venerdì 25 dicembre 2015

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI BASCO ABERE 'ANIMALE' E ABERATS 'RICCO'

Il vocabolo basco aberats "ricco" è formato da abere, che attualmente ha il significato di "grande animale domestico", tramite il suffisso -tsu che marca l'abbondanza. Questa è la trafila dei mutamenti: aberats < *aberatsu < *aberetsu. Se supponiamo che abere < lat. habe:re avesse l'originario senso di "proprietà, possesso", ben attestato nella Romània, non sarebbe necessario alcuno slittamento semantico per spiegare aberats. Così *aberetsu "che ha molti averi" si sarebbe sviluppato direttamente nel basco aberats "ricco".

Nel database di Sergei Starostin, il prof. John Bengtson afferma che lo slittamento semantico dal latino habe:re "avere" al basco abere "animale" sarebbe contorto, e suggerisce un'etimologia nord-caucasica:

«Cf. PNC*bü̆ɫV 'horned animal'. The variant abel- appears in compounds such as abel-buru 'head of cattle'. Michelena (1961) derives this word from Lat. habere, though the semantic derivation is tortuous ('to have' > 'possession' > 'animal'), and internal reconstruction brings us to *a(=)bele, phonetically and semantically a straightforward match with PSC *bVɫV.»

Tuttavia noi possiamo notare queste evidenze:

1) Lo slittamento in questione è molto comune in società pastorali;
2) Esistono buoni esempi di simili slittamenti in nomi del bestiame, come il castigliano ganado "bestiame" da ganar "guadagnare", e analogamente il portoghese gado < *ganado
3) Nelle lingue romanze sono ben documentati termini derivanti dal latino habe:re come protoforma produttiva. Riguardo a queste denominazioni del bestiame e di animali, q
uesto è riportato sul dizionario etimologico di Manuel Agud e Antonio Tovar alla voce ABERE:

«Parece estar fuera de duda que es el lat. habere en la acepción sustantivada de 'hacienda', 'bienes', que se halla en lenguas románicas (esp., prov., fr. etc.: Luchaire Origenes 45, Sch. ZRPh 27, 625, Mich. FHV 226 y FLV 17, 193, FEW 4, 364), y más específicamente con la acepción de 'bienes en ganado'. (Cf. lat. pecus / pecunia, esp. ganar / ganado : Corominas 2, 655): haberío, abrío significa 'mula' en Aragón y Ribera de Navarra, 'asno' en Soria, averío en Murcia 'bestias para el trabajo agriesto', en Segovia 'ganado', en Cataluña avería 'cabeza de ganado mayor', en gall. haber 'res vacuna' (GDiego RFE 8, 411 Y Corominas 2, 859 y 655) prov. aver 'animales, rebaño' (con el cual lo relaciona Mich. 1. c.); norm. aver 'animales'; lyon. avair 'enjambre de abejas'; cat. aviram, que ha sido aproximado a avería 'bétail' (Rohlfs Gaseon 63 y RIEV 24, 336; REW 3958) (Corominas 10 da como cruce de los sinónimos aviam (< auiamen) con averza (de habere).»

Come sopra riportato, l'altra obiezione di Bengtson è che abere dà nei composti abel-, e che questo punterebbe a una protoforma *abele. Anch'io sono stato sedotto da simili considerazioni, al punto che ero giunto ad affermare in modo indipendente già anni prima che il lavoro di Bengtson fosse pubblicato. Questo argomento, condiviso con l'amico Octavià Alexandre, ha nel frattempo fatto strada: anche António Marques de Faria nella pubblicazione digitale Crónica de onomástica paleo-hispânica (in portoghese) ha scritto quanto segue:

«Em relação a abel, não podemos deixar de notar que, em contraposição à tradicional etimologia latina unanimemente prescrita para o basco abere ‘animal’, ‘gado’, assente no lat. habere (DEV I, pp. 282–283), foi, em data recente, sugerido por Octavià Alexandre que “el vasco abere supone un pre‑vasco *abele, como muestran la forma combinatoria abel‑ y las inscripciones aquitanas e ibericas”» 


Tuttavia a distanza di anni, dopo aver lasciato sedimentare i miei studi sulla lingua Euskara, mi rendo conto che l'idea di una protoforma *abele è abbastanza inverosimile. Ho riflettuto a lungo non solo sui paralleli romanzi della parola basca, troppo diffusi e differenziati per essere prestiti, ma anche sul fatto che in basco esistono esempi di -l- derivata da -r- in composti formati a partire da alcuni significativi prestiti dal latino:

amore "amore" : amol-tsu "docile, amabile"  
    < lat. amo:re(m) 
zamari "cavallo" : zamal-dun "cavaliere"  

    < lat. sagma:riu(m)

Sarebbe assurdo separare basco amore dal latino amo:re(m) ricostruendo un fantomatico *anbole, o separare zamari da sagma:riu(m) ricostruendo *zanbali: è evidente che a dispetto di -l-, le protoforme sono latine e hanno -r-

Potrebbe trattarsi di residui di un fenomeno affine alla lisca di Livorno, una singolare pronuncia che trasforma -r- e -s- davanti a consonante in -l-, per cui Livorno diventa Livolno. L'origine di questa "lisca" in basco potrebbe però anche essere analogica e formata a partire da importanti parole native, come ad esempio gari "grano", che realmente deriva da *gali e che dà composti come galbae "setaccio per il grano", galburu "spiga di grano", galsoro "campo di grano", galtzuri "grano duro"

Così per analogia con zamari, è accaduto che abere ha dato forme in abel-. In origine doveva essere *aberdun (notiamo che tra l'altro un aberedun è documentato), poi la variante abeldun è prevalsa.

