La prima formulazione seria della teoria del Multiverso si deve a Hugh Everett III, fisico dell'Università di Princeton, che la espose nella sua tesi di dottorato, The Many-Worlds Interpretation of Quantum Mechanics. Fondamento di questa teoria oltremodo interessante è che ogni misura quantistica divida l'universo dando origine a un numero di universi paralleli pari a quello dei possibili risultati della misura stessa. Chiaramente il Multiverso è l'insieme degli universi generati in questo modo, che sono tutti ugualmente reali, anche se eternamente al di fuori della nostra portata.
La tesi di Hugh Everett III è consultabile e scaricabile gratuitamente, basta seguire questo link:
Prima di questo lavoro, accolto con scetticismo dalla comunità accademica, vigeva l'interpretazione di Copenaghen, che considera un unico universo in cui la misura quantistica estrae casualmente una delle possibili soluzioni della funzione d'onda che descrive lo stato quantico di una particella. Questa conseguenza drammatica dell'operazione di misura è detta collasso della funzione d'onda. In altre parole, l'osservatore rompe l'evoluzione dinamica quantistica del sistema che osserva. Famoso è l'esperimento concettuale che dà origine al paradosso del gatto di Schroedinger, in cui un felino rinchiuso in una scatola d'acciaio, celato a qualsiasi osservatore e minacciato dalla disintegrazione di un radionuclide, si ritrova ad essere sia vivo che morto.
Il problema della misurazione viene risolto dall'interpretazione dei Monti Mondi, che però presenta un inconveniente non trascurabile. Vediamo di precisare meglio le conseguenze delle teorie del fisico di Princeton, passando dal suo asettico enunciato introduttivo a drammatici esempi concreti. Ogni misura quantistica (nell'infinitamente piccolo) non si limita ad avere conseguenze locali, ma causa la moltiplicazione dell'intero universo (nell'infinitamente grande). In pratica ogni volta che un sistema quantistico, descritto da una data funzione d'onda, ammette diverse soluzioni all'equazione di Schroedinger che la descrive, ognuna di queste comporterà l'esistenza di un intero universo indipendente da quello di partenza, riproducendone ogni dettaglio su larga scala - con le dovute differenze dovute alla sua divergenza dall'universo di origine.
Per capire l'enormità inaudita di tutto ciò, si precisa che ogni singola particella subatomica verrebbe a possedere la capacità prodigiosa di moltiplicare l'universo intero fino ai livelli del gas di galassie. Qualcuno ha anche solo una vaghissima idea di quante particelle subatomiche esistono? Il numero sarebbe tale da non poter nemmeno essere concepito. Le diramazioni e la generazione di universi moltiplicati non sarebbero eventi che accadono ogni morte di papa. Infatti un numero incredibile di particelle darebbero vita a un numero incredibile di diramazioni in un processo mostruoso di interazione senza fine. Questo comporta la drammatica irruzione dell'Infinito. Non di un banale infinito con la cardinalità del numerabile, come si potrebbe a prima vista pensare. Il mostro che ne scaturirebbe avrebbe una potenzialità incredibilmente superiore a quella delle parti del continuo. Anzi, sarebbe un infinito con cardinalità delle parti, delle parti, delle parti, ..., delle parti del continuo, il tutto con iterazione infinita. Detto questo, è evidente che l'interpretazione Molti Mondi comporta la presenza di infiniti non eliminabili. Gli infiniti non eliminabili producono discontinuità ingestibili e sono il segno primo della presenza dell'Errore. Non sono ovviamente in grado di confutare la teoria di Hugh Everett, posso soltanto dire che in essa c'è qualcosa che non va, e che si tratta di qualcosa di molto grave. I fanatici di Matrix, che reputano tutto l'universo una raffinata finzione computerizzata, direbbero che non esiste sufficiente potenza di calcolo per spiegare questa eruzione di infiniti.
Questa mia critica è diretta all'ontologia stessa della teoria e alle sue implicazioni concettuali. Spero che qualche accademico noti che si tratta di qualcosa di interamente nuovo, perché non fa alcun riferimento all'impossibilità di sottoporre il Multiverso di Hugh Everett III a una verifica sperimentale. Detto questo, sono il primo a credere alla possibilità dell'esistenza di universi paralleli, soltanto che non sono affatto convinto che abbiano la loro origini da diramazioni di un unico universo di partenza. Li reputo piuttosto come diversi quadri prodotti da uno stesso pittore.
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