sabato 29 aprile 2017

I "MURATINI":
UNA LEGGENDA POPOLARE  

Si narra che presso un'abbazia in Molise fosse costume, ogni Venerdì Santo, segregare all'interno di piccole celle sotterranee i giovinetti del luogo che si preparavano alla cresima.
Quivi i fanciulli trascorrevano una notte e un giorno in meditazione, con una brocca d'acqua e del pane quali unici generi di ristoro.
Sul tronco di una leggenda se ne innestano sovente altre. Si narra che, nei primi dell'Ottocento, uno dei muratini, una volta estratto dalla cella sotterranea in cui era stato rinchiuso, avrebbe riferito di esser stato testimone di eventi prodigiosi.
Durante la notte, il giovinetto udì un rumore improvviso all'interno dell'angusto locale e vide aprirsi un ampio spiraglio in una delle pareti di roccia. La curiosità ebbe il sopravvento sulla paura e il ragazzino si sporse ad osservare: al di là della parete, si estendeva una vasta grotta illuminata da un tenue chiarore azzurrognolo.
Dal varco apertosi nella parete, il "muratino" si introdusse nella grotta. Ne osservò sbalordito la vastità e prese a percorrerla sino ad imbattersi in uno specchio d'acqua sul fondo del quale guizzavano creature stranissime che egli descrisse come "pesci con le gambe". Nella grotta regnava un profondo silenzio. Il ragazzino, proseguendo nella sua esplorazione, scorse poi una nicchia ricavata nella roccia, al cui interno giaceva una statua dalle fattezze assai singolari: la forma era vagamente umana, ma la testa era simile a quella di una tartaruga; inoltre, al posto delle dita, le mani disponevano di tentacoli come quelli di un polipo. Atterrito da questa visione, il giovine corse a nascondersi nella sua cella.
All'indomani, dopo che ebbe raccontato la propria esperienza, la cella fu sottoposta ad attento esame, ma non fu trovata traccia di aperture nelle pareti. 

Pietro Ferrari, 2015

venerdì 28 aprile 2017

L'UOMO CHE PERDEVA I TRENI

Il giorno in cui mi fu diagnosticato un tumore al polmone in stadio avanzato, ovvero sei mesi prima della mia morte, appena uscito dal policlinico mi recai alla stazione ferroviaria. Mancava circa un'ora alla partenza del mio treno, così andai a sedere in sala d'aspetto. All'epoca ve n'erano due: una di prima e l'altra di seconda classe, quest'ultima stranamente semivuota. I soli presenti, a parte me, erano un'anziana donna e un uomo di mezza età, dall'aria assai patita, che, dopo avermi osservato per alcuni istanti, si alzò dal proprio posto e, avvicinatosi, mi disse: "Signore, mi scusi, le potrei parlare? Non intendo disturbarla".

Annuii.

"Sin dal suo ingresso in questa sala ho capito che lei è una persona cui ci si può confidare. Desidero raccontarle una storia e sono certo di poter contare sulla sua discrezione. Molti anni fa, in questa stazione, io spinsi sotto a un treno il mio insegnante di applicazioni tecniche. No, non mi guardi così, non sono un pazzo né un sadico. Lo uccisi, è vero, ma con ottime ragioni. Era un individuo orribile, un uomo cattivo."

"E non l'arrestarono?"

"No, non ci furono testimoni. Quel demonio tutti i giovedì si recava da una prostituta a Porta Calcinara, cenava in una trattoria e rientrava a casa col treno delle 20. Lei non sa quante volte dovetti rinunciare al mio proposito prima di poterlo attuare. Infine si presentò l'occasione giusta, in una sera nebbiosa di novembre."

"Ed è tutto?"

"Non esattamente. Il destino presenta sempre il conto, e da allora la mia vita è legata a doppio filo a questa stazione. Sa cosa faccio per vivere?"

"Sentiamo."

"Perdo i treni."

"Sarebbe a dire?".

"Sarebbe a dire che, ogni giorno, svariate volte, fingo di dover prendere un treno e lo perdo."

"Scusi, ma non riesco a capire: a che pro?"

"Sono pagato per farlo."

"Pagato da chi?"

"Da un'agenzia. Ce ne sono in tutte le città, non lo sapeva?"

"Sinceramente no."

"In tutte le città italiane ci sono individui pagati per recitare questa scena. E' costume che qualcuno debba giungere in stazione in ritardo, correre appresso al treno in partenza e infine arrendersi imprecando. Una tradizione che non si può interrompere."

"E lei è pagato per perdere i treni?"

"Si."

"Mi sembra una follia."

"Alla stazione di Santa Maria Novella, a Firenze, un mio collega perde i treni da vent'anni."

"E la pagano bene?"

"Per nulla, ma mi mantengo in vita. Inoltre mi hanno messo a disposizione un bugigattolo per dormire, vicino al deposito bagagli. Ora però devo salutarla, devo perdere il treno per Milano delle 12. E' stato molto gentile ad ascoltarmi, le auguro una buona giornata."

Il mio treno partiva alle 12 e 30. Nei mesi successivi, sino al mio decesso, non misi più piede in stazione e non incontrai più quel singolare personaggio. Lo rividi tuttavia in sogno: sostavamo nei pressi di un binario ferroviario, al sopraggiungere del convoglio, l'uomo, dopo avermi rivolto un sorriso disperato, si gettava sui binari venendo travolto dalla locomotiva.

Pietro Ferrari, 2015

mercoledì 26 aprile 2017


LA VIA LATTEA

Titolo originale: La Voie lactée
Anno:
1969
Paese di produzione: Francia
Lingua: Francese, latino
    (pronuncia mista ecclesiastica italica e restituta)
Durata:
92 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Genere: Grottesco, surreale
Regia: Luis Buñuel
Soggetto: Jean-Claude Carrière, Luis Buñuel
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Luis Buñuel
Fotografia: Christian Matras
Montaggio: Louisette Hautecoeur
Musiche: Luis Buñuel
Interpreti e personaggi:    
    Ellen Bahl: Mme Garnier
    Claudine Berg: Una madre
    José Bergos: Presbitero priscillianista
    Julien Bertheau: Maitre Richard
    Claudio Brook: Vescovo
    Agnes Capri: Direttore dell'Istituto
    Auguste Carriere: Sorella Françoise
    Jean-Claude Carrière: Priscilliano
    Claude Cerval: Brigadiere
    Jean Clarieux: San Pietro
    Pierre Clementi: Demone
    Beatrice Constantini: Figlia di Priscilliano
    Alain Cuny: Uomo col mantello
    Georges Douking: Pastore
    Jean Ehrman: Condannato
    Michel Etcheverry: Inquisitore
    Paul Frankeur: Pierre
    Claude Jetter: Vergine nella taverna
    Pierre Lary: Giovane monaco
    Marius Laurey: Un cieco
    Pierre Maguelon: Caporale
    Rita Maiden: Figlia di Priscilliano
    François Maistre: Prete matto
    Denis Manuel: Rodolphe
    Georges Marchal: Il gesuita
    Muni: Madre superiora
    Bernard Musson: Oste francese
    Marcel Peres: Prete spagnolo
    Jean Piat: Il giansenista
    Michel Piccoli: Sade
    Daniel Pilon: François
    Edith Scob: Maria
    Delphine Seyrig: Prostituta
    Christian Simon: Ragazza incatenata
    Laurent Terzieff: Jean
    Bernard Verley: Gesù
Doppiatori italiani:    
    Alfredo Censi: Pierre
    Luciano Melani: Jean
    Mario Colli: Richard
    Tina Lattanzi: direttrice del collegio
    Maresa Gallo: sorella Francoise
    Natalino Libralesso: Madame Garnier
    Andrea Bosic: inquisitore
    Mario Erpichini: condannato
    Vittorio Di Prima: uomo col cappello
    Diego Michelotti: gesuita, prete francese
    Carlo Reali: marchese
    Michele Kalamera: conte
    Roberto Villa: prete spagnolo
    Sergio Fiorentini: caporale delle guardie
    Sergio Di Stefano: Gesù
    Emanuela Rossi: Brigitte, la bambina
    Carlo Buratti: autista
    Stefano Carrasso: angelo della morte
    Giancarlo Maestri: narratore
    Francesca Palopoli: madre superiora
    Carlo Sabatini: Rodolphe
    Dario Penne: François
    Maria Teresa Martini: la bambina diabolica
       del collegio

Trama:

Pierre e Jean sono due pellegrini francesi che si incamminano sulla via per Santiago di Compostela. Durante il loro lungo e tormentato tragitto verso il santuario incontrano tutta una serie di personaggi in costume e si ritrovano nel bel mezzo di eventi storici, tra i quali anche scene della vita di Cristo. Assistono alla potente predicazione dualista e anticosmica del vescovo Priscilliano da Avila, poi si ritrovano nel bel mezzo delle guerre di religione e della controversia giansenista. Dopo tanto penare, arrivati finalmente al santuario di Santiago, vengono a sapere da una prostituta bionda che i pellegrinaggi sono cessati. Da quando si è scoperto che le spoglie credute a lungo di San Giacomo erano in realtà di Priscilliano, il luogo non è stato più visitato da nessuno. Così la meretrice propone ai due pellegrini di spogliarsi e di razzolarsi con lei nei campi fino a insozzarla di sperma e a darle un figlio. I poveri pellegrini - che per la verità erano sembrati scettici fin dall'inizio del film - appena constatano che Dio è morto e che la sua Estinzione è un fatto compiuto, dopo un'iniziale esitazione accettano di buon grado la proposta dell'oscena fallofora. 