Le forme iberiche e aquitane assonanti con abel-, hanno a parer mio una differente origine, che riconduco a un indoeuropeo preceltico *abell- "frutto, mela", affine al celtico *aball- "mela", in ultima analisi da IE *abel-, di origine sconosciuta. Di questo avremo modo di parlare in seguito.

sabato 19 dicembre 2015


LA NUOVA EPIDEMIA DI SIFILIDE

Parlando col mio diabetologo, il discorso è caduto sulle malattie veneree. Il tutto era partito dal grottesco questionario per la valutazione della funzionalità erettile, che spesso viene sottoposto all'attenzione, visto che elevati livelli di glicemia possono ledere la potenza sessuale. Non ho fatto menzione delle mie convinzioni encratite, e ho spiegato che evito il contatto col gentil sesso per via del terrore delle malattie veneree, soprattutto della sifilide. Così mi ha detto il dottore: "La sifilide è una cazzata che si cura in pochi giorni". Sarà, non metto certo in discussione la sua esperienza medica, ma le sue parole mi hanno lasciato molto perplesso. Saranno anche vere, ma soltanto a due condizioni:

1) che la malattia sia scoperta per tempo;
2) che il Treponema pallidum contratto non appartenga a un ceppo resistente agli antibiotici
.

Purtroppo per gli amanti della conoscenza in senso biblico, queste due condizioni non sono affatto certezze garantite.

Diversi anni fa, discorrendo con un amico, che è un gran fornicatore, gli ho fatto notare che a Milano si registrava un nuovo caso di sifilide ogni giorno, e che anche a Roma le cose non dovevano andare in modo tanto diverso. L'amico mi ha risposto che quel nuovo caso non sarebbe mai stato lui: "Ogni giorno ci sono milioni di persone che scopano, e le probabilità che la disgrazia becchi proprio me nel mucchio sono in pratica zero". Se è contento così, beato lui. Io nei suoi panni non mi sentirei così tranquillo. Ricordate il famoso film Il Cacciatore, quello in cui il protagonista faceva la roulette russa? Ogni volta che lo tramettevano in TV qualcuno lo imitava e si faceva saltare le cervella. Ecco, tutti quei poveretti erano molto più al sicuro di chi confida nel caso per sfuggire al contagio.

Fossero tutti qui i problemi, sarebbe ancora niente. Non sono infatti rare le persone che sostengono a spada tratta e senza mezzi termini che le malattie veneree non esistono, o che al massimo riguardino solo i sodomiti. A questo proposito esiste una tradizione popolare inveterata. 

Ancora una volta la mia memoria mi è di grande aiuto. Ricordo T., e sua moglie M., un'allegra compagnia, non c'è che dire. All'epoca non avevo ancora capito che persone fossero, e commettevo il grave errore di frequentare il loro salotto. Ad ogni menzione dei morbi venerei, T. reagiva con stizza. In dialetto brianzolo sbottava alla moglie, che nutriva qualche timore: "Dagh minga a trà. Chi rollà gh'inn nò". Alla fine, costretto ad ammettere che le malattie veneree non le ho inventate io, aggiungeva col contorno di qualche rustica bestemmia: "I ciàpen dumà i cü". Come obiettavo che virus e batteri colpiscono le donne e gli uomini senza alcun pregiudizio, M. si ricomponeva, ed ecco che enunciava con sussiego la sua sintesi hegeliana: "Beh, se una donna va con tanti uomini, bisogna capire che qualcosa la deve avere, non si può pretendere che sia sana come un pesce". Come se fosse qualcosa di cui una donna dovesse andar fiera. 

Sarebbe però un errore pensare che queste nocive convinzioni siano una prerogativa del volgo più grossolano: esse intaccano qualsiasi strato sociale, quale che sia il livello di istruzione delle persone. Il negazionismo venereo è incredibilmente tollerato e gode dell'approvazione nemmeno tanto segreta di chiunque intrattenga relazioni carnali. Esso è sostenuto dal potere politico e dai suoi ripugnanti lacchè: i mass media. Non solo: è sostenuto a spada tratta dal Papato. Questi poteri del mondo fanno di tutto perché le genti copulino senza alcuna protezione e senza alcuna preoccupazione delle conseguenze. Si può parlare di una vera e propria censura, che proibisce di trattare l'argomento e anche soltanto di alludervi. Tuttavia, a dispetto dei desiderata di politicanti e cardinali incartapecoriti, batteri e virus trovano la loro strada da un corpo all'altro e banchettano allegramente con le carni delle loro vittime.

Già all'epoca dell'università mi era giunta voce di un focolaio di supergonorrea incurabile che si era formato in Thailandia. Adesso il contagio è arrivato fino in Italia e in Inghilterra. Una dozzina di anni fa sono venuto a sapere che un focolaio di sifilide, formatosi a Mosca, aveva dato origine a nuovi centri di infezione a Lugano e a Milano. La lue, che gli stolti Svedesi si erano affrettati a dichiarare scomparsa dalla loro nazione, aveva fatto la sua ricomparsa. 

Sfidando la censura imposta dai mass media, allego a questo punt il link alla tesi di dottorato di Francesca Negosanti, intitolata "La nuova epidemia di Sifilide". Un ottimo documento, che rende almeno l'idea di quella che è soltanto la punta dell'iceberg.     

domenica 13 dicembre 2015

CONTRO LA STUPIDITÀ NEANCHE GLI DEI POSSONO NULLA

Un'annunciatrice televisiva galvanizzata ha aperto il telegiornale serale con un sorriso smagliante e se ne è uscita annunciando un evento storico, "in grado di cambiare la nostra vita, quella dei nostri figli e dei nostri nipoti". Si tratta del famigerato Accordo di Parigi sul Clima, presentato come una panacea in grado di risolvere una volta per tutte il problema delle emissioni climalteranti. Peccato che esista una futilità di fondo che impedisce alle genti di vedere le cose per come sono.

1) L'elevato potenziale di riscaldamento globale (GWP) del "black carbon", il carbonio elementare contenuto nelle polveri da combustione, e il massiccio rilascio di metano dovuto allo scioglimento del permafrost sono in grado di vanificare i già dubbi benefici dell'Accordo di Parigi. Per motivi politici, ecco che a queste realtà non si può neanche alludere. 

