giovedì 18 maggio 2017

LA PRONUNCIA CAROLINGIA DEL LATINO

La situazione della lingua latina ecclesiastica nella Gallia nella seconda metà dell'VIII secolo d.C. era a dir poco marasmica. Nessuno sembrava rendersene conto, tanto era densa e caliginosa l'ignoranza che imperversava tra il volgo e nello stesso clero. La carcassa dell'Impero Romano era ormai marcia e piena zeppa di cagnotti. Il latino della Chiesa di Roma era rimasto tagliato fuori dall'evoluzione della lingua viva, che ormai si era evoluta in una varietà di parlate protoromanze. Al contempo, la lingua del culto cattolico non era stata capace di conservarsi indenne dai mutamenti, finendo col dar luogo a una serie di pronunce anche molto diverse da luogo a luogo. In queste condizioni, nessun popolano poteva capire quanto i preti dicevano a messa. Immaginiamo di paragonare la lingua del clero e quella della gente comune a due treni. Il treno del clero viaggiava a velocità ridotta e non riusciva a star dietro al treno della gente comune, che accelerava fin quasi a sparire oltre l'orizzonte. Ad ogni metro percorso dal treno dei preti, quello del popolo aveva già percorso un miglio e la distanza tra i due cresceva a dismisura. 

Il primo a capire queste cose fu il dottissimo Alcuino di York (735-804), uomo di immense qualità venuto dall'Inghilterra: fu lui che mise al suo sovrano Carlo Magno la pulce nell'orecchio, dando così origine a un mutamento di portata storica. Con buona pace del corpo docente servile e di alcuni irriducibili accademici vetusti di questa Italietta, i Franchi non erano poi così romanizzati come la propaganda vorrebbe. Ancora all'epoca del Re Carlo erano un popolo germanico fierissimo, che si cullava nei suoi privilegi, vivendo in condizioni di quasi totale isolamento dalla popolazione gallo-romana sottomessa e disprezzata. Questa è la realtà dei fatti, di cui avremo modo di parlare in altre occasioni. All'inizio il Re Carlo non sapeva nemmeno che lingua parlassero i suoi sudditi. A corte si parlava la lingua germanica avita e i Franchi era convinti che la popolazione autoctona parlasse il latino, creduto immutabile ed eterno, cristallizzato e identico a quello parlato da Cesare e di Cicerone. Quando Alcuino dimostrò che le cose stavano ben diversamente, immenso fu lo scandalo. Si dà il caso che il Re Carlo fosse molto superstizioso. Si era fatto chissà come l'idea bislacca che Dio si sarebbe adirato se la pronuncia delle preghiere recitate in latino non fosse stata perfetta. Se il popolo non capiva più i suoi pastori e questi stessi avevano distorto il latino al punto che tra parrocchie diverse non c'era più mutua comprensione persino di testi semplici, Dio poteva soltanto essere in collera, sul procinto di scatenare catastrofi. Per paradosso, tanto adoravano il Dio cristiano questi Franchi, che lo concepivano furioso e folgoratore come il pagano Thonar, i cui templi venivano bruciati. 

Fu così che il Re Carlo, timoroso del disastro incombente, diede ad Alcuino l'incarico di ripristinare l'uso del latino classico, di ridargli una pronuncia accettabile e di farne la lingua veicolare dell'Impero. La Riforma carolingia ebbe così inizio. Il monaco sapiente aveva a disposizione diverse alternative. Avrebbe potuto ad esempio utilizzare la pronuncia usata dalla Chiesa d'Irlanda, i cui monaci fino alla metà del VII secolo erano stati molto attivi sul continente, impegnandosi in una fervida attività missionaria nelle terre dei Merovingi e fondando un gran numero di monasteri. La pronuncia ecclesiastica irlandese, che realizzava c come /kj/ davanti a vocale anteriore /e/ e /i/ (pur essendo diversa dalla restituta), non era tuttavia riuscita ad attecchire, dato che era troppo aliena al volgo e al clero di Francia. Così fu scartata e si mantenne l'uso di pronunciare c come /ts/ davanti a /e/, /i/. Alcuino utilizzò una serie di accorgimenti per riportare in vita un latino che gli pareva ragionevole. La sua più grande intuizione riguardò la pronuncia delle vocali e, i, o, u. Era costume del clero all'epoca del Merovingi e degli stessi Carolingi prima della Riforma pronunciare le vocali con una qualità che rispecchiava l'antica quantità vocalica, ormai perduta. Così fide (abl.) si pronunciava /'fede/ con una e chiusa, mentre gula si pronunciava /'gola/ con una o chiusa: si noterà che queste parole suonavano proprio come in italiano. La sillaba tonica di semper e di merda aveva una e aperta (in latino /'semper/, /'merda/ avevano infatti vocale tonica breve), mentre la e di vena e di renes era chiusa (in latino /'we:na/ e /'re:ne:s/ avevano infatti vocale tonica lunga). Le stranezze e le irregolarità non mancavano di certo. Vi erano ad esempio moltissimi casi di chiusura di e in i e di o in uficirunt, Novimbres, vidintur, vivindum, gloriusi, octuber, indictiune, respunsis. Distaccandosi da questi costumi, che gli parevano incomprensibili, Alcuino decise che tutte le i del latino scritto dovessero suonare /i/ e che allo stesso modo tutte le u dovessero suonare /u/. Decise anche che non dovesse esserci differenza di qualità tra la e di merda e quella vena, e neppure tra la o di forum (< /'forum/) e quella di nomen (< /'no:men/). Anche le consonanti erano andate alterandosi in molti casi nel latino ecclesiastico, così dovettero essere ripristinate. Per esempio, b intervocalica veniva pronunciata /v/, confondendosi con v. Questo si rifletteva nella scrittura confusa: kavallos, ebidenter, ellubiones, devitor. Erano tutt'altro che rari gli esempi di sonorizzazione di occlusive sorde e di ipercorrettismi: audentico, podibat, abogadus, similitter, vidittur, etc. Alcuino pose rimedio a questa confusione imperante, ripristinando la pronuncia più antica e la grafia corretta: caballos e non kavallos; evidenter e non ebidenter; debitor e non devitor; potebat e non podibat, etc.