Recensione: 

Un film decisamente surreale. Buñuel, che era un pensatore profondo, in questo film propone riflessioni sulla natura del tempo. L'ontologia temporale sostenuta dal regista è quella che va sotto il nome di eternismo o eternalismo non tensionale (B-eternismo). In altre parole, il regista spagnolo è convinto che il passato e il futuro siano reali e vivi proprio come il presente, che convivano con esso nell'eternità, essendo il flusso temporale una mera illusione umana. Tra i sostenitori di questa problematica forma di eternismo, al giorno d'oggi molto popolare anche se piena di fallacie logiche, ci fu anche Albert Einstein - le cui scarse capacità filosofiche non riflettono i suoi grandissimi meriti come fisico. Oltrepassando i limiti della speculazione metafisica, Buñuel arriva a credere che queste realtà, che noi per comodità etichettiamo come "passate", "presenti" e "future", arrivino ad influenzarsi a vicenda, dando origine a una molteplicità che trascende l'infinità numerabile.

Un testo priscillianista in latino
(con analisi fonologica)

Nel film è presente una parte recitata in lingua latina. La pronuncia usata è mista, prevalentemente ecclesiastica ma con numerose parole pronunciate con alcuni fonemi della restituta. Possiamo notare quanto segue:
1) In diversi casi l'occlusiva /k/ è conservata velare davanti alle vocali anteriori /e/ e /i/, ma per il resto mostra palatalizzazione in /tʃ/ o in /ʃ/, quando non addirittura assibilazione completa in /s/. Così abbiamo carcer /'karker/, fornacem /for'nakem/, innocens /inno'kens/, confeci /kon'feki/, ma incipit /in'tʃipit/, decet /'deʃet/, principio /prin'sipjo/, ad caelestem /ad se'lestem/
2) In un caso l'occlusiva /g/ è conservata velare davanti alla vocale anteriore /i/: intelligis /intelli'gis/. Per il resto mostra palatalizzazione in /dʒ/ davanti a vocale anteriore /e/ e /i/, ma a volte l'esito è /ʒ/. Es. igitur /i'dʒitur/, angeli /'anʒeli/.
3) Il nesso /sk/ davanti alla vocale anteriore /i/ può essere reso da /ss/. Es. Priscillianum /prissil'ljanum/.
4) Il nesso /gn/ non ha subìto palatalizzazione e si conserva integro. Es. indignam /in'dignam/.
5) Quasi sempre l'occlusiva /t/ è affricata davanti a semiconsonante palatale, avendo come esito /tsj/, ma in un caso l'occlusiva è invece conservata: Gratianus Imperator /gra'tjanus impe'rator/. Si noterà che poco dopo ricorre gratias /'gratsjas/.
6) Si ha conservazione del dittongo /ae/ in praedicabimus /praedi'kabimus/ e in animae /'animae/, per il resto è semplificato in /e/.
7) Si ha conservazione del dittongo /oe/ in poenas /'poenas/. Tuttavia si ha monottongazione in poenam /'penam/.
8) La posizione dell'accento è spessissimo erronea (igìtur anziché ìgitur; anìma anziché ànima, e via discorrendo), come se gli attori provassero una ripugnanza innata per le parole sdrucciole. Né va taciuto che in numerosi casi l'ultima sillaba attrae l'accento (intelligìs anziché intèlligis; debèt anziché dèbet; innocèns anziché ìnnocens, e via discorrendo). 

Trascrizione dei dialoghi  

1) Il pastore con la lanterna va verso i due pellegrini. Stupito di vederli così paludati, dapprima cerca di accertarne l'identità, poi dà loro il benvenuto e li invita alla congregazione. Parla ai due usando i verbi e i pronomi al singolare, tranne un singolo imperativo. 

  Pastore: Tu ergo nihil intelligis! Quia iam incipit. Quis tam es tu? Unde nam venis? Quicumque sis pax tibi! Venite! At tamen, de iis quae videbis debes nec verbum dicere tibi recipit. 

2) Un presbitero annuncia la vittoria di Priscilliano. Questi si rivolge ai credenti proclamando i capisaldi della Dottrina.

 Presbitero: Fratres mei carissimi, laetum nuntium de urbe per proconsule Volventio ad nos pervenit. Gratianus Imperator Priscillianum episcopum sedi Abulensi restituit.
 
Priscilliano:
Igitur pars nostra vincit. Non ego haereticus sum, sed iste qui in cathedra Petri sedit, Damasus, iste qui Papae titulum sibi assumpsit. Nostra doctrina ergo vera est. Et eam cito aperto in universo mundo praedicabimus.   

 Presbitero: Gratias agamus Deo. 
 Priscilliano: Anima nostra essentia divina est.
 Presbitero: 
Sicut angeli, ipsa quoque a Deo creata est. Stellarum cursu regitur.   
 Prima matrona: In peccati poenam unita fuit corpori. Corpus nostrum opus daemonis est.  
 Seconda matrona: Daemon autem existit a principio, sicut Deus ipse.  
 Priscilliano: Rem tam indignam et impuram sicut corpus nostro Deum creasse non decet.
 
Terza matrona: Corpus carcer animae est. Anima, ut ab eo sese liberet paulatim ab ipso separari debet.
 
Quarta matrona: Corpus humiliare et contemnere necessarium est. Delectationibus carnis incessanter submittendum est. Ad hoc ut, post mortem, anima mundata ad caelestem sedem redeat. 

3) Priscilliano fa giurare i credenti di non rivelare nulla di quanto hanno ricevuto.

  Priscilliano: Iura, periura, secretum prodere noli. 

La risposta, nos iuramus, in modo ben sorprendente sembra pronunciata in un idioma romanzo, come no giuramu!

4) Priscilliano si allontana con due presbiteri. Benedice il pane, lo spezza, ne dà una parte ai presbiteri stessi e ne mangia un boccone, recitando una formula suggestiva.  

  Priscilliano: Non ego te messui nec molui. Nec ego te massam confeci. Neque te ego in fornacem misi. Innocens sum ego ab omnibus afflictationibus tuis, utinam illi qui te afflixerunt illas poenas patiant.   

Se uno ascolta bene i discorsi in latino, si rende conto che gli attori hanno una forte cantilena portoghese. Il Presbitero pronuncia chiaramente a Deo come /a 'deu/. Buñuel non era uno studioso dell'evoluzione della lingua latina nel corso dei secoli. Sono però convinto che avrebbe spiegato i motivi della sua scelta di una lingua fortemente disomogenea con l'incoerenza tipica di tutte le età in cui avvengono mutamenti storici. Immagino che si sia servito di un accademico, ma non sono riuscito a risalire al suo nome. A questo punto riporto la traduzione in italiano della Dottrina enunciata, che contiene gemme di Verità e che coincide con quanto io stesso professo salvo due punti (influenza delle stelle e utilità dei piaceri carnali per "sfinire" il corpo): 

La nostra anima è essenza divina. Come gli angeli, anch'essa è stata creata da Dio. Ed è sottoposta al corso delle stelle. Nella pena del peccato fu unita al corpo. Il nostro corpo è opera del Diavolo. Il Diavolo esiste dal principio, come Dio stesso. Non è possibile che Dio abbia creato una cosa tanto misera e indegna come il nostro corpo. Il corpo è il carcere dell'anima. Affinché se ne liberi, l'anima si deve separare a poco a poco da esso. È necessario umiliare e disprezzare il corpo. Ai diletti della carne deve essere incessantemente soggiogato. Questo affinché l'anima, dopo la morte, sia purificata e faccia ritorno alla sede celeste. 

Un accanimento feroce e satanico

La bambina demoniaca che recita un obbrobrioso remix di anatemi contro l'Insegnamento di Priscilliano, tratti dagli atti del Sinodo di Braga dell'anno 563, è la testimonianza di qualcosa che dovrebbe far riflettere tutti. Se i seguaci del Dualismo Anticosmico non esistono quasi più e sono quattro gatti, perché i poteri del mondo si accaniscono in questo modo? L'indecoroso e blasfemo spettacolo portato in scena da Buñuel trae la sua ispirazione da qualcosa che purtroppo non è affatto raro: ci si imbatte spesso in nemici accaniti. Gente che spende tempo e risorse allo scopo di abbaiare alla luna e di combattere contro le ombre. Esistono complottisti dal cervello bacato che inveiscono contro dottrine che da secoli non hanno più la benché minima rilevanza. È stato persino trovato un sito il cui gestore blaterava di un fantomatico "complotto della Gnosi orgiastica" messo in opera dai Rettiliani inserendo subliminali in un film i cui interpreti sono salsicce animate! Sarebbe bello poter applicare su questi elementi i sistemi usati dal grande Ezzelino III da Romano. Purtroppo una simile fantasia è destinata a restare una pia velleità, stante il tremendo Zeitgeist di quest'epoca abominevole, in cui la Verità è minacciata di estinzione e la menzogna prospera come una massa di cagnotti. Toccherà quindi usare contro i malfattori le armi della satira, dell'irrisione e dello scherno... e gli anatemi! 

Le origini del Terzo Segreto di Fatima

Quando nell'anno 2000 fu rivelato il Terzo Segreto di Fatima, Karol Wojtyła disse di essersi riconosciuto in una presunta visione dei pastorelli portoghesi, incentrata sulla fucilazione del papa vestito di bianco. Ecco il testo della cosiddetta "profezia": 

"E vedemmo ("qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti"), in una luce immensa che è Dio, un vescovo vestito di bianco ("abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre"), altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi, come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni."