2) I fondi stanziati per i paesi in via di sviluppo (100 miliardi di dollari l'anno!) saranno bruciati in orge e in cocaina, senza produrre alcun risultato - con la possibile eccezione dei soldi dati ai paesi arabi, che finiranno direttamente nelle casse dello Stato Islamico. Stolti sono coloro che cercano di risolvere il problema dei gas climalteranti con misure economiche, essendo l'economia fondata interamente sulla corruzione. Che poi esista un nesso lineare, diretto e quantificabile tra queste misure economiche e il contenimento dell'aumento della temperatura media globale entro i 2 °C, è tutto da dimostrarsi. 

3) La natura "vincolante" dell'accordo è di per sé assolutamente ridicola. Cosa faranno se la Cina continuerà a bruciare carbone a manetta? Manderanno un commissario a dire agli alti papaveri del Partito Comunista Cinese: "Bu! Siete brutti e cattivi?" Estorceranno loro denaro, mi dicono. Certo, peccato che questo non ricaccerà le emissioni di CO2 nei camini delle centrali e nei tubi di scappamento delle automobili. 

4) Nella loro assoluta cecità, i poteri del mondo non capiscono un fatto molto semplice. Se anche si implementassero misure talmente efficaci da ridurre del 50% tutte le emissioni climalteranti del pianeta - cosa che potrebbe fare soltanto Harry Potter con la sua bacchetta magica - il risultato sarebbe semplicemente un rallentamento del processo di surriscaldamento. Si arriverebbe in venti anni dove arriveremmo in dieci anni senza alcuna misura (scenario BAU, ossia Business as Usual). Si noterà che vent'anni sono un lasso di tempo irrilevante non solo in termini geologici, ma anche in confronto alla durata della storia del genere umano.

5) L'unico rimedio in qualche misura efficace, la riduzione della popolazione umana tramite riduzione della natalità, soprattutto nel Terzo Mondo, è considerato un tabù e non se ne vuole nemmeno parlare. La formula del cosiddetto "sviluppo sostenibile" è un ossimoro, molto più insensato del classico ghiaccio rovente, o della proverbiale pretesa di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Di più, è una mera invenzione nata per piaggeria nei confronti dei poteri religiosi embriolatrici. 

Alla luce di queste semplici ma inesorabili considerazioni, la fine del genere umano e la riduzione del pianeta a una distesa sterile sono cose sommamente desiderabili, in grado di portare la Pace. Qualsiasi misura di mitigazione dei mutamenti climatici, per quanto di dubbia efficacia, è da considerarsi come accanimento terapeutico

martedì 8 dicembre 2015


DALLO SCARICO ALL'ALBA
ll nuovo capolavoro della Scat Science Fiction

Autore: Vinicio Motta
Anno: 2015
Genere: Scat Science Fiction (Fantascienza
     scatologica)
Pubblicazione: VERDE
    (mensile elettrocartaceo, autoprodotto e gratuito
    di protolettere, interpunzioni grafiche e belle
    speranze, fondato a  Roma nell’aprile 2012 da
    Pierluca D’Antuono)
Link:


Attesissimo seguito di Mercuriale sulfureo-scatologico. Il protagonista prosegue il suo viaggio allucinatorio nelle vastità fecali di una cloaca, alla deriva in un flusso cangiante di escrementi delle più svariate provenienze. Questo è l'incipit del racconto: 

La gianni è bella, la gianni è saporita. Io però – non fraintendetemi – la gianni non voglio mica mangiarla. Non sono un cannibale, no no. Attorno a me, in questa profumatissima fogna, infinite gianni. L’una diversa dall’altra, ciascuna con una personalità e un nome. Tutte bellissime.
Io sono la gianni e la gianni è me.
Sono felice.
Perché la gianni è bella. Perché la gianni è saporita.
Nostalgia fantasma: vorrei tanto ricordare da dove vengo.
«Lascia fare a noi!» dicono in coro tutte le altre gianni del mondo.
«Grazie!» rispondo. «Vi amo!»
Veloce come un fiotto di diarrea incontrollabile, permeo migliaia di cadaveri di esseri umani, coccodrilli e pesci rossi, chiedendo aiuto alla gianni intrappolata nelle loro viscere putrescenti.
Nessuna risposta.

Il linguaggio è visionario, il lessico presenta innovazioni geniali. Nel linguaggio della Chiesa Fecale, ecco che compare il sostantivo "gianni", che si traduce con "stronzo". Si noterà che tale vocabolo è di genere femminile: così si dice "la gianni". Se la Merda è il Principio Creatore in una delirante visione di panteismo escrementizio, ecco che ogni singola gianni ne è un componente. In altre parole, la gianni è un atomo della Merda. Mi auguro che il progetto prosegua culminando in un terzo racconto, in modo da formare una trilogia che potrebbe ben intitolarsi Gianni 3000.

Invito l'autore, l'ottimo Vinicio Motta, a commentare questa mia recensione. 
 

IL PIANETA DI SATANA

Autore: Mike Resnick
Titolo originale: Walpurgis III
Editore: Mondadori (Urania 984)
Prima pubblicazione: 1982
Pubblicazione su Urania: Novembre 1984
Copertina: Giuseppe Festino

Sinossi (da Mondourania):
Conrad Bland è Satana incarnato, un essere così immensamente malvagio che se qualcuno non s'incaricherà di fermarlo finirà per distruggere ogni vita nell'Universo. Jenko è l'assassino più efficiente di tutta la Galassia, ed è a lui che la Repubblica affida il compito di eliminare Bland. Ma Bland ha trovato asilo su Walpurgis III, un pianeta di Satanisti Antirepubblicani che si preparano a difenderlo con ogni mezzo. Il duello all'ultimo sangue sarà dunque tra un assassino solitario e un intero pianeta di malvagi scatenati.

