sabato 24 gennaio 2015

IL DECLINO DELLA LINGUA NAHUAT A EL SALVADOR E IL GENOCIDIO DEL 1932

Si pensa che i Pipil, che erano della stessa stirpe degli Aztechi, siano giunti nella terra attualmente conosciuta come El Salvador dal Messico intorno al 900 d.C. Erano fuggiti dal Messico, dove erano perseguitati dagli Olmechi. Viaggiarono attraverso quello che conosciamo come Guatemala, giungendo infine a El Salvador. Si pensa che ci siano state diverse ondate migratorie fino al 1300 d.C.

Anche se in origine i Pipil erano parlanti Nahuatl, la loro lingua finì col divergere ed evolvere in Nahuat, perdendosi la capacità di pronunciare il tipico suono laterale tl. All'epoca dell'invasione degli Spagnoli nel 1524, le comunità Pipil erano stanziate nella maggior parte di quello che oggi è El Salvador. Gli interpreti Nahuatl che viaggiavano assieme ai Conquistadores consideravano la lingua dei Pipil, sebbene a loro perfettamente comprensibile, come infantile - proprio per la mancanza del suono tl, sostituito da t. Per questo avrebbero coniato il nome Pipil a partire dalla parola pilli, che significa "bambino" o "ragazzo". Tuttavia in Nahuatl pilli significa anche "nobile", "principe", e l'etnonimo potrebbe essere antico. Gli studiosi oggi pensano in ogni caso che la prima interpretazione sia quella corretta.

Gli Spagnoli portarono ai Pipil un diverso modo di coltivare la terra. Prima dell'arrivo dei Conquistadores, la terra non apparteneva a nessuno in particolare: era in altre parole terra comune. Quando qualcuno si sposava e formava una famiglia, gli era permesso usare la terra per costruire una casa e per seminare i raccolti, principalmente granturco e fagioli. La terra non era recintata o suddivisa. Gli Spagnoli introdussero un'importante innovazione: l'allevamento di bestiame, che era in precedenza sconosciuto nell'America Centrale. Il bestiame, com'è ovvio, non ha idea di dove finisce la terra del suo legittimo proprietario e dove inizi quella altrui, così facilmente sconfina, mangiando ogni cosa a sua disposizione. Per evitare questo, fu deciso di recintare la terra degli allevatori. Ecco che la terra di un popolo per certi aspetti "comunista" fu presa dagli Spagnoli e dai loro discendenti, ponendo le basi per gravissimi problemi per le generazioni future. 

La lingua Nahuat continuò a essere parlata a lungo. Nel 1932 essa era in una fase di declino, ma un fatto drammatico la portò sull'orlo dell'estinzione in brevissimo tempo. Quell'anno infatti ci fu La Matanza, ossia il massacro. Non si conosce l'esatta entità di tale opera di "pulizia etnica", ma si parla di alcune decine di migliaia di vittime.

Agli inizi del XX secolo, la maggior parte dei Pipil viveva nelle regioni occidentali di El Salvador, soprattutto nell'area compresa tra Sonsonate e Santa Ana. Nel 1882 il governo di quella nazione aveva abolito le ultime terre comuni degli Indiani, in modo che nulla ostacolasse le piantagioni di caffè. Verso la fine del XIX secolo, spaventosa era la diseguaglianza nella distrubizione della ricchezza, con lo 0,01% della popolazione che controllava il 90% della ricchezza. Questo scatenava grande irrequietezza nel paese. Il Partito Comunista di El Salvador fu fondato nel 1930 ed era sostenuto dai lavoratori urbani e dai contadini. Fu progettata una rivolta il 22 gennaio 1932. Il governo, guidato dal generale Maximiliano Martínez, era giunto a conoscenza dei piani degli insorti, così arrestò alcuni leader del partito.

I contadini decisero di proseguire la rivolta e occuparono le città della parte occidentale del paese. I dimostranti erano armati solo di machete e di coltelli, mentre l'esercito aveva armi da fuoco: la battaglia era decisamente impari. Nel giro di una settimana l'esercito aveva ripreso controllo delle città, ma continuò a perseguire la vendetta in modo implacabile. La ribellione fu stroncata senza pietà e tra i 10.000 e i 40.000 indigeni furono uccisi in varie ondate di repressione a partire da gennaio 1932. La gente veniva uccisa solo perché parlava Nahuat e vestiva in modo tradizionale: queste cose erano ritenute prove sufficienti per stabilire che una persona era sovversiva. Ogni segno esteriore di appartenenza a una comunità indigena faceva rischiare la vita. Accadde così che il Nahuat fu proibito e solo la lingua spagnola poté essere parlata. Molte donne che non erano in grado di parlare castigliano erano costrette a stare in silenzio quando portavano il cibo ai loro famigliari in prigione. C'era il terrore di essere uccisi solo per il fatto di essere indigeni. Così gli abiti tradizionali furono aboliti: nulla doveva identificare un Pipil come tale.

Gli effetti del genocidio del 1932 perdurano ancora oggi. Di genocidio si deve senza dubbio parlare, perché a muovere i governanti era la volontà precisa e insindacabile di estirpare una popolazione, perseguitando e uccidendo i suoi membri in quanto tali. Ancora a distanza di tanto tempo, gli anziani superstiti dell'etnia hanno paura di parlare di quanto accadde nel 1932, e temono ripercussioni per l'uso pubblico della lingua Nahuat.

Lo stato attuale della lingua è critico, nonostante tentativi anche notevoli di rivitalizzarla. Ethnologue riporta l'esistenza di meno di 20 parlanti in tutto El Salvador (Grimes, 2000). Secondo altre stime i parlanti sarebbero appena più numerosi, intorno al centinaio di persone. Alcune stime locali parlano di meno di 200 locutori, ma quasi tutti con più di 50 anni di età. Tutti sono d'accordo nel ritenere che nessuno usa più il Nahuat come prima lingua e che nessun bambino della comunità lo apprende più. 

Per maggiori informazioni sul popolo Pipil e sulla sua lingua:


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