Troppo grande è la somiglianza con la scena della fucilazione del papa nel film di Buñuel del 1969 per pensare che possa trattarsi di una coincidenza! La verità è questa e non lascia adito a dubbio alcuno: i malfattori porporati hanno assemblato un testo confusionario traendo ispirazione proprio dalle sequenze de La Via lattea!   


Le conseguenze della falsa profezia

È credenza comune tra i papisti e moda tra i malfattori chiamati "veggenti" narrare le proprie visioni del futuro, siano esse il parto del delirio o pure invenzioni. Poi, di fronte al mancato avverarsi delle stesse visioni, affermano immancabilmente che il futuro è cambiato perché loro e i loro seguaci hanno pregato e convinto Dio a rinunciare ai suoi piani, tanto banali da essere modificabili su richiesta di quattro babbioni. Se un profeta fa una previsione che non si avvera, dovrebbe essere ritenuto un falso profeta. Karol Wojtyła, nel riconoscersi in una profezia falsa, si è attribuito l'etichetta di falso profeta. Forse consapevoli di rischiare grosso, i porporati del Collegio Cardinalizio pensarono bene di non obbligare i fedeli cattolici a credere al Terzo Segreto da loro fabbricato con grande frode, lasciando libertà di coscienza. La loro subdola macchinazione ha avuto un grande successo nell'insabbiare l'accaduto: ormai la falsa profezia è quasi caduta nell'Oblio, non ne parla più praticamente nessuno, salvo alcuni cattolici-belva emarginati che vorrebbero riutilizzarla per augurare la fucilazione a Papa George Pompeo Bergoglio. Ormai c'è soltanto il Terzo Segreto di Satira.

Pretesa esattezza rigorosa e inesattezze varie

Finito il film e scorsi i titoli di coda, ecco che compare un bizzarro quanto famoso disclaimer: 

«Tutto ciò che, in questo film, riguarda la religione cattolica e le eresie che essa ha suscitato, particolarmente dal punto di vista dogmatico, è rigorosamente esatto. I testi e le citazioni sono conformi sia alle sacre scritture, sia a delle opere di teologia e di storia ecclesiastica antiche e moderne.»

Eppure già in questa introduzione c'è un errore. Le cosiddette eresie non sono sempre semplici deviazioni discese dalla dottrina della Chiesa Cattolica, come accade ad esempio col Giansenismo. Sono in diversi casi vere e proprie religioni indipendenti. Le dottrine dei Patarini e di Priscilliano non hanno la loro origine nella teologia della Chiesa di Roma, dato che la loro sorgente prima è rimasta immune ai perniciosi effetti del Primo Concilio di Nicea. 

Patarini e paté

Vediamo che un singolarissimo prete cattolico entra in una trattoria e si mette a disquisire sulla Transustanziazione con un brigadiere. Un cameriere interviene e fa un esempio fuori luogo, dicendo che il corpo di Cristo è presente nel pane eucaristico come la carne di lepre in un paté. Il prete va su tutte le furie e attribuisce questa similitudine della lepre nel paté alle opinioni dei Patarini, ossia dei Catari (da non confondersi con la Pataria milanese), cosa che è senza dubbio abusiva. Il cameriere aveva alluso senza saperlo alla Consustanziazione, secondo cui il corpo di Cristo è effettivamente contenuto nell'ostia consacrata ma non coincide con la sua sostanza. Il bello è che soltanto poche frasi prima, il prete aveva invece affermato che per gli Albigesi l'Eucarestia era una rappresentazione, contraddicendo la propria sparata sui Patarini, che evidentemente riteneva una setta diversa. Le cose invece stanno così: per i Patarini il pane eucaristico è un semplice impasto di farina. "Fanno dèi di pastella e se li mangiano", diceva un Buon Uomo di Tolosa, come riportato dal Duvernoy. Presso tutti i Catari, Radicali e Mitigati, l'Eucarestia è considerata un sacramento meritevole di irrisione e di scherno. "Se anche il corpo di Cristo fosse stato grande come il Monte Morella", diceva il Buon Uomo Belibasta, "i preti con la loro voracità lo avrebbero già divorato per intero". Il Buon Uomo Peire Autier, che era l'Apostolo della Linguadoca, diceva che la Chiesa Romana mente, perché sostiene che il pane eucaristico è il corpo di Cristo, mentre i Buoni Uomini non mentono mai, in quanto chiamano il pane benedetto col suo nome. Alla fine il prete, preso dalla confusione, dice all'improvviso che il corpo di Cristo è contenuto nell'ostia come la lepre nel paté, affermando ciò che fino a poco prima aveva condannato e facendo trasecolare il brigadiere. Le sue continue antinomie sono interrotte dall'arrivo di un'ambulanza, il cui personale lo riconduce in manicomio. 

Il dialogo dei camerieri teologi

In una scena particolarmente surreale, vediamo alcuni camerieri discutere di teologia e di eresiologia intorno a un buffet in un albergo spesso usato da pellegrini estenuati e poco amanti della sana vita spartana. Una cosa che ben difficilmente può avere una sua corrispondenza nella nostra realtà, in quanto raramente si trova un cameriere incline a studiare e a filosofare: capita più spesso di scoprire camerieri che manipola il cibo con mani sporche di culo e di merda al fine di trasmettere agli avventori fastidiose diarree. La tesi dei camerieri mostrati da Buñuel era relativa al docetismo, ossia alla natura illusoria, apparente, del corpo di Cristo. Durante la dissertazione, il docetismo era attribuito a Nestorio e ai Monofisiti. Se devo essere franco trovo ben strana questa tesi. Il Docetismo è tipico delle varie forme di Dualismo Anticosmico, dagli antichi Gnostici ai Manichei, e ai Neomanichei medievali come Bogomili e Catari. Nasce dall'attribuzione della creazione della carne al Diavolo: essendo la carne malvagia, Cristo non può averla indossata. Per Nestorio, Cristo è formato dall'unione morale di due persone distinte, essendo Maria la madre della sola natura umana, corporale. Un insegnamento incompatibile col Docetismo. Per il Monofisismo la natura umana di Cristo è assorbita in quella divina, accolta in essa "come una goccia nell'oceano". Per il Miafisismo che ne è derivato, umanità e divinità di Cristo sono tra loro unite e indivisibili, fuse in un sinolo. Anche qui non abbiamo alcun rapporto con il rifiuto della materia. Quindi possiamo dire che asserito da Buñuel su Nestorio e sul Monofisismo non corrisponde a verità.

L'Arcivescovo Carranza e il suo strano destino

Merita infine una rapida menzione la figura dell'Arcivescovo di Toledo Bartolomé Carranza (1503-1576), a cui secondo molti internauti allude nel film il cadavere del porporato che vediamo esumato, sottoposto a processo e dato alle fiamme a causa del ritrovamento di un suo manoscritto. In realtà Carranza fu imprigionato e processato per eresia mentre era ancora in vita. Quale fu la causa di tutto questo? Leggendo la documentazione, ci si rende conto che l'eresia di Carranza consisteva in alcuni prestiti dottrinali presi dall'umanista e riformatore tedesco Filippo Melantone (Philipp Melanchthon). Il primate spagnolo, che aveva combattuto fieramente contro la Riforma, rifiutò sempre ogni addebito e non capì mai perché l'Inquisizione lo perseguitasse. Corse addirittura la voce che fosse riuscito a convertire al Luteranesimo l'Imperatore Carlo V in punto di morte, essendo stato da lui per dargli l'estrema unzione. Questa illazione, pur priva di qualsiasi fondamento, destò un immenso scalpore in tutta la Spagna. Dopo anni di tribolazioni giudiziarie, alla fine fu costretto ad abiurare un certo numero di posizioni teologiche ritenute erronee. Fu talmente sconvolto da questa sentenza che morì pochi giorni dopo.

lunedì 24 aprile 2017


SEBASTIANE
- IL PRIMO FILM SODOMITICO
IN LATINO - 

Titolo originale: Sebastiane
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 1976
Lingua: Latino (pronuncia classica*)
    *Vedi la trattazione nel seguito
Durata: 90 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Genere: Drammatico, storico, erotico (omoerotico) 
Regia: Derek Jarman, Paul Humfress
Sceneggiatura: Derek Jarman, Paul Humfress,
   James Whaley
Produttore: Howard Malin, James Whaley
Traduzione latina: Jack Welch, James Whaley    
Fotografia: Peter Middleton
Montaggio: Paul Humfress
Musiche: Brian Eno, Andrew Thomas Wilson
Interpreti e personaggi:
    Leonardo Treviglio: Sebastiano
    Barney James: Severo
    Neil Kennedy: Massimo
    Richard Warwick: Giustino
    Donald Dunham: Claudio
    Daevid Finbar: Giuliano
    Ken Hicks: Adriano
    Janusz Romanov: Antonio
    Steffano Massari: Mario
    Robert Medley: l'Imperatore Diocleziano
    Lindsay Kemp: danzatrice
    Luciana Martínez: matrona romana
    Kevin Whitney: pittore di corte
    Eric Roberts: esecutore
    Gerald Incandela: ragazzo-leopardo
  Gli ospiti dell'Imperatore Diocleziano:   
    Charlotte Barnes
    Rufus Barnes
    Nell Campbell
    Sally Campbell
    Graham Cracker
    Michael Davis
    Nicholas de Jongh
    Joan de Vere Hunt
    Duggie Fields
    Guy Ford
    Peter Hinwood
    Christopher Hobbs
    Pamela "Jordan" Rooke
    Gerlinde Kostiff
    Michael Kostiff
    Ulla Larson-Styles
    Andrew Logan
    Alasdair McGaw
    Patricia Quinn
    Norman Rosenthal
    Johnny Rozsa
    Philip Sayer
    John Scarlett-Davies
    Rae Spencer-Cullen
    Volker Stokes
    Thilo von Watzdorf 
    Harald Waistnage