Recensione:
Un autentico capolavoro, unico nel suo genere. Suo grandissimo pregio è quello di andare contro la peggiore pestilenza della nostra epoca: la dottrina del Principio Antropico. L'autore afferma in modo deciso e strenuo l'idea del Male Metafisico, che nel mondo odierno gode di ben pochi sostenitori (di cui uno, fierissimo, è proprio il sottoscritto). Data questa premessa importantissima, sorvolo sull'amicizia di Resnick con Anton Szandor LaVey. Anche se l'autore si professa "ebreo ateo", mostra di conoscere bene la Chiesa di Satana, il cui culto dell'edonismo egoista è largamente illustrato nel libro. Il pianeta Walpurgis III, la cui popolazione deriva per intero da un'antica colonizzazione ad opera di adoratori del Maligno, è il centro dell'azione. La cosa più singolare è però il personaggio di Conrad Bland, che irrompe come un astro mortifero nella narrazione. Qualcuno, non ricordo più chi, disse che egli incarna il concetto manicheo del Male, inteso come essenza propria e non come assenza di qualcosa. Definizione molto acuta. Nella buona sostanza, non mi convince l'etichetta di "ateo" che Resnick stesso si è dato. Difficile credere che un uomo che "non crede a nulla" - come l'autore si definisce - possa concepire un personaggio simile. La cosa è tanto più stupefacente se si considera che l'intero panorama del pensiero moderno è animato da una totale avversione verso il concetto stesso di esistenza del Male come qualcosa in grado di trovare in sé la sua spiegazione. 

Queste sono alcune citazioni di Conrad Bland: 

Il male ha una giustificazione in se stesso. Di conseguenza sono prive di senso spiegazioni come potere, piacere e profitto.

Se uccidi una persona, sei un assassino. Se uccidi un milione di persone, sei un conquistatore. Se uccidi tutti, se un dio.

Confusione e Caos sono le ancelle del Male.

Il male non ammette alternative.

Perché mai qualcuno vorrebbe andare all'Inferno, se non per impadronirsene? 

Il trionfo del male è inevitabile come il succedersi delle stagioni.  

Ancora una volta viene smentito il pregiudizio della natura asettica di Urania. Il killer Jenko, che si ritrova a vagabondare su Walpurgis III in cerca di un modo per uccidere il genocida Conrad Bland, entra in un tempio dove assiste a una celebrazione satanica. Una ragazza gli si offre per un rapporto sodomitico durante la Messa Nera. Jenko non si tira indietro e la penetra nell'ano, fino ad eiacularle dentro, nelle feci. E non basta: "Nella successiva mezz'ora, con svariati partners d'ambo i sessi, si ritrovò a dovere partecipare ad atti tanto degradanti che finora aveva creduto esistessero solo nella fantasia contorta dei più volgari pornografi della Repubblica." Che dire? I lettori bulimici, che leggono una riga sì e dieci no, con ogni probabilità si sono persi questo brano.

Segnalo la recensione di Moreno Pavanello, pubblicata sul blog Storie da Birreria


È interessante, anche se non entusiastica come la mia. Mi lasciano perplessi alcuni passaggi, come questo: 

"Simpatico il world building, secondo cui un mondo basato totalmente su culti che prevedono spesso sacrifici umani e altre simpatiche usanze spesso in contrasto tra loro (e tante volte anche abbastanza ridicole, come le donne che vanno in giro a seno nudo), comunque riesca a stare insieme." 

L'usanza delle donne a seno nudo si trovava ad esempio nell'antica Creta, e difficilmente si possono liquidare i costumi delle sue matriarche come semplici carnevalate. Per quanto riguarda il dubbio che un mondo i cui abitanti hanno usanze tanto eterogenee possa stare insieme, mi sembra infondato, considerata la storia del pianeta Terra, in cui si trovano nazioni non meno inconsistenti di Walpurgis III. Eppure in qualche modo riescono a sopravvivere. Un esempio? Gli Stati Uniti d'America.

E ancora: 

"Insomma, questo libro è proprio il più classico degli Urania: corto, scorrevole, divertente, senza eccessive pretese di complessità o profondità. Perfetto da portare in spiaggia. Se invece cercate qualcosa di più profondo, potete anche guardare da un'altra parte."

Penso di aver dimostrato che non solo non si tratta di un romanzo superficiale, ma che in esso sono trattati temi filosofici e morali di cruciale importanza.

Note: Spero di dare una risposta soddisfacente alla curiosità di molti navigatori sull'enigmatica nave nella copertina di Urania 984. La copertina di Giuseppe Festino non appartiene in realtà a quest'opera, ma fu scambiata per errore con quella del numero precedente di Urania, L'equazione del Giorno del Giudizio, di R.A. Lafferty. Si vede in essa un Jenko stralunato che si nasconde dietro un muro, mentre passano alcune donne lascive col seno scoperto, intente a trasportare un inconsueto feretro: il corpo di un felino deceduto.

 

LA FISICA DEL KARMA
(in due volumi)

Autore: Arsen Darnay
Titolo originale: The Karma Affair
Editore: Mondadori (Urania n. 856 e 857)
Prima pubblicazione: 1978
Pubblicazione su Urania: Ottobre 1980 (in due parti)
Copertine: Karel Thole

Sinossi (da Urania 856 e 857):
La dottrina indiana del Karma corrisponde a ciò che i Greci chiamavano palingenesi e metempsicosi ovverossia reincarnazione delle anime. Secondo filosofi come Schopenhauer, psicologi come Jung e fisici teorici come Pauli, questa dottrina non è così pazzesca come sembra. Ma se allora qualcuno proprio in base al principio di Pauli e alle esperienze sul neutrino scoprisse un modo per impedire agli spiriti di reincarnarsi? Se laboratori e depositi nucleari si trasformassero in un diabolico strumento per bloccare la legge cosmica del Karma? Il grandioso, stupefacente romanzo di Arsen Darnay, che presentiamo diviso in due fascicoli, si fonda appunto su questa possibilità e la sviluppa fino alle sue più inimmaginabili conseguenze.

