Pubblico in questa sede un link che permette lo scaricamento di un interessantissimo lavoro dei professori Luca Lorenzetti e Giancarlo Schirru, che tratta la singolare ortografia rilevata nelle iscrizioni cristiane in lingua latina rinvenute in Tripolitania, in particolare a Leptis Magna. Queste iscrizioni risalgono ai secoli V e VI d.C. e si differenziano sia dalle iscrizioni donatiste del Gebel Occidentale che dalle più antiche iscrizioni cristiane di Sabratha.
LORENZETTI-SCHIRRU-09.pdf
Quello che contraddistingue queste iscrizioni tripolitane, redatte in una lingua latina per molti versi conservativa quanto quella che si parlava in Sardegna, è il frequente uso del carattere K in luogo di C in molteplici contesti, che è molto utile e interessante analizzare.
Pur essendo questo materiale posteriore a Teodosio, non mostra traccia di palatalizzazione della velare /k/ davanti a vocali anteriori. Riportiamo alcuni esempi, rimandando all'articolo per maggiori informazioni su ogni attestazione.
Occorrenze di K davanti ad A:
Dominka
K(a)l(endas), Kal[endas], K(alendarum)
kar[itas]
Occorrenze di C davanti ad A:
K(a)l(endas), Kal[endas], K(alendarum)
kar[itas]
Occorrenze di C davanti ad A:
Cal(endas)
Dom(i)nca, dominica
Dom(i)nca, dominica
Occorrenze di K davanti ad O, U:
Misekor
Occorrenze di C davanti ad O, U:
Corcondie
clericus
cum
cognatione
clericus
cum
cognatione
Occorrenze di K davanti ad E, I:
innok(ens)
lok(i), loki
pake, pakke
lok(i), loki
pake, pakke
Occorrenze di C davanti ad E, I:
bocem ‘vocem’
dece ‘decem’
dicentis
inocens
loci
pace, p(a)c(e), pacae
pauci
requiescit, requiesciet
dece ‘decem’
dicentis
inocens
loci
pace, p(a)c(e), pacae
pauci
requiescit, requiesciet
Occorrenze di K davanti a consonante:
oktabae
Occorrenze di C davanti a consonante:
delicta
hoctoginta
octabae
S(an)c(tu)s
hoctoginta
octabae
S(an)c(tu)s
Occorrenze di K e di C in fine parola:
hik
hic, h(i)c
hic, h(i)c
Questa situazione è rimasta intatta fino al X-XI secolo nella Tripolitania araba, dove la lingua latina è continuata nell'uso epigrafico:
Occorrenze di K davanti ad A:
dikat
karus
karta ‘quarta’
okassio
karus
karta ‘quarta’
okassio
Occorrenze di C davanti ad A:
bocabit carus
Occorrenze di K davanti ad O, U:
korpus
miserikordia
monakus
sekulo, s(ae)k(u)lo
sekunda
miserikordia
monakus
sekulo, s(ae)k(u)lo
sekunda
Occorrenze di K davanti ad E, I:
akerbus
bikeisima ‘vicesima’
dekember
dekesit
dikite
dulkissimus
iaket
lukeat
okisum
pake
rekessit, rekesit
rekiebit ‘requievit’
Occorrenze di C davanti ad E, I:
bikeisima ‘vicesima’
dekember
dekesit
dikite
dulkissimus
iaket
lukeat
okisum
pake
rekessit, rekesit
rekiebit ‘requievit’
Occorrenze di C davanti ad E, I:
decem[a], [de]cima
dicenber
iacet
lucea(t)
pace
recessit, recesit
dicenber
iacet
lucea(t)
pace
recessit, recesit
Occorrenze di K davanti a consonante:
biksit
indiktio
dilektus
oktaba
oktonber
pektore
indiktio
dilektus
oktaba
oktonber
pektore
Occorrenze di K e di C in fine parola:
ok
oc
oc
Ovviamente non dobbiamo aspettarci una pronuncia in tutto e per tutto coincidente con la pronunciatio restituta, ma in ogni caso si vede come in Tripolitania si fosse conservata una situazione già obsoleta nella maggior parte del Mediterraneo. Si notano inoltre altre caratteristiche:
1) Si ha il chiaro passaggio dall'originale /w/ alsuono bilabiale /β/, scritto b, in ogni posizione.
2) Si ha la sporadica conservazione di /h/, che in almeno un caso diviene addirittura /k/: è attestato infatti kospitalem per hospitalem.