Trama:

Nell'estate dell'anno 303 d.C., nel palazzo dell'Imperatore Diocleziano si scatenano incendi inspiegabili, che gettano la corte nel terrore. L'anziano Imperatore attribuisce la colpa ai Cristiani, dando così inizio alla Grande Persecuzione. Più tardi, nello stesso anno, Diocleziano ritorna a Roma per celebrare l'anniversario dei 20 anni dalla sua intronazione. I festeggiamenti culminano il 25 dicembre, Giorno del Sole Invitto, quando il sovrano dà una festa in onore della sua famiglia e di Sebastiano, capitano delle Guardie di Palazzo e suo favorito. Qualcosa però va storto. Durante la festa vengono identificati come piromani alcuni giovani effeminati, che a dispetto dei loro vizi sodomitici seguono il Cristianesimo. Uno di questi ganimedi biondi sta per essere strangolato da un gigantesco e aggressivo mandingo davanti all'intera corte, quando Sebastiano interviene per impedirne l'uccisione. Facendo questo, egli si identifica come cristiano e viene quindi condannato alla deportazione in un avamposto militare isolato in una distretto impervio della Sardegna, lontano dai porti e dalla vita urbana. Guardato a vista, Sebastiano trascorre giornate vuote in quella desolazione, mentre i suoi commilitoni mimano danze oscene e si abbandonano ad atti pederastici. Ecco che il comandante, il biondo Severo, si invaghisce del giovane cristiano e desidera possederlo carnalmente. Sebastiano, che pure adora Severo fino al punto da comporre una poesia in cui lo paragona al Dio Sole, resiste a ogni tentativo di intrusione intestinale del fallo del suo spasimante, che vorrebbe scaricare nel budello il proprio sperma e porre fine al tormento. Alla fine, dopo una serie estenuante di tensioni fisiche e morali, Severo decide che il suo amato non può continuare a vivere e lo condanna ad essere trafitto dalle frecce.  


Recensione:

Senza dubbio uno dei film più strani e originali che mi sia capitato di vedere. Le sequenze sono lente e spesso quasi estenuanti, venate di un profondo sadomasochismo la cui natura sembra essere addirittura metafisica. Il contenuto è di grande interesse antropologico, nonostante sulla sua accuratezza storica ci sia molto da ridire.

Il problema delle fonti di Jarman

È opinione corrente che la fonte utilizzata da Jarman sia una versione apocrifa della vita San Sebastiano risalente agli inizi del XX secolo: il melodramma Le Martyre de Saint Sébastien di Gabriele D'Annunzio, musicato da Claude Debussy. Si trova spesso scritto che nell'opera del Vate il giovane Sebastiano sarebbe presentato come l'amante dell'Imperatore Diocleziano. Si può provare che queste credenze, pur diffusissime nel Web e altrove, non corrispondono al vero. Nel Martyre Sebastiano è ritenuto sì il favorito di Diocleziano, ma la cosa non sembra avere necessariamente una connotazione sessuale. Vero è che Diocleziano a un certo punto lo concupisce e cerca di sedurlo. Tuttavia è anche vero che questa passione non era ricambiata dal giovane cristiano, né è scritto che questi se ne andasse in giro bel bello ad avere rapporti anali passivi. Che Diocleziano fosse animato da passioni sfrenate non era di per sé ritenuto così scandaloso, dato che il persecutore dei seguaci di Cristo doveva essere necessariamente descritto come un mostro. Se ci fosse stata anche una minima allusione a un atteggiamento ambiguo del santo, il pubblico avrebbe considerato tutto ciò osceno e blasfemo. Invece si sa che la Chiesa Romana condannò l'opera e vietò ai suoi fedeli di assistervi soltanto perché San Sebastiano era interpretato da una donna, la famosa ballerina Ida Rubinštejn, che per giunta era ebrea. 

Questo si trova scritto nel blog Gayburg su Blogspot a proposito del problema delle fonti: 

"La storia del santo venne ripresa da numerosi artisti e scrittori. Ma è nel 1909 che Georges Eekhond parlò apertamente dell'omosessualità del santo nella sua opera "Saint Sébastien Dans la Peinture", riprendendo voci ed aneddoti risalenti a molto tempo prima. Anche Gabriele D'Annunzio nel 1910 si riferisce a Sebastiano come il "favorito" degli imperatori Diocleziano e Massimiano nella sua opera "Martyre de saint Sebastien": secondo alcuni quel termine indicava un rapporto di tipo affettivo con gli imperatori, secondo altri potrebbe anche lasciar intendere un ruolo da consigliere." 


A parte il fatto che lo scrittore fiammingo francesizzato si chiamava Eekhoud e non Eekhond, posso smentire l'autore del sito. Mi sono preso la briga di reperire il saggio Saint-Sébastien dans la Peinture e me lo sono letto interamente (è un articolo di poche pagine). Posso garantire che non si fa la benché minima menzione a concreti atti di sodomia. Questo è il link:


Eekhoud ci parla della sensualità di un santo rappresentato in modo quasi pagano, come una sorta di Dioniso cattolico, una sintesi voluttuosa tra Cristianesimo e culto di Bacco. Si insiste sul realismo sadico degli spagnoli, sul mediocre amore per le passioni mostrato dai tedeschi e via discorrendo. Si cita un brano tratto dal romanzo Il giglio rosso di Anatole France, che definisce voluttuose le immagini di vergini, angeli e santi della pittura italiana, definendo San Sebastiano "il Bacco doloroso del Cristianesimo". Dove sarebbero le penetrazioni del fallo eretto nell'ano lubrificato? Non ci sono, anche se il fiammingo di lingua francese era un "uranista". Si può concludere che il collegamento di Sebastiane con l'articolo di Eekhoud si fonda su un falso, come già il collegamento con il Martyre. Un falso preso per buono da moltissimi internauti e forse deliberato, al cui autore ultimo non è facile risalire, essendosi perso negli abissi dell'immaginario collettico blogosferico. Sono riuscito a trovare precedenti ben più espliciti e adatti Sebastiane e per il mito delle passioni sodomitiche del martire. Sono in buona sostanza i seguenti: 
1) Lo pseudonimo Sebastian Melmoth assunto da Oscar Wilde appena scarcerato dopo aver scontato una pena per i suoi comportamenti omosessuali ("gross public indecency"). Sembra chiaro che l'esteta irlandese si considerava un martire come il santo trafitto dalle frecce, cosa che presuppone un'associazione San Sebastiano-sodomia già ben radicata. Correva l'anno 1897.  
2) La poesia Sankt Sebastian, di Rainer Maria Rilke, che pur non contiene riferimenti espliciti, descrive ogni fase del supplizio con una profonda empatia masochistica, paragonando la posizione del martire a quella delle madri che allattano e chiama la sua morte "il distruttore di una cosa bella". Correva l'inverno 1905/1906.
3) La poesia The Love Song of St. Sebastian, di Thomas Stearns Eliot, sensualissima e piena di riferimenti carnali. Il testo fa una continua allusione alla colpa e alla vergogna, termini che in quei tempi potevano ben nascondere il contatto tra il seme virile e l'intestino retto. Correva l'anno 1914 quando la poesia fu composta, anche se la sua pubblicazione fu postuma. 
4) Il romanzo semi-autobiografico di Yukio Mishima, Confessioni di una maschera (Kamen no kokuhaku), in cui l'autore afferma di aver compreso le sue pulsioni omoerotiche eccitandosi davanti a un dipinto del martirio di San Sebastiano di Guido Reni. Correva l'anno 1948.
5) La poesia San Sebastiano de Sodoma, di Tennessee Williams, drammaturgo americano convertito al Cattolicesimo. Più esplicita non potrebbe essere. L'associazione del nome del martire alla città di Sodoma è decisamente audace e sorprendente, soprattutto da parte di un cattolico. Correva l'anno 1950. 
6) Il dramma Improvvisamente l'estate scorsa (Suddenly last summer), dello stesso Tennessee Williams, il cui protagonista omosessuale viene ucciso e divorato da una torma di nativi di un luogo desolato noto come Cabeza de Lobo. Correva l'anno 1958.
Tutti questi elementi dovevano scorrere come un fiume carsico, quasi invisibile sotto la superficie rocciosa eppure potente. È assai probabile che la leggenda dell'omosessualità di San Sebastiano sia stata amplificata e diffusa proprio dal film di Jarman, che potrebbe anche aver introdotto per primo il mito dell
a relazione carnale tra il santo e Diocleziano. Fatto sta che questa invenzione nel frattempo ha trovato grandissima diffusione nell'ambito delle comunità omosessuali, al punto che moltissimi in tale contesto lo ritengono addirittura il santo patrono dei sodomiti. A questo punto occorre capire il contesto in cui agiva il regista inglese.