Seconda parte:
Attenzione - Questa seconda parte della Fisica del Karma può essere "studiata" anche da chi, eventualmente, avesse mancato la prima. Basti sapere che Aspic, l'eterno nemico di Jack, è il fisico che ha tentato di fermare la legge del Karma e la reincarnazione delle anime.

Indice: 

Prima parte:
I  -  Nascita di una tecnologia
II  -  I fatti del 1992
III  -  La cattura degli spiriti 

Seconda parte:
IV  -  Le carovane
V  -  Plutonium
VI  -  L'ultima battaglia


Recensione: 

Una sintesi per punti della prima parte: 

. Le terre inospitali chiamate Shashtuk
. Una popolazione indiana superstite che abita nelle Shashtuk
. Lo sciamano Cammina-In-Aria, capo della comunità indiana delle Shashtuk 
. Il progetto di costruire nelle Shashtuk un deposito di scorie radioattive
. La necessità, sostenuta da Jack C. Clark, di dar vita a un clero monastico di guardiani delle scorie, che adorano il plutonio come loro Dio
. Templar e la dottrina del Karma, sua esposizione dettagliata
. Il progetto di Teddy Aspic, che mira a costruire una macchina mostruosa in grado di intrappolare gli spiriti
. Rivalità tra Teddy Aspic e Jack Clark per via di Evelyn, una donna libidinosa: lei si concede a Aspic e Clark giura al suo rivale odio eterno
. Esistenza di un "nodo karmico" che lega Aspic, Clark e la lussuriosa Evelyn, svelato da Templar
. Teddy Aspic costruisce lo Psicotrone proprio nelle Shashtuk 
. Jack Clark diventa il primo Direttore del deposito di scorie...

La seconda parte si apre su uno scenario del tutto diverso. Molto tempo è passato dagli eventi narrati nella prima parte: c'è stata la Guerra Olocaustica, il cielo è diventato polverulento e cupo, la civiltà è crollata. Dove un tempo sorgevano città e terre coltivate, ora è tutta una distesa selvaggia di erba geneticamente mutata, chiamata mutaerba. I centri abitati più grandi somigliano alle città minerarie del vecchio Far West. Le conseguenze delle azioni di Jack Clark e di Teddy Aspic perdurano: i discendenti dei monaci di Plutonium sono relitti umani chiamati Plutotizi (una traduzione infelicissima dell'originale Plutojacks), che chiamano il plutonio Godbod (ossia God's body "Corpo di Dio"), e lo Psicotrone è ancora in funzione. Gli stessi Clark e Aspic, reincarnati, finiranno con l'interagire di nuovo, e nulla potrà evitare la resa dei conti...   

E chi l'ha mai detto che Urania rifugge da temi scabrosi? Chi ha mai detto che la celebre collana è improntata a un generale puritanesimo che impedisce ogni descrizione di atti sessuali? Ebbene, coloro che hanno pensato queste cose sono in errore e non sono lettori attenti. Per forza: "leggono" un libro in un'ora e un migliaio di libri in un anno :) Ricordo ancora che molta gente si è stupita quando è stato pubblicato E-doll di Francesco Verso, stigmatizzando le scelte editoriali di Urania, a loro avviso diventata all'improvviso hot. Che dire allora del romanzo di Arsen Darnay? Vi sono narrate le gesta di un mago che frusta una gigantesca cogniglia dotata di poteri telepatici, godendo di un perverso rapporto sadico e raggiungendo l'orgasmo eiaculando nel vuoto mentre la sua vittima spasima sotto la sferza. Come se non bastasse, un cercatore di tesori brama di congiungersi sessualmente con tale mostruoso animale: rinchiuso in un carrozzone con l'oggetto dei suoi desideri, ne fruga il pelame alla ricerca della vulva. Tutto questo tenendo conto che in America la bestialità erotica è ritenuta un crimine paragonabile alla pedofilia. L'autore, nato in Ungheria e trasferitosi negli States, ha dato prova di grande coraggio, dimostrando che non esiste un solo argomento, per quanto scabroso e ripugnante, che possa essere privo di interesse ai fini della fantascienza.

L'originalità del libro sta nel tentativo di far rientrare nel dominio della Scienza il destino dell'uomo oltre la morte. L'autore descrive così bene i princìpi del funzionamento della terribile macchina psicotronica da dar l'impressione di essere riuscito nell'impresa galileiana di rendere misurabile ciò che non è misurabile. L'impostazione che ne consegue è di certo pseudoscientifica e a tratti risente dei concetti popolari nella California tossica degli anni '70, ma di certo è qualcosa di atipico che non mi è mai capitato di riscontrare in altre opere di fantascienza. Ne nascono spunti per interessanti riflessioni filosofiche. 

sabato 5 dicembre 2015

SULLA NATURA IRREVERSIBILE DEL FLUSSO TEMPORALE

Un esperimento svoltosi al CNR ha dimostrato la natura irreversibile del flusso temporale non soltanto nel mondo macroscopico, ma anche in quello microscopico. Un grave problema della fisica quantistica è stato finalmente risolto. In estrema sintesi, non si può riformare una particella una volta che è decaduta. Per maggiori approfondimenti rimando al testo pubblicato sul sito del CNR:


Questo è lo studio di Claudio Conti, Physical realization of the Glauber quantum oscillator, pubblicato su Scientific Reports


Tutto ciò ha conseguenze severe, specie sulla letteratura fantascientifica che descrive viaggi nel tempo verso il passato. Per la verità, sono anni che vado sostenendo che il flusso temporale è irreversibile sia a livello macroscopico che microscopico, e che l'impossibilità di procedere dal presente al passato è deducibile già utilizzando i soli princìpi della Logica. Ovviamente non fanno testo i tachioni, particelle postulate da Einstein e dotate della proprietà di muoversi verso il passato in un mondo, il Tachiverso, in cui l'effetto precede la causa. Questi tachioni si muovono a velocità superiore a quella della luce nel vuoto e non possono interagire con i nostri strumenti. Infatti il Tachiverso è eternamente separato dall'Universo Tardionico, le cui particelle si muovono a velocità inferiore a quella della luce e in cui l'effetto segue la causa.