3) Per quanto riguarda il trattamento del nesso sc /sk/ davanti a vocale e, i, si registra un fenomeno molto interessante: sono attestate le due varianti requieshit e requiesit per requiescit. Questo non è in realtà un indizio di palatalizzazione come può sembrare a prima vista, dato che in latino non si usava il digramma sh per esprimere il suono palatale di scena, come accade ad esempio in inglese. Cosa intendevano esprimere i lapicidi? A parer mio la questione è molto semplice: il nesso /sk/ davanti a i si era evoluto in /sχ/, con lo stesso suono che si trova nell'olandese Scheveningen. Poi questo suono si era semplificato naturalmente in /s/ in alcune parlate.
4) Le consonanti finali appaiono ben conservate, tanto che anche -m è molto spesso scritta: probabilmente la sua pronuncia era distinta, mentre nel resto dell'Impero si era ridotta quasi ovunque a una fievole nasalizzazione della vocale già all'inizio dell'Impero.
5) La labiovelare qu /kw/ si semplifica e diventa /k/.
6) La consonante d seguita da i semiconsonante si mantiene integra, mentre in altre varietà di latino d'Africa è attestata una sua evoluzione in z.
7) Il dittongo ae diventa e, e spesso si trova scritto al posto di una /e/ etimologica anche breve (es. pacae per pace).
2) Si ha la sporadica conservazione di /h/, che in almeno un caso diviene addirittura /k/: è attestato infatti kospitalem per hospitalem.
3) Per quanto riguarda il trattamento del nesso sc /sk/ davanti a vocale e, i, si registra un fenomeno molto interessante: sono attestate le due varianti requieshit e requiesit per requiescit. Questo non è in realtà un indizio di palatalizzazione come può sembrare a prima vista, dato che in latino non si usava il digramma sh per esprimere il suono palatale di scena, come accade ad esempio in inglese. Cosa intendevano esprimere i lapicidi? A parer mio la questione è molto semplice: il nesso /sk/ davanti a i si era evoluto in /sχ/, con lo stesso suono che si trova nell'olandese Scheveningen. Poi questo suono si era semplificato naturalmente in /s/ in alcune parlate.
4) Le consonanti finali appaiono ben conservate, tanto che anche -m è molto spesso scritta: probabilmente la sua pronuncia era distinta, mentre nel resto dell'Impero si era ridotta quasi ovunque a una fievole nasalizzazione della vocale già all'inizio dell'Impero.
5) La labiovelare qu /kw/ si semplifica e diventa /k/.
6) La consonante d seguita da i semiconsonante si mantiene integra, mentre in altre varietà di latino d'Africa è attestata una sua evoluzione in z.
7) Il dittongo ae diventa e, e spesso si trova scritto al posto di una /e/ etimologica anche breve (es. pacae per pace).
Da tutto questo emerge una realtà piuttosto complessa e cangiante, che merita di essere approfondita e che contraddice in ogni caso le idee di chi vorrebbe imporre all'intero mondo romano la pronuncia di un latino scolastico apprenditiccio.
Lorenzetti e Schirru parlano quindi dell'uso della lettera K davanti a vocale anteriore in altri contesti, anche se non esiste un nesso causale diretto tra tali attestazioni e gli analoghi usi in Tripolitania:
"Al di fuori dell’Africa, l’uso di <k> dinanzi a <e> o <i> è limitato a rarissimi esempi: dekem(bris) (CIL I 1038: è un’iscrizione romana arcaica: L. Kaili(os) a.d. III eidus dekem(bris)); Mukianus, Mukianu, Markellino (tutte in CIL V 3655, un’epigrafe da Verona); in pake (CIL X 7173, Sicilia), in somno [pa]kis (ILCV 3179A, Roma) in due iscrizioni cristiane. Un’ulteriore attestazione proviene da un’iscrizione algerina non cristiana (CIL VIII 3577, Lambaesis): d. m. s. / Domitio Iu/liano vixit // annis XL // Aemilia Spe/nika marito po/suit dulk(issimo), già segnalata in ACQUATI 1974, p. 38, assieme ad altre forme sporadiche di attestazione africana, come koniugi, Viktor. In tutti questi casi, si è di fronte a un’indistinzione grafica diversamente motivata (l’uso arcaico, l’uso prima di abbreviazione, un probabile vezzo personale del lapicida nel caso dell’iscrizione veronese), che però, o per cronologia o per geografia, non fa regola né testo per il nostro argomento."
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