Derek Jarman e il suo tempo 

Il lavoro di Jarman, che mostra uomini in completa nudità intenti a scambiarsi effusioni, fu per la sua epoca qualcosa di incredibilmente trasgressivo. Forse oggi queste cose non farebbero più tanto scalpore tra le genti, tale è il bombardamento che subiamo ogni giorno dal Web e dagli altri media. Quando Sebastiane fu girato, assistere a tali sequenze era qualcosa di sconvolgente, con buona pace della cosiddetta Rivoluzione Sessuale. Ricordiamoci che gli anni '60 e '70 dello scorso secolo erano radicalmente diversi dai tempi in cui viviamo. Le organizzazioni conosciute come LGBT erano ancora allo stato embrionale e non c'erano Gay Pride in grado di radunare un numero immenso di persone. Le masse credevano che gli omosessuali fossero quattro gatti e li odiavano con ferocia. Sembra che persino il famoso paladino dei diritti Fabrizio De André da ragazzo si divertisse a tirar loro sassi, a quanto ci ha testimoniato Paolo Villaggio in un'intervista in cui ricordava la propria gioventù. Vi erano ancora moltissime persone ignare della stessa fisiologia, che nella loro ciclopica ignoranza confondevano concetti come "impotenza", "sterilità", "castrazione" e "omosessualità". Difficile per un cittadino del XXI secolo immaginare le conseguenze di un simile pastone di idee distorte, che nel concreto mieteva vittime. In questo scenario che i Millennials riterrebbero alieno, Jarman decise di capovolgere il mondo intero e di mostrare qualcosa di sconosciuto, qualcosa che era confinato nell'oscurità e ridotto al silenzio perché considerato incredibilmente ripugnante dalla stragrande maggioranza del genere umano. Non dobbiamo dimenticarci che lo stesso regista inglese era noto per la sua omosessualità, comportamento che nelle sue opere analizzava dal punto di vista filosofico, etico e talvolta anche politico.  


La danza priapica

Le sequenze iniziali del film mostrano uno spettacolo che pochi hanno visto ai nostri giorni: una danza priapica in onore del Sole. Un ballerino effeminato e coperto di pigmenti, simile a un transex a cui mancano i seni (all'epoca non esisteva la mastoplastica), si muove tra alcuni uomini che esibiscono giganteschi simulacri fallici tra le gambe, agitandoli con furia. Il ritmo accelera, diventa frenetico, seguendo i movimenti masturbatori, per culminare nell'aspersione del femmineo danzatore con una crema pastosa e bianca che simula lo sperma. Quasi una gangbang omosex agli inizi del IV secolo d.C., decisamente qualcosa di osé per il pubblico degli anni '70. 

L'uso della lingua latina

Un'altra scelta rivoluzionaria del regista sta nella lingua il film è stato girato: il latino. Questo ne fa la sola pellicola girata in Inghilterra a necessitare di sottotitoli in lingua inglese. A me interessa particolarmente la realizzazione dei dialoghi e la pronuncia usata, che si fonda sulla pronuntiatio restituta con alcune modifiche. Due accademici si sono occupati di questi dettagli. Devo dire che purtroppo ci sono svariate inconsistenze nel loro prodotto e che non mancano errori anche grossolani. 1) Si noti che v (la u consonantica) suona sistematicamente /v/ anziché /w/, cosa abbastanza vicina al vero, dato che l'alterazione del fonema /w/ iniziò presto.
2) Non altrettanta precisione è stata impiegata con i dittonghi con secondo elemento palatale. Non soltanto il dittongo /ae/ è realizzato con i due elementi distinti in ogni posizione della parola, ma si danno casi in cui attrae l'accento. Così la parola rosae è pronunciata /ro'zae/, con tanto di sibilante sonora e con l'accento sulla desinenza. Ai tempi di Diocleziano, la monottongazione si era compiuta.
3) L'occlusiva velare /k/ conserva il suo suono, ma in un caso si ha addirittura una pronuncia sibilante. Quando i soldati giocano a far correre in una cavità nella sabbia alcuni coleotteri stercorari, si nota subito che hanno dato a ognuno di questi insetti il nome di una donna del passato imperiale. Così abbiamo ad esempio uno scarabeo chiamato "Messalina", un altro chiamato "Cleopatra". A un certo punto ecco che i militi incitano uno scarabeo che hanno soprannominato "Boadicea", pronunciato /boudi'si:a/. Il punto è che questo non è proprio possibile. L'allusione è alla regina degli Iceni, Boudicca, ossia "Vittoriosa", che ha guidato un'insurrezione contro i Romani in Britannia. La pronuncia corretta data dai Romani doveva essere /'bo:di:k(k)a/ o /'bu:di:k(k)a/, derivato dal celtico /'boudi:k(k)a/ con l'accento originale. Il vocabolo vive tuttora nel gallese buddig "vittorioso" < *boudi:kos. Si noterà che il dittongo /ou/, tipico delle lingue celtiche dell'epoca, era sentito come innaturale in latino già in epoca classica. Qual è dunque il problema? Durante il XVI secolo in Inghilterra il nome di Boudicca (varianti Bodicca, Budicca, etc.) era stato riscoperto e trascritto erroneamente come Boadicea, con -a- corruzione grafica di -u-, mentre -e- era una corruzione grafica di -c-. Così gli Inglesi hanno pronunciato questo nome con una sibilante /s/, seguendo la pronuncia accademica del latino. C'è addirittura chi pronuncia [boʊ'dɪsjə], che rima con l'inglese americano "miss you" e chi addirittura pronuncia [boʊ'dɪʃə], che rima quasi con l'italiano "biscia". Un professore universitario inglese queste cose avrebbe dovuto saperle.
4) Nonostante sia chiaro che Sebastiane è il vocativo di Sebastianus e che quindi vada pronunciato /seba'stja:ne/, diverse volte gli attori pronunciano /se'bastjan/. Altri casi di vocativi aberranti e adesinenziali si presentano nel corso del film, come ad esempio Max /maks/ per Maxime /'maksime/.
5) Gli strafalcioni marchiani non mancano. Così abbiamo car anziché cur "perché"; besius anziché basium "bacio"; est urentes anziché est urens o meglio urens est "è ardente".

La Grande Persecuzione

Ultima delle persecuzioni contro i Cristiani, quella ordinata da Diocleziano nell'anno 303 fu la più devastante e iniziò in modo un po' diverso da quanto è descritto nel film. Occorre innanzitutto dire che esisteva nella capitale Nicomedia (attuale Izmit, Turchia), una chiesa alla luce del sole, proprio davanti al Palazzo Imperiale. Era un edificio importante, che aveva anche pretese artistiche. Dettaglio non trascurabile, il luogo di culto sorgeva su un colle che dominava il Palazzo, cosa che creava senza dubbio più di un fastidio. Non si deve dimenticare che Diocleziano si decise a perseguitare i Cristiani dopo un periodo di tolleranza davvero lungo, iniziato con Gallieno nel 260 e noto come Piccola Pace della Chiesa. Il casus belli non ebbe a che fare con incendi inspiegabili, ma con un episodio ancor più singolare. Il retore cristiano Lattanzio scrisse che, trovandosi Diocleziano e Galerio in Antiochia, alcuni aruspici stessero scrutando le viscere degli animali sacrificati, sperando di leggervi il futuro. Non riuscendo nel loro intento, l'aruspice capo affermò che la causa stava nella presenza in loco di un gran numero di fedeli di Cristo, tra cui anche membri della famiglia imperiale. Ad ogni movimento degli aruspici, i presenti non facevano che segnarsi e recitare preghiere esauguratorie. Così il rituale abortì e fu interrotto. L'Imperatore andò su tutte le furie ed emanò in quattro e quattr'otto il primo editto persecutorio, che fece innanzitutto affiggere alle pareti delle stanze e dei corridoi del Palazzo. La chiesa di Nicomedia fu rasa al suolo senza esitazione. Gli incendi menzionati da Jarman ci furono, ma si verificarono a persecuzione già iniziata e provocarono il suo inasprimento, con l'emanazone di altri tre editti. Non fu mai trovato alcun responsabile di questi fuochi, ma alcuni ritengono strano che Galerio in quell'occasione abbandonasse in fretta e furia la città, temendo di essere linciato dai Cristiani. A iniziare da Edward Gibbon, numerosi storici hanno fatto di tutto per sminuire la portata dell'opera di Diocleziano, riducendo il numero delle vittime e dando vita a una forma di negazionismo. Per quanto mi riguarda, concordo invece con quanto Stephen Williams ha scritto nel 1985: "Anche ammettendo un margine per l'invenzione, ciò che rimane è abbastanza terribile. A differenza di Gibbon, noi viviamo in un'epoca che ha sperimentato cose simili, e sappiamo quanto sia insano il civilizzato sorriso di incredulità di fronte a tali resoconti. Le cose possono essere, e sono state, cattive quanto le nostre peggiori immaginazioni."

La leggenda di San Sebastiano

Il film presenta elementi che si discostano fortemente dalla leggenda di San Sebastiano, di cui scrisse Sant'Ambrogio nel suo commento al salmo 118. Secondo la tradizione, Sebastiano nacque nell'anno 256 da nobile famiglia a Narbona e ricevette un'educazione cristiana a Milano. Giunto a Roma ai tempi dell'Imperatore Carino, fece una rapida carriera nell'esercito, fino a diventare comandante della Prima Coorte Pretoria. Forte della sua posizione, si adoperava per la comunità crisitana sofferente, confortando i carcerati, sostenendo i condannati a morte e facendo seppellire i corpi dei martiri. Andò avanti così, nascondendo la sua religione e diffondendola a corte, finché non venne scoperto da Diocleziano, che lo fece condannare ad essere trafitto dalle frecce degli arceri di Mauritania fino a somigliare a un porcospino. Fu abbandonato dai carnefici che lo credevano morto, perché la sua carne fosse divorata dalle fiere. Eppure miracolosamente si salvò e fu raccolto da Sant'Irene, che lo curò e ristabilì la sua salute. Fu così che egli tornò da Diocleziano, interrompendo una celebrazione pagana che stava officiando e rimproverandolo per la sua ferocia contro i Cristiani. Diocleziano fece frustare a morte Sebastiano e diede ordine che il suo corpo fosse gettato nella Cloaca Maxima. Questa stessa leggenda presenta numerosi elementi incongrui che hanno portato gli storici a definirla spuria. Per esempio, sappiamo che Diocleziano aveva il suo palazzo a Nicomedia, in Asia Minore. Non abitò mai a Roma, città sempre più negletta dal potere imperiale. Anche la data di nascita e quella di morte di San Sebastiano creano difficoltà insormontabili. Diocleziano iniziò a perseguitare i Cristiani nell'anno 303, a febbraio, quindi non era possibile che Sebastiano patisse la persecuzione nel 288. Consapevole di questa grave incongruenza, il regista ha pensato bene di posticipare la morte del martire per far sì che coincidesse con la Grande Persecuzione. Possiamo dire per certo che, se Jarman e D'Annunzio hanno inventato, anche le fonti della Chiesa di Roma presentano qualche piccolo problema e non sono certo cristalline. 