Se tuttavia, per assurdo, fosse in certe condizioni possibile viaggiare dal presente al passato, invertendo il flusso temporale, si può mostrare con ottimi argomenti che il fenomeno non gioverebbe in nessun modo alla fantascienza, vanificando tutte le trame che fino a oggi sono state concepite a partire da questo controverso argomento.  

Immaginiamo, fissato un tempo A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/2000), che un ipotetico crononauta si trovi in un tempo B, successivo ad A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/3000). La situazione del crononauta nel suo punto di partenza è frutto dell'evoluzione dal tempo A al tempo B attraverso tutta una serie di eventi che si sono verificati. In questo lasso di tempo, della durata di un millennio, sono compresi tutti gli eventi che vanno dalla nascita del crononauta al suo stato al tempo B, e tutti gli eventi che hanno reso possibile l'esistenza del crononauta stesso (ad esempio le vite dei suoi genitori, dei suoi nonni, e via discorrendo). Se il crononauta si trovasse a viaggiare dal tempo B verso il tempo A, dovrebbe giungere in un'epoca in cui il suo corpo non era definito: soltanto una catena di accoppiamenti avrebbe reso possibile la sua formazione secoli dopo. 

A questo punto, la fantasia degli scrittori di fantascienza si è scatenata portando alle situazioni più imbarazzanti. Questo perché esiste una ben precisa tendenza: quella che porta a considerare il viaggio nel tempo ad opera del crononauta come un viaggio fisico che parte da un soggetto situato nel tempo B e ne trasferisce il corpo nel tempo A. Il corpo e tutte le conoscenze che sono stoccate nel cervello. Così ecco che il crononauta può incontrare un proprio antenato, passeggiare allegramente nel passato, interferire liberamente con atti di ogni tipo. Può persino sedurre una propria antenata commettendo un ben bizzarro incesto e ingravidarla. Ecco allora nascere nella mente dei fantascientisti deboli segnali di paradosso. Ragionamenti appena abbozzati del tipo: "Cosa succederebbe se uno tornasse indietro nel tempo e uccidesse il proprio trisavolo?"

In realtà le cose stanno diversamente. Il viaggio dal tempo B a un tempo A precedente, se anche fosse davvero possibile, non potrebbe portare nel passato nemmeno una particella subatomica, nemmeno un barlume di informazione. Nulla di utilizzabile ai fini di uno scritto di fantascienza. Il tragitto che da A porta a B deve essere immaginato come un video in formato mp3 che viene visionato da un utente. Il viaggio nel tempo da B a A corrisponderebbe dunque all'azione dell'utente che, mosso il cursore del computer, riporta il video dalla fine all'inizio per guardarlo un'altra volta - tal quale la prima e senza alcun cambiamento. 

A un ipotetico crononauta è fatto assoluto divieto, pena la violazione delle leggi stesse della Logica - prima che della fisica quantistica - di muoversi verso un passato in cui il suo corpo non era definito. Questa è soltanto la prima importante conclusione.

Adesso immaginiamo, fissato un tempo A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/2980), che un ipotetico crononauta si trovi in un tempo B, successivo ad A (ad esempio, ore 0:00 del 01/01/3000). Come si vede, il tempo A dista vent'anni dal tempo B. Così se il crononauta ha 40 anni al tempo B, il suo viaggio nel tempo da B verso A, lo riporterebbe all'epoca in cui aveva 20 anni. La differenza rispetto alla prima situazione che abbiamo esaminato è che al tempo A il crononauta aveva la sua esistenza fisica definita. Come nel primo caso, la situazione del crononauta nel suo punto di partenza è frutto dell'evoluzione dal tempo A al tempo B attraverso tutta una serie di eventi che si sono verificati lungo il percorso. In questo lasso di tempo, della durata di vent'anni, sono comprese tutti gli eventi che hanno contribuito alla formazione del crononauta, rendendo possibile la sua stessa identità di quarantenne. Tutte le esperienze vissute e i ricordi della sua esistenza dai vent'anni in poi. Se il crononauta si trovasse a viaggiare dal tempo B verso il tempo A, tutto questo sarebbe vanificato, perché si verrebbe a trovare in un tempo in cui la sua definizione era diversa.

Anche in questo caso la fantasia umana ha immaginato un gran numero di trame assurde, in cui un viaggiatore nel tempo si trova di fronte a se stesso più giovane. In altri casi invece per evitare l'insorgere di paradossi temporali, deve far salti mortali. Grottesco è il film Ricomincio da capo (Il Giorno della Marmotta), il cui protagonista si ritrova a vivere la stessa giornata un gran numero di volte, come se fosse finito in un anello temporale, ma conservando ogni volta la propria consapevolezza integra e ricordandosi di ogni cosa. Un crononauta non solo non potrebbe presentarsi nel passato come persona distinta dal proprio sé più giovane, ma non conserverebbe nessuna memoria del proprio tempo d'origine. Se anche dovesse verificarsi una situazione tipo quella descritta ne Il Giorno della Marmotta, il crononauta non potrebbe rendersene conto, perché nessun ricordo di un dato tempo potrebbe in alcun modo essere contrabbandato in un tempo precedente. 

