo è quanto riporta il dizionario etimologico Etymonline.com:


hip
(agg.) 

"informato", 1904, evidentemente in origine in vernacolo afro-americano, probabilmente una variante di hep (1), con cui è identico nel senso, sebbene sia registrato quattro anni prima.


hep (1)
(agg.) 

"consapevole, aggiornato", registrato per la prima volta nel 1908 sul "Saturday Evening Post", ma si dice che sia slang della malavita, di origine sconosciuta. Si dice che fosse il nome di "un favoloso detective che operava a Cincinnati" [Louis E. Jackson e C.R. Hellyer, "A Vocabulary of Criminal Slang," 1914] o un custode di saloon di Chicago che "non capì mai del tutto cosa stava succedendo... (ma) pensava di averlo fatto" [American Speech, XVI, 154/1]. Preso dai musicisti jazz nel 1915. Con l'ascesa di hip (agg.) negli anni '50, l'uso di hep divenne ironicamente un indizio del fatto che chi parlava non era consapevole e non era aggiornato.

Pur avendo un aspetto germanico, questo aggettivo hip / hep ha tutt'altra provenienza. In estrema sintesi, l'opinione del mainstream accademico è questa: ORIGINE SCONOSCIUTA
Ovviamente, è inaccettabile finire una ricerca etimologica con la conclusione "origine sconosciuta". Qualcuno ha fatto un'ipotesi concreta, che reputo molto interessante. Nei tardi anni '60, uno studioso di lingue africane occidentali, David Dalby, propose di derivare hip e la sua variante hep dal vocabolo Wolof hipi "aprire gli occhi". Jesse Sheidlower, che ha scritto sull'argomento in un articolo del 2014, menziona l'etimologia Wolof riportata da Dalby e sostenuta da John Leland; cerca quindi di ridicolizzare l'idea, accusandola di essere ideologica. Poi scrive che la lingua Wolof non usa generalmente la lettera "h", essendo xippi la vera parola per dire "aprire gli occhi" (dove x indica il suono aspirato di -ch- del tedesco Achtung e -pp- indica una consonante intensa, come nell'italiano Pippo). A parte la deprecabile confusione tra lettere e fonemi, trovo ridicolo il tentativo di confutazione fatto da Sheidlower. 


Evidentemente le cose sono andate in questo modo: 

Wolof xippi =>
neo-Wolof americano *hipi =>
inglese afroamericano hip, hep 

Evidentemente, la lingua Wolof e le altre lingue africane non scomparvero di botto quando gli schiavi furono deportati in America. Dovettero tuttavia subire una serie di adattamenti alla fonologia delle varietà di lingua inglese parlate nel Paese. Non essendo il suono /x/ familiare ai parlanti dell'inglese americano, finì col diventare /h/. Così le consonanti intense (doppie) divennero semplici. Questo con buona pace della rigida mentalità scolastica gnè-gnè-gnè di Sheidlower. 
Tanto per far capire la complessità della situazione di partenza, queste sono alcune coppie minime di parole Wolof, distinte unicamente dall'opposizione tra una consonante semplice e una consonante intensa (doppia).  

bët "occhio" - bëtt "trovare" 
boy "prendere fuoco" - boyy "essere luccicante"
dag "servitore reale" - dagg "tagliare"
dëj "funerale" - dëjj "fica"
fen "mentire" - fenn "da qualche parte"  
gal "oro bianco" - gall "rigurgitare"
goŋ "babbuino" - goŋŋ, un tipo di letto
gëm "credere" - gëmm "chiudere gli occhi"
Jaw (un cognome) - jaww "cielo"
nëb "marcio" - nëbb "nascondere"
woñ "filo" - woññ "contare" 


Ricordo la serie televisiva Radici (Roots, 1977), che rese popolare il personaggio del Mandingo Kunta Kinte. Tra le altre cose, si poneva la questione della lingua. La scomparsa delle lingue africane, considerata totale e improvvisa, era ricondotta sostanzialmente a tre cause: 

1) Il trauma (una ragazza urlava a Kunta: "Ho dimenticato quella lingua africana."); 
2) La superstizione (un anziano, credo si chiamasse Pompeo, diceva a Kunta: "Porta male parlare nel vecchio modo."); 
3) L'irrisione (la figlia di Kunta cercava di spiegare a un ganzo colossale il proprio africano, Kizzy, dicendogli che significava "Tu rimani". Lui la derideva.) 

Le cose non possono essere state così semplici. Consideriamo che il flusso di schiavi africani durò molto tempo, così giungevano sempre nuovi parlanti di varie lingue: Wolof, Mandinka, Yoruba, Bantu e via discorrendo. Anche se, a quanto pare, le diverse nazionalità venivano mescolate per rendere difficile la mutua comprensione, evitando così facili insurrezioni, qualche nucleo coerente di parlanti della stessa lingua dovette comunque formarsi e sussistere nel tempo.