Problemi di iconografia

Nel suo sito La gaya scienza, Giovanni Dall'Orto afferma che le raffigurazioni di San Sebastiano come efebo sono recenti e incoerenti, in quanto non era possibile che un capo della Guardia di Palazzo di Diocleziano fosse tanto giovane da passare per un ragazzino imberbe. Doveva essere un uomo maturo e virile. Dall'Orto riporta un'informazione interessante, parlando di un antico mosaico nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma (sec. VII), che mostra San Sebastiano barbuto e in vesti militari. Tuttavia sbaglia quando confonde il mito recente dell'omosessualità di Sebastiano con le raffigurazioni androgine, che sono comparse col Rinascimento. Questo è quanto egli scrive: 

"San Sebastiano ha attratto l'attenzione degli artisti del Rinascimento come occasione di "bella anatomia" maschile, del corpo maschile adulto, ma non necessariamente omoerotica.  Va infatti ricordato che Sebastiano era un militare (e come tale patrono degli arcieri e dei balestrieri... e per eredità, oggi, dei... vigili urbani!) e quindi non poteva essere rappresentato come ragazzino: doveva essere un uomo fatto e "virile".
Pensiamo solo a quel catalogo di muscoli addominali che è il san Sebastiano del Mantegna (anzi, i tre Sebastiani del Mantegna)."


In realtà i virili dipinti del Mantegna mi sembrano un'eccezione. Esistono infatti moltissime opere rinascimentali che ritraggono San Sebastiano con sembianze giovanili e delicate. Basti guardare i dipinti di autori come Sandro Botticelli (1473), Antonello da Messina (1478), Perugino (c. 1495), Rubens (1604). Il quadro di Perugino ci mostra un ragazzo che sembra ai confini con la transessualità. Lodovico Carracci (1612) ha dipinto un raro soggetto, il corpo di Sebastiano gettato nella Cloaca Maxima, e ancora una volta le sembianze sono quelle di un giovane delicato dai capelli chiari, efebico e assolutamente femmineo. Probabilmente l'omoerotismo era per prima cosa nella testa di questi artisti, che si nutrivano di un simile immaginario sensuale, diffondendolo a macchia d'olio e facendolo perdurare nel corso dei secoli. Concordo con Giovanni Dall'Orto sul fatto che non sono documentate associazioni tra il santo e i sodomiti dei tempi pre-moderni, ma questo è dovuto con ogni probabilità al potere censorio della Chiesa Romana, che impediva di parlare di questo argomento. A quanto pare le fantasie dei sodomiti dei secoli passati erano incentrate su San Giovanni Evangelista (detto San Giovannino), raffigurato con sembianze efebiche e ritenuto un omosessuale passivo per via di una lettura maliziosa di un passo del Vangelo in cui giaceva sul petto di Gesù durante l'Ultima Cena (qui recubuit super pectus eius). Questo non toglie che moltissimi uomini si saranno masturbati già nel Rinascimento pensando al giovane Sebastiano trafitto dalle frecce.

Una passione ossimorica

Nelle sequenze iniziali del film, Sebastiano è indicato come il favorito di Diocleziano, in senso anche sessuale. Quindi si deduce che doveva avere rapporti omoerotici col suo protettore. Come mai dunque è tanto schivo con Severo e gli resiste fino alla morte? Il dilemma è tanto più grande dal momento che Sebastiano dichiara con una poesia di provare un amore ai confini con l'adorazione per il suo spasimante. Perché quindi non gli si concede? Non può essere lo scrupolo cristiano il motivo della ritrosia del giovane militare, dal momento che egli aveva invece avuto una relazione carnale con Diocleziano. Tra questi due atteggiamenti c'è una contraddizione insanabile. Non si può nemmeno pensare che nel frattempo Sebastiano si sia pentito delle sue azioni e che per questo abbia deciso di negarsi ogni soddisfazione sodomitica: la sua poesia è di ispirazione pagana e piena di passione carnale. Questi sono alcuni estratti: "corpus aureum est simile auro liquido", "tam formosus est quam sol", "manus eius haec vulnera leniet", "iste est Phoebus Apollo". Perché Sebastiano si mostra indifferente nei confronti di Giustino, l'unico commilitone che non gli è ostile? La spiegazione può essere una sola: in quella terra arida e ostile, bruciata dal sole della canicola, Sebastiano ha smarrito il senno ed è stato divorato dalla febbre del masochismo. Si converrà che in ogni caso nel personaggio mostrato da Jarman c'è una forte dose di ambiguità.

giovedì 20 aprile 2017


BLADE RUNNER

Titolo originale: Blade Runner
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: USA
Anno: 1982
Durata: 117 min (International Cut, 1982)
  116 min (Director's Cut, 1992)
  117 min (The Final Cut, 2007)
Rapporto: 2,35:1
Genere: Fantascienza, noir, thriller
Regia: Ridley Scott
Soggetto: Philip K. Dick, dal racconto
     Il cacciatore di androidi (aka Ma gli androidi
     sognano pecore elettriche?
)
Sceneggiatura: Hampton Fancher, David Webb
    Peoples
Produttore: Michael Deeley
Casa di produzione: The Ladd Company, Sir Run
    Run Shaw, Tandem Productions
Distribuzione (Italia): Warner Bros.
Fotografia: Jordan Cronenweth
Montaggio: Terry Rawlings, Marsha Nakashima
Effetti speciali: Douglas Trumbull
Musiche: Vangelis
Scenografia: Jordan Cronenweth
Interpreti e personaggi:
    Harrison Ford: Rick Deckard
    Rutger Hauer: Roy Batty
    Sean Young: Rachael
    Daryl Hannah: Pris
    Brion James: Leon
    Joanna Cassidy: Zhora
    Edward James Olmos: Gaff
    M. Emmet Walsh: cap. Harry Bryant
    Joe Turkel: dott. Eldon Tyrell
    William Sanderson: J.F. Sebastian
    Morgan Paull: Holden
    James Hong: Hannibal Chew
    Hy Pyke: Taffey Lewis
    Ben Astar: Abdul Ben Hassan
Doppiatori italiani:
    Michele Gammino: Rick Deckard
    Sandro Iovino: Roy Batty
    Emanuela Rossi: Rachael
    Micaela Esdra: Pris
    Sergio Fiorentini: Leon
    Maria Pia Di Meo: Zhora
    Piero Tiberi: Gaff
    Renato Mori: cap. Harry Bryant
    Gianni Marzocchi: dott. Eldon Tyrell
    Massimo Giuliani: J.F. Sebastian
    Paolo Poiret: Holden
    Vittorio Stagni: Hannibal Chew
    Luciano De Ambrosis: Taffey Lewis
    Mario Milita: Abdul Ben Hassan

Trama:
Siamo a Los Angeles nel 2019 (nel nostro spaziotempo sarebbe tra due anni). L'ambientazione è una spaventosa megalopoli sovrappopolata, plumbea e distopica, perennemente notturna. La luce del sole non riesce a oltrepassare la coltre di nubi, tanto che si ha l'impressione di trovarsi su un pianeta oscuro in cui si può vedere soltanto grazie al riverbero delle onnipresenti insegne pubblicitarie. Una simile società urbanoide e opprimente non si accontenta di annichilire l'uomo: vengono fabbricati tramite tecniche di ingegneria genetica androidi organici così somiglianti ad esseri umani da non poter essere distinti ad occhio nudo. Questi esseri artificiali sono chiamati "replicanti" e vengono impiegati in condizioni di schiavitù nelle colonie extramondo, stanziamenti umani nello spazio. In alcuni di loro arde l'anelito di libertà e come possono farlo fuggono, cercando con ogni mezzo di ritornare sulla Terra, pianeta che è loro interdetto. Le unità aberranti fuggite vengono inseguite da cacciatori di taglie noti con il nome di Blade Runners, ossia "Corridori sulle Lame". Il fato degli androidi organici intercettati non è invidiabile: vengono "ritirati", ossia eliminati fisicamente. Rick Deckard è un maturo Blade Runner richiamato in servizio, a cui è assegnato il compito di rimuovere dalla società alcuni replicanti fuggiaschi che sono giunti fino a Los Angeles per tentare un'impresa dissennata, ossia infiltrarsi nella Tyrell Corporation, la multinazionale responsabile della loro creazione. In tutto le creature sintetiche sono sei, di cui due sono rimaste folgorate e una è stata riconosciuta nel corso di un test di riconoscimento detto Voigt-Kampff (spesso scritto Voight-Kampff). Il loro capo, Roy Batty, ha guidato i suoi compagni di sventura nell'azienda spinto dalla necessità di parlare con il suo Artefice, l'uomo che lo ha progettato, fatto costruire e programmato. A spingerlo è il solo sentimento che lo anima e che divora ogni sua fibra: il terrore della Morte...