sabato 28 novembre 2015

UCRONIA E FISICA QUANTISTICA

Non bisogna confondere l'interpretazione di Hugh Everett III della meccanica quantistica (Molti Mondi) con il postulato del film Sliding Doors, che descrive due storie parallele a partire dal diverso esito di un evento macroscopico: Gwyneth Paltrow che in un caso riesce a prendere la metropolitana e nell'altro non vi riesce. A determinare il cambiamento nell'interpretazione di Hugh Everett III non sono infatti gli eventi macroscopici, come riuscire a prendere o meno un convoglio della metropolitana, ma le singole misure quantistiche a livello microscopico. È quindi errato dire, come fin troppo spesso si sente, che nella teoria delle linee temporali parallele sono le nostre azioni a dare origine ad universi differenti a partire da un singolo nodo. La fisica quantistica, che non è una delle infinite scemenze New Age - come invece popolarmente si crede - si fonda su leggi del tutto dissimili da quelle che governano l'universo macroscopico, e la sua stessa natura ha una conseguenza del tutto inattesa sulla letteratura fantastica: vanifica completamente il genere ucronico. Non può esistere nessuna trama ucronica verosimile e riuscita per diversi motivi: 

1) Ogni molteplicità nella soluzione della funzione di Schroedinger di una singola particella influenza, tramite entanglement (azione a distanza) tutte le particelle dell'intero universo, rendendo impossibile conoscere l'evoluzione dell'universo in condizioni alternative. Così basterebbe una diversa transizione energetica di una particella in un atomo per avere ripercussioni gravissime anche in altre galassie. 

2) Una diversa azione macroscopica implica tali differenze nella struttura microscopica degli enti coinvolti, che le sue conseguenze sono in grado di alterare in modo assolutamente imprevedibile l'intero universo. Infatti in un'azione macroscopica anche banale sono coinvolte particelle subatomiche in numero incommensurabile. Solo per fare un esempio, un diverso accoppiamento cambia l'esito di tutti gli accoppiamenti che avvengono sul pianeta. Questa semplice considerazione disegna il Caos.

3) Le conseguenze di ogni divergenza sono non soltanto imprevedibili, ma irreversibili. Così il diverso esito dell'azione predatoria di un gatto su una lucertola altererà l'intero corso storico per sempre - oltre che in modo non conoscibile a priori e non stimabile con gli strumenti cognitivi a disposizione del genere umano. 

Da queste semplici premesse si arriva a una desolante conclusione: l'intero genere ucronico si riduce a una masturbazione mentale priva di qualsiasi significato. Sappiamo da tempo che ogni scrittore non può fare altro che riplasmare la Storia a partire dagli eventi che conosce, introducendo nelle sue opere un'infinità di cose inverosimili e grottesche. Manca la capacità di svincolarsi dal corso storico in cui vive per poterne immaginare un altro in cui le cose sono andate diversamente a partire da un Punto di Divergenza, e questa non è una novità. Alla luce della fisica quantistica, si capisce tuttavia che l'incapacità di creare ucronie sensate non è un fatto meramente empirico, ma un fatto costitutivo, ontologico. A nessun essere umano può essere data la conoscenza necessaria per essere un plausibile scrittore allostorico. Così si arriva a concludere che non vale la pena di investire nella scrittura di ucronie, perché ogni ucronia si riduce a conti fatti all'onirostoria. Se pure non caldeggio l'abbandono dell'intero genere ucronico, lo reputo svuotato di qualsiasi significato filosofico, assieme agli scritti sui viaggi nel tempo. Sono cose che possono tenere compagnia, come i fumetti di Topolino, ma non vanno prese troppo sul serio.

INFINITI ERUTTIVI: UN POSSIBILE BACO NELLA TEORIA DEL MULTIVERSO

La prima formulazione seria della teoria del Multiverso si deve a Hugh Everett III, fisico dell'Università di Princeton, che la espose nella sua tesi di dottorato, The Many-Worlds Interpretation of Quantum Mechanics. Fondamento di questa teoria oltremodo interessante è che ogni misura quantistica divida l'universo dando origine a un numero di universi paralleli pari a quello dei possibili risultati della misura stessa. Chiaramente il Multiverso è l'insieme degli universi generati in questo modo, che sono tutti ugualmente reali, anche se eternamente al di fuori della nostra portata.

La tesi di Hugh Everett III è consultabile e scaricabile gratuitamente, basta seguire questo link:


Prima di questo lavoro, accolto con scetticismo dalla comunità accademica, vigeva l'interpretazione di Copenaghen, che considera un unico universo in cui la misura quantistica estrae casualmente una delle possibili soluzioni della funzione d'onda che descrive lo stato quantico di una particella. Questa conseguenza drammatica dell'operazione di misura è detta collasso della funzione d'onda. In altre parole, l'osservatore rompe l'evoluzione dinamica quantistica del sistema che osserva. Famoso è l'esperimento concettuale che dà origine al paradosso del gatto di Schroedinger, in cui un felino rinchiuso in una scatola d'acciaio, celato a qualsiasi osservatore e minacciato dalla disintegrazione di un radionuclide, si ritrova ad essere sia vivo che morto. 

Il problema della misurazione viene risolto dall'interpretazione dei Monti Mondi, che però presenta un inconveniente non trascurabile. Vediamo di precisare meglio le conseguenze delle teorie del fisico di Princeton, passando dal suo asettico enunciato introduttivo a drammatici esempi concreti. Ogni misura quantistica (nell'infinitamente piccolo) non si limita ad avere conseguenze locali, ma causa la moltiplicazione dell'intero universo (nell'infinitamente grande). In pratica ogni volta che un sistema quantistico, descritto da una data funzione d'onda, ammette diverse soluzioni all'equazione di Schroedinger che la descrive, ognuna di queste comporterà l'esistenza di un intero universo indipendente da quello di partenza, riproducendone ogni dettaglio su larga scala - con le dovute differenze dovute alla sua divergenza dall'universo di origine.

