Rino Cammilleri ha scritto un'enormità: "Ma i bizantini chiamavano se stessi romàioi, cioè "romani", e rum (ancora "romani") gli islamici chiamavano gli occidentali (tracce ne troviamo anche oggi nella "Romania" e negli zingari rom)."
Questa frase è stata reperita in rete:
Quando l'ho letta non volevo crederci, tanto marchiano è un simile errore. A quanto pare Cammilleri non è a conoscenza di qualcosa che la Scienza ha appurato dalla fine del XVIII secolo, ossia l'origine indiana dei popoli conosciuti come "Zingari".
Il termine rom /rrom/, che significa "uomo" o "marito" (riferito solo a individui della stirpe), non deriva affatto dal nome della città di Roma come Cammilleri pretende, ma è un'estrema evoluzione dell'antico nome ḍumba che in India indicava un uomo della la classe dei musici. L'origine ultima di questo vocabolo non è conosciuta e sono state fatte diverse ipotesi, che non sembrano soddisfacenti. Secondo alcuni avrebbe un'origine onomatopeica richiamante il suono degli strumenti dei musicanti (sanscrito ḍamara-, ḍamaru- "tamburo"). In ultima analisi questa radice apparterrebbe a un sostrato del ceppo Dravida o di quello Munda, che doveva costituire la favella originaria di quelle genti nella loro patria ancestrale, prima dell'adozione di un idioma chiaramente indoario, dello stesso ceppo del sanscrito. Ancora oggi in India esistono intoccabili chiamati Ḍum, Ḍom o Ḍombari, e in diversi dialetti di popolazioni indoarie itineranti del Medio Oriente anziché rom si dice lom o dom, a riprova dell'etimologia riportata.
La rotica presente nella radice /rrom-/ è forte in molte varietà della lingua, in altre è invece retroflessa o addirittura uvulare. Le parole con questa consonante hanno un suono retroflesso in sanscrito. Alcuni vorrebbero che questa consonante fosse trascritta sempre con rr e che si scrivesse così rrom anziché rom. Il sig. Saimir Mile fa notare questo, riportando tra l'altro l'esempio di rani "signora" (la parola si usa tuttora in India col senso di "regina") che contrasta con rrani "ramo" (1). Il fatto che la rotica /r/ corrisponda in sanscrito a /r/ e che rom abbia invece /rr/ confuta quindi l'idea di coloro che cercano di connettere i Rom con il dio indiano Rama.
(1) Essendo questo suono estraneo alla lingua italiana in posizione iniziale (e problematico in molte altre lingue), per semplicità non lo trascriverò con la consonante doppia, e ritengo eccessivo pretendere che lo si debba pronunciare tale quando la parola rom è usata in italiano. I prestiti vengono infatti adattati. Inoltre non in tutte le lingue di questo ceppo è pronunciano tale, ed esistono anche varianti che non distinguono le due rotiche.
Il plurale di rom è romá (roma), il femminile è romní. L'aggettivo derivato è romanó (m.), romaní (f.), da cui deriva anche il nome della lingua, romani čhib. L'avverbio è romanes. La frase "danes romanes?" significa "parli la lingua romaní?" (alla lettera "parli alla maniera romaní?"). L'aggettivo romaní indica tutte le genti del gruppo, e deve essere distinto dall'etnonimo da noi trascritto Rom (in altri paesi Roma), che indica una ben precisa etnia all'interno di questo raggruppamento. Il concetto è semplice: si chiamano Rom (Roma) quelli che usano la semplice radice in questione come endoetnico, mentre altri gruppi la usano come nome comune avendo però endoetnici diversi: Sinti, Kalé, Manush, Romanichal, Romanisæl. Tutti i gruppi sono consapevoli di parlare dialetti della stessa lingua, che chiamano romani čhib indipendentemente dall'endoetnico.
Di fronte a queste evidenze, si capisce che la somiglianza fonetica tra l'etnonimo Rom e il toponimo Roma, è soltanto una mera coincidenza. Allo stesso modo non c'è relazione tra la parola rom e la Romania, per quanto nella loro deplorevole ignoranza i giornalisti abbiano ormai abituato l'opinione pubblica a considerare Rom sinonimo di Rumeni. Il fatto che in Romania i Rom siano numerosissimi non significa nulla: non sequitur.
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