Le diverse versioni:

A quanto ho appreso navigando nel Web, esistono ben sette diverse versioni del film. Alcune delle peculiarità sono di poco conto, mentre in altri casi sono introdotti elementi che cambiano l'ontologia della storia. Le più note sono le seguenti tre: 

International Cut (1982). Nota anche come Release cinematografica ufficiale internazionale, dura 117 minuti. Contiene qualche scena "problematica" che in America non ha potuto vedere la luce a causa della mostruosa dittatura della political correctness

Director's Cut (1992). Dura 116 minuti. Si tratta in sostanza di una copia della preview (Workrint prototype version) ritrovata chissà come dopo dieci anni dalla prima proiezione. In questa copia mancava la scena del sogno dell'unicorno e non erano incluse le scene cruente già in precedenza tagliate negli States. Non è piaciuta a Ridley Scott e nemmeno a Harrison Ford. Così è stata rielaborata dal regista, che vi ha incluso la scena dell'unicorno ma non ha aggiunto le altre sequenze. 

The Final Cut (2007). Dura 117 minuti. Su questa versione pubblicata per il 25° anniversario del film, Scott ha avuto il controllo completo. Include quindi tutte le scene in precedenza rimosse. Anche il sogno dell'unicorno vi è presente, con sequenze più lunghe che permettono allo spettatore una miglior comprensione del problema filosofico.  

Per maggiori informazioni si rimanda a questo link: 


Recensione:

Senza dubbio siamo di fronte a una pietra miliare non soltanto della fantascienza distopica e apocalittica, ma anche del genere noir. Nel corso degli anni a questo film grandioso sono state mosse diverse critiche, rinfacciando ad esempio la lentezza dell'azione, l'incoerenza dei dialoghi, la natura confusa della psicologia dei personaggi. Forse questi detrattori non hanno capito una cosa: questa è la storia di una caduta agli Inferi. Per questo le voci spettrali sono quelle di ombre del Tartaro, destinate alla dispersione della propria essenza fino a degradarsi in mere fluttuazioni di vuoto quantistico.

Rispetto al romanzo di Dick Il cacciatore di androidi (Do androids dream of electric sheep?, 1968), si rilevano tante e tali differenze che possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che si tratta di due opere completamente dissimili.

1) Romanzo: La Terra è spopolata.
    Film: La Terra è sovrappopolata.
2) Romanzo: L'azione si svolge a San Francisco.
    Film: L'azione si svolge a Los Angeles.
3) Romanzo: Il mondo futuribile vuole essere la realtà del 1992.
    Film: Il mondo futuribile vuole essere la realtà del 2019.
4) Romanzo: Il pianeta, desolato, è in preda alla polvere radioattiva e di spazzatura che si accumulano in una sostanza chiamata kipple, che è entropia allo stato solido.
    Film: Il pianeta, che versa in stato parimenti apocalittico, è sotto il diluvio.
5) Romanzo: Le colonie si trovano su Marte o in ogni caso all'interno del sistema solare.
    Film: Le colonie extramondo non si limitano al sistema solare: si estendono su diversi sistemi stellari, pur non essendo descritta la loro dislocazione.
6) Romanzo: Deckard è un uomo sposato a una donna isterica, prigioniero di una vita deprimente e grigia.
    Film: Deckard è un detective noir in stile Marlowe o Sam Spade.
7) Romanzo: La natura degli androidi è almeno parzialmente biologica. In un passo sono definiti "organici", ma si fa riferimento al loro cervello come se fosse un processore non biologico (es. "unità cerebrale Nexus-6"). In un altro passo si fa riferimento al fatto che un androide se non viene ucciso è destinato a invecchiare e a morire.  
    Film: La natura degli androidi sembra essere interamente biologica. Gli androidi (replicanti) sono organismi fatti di carne e di sangue, con il cervello fatto di neuroni, prodotti tramite ingegneria genetica. 
8) Romanzo: Il colosso della produzione di androidi è la Rosen Industries (aka Associazione Rosen).
    Film: Il colosso della produzione di androidi è la Tyrell Corporation.
9) Romanzo: Gli androidi sono glaciali e malvagi. Ogni loro sentimento è una finzione. 
    Film: Gli androidi sono creature piene di pathos, sofferenti, terrorizzate dalla morte, tanto che si è inclini a simpatizzare per loro.
10) Romanzo: Rachael porta il cognome Rosen e passa per la nipote di Eldon, il Tycoon dell'azienda produttrice di androidi.
    Film: Rachael è una segretaria della Tyrell Corporation.
11) Romanzo: Rachael è una fallofora, una ninfomane scatenata, priva di sentimenti e opportunista, che non esita a ferire Deckard non appena questi le confessa il suo amore, e gli dice di aver fatto sesso sfrenato con decine di cacciatori di taglie. A causa della maggior decenza dei tempi in cui Dick visse, Rachael si è astenuta da mortificare Deckard irridendo le dimensioni del suo fallo. 
    Film: Rachael è un'eroina romantica. 
12) Romanzo: Esiste una religione di lontana derivazione cristiana, il Mercerianesimo (in inglese Mercerism).
    Film: Non esiste alcuna religione praticata.
13) Romanzo: La biosfera è in estinzione, moltissime specie animali sono scomparse e la società attribuisce un immenso valore al possesso di un animale vero anziché di una sua riproduzione robotica.
   Film: Non si fa menzione delle condizioni della fauna e del costume descritto nel romanzo.
14) Romanzo: Deckard nel corso delle sue peripezie si imbatte persino in una copia perfetta del dipartimento di Polizia, creata nei minimi dettagli da malfattori.
   Film: Le avventure di Deckard prendono un corso totalmente diverso da quello descritto dal romanzo e non si fa nessuna menzione dei poliziotti finti.
15) Romanzo: Deckard, spinto dal furore religioso, elimina Roy Batty e gli altri replicanti, torna a casa, scopre che Rachael ha ucciso la sua capra per vendetta. A questo punto si reca nel deserto per riflettere.
   Film: Si ha il toccante dialogo tra Roy Batty e Deckard, al termine del quale il replicante muore di morte improvvisa.


La religione di Mercer

Nel film di Scott le allusioni alla religione sono poche, anche se molto interessanti. Un saltimbanco pappone pubblicizza a gran voce lo spettacolo di una sua ragazza, invitando gli astanti a guardarla "prendersi il piacere dal serpente che corruppe l'Uomo", alludendo al mito di Adamo e di Eva nel Giardino dell'Eden. Il replicante Roy pronuncia una frase memorabile quanto poetica: "Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell'Orco". Si tratta di citazioni arcaiche che sopravvivono quasi come echi spettrali in un mondo che è ormai privo di una dimensione spirituale. Non sono testimonianze di una religione vivente. Forse potrebbe essere definito "religione" lo strano sentimento di devozione che il replicante Roy prova per il suo Creatore, ma la cosa è alquanto dubbia: potrebbe essere un semplice comando volutamente introdotto nel genoma sintetico e simile all'imprinting. Nel romanzo di Dick abbiamo invece una dimensione religiosa più complessa e articolata. Vi è descritta un'interessante setta che venera come profeta e Uomo-Dio un certo Wilbur Mercer, che potrebbe essere definito quasi un novello Cristo. Mercer si cala dalle pendici della Montagna della Morte e viene ad abitare nel mondo della Tenebra, in mezzo ai rifiuti, quindi compie la sua faticosissima salita che ricorda quella di Cristo sul Golgota. Mentre Mercer arranca tra rocce spigolose e rifiuti, diabolici nemici lo lapidano, provocandogli ferite sanguinanti. Affinché i credenti della religione di Mercer mantengano il contatto diretto con la Passione del loro profeta, si servono di macchinette empatiche. Si collegano a questi marchingegni impugnando un manubrio simile a quello di una bicicletta e diventano tutt'uno con Mercer. Alla fine Deckard scopre che Wilbur Mercer è in realtà una comparsa in pensione rispondente al nome di Al Jarry, che sopravvive in una baraccopoli in condizioni di miseria estrema. Questa rivelazione non pone però fine alla setta, i cui adepti continuano a professare il Mercerianesimo, perché in esso ci sarebbe del vero anche se Mercer è falso. In ogni caso la trovata ha di per sé un notevole valore. Sarebbe una bella cosa se l'uso di scatolette empatiche fosse diffuso tra gli adepti di tutte le Chiese che si definiscono "cristiane" e riuscisse a trasmettere l'esperienza della salita sul Calvario e della crocefissione. Credo che molte stronzate non le si sentirebbe pronunciare più.

Il gergo urbano 

Nel film di Scott si sente parlare uno strano linguaggio, definito gergo (in inglese Cityspeak), di cui viene evidenziata l'origine mista a partire da un gran numero di idiomi degradati in una specie di melting pot linguistico. Così viene descritto dallo stesso protagonista:  

"Questo simpaticone si chiama Gaff. Bryant doveva averlo sollevato al rango dell'unità Blade Runner. I suoni inarticolati che emetteva erano la parlata cittadina, un guazzabuglio di giapponese, spagnolo, tedesco e chi più ne ha... A me non serviva un traduttore. Conoscevo quel gergo come ogni buon poliziotto. Ma non intendevo agevolare Gaff."
(Deckard)

Le parole del gergo urbano hanno una parvenza informe, come se tendessero a perdere le consonanti e a conformarsi alla fonetica del giapponese indipendentemente dalla loro origine. Tutto ciò è stato creato da Scott per accentuare l'incapacità comunicativa dell'umanità ormai derelitta. Non ricordo di aver letto nulla su questo argomento nell'opera di Dick, che non sembrava essere molto interessato alla descrizione di lingue stravaganti e alla loro costruzione. 