Per capire l'enormità inaudita di tutto ciò, si precisa che ogni singola particella subatomica verrebbe a possedere la capacità prodigiosa di moltiplicare l'universo intero fino ai livelli del gas di galassie. Qualcuno ha anche solo una vaghissima idea di quante particelle subatomiche esistono? Il numero sarebbe tale da non poter nemmeno essere concepito. Le diramazioni e la generazione di universi moltiplicati non sarebbero eventi che accadono ogni morte di papa. Infatti un numero incredibile di particelle darebbero vita a un numero incredibile di diramazioni in un processo mostruoso di interazione senza fine. Questo comporta la drammatica irruzione dell'Infinito. Non di un banale infinito con la cardinalità del numerabile, come si potrebbe a prima vista pensare. Il mostro che ne scaturirebbe avrebbe una potenzialità incredibilmente superiore a quella delle parti del continuo. Anzi, sarebbe un infinito con cardinalità delle parti, delle parti, delle parti, ..., delle parti del continuo, il tutto con iterazione infinita. Detto questo, è evidente che l'interpretazione Molti Mondi comporta la presenza di infiniti non eliminabili.  Gli infiniti non eliminabili producono discontinuità ingestibili e sono il segno primo della presenza dell'Errore. Non sono ovviamente in grado di confutare la teoria di Hugh Everett, posso soltanto dire che in essa c'è qualcosa che non va, e che si tratta di qualcosa di molto grave. I fanatici di Matrix, che reputano tutto l'universo una raffinata finzione computerizzata, direbbero che non esiste sufficiente potenza di calcolo per spiegare questa eruzione di infiniti.

Questa mia critica è diretta all'ontologia stessa della teoria e alle sue implicazioni concettuali. Spero che qualche accademico noti che si tratta di qualcosa di interamente nuovo, perché non fa alcun riferimento all'impossibilità di sottoporre il Multiverso di Hugh Everett III a una verifica sperimentale. Detto questo, sono il primo a credere alla possibilità dell'esistenza di universi paralleli, soltanto che non sono affatto convinto che abbiano la loro origini da diramazioni di un unico universo di partenza. Li reputo piuttosto come diversi quadri prodotti da uno stesso pittore. 

L'INSENSATEZZA DEL CIELO

Contro il mito del macrocosmo che ripete il microcosmo esistono numerose evidenze, eppure nel mondo scientifico questo luogo comune viene affermato in numerose occasioni. Così si sente dire che l'infinitamente grande somiglia all'infinitamente piccolo e al mondo che noi esperiamo coi sensi. Quante volte a scuola ci hanno martellato con la ridicola descrizione degli atomi come minuscoli sistemi solari con il nucleo come sole e gli elettroni come pianeti? Un altro esempio è fornito dalla pubblicazione di uno studio in cui si afferma che le galassie sono distribuite in strutture che ricordano le sinapsi di un cervello. 

Eppure basterebbero pochi ragionamenti per capire che si tratta di un abbaglio. Le galassie non sono atomi, e a maggior ragione non sono neuroni collegati da sinapsi in una rete neurale cerebrale. Non disegnano strutture funzionali di sorta. La struttura stessa del macrocosmo è insulsa e priva di costrutto come può esserlo un oceano in tempesta o il guizzare delle fiamme che ardono in un camino.

Passiamo brevemente in rassegna alcune caratteristiche che distinguono il microscopico dal macroscopico.

1) Mondo subatomico e atomico:
È descritto dalla meccanica quantistica e caratterizzato da distribuzioni probabilistiche, regole di selezione, indeterminazione di Heisenberg, azione a distanza (entanglement), definizione degli elementi che costituiscono la materia e delle molecole formate dalla loro aggregazione.

2) Mondo macroscopico:
Non vi si coglie alcun ordine funzionale. La sola parvenza di ordine è il Caos. È la forza di gravità ad aggregare i gas primordiali in strutture caotiche, generando pianeti, stelle, galassie, ammassi galattici.

Si tratta di due universi che non hanno nulla in comune nel loro funzionamento, anche se è chiaro che il mondo macroscopico si fonda sul mondo microscopico. Non è tuttavia possibile alcun riduzionismo. In altre parole, non si riescono a prevedere le proprietà del mondo macroscopico a partire da quello microscopico. Con buona pace dei meccanici classici, gli atomi non sono formati da palle che girano e un ente macroscopico non è la semplice somma dei corpuscoli che lo compongono.  

Di una cosa possiamo essere certi: non c'è un gigante che pensa usando galassie e ammassi galattici come cellule in cui stoccare informazioni, e servendosi di filamenti di gas per collegare le sue unità funzionali. Facciamo ora un esperimento concettuale. Immaginiamo un essere senziente che abbia dimensioni talmente grande da vedere le galassie e gli ammassi galattici come noi vediamo gli atomi. Non facciamo alcuna ipotesi su come possa essere il corpo di questo ipotetico essere macrocosmico, che per convenzione chiameremo FRED. Sappiamo soltanto che FRED vede tutto l'universo sondato dai nostri radiotelescopi come un gas di galassie. Come è stato osservato, questo gas di galassie si comporta in modo non dissimile da un gas costituito da molecole di idrogeno o di elio e segue le leggi della dinamica dei gas. Eppure una differenza salta agli occhi. Al gigante macrocosmico FRED sarà preclusa ogni conoscenza della struttura delle particelle che compongono il gas di galassie. Infatti ognuna di queste particelle è composta da un numero immenso di stelle e di pianeti che saranno per sempre al di fuori della portata dei suoi strumenti di indagine. Privo di opportuni mezzi d'indagine in grado di risolvere le particelle-galassie nei loro componenti, FRED potrà dar vita soltanto a teorie fisiche elementari e miopi, non diverse da quelle alla portata di uno studente delle scuole medie.

Alziamo dunque gli occhi verso il cielo stellato, e contempliamo le sue vastità prive di qualsiasi significato! La sola cosa reale: il Nulla compatto, la Tenebra assoluta in cui si disperdono le particelle nate da coaguli di materia interstellare.