Alcuino, pur essendo una mente fulgida, non possedeva i mezzi filologici adatti a ricostruire una pronuncia affine alla restituta: per i suoi tempi era un'impresa impossibile, come percorrere un sentiero accidentato di notte senza avere con sé un lume. Il monaco fece ciò che era in suo potere nel contesto in cui si trovava. Senza il suo intervento, con ogni probabilità lo stesso latino ecclesiastico avrebbe finito per usurarsi, deteriorandosi a tal punto da dover essere abbandonato. Per quanto riguarda il Re Carlo, il suo interesse non era rivolto alla Conoscenza in sé, ma unicamente al dominio politico e alla religione, che concepiva come un'unica entità più dura dell'acciaio e più feroce di Moloch.

Per approfondire questi interessanti argomenti rimando senz'altro all'opera di Carlton Cosmo Rice (1902), The phonology of Gallic clerical Latin after the sixth century : an introductory historical study based chiefly on Merovingian and Carolingian spelling and on the forms of old French loan-words. È uno studio molto rigoroso e valido, anche se un po' datato. Discute ogni dettaglio e riporta una casistica vastissima, senza trascurare nulla. Il testo in formato pdf si può consultare e scaricare gratuitamente dal sito Archive.org servendosi di questo link: 


La Riforma carolingia del latino si diffuse in modo capillare e moltissime scuole furono aperte a beneficio non soltanto delle classi alte, ma di chiunque desiderasse ricevere un'istruzione, che era gratuita. Se questo non cancellò magicamente le antiche consuetudini di pronuncia dall'oggi al domani, in ogni caso diffuse in modo potente la nuova pronuncia del latino. Se prima la o di schola era aperta e diversa dalla o chiusa di nobilis, dopo il regno di Carlo Magno le due parole ebbero la stessa vocale o aperta. Si noterà che il francese moderno conserva ancora questi due termini come prestiti dal latino carolingio: école "scuola" e noble "nobile" hanno la stessa identica vocale tonica, contraria alla naturale evoluzione latina, cosa che ci testimonia la concreta azione della Riforma. Se schola e nobilis avessero lasciato eredi naturali passati attraverso la genuina usura del volgo, oggi dovremmo dire *équeule e *nouvle.

In Italia queste notizie evidentemente non sono molto pubblicizzate e permangono accademici che le ignorano del tutto. La Setta degli Archeologi pare una monade immune a qualsiasi influenza esterna: a quanto pare in quell'ambito l'opera di Alcuino è ritenuta inesistente. Eppure il quadro che esce dall'analisi della pronuncia ecclesiastica del latino merovingio e carolingio, nonché del latino riformato da Alcuino, si dimostra incompatibile con la pretesa di una pronuncia unica e immutabile in tutto l'arco storico di esistenza della lingua. Forse non si tratta di mera ignoranza: la rimozione di queste conoscenze può ben essere avvenuta cum dolo per favorire la propria propaganda. Visto che nella congrega in questione si crede necessario sostenere con ogni mezzo un'unica pronuncia del latino, quella ecclesiastica italica, è stato cancellato tutto ciò che era prima della sua imposizione e che può provare l'infondatezza del dogma pseudoscientifico. La Rete, nata dai deliri dei fricchettoni e dalle loro perniciose utopie sulla cosiddetta "intelligenza dello sciame" (swarm intelligence), ha reso possibile la diffusione di simili morbi cognitivi, frutti avvelenati che minacciano di far marcire la Scienza.

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