Deckard, Cartesio
e il sogno dell'unicorno 

Il cognome del cacciatore di androidi non è poi così strano come potrebbe sembrare a prima vista. In una pronuncia rotica la sua trascrizione sarebbe /'dekəɹd/, che non è poi dissimile dal francese /de'kaRt/. Come avrete capito è proprio il famoso filosofo francese René Descartes, più noto in Italia come Cartesio. Dick era appassionato di filosofia: quando ha creato la figura di Deckard ha inteso alludere al dubbio cartesiano e al solipsismo. Al dilemma ontologico che porta a dubitare della realtà delle cose che ci circondano e della propria stessa esistenza, Cartesio rispondeva con la frase "cogito ergo sum", ossia "penso, dunque sono". Un genio maligno mi può ingannare su tutto, ma non può in alcun modo ingannarmi sul mio dubbio. Dal fatto di essere consapevole di questo dubbio, giungo così ad avere la prova della mia stessa esistenza. Questa semplice procedura a Deckard perde il suo potere risolutore, perché non è in grado di discriminare tra la natura di un essere umano e quella di un androide organico. Appurato che io sono perché penso, cosa sono in concreto? Sono un essere umano, qualsiasi cosa questo possa significare, oppure la creazione di un essere umano, ossia un'intelligenza artificiale? Se sono un'intelligenza artificiale, da dove provengono i miei sentimenti? Tutta questa problematica esistenziale si infittisce e si fa ancor più angosciante nel film. Roy Batty sembra rispondere al Deckard dickiano: "Noi non siamo macchine, siamo organismi". La replicante femmina Pris aggiunge: "Io penso, Sebastian, pertanto sono". Una delle sequenze più importanti, aggiunta nel Director's Cut e ampliata nel Final Cut, è quella della visione di un unicorno, avuta da Deckard in uno stato di onirismo ad occhi aperti. Questo sogno dell'unicorno è la prova concreta del fatto che lo stesso cacciatore di taglie Deckard è in realtà un replicante egli stesso, proprio come le sue prede. Infatti Gaff, il collega di Deckard, realizza un origami a forma di unicorno, che in seguito viene calpestato da Rachael. Quest'opera di carta può essere stata ispirata soltanto dalla conoscenza dei sogni di Deckard, che di conseguenza devono essere il frutto di un innesto artificiale.  

Un rospo robotico

Manca al film la scena finale del romanzo, che a parer mio ne concentra tutta l'essenza filosofica, dando vita a un gioielo infinitamente fulgido. Deckard vaga nel deserto, come il profeta Wilbur Mercer, la cui inesistenza gli è stata appena dimostrata, quando ecco che all'improvviso si imbatte in una creaturina ben strana. Qualcosa che proprio non dovrebbe esistere. Si tratta di un rospo, animale prediletto dallo stesso Mercer e da tempo estinto. Deckard lo raccoglie e lo porta alla moglie, tutto contento perché grazie all'animaletto potrà superare lo stigma sociale che ha colpito la sua famiglia a causa del mancato possesso di un animale autentico. Il problema è che all'improvviso nel corpo dell'anfibio si apre uno sportelletto, dimostrando che si tratta di un robot fatto di parti meccaniche. In un altro punto del libro si specifica che mentre gli androidi sono organici, gli animali robot sono "fatti di circuiti a transistor". Ecco che il senso di assoluta solitudine raggiunge vette stratosferiche, crescendo fino a invadere e a divorare ogni cosa. L'intero universo del protagonista collassa in un coacervo di nullità: la sconfitta di Cartesio è totale. Peccato che tutto questo sia rimasto inutilizzato da Scott, anche se comprendo bene che non sarebbe stato facile inserire il ritrovamento del rospo fittizio in un contesto che con quello originale ha tutto sommato ben poco a che spartire.


Fulgide gemme di Ridley Scott
(e di Rutger Hauer)
 

Il film contiene gioielli che sono capolavori di una potenza indicibile, sentenze penetranti come stiletti di diamante e indimenticabili, che hanno fatto la storia della Fantascienza, trasformandosi in memi immortali. Il punto è che nessuno di questi inestimabili tesori è farina del sacco di Philip K. Dick: invano li si cercherebbe tra le pagine de Il cacciatore di androidi. Sono infatti creazioni di Ridley Scott e - non dimentichiamolo mai - di Rutger Hauer, che forgiava frasi poetiche servendosi delle sue immense capacità di improvvisazione. Passiamo brevemente in rassegna alcune interessanti gemme concettuali:

Una nuova vita vi attende nella colonia Extra-Mondo. L'occasione per ricominciare in un Eldorado di buone occasioni e di avventure.
(Voce del dirigibile)

   L'attualità di questo annuncio è palpabile. Elon Musk si servirà senza dubbio di esche simili quando dovrà popolare Marte di nuovi dannati. Già mi vedo i messaggi pubblicitari imperniati su un concetto elementare quanto efficace: "Su Marte si scopa".

Avvampando gli angeli caddero; profondo il tuono riempì le loro rive, bruciando con i roghi dell'orco.
(Roy Batty)

   A quanto pare la fonte ultima di ispirazione da cui Rutger Hauer ha attinto è William Blake. Questo è il testo originale in lingua inglese dei versi di Roy: "Fiery the angels fell; deep thunder rolled around their shores; burning with the fires of Orc." Questi invece sono i versi di Blake, da America a Prophecy"Fiery the angels rose, and as they rose deep thunder roll'd / Around their shores: indignant burning with the fires of Orc." Il riferimento è a Lucifero e agli Angeli Caduti, a cui il replicante paragona se stesso e i suoi compagni, cacciati dalla Terra e al contempo caduti su di essa dalle colonie extramondo.

Tyrell aveva fatto un gran lavoro con Rachael. Perfino un'istantanea di una madre che non aveva mai avuto e di una figlia che non lo era mai stata. Non era previsto che i replicanti avessero sentimenti. Neanche i cacciatori di replicanti. Che diavolo mi stava succedendo? Le foto di Leon dovevano essere artefatte come quelle di Rachael. Non capivo perché un replicante collezionasse foto. Forse loro erano come Rachael: aveva bisogno di ricordi.
(Deckard)

La luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo. E tu hai sempre bruciato la candela da due parti, Roy. (Tyrell)

   Scott afferma la nuda e cruda natura dell'Universo fisico in tutta la sua ineluttabilità. L'entropia, che è una misura del disordine, cresce sempre in tutti i sistemi fisici reali. Per ridurla è necessario compiere lavoro, ossia consumare risorse. I corpi, essendo sistemi aperti attraversati da un flusso costante di materia e di energia, devono in ogni istante fare i conti con la produzione di scorie con la tendenza al deterioramento. Il corpo di un organismo artificiale ha un metabolismo accelerato che lo porta a invecchiare rapidamente. Nel romanzo di Dick si allude all'irrisolto problema del "ricambio cellulare" e si parla di una vita media di quattro anni per questi androidi. 

Ho fatto delle cose discutibili... [...] Cose per cui il Dio della biomeccanica non ti farebbe entrare in paradiso.
(Roy Batty)

   Trovo ragionevole pensare che l'allusione a un simile Dio e al relativo paradiso destinato ai costruttori di replicanti sia più che altro una metafora nata dalla spiccata tendenza dell'attore al lirismo.

Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo.
(Roy Batty) 

   Una verità innegabile, da scolpire a caratteri cubitali sulle pareti di tutte le case del mondo.

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.
(Roy Batty)

   Due brevi estratti di questo brano di un lirismo assoluto sono diventati molto popolari, anche se in genere sono citati in modo distorto. Il primo è comune nel linguaggio scherzoso, anche del volgo: "Ho visto cose che voi umani..". Invece la locuzione "lacrime nella pioggia" conserva tutta la sua drammaticità, ad indicare l'irreparabilità della perdita di un lavoro per cui si è speso molto tempo e che non potrà produrre nessun risultato - come ad esempio gli scritti pubblicati nella Blogosfera. Per contro, è stata rimossa dalla memoria collettiva la reminiscenza wagneriana.
Questa è la versione originale in inglese:

"I've seen things you people wouldn't believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears...in...rain. Time to die."

Si vede che i C-beams sono diventati come per magia "raggi B" nel passaggio all'italiano, dato che "raggi C" avrebbe avuto un suono infantile e ridicolo per via della presenza di consonanti palatali molto simili in due sillabe contigue.

Un vulnus gravissimo

Se gli androidi sono organici e hanno sangue come gli esseri umani, è purtuttavia plausibile che la loro natura possa essere immediatamente svelata da un semplice test del DNA. Nelle sequenze genomiche di un loro frammento minuscolo di tessuto devono essere contenute informazioni che ne permettono l'identificazione rapida. Sarebbe del tutto logico pensare alla volontaria introduzione di simili segni di riconoscimento, da parte del produttore, per motivi legali. Basterebbe una proteina che non compare negli umani, che è stata usata a bella posta e che è rilevabile da un test istantaneo. Si pensa che in un mondo futuribile i test genetici non necessitino di lunghi mesi per fornire un responso. Domanda maliziosa e provocatoria: "Perché inscenare il complesso test empatico di Voigt-